La Vita dei Padri del Giura ed il sostentamento dei monaci di Condat
Matheus Coutinho Figuinha
USP - Universidade de São Paulo – 2015
(Libera traduzione dal portoghese)
Sommario:
La Vita dei Padri del Giura,
scritta tra il 512 e il 515, racconta la storia del monastero di Condat
sotto il governo di tre abati: Romano, Lupicino ed Eugendo. Il mio scopo in
questo articolo è quello di analizzare lo sviluppo materiale di Condat,
prestando particolare attenzione alla sussistenza dei monaci. Contrariamente
a quello che gli studiosi suppongono per quanto riguarda i monasteri in
Gallia nel IV e V secolo, suggerisco che Condat non fosse stato
economicamente autonomo. Prendo in considerazione, in primo luogo, le spese
di manutenzione del monastero e, in secondo luogo, come facessero i monaci a
pagarle.
Intorno al 435, Romano, "attratto dalla solitudine del deserto [...], si
addentrò nelle foreste del Giura vicine alla sua
uilla" (Vita
dei Padri del Giura, par. 5). Si stabilì alla confluenza di due fiumi,
il Bienne ed il Tacon, dove attualmente è la città di Saint-Claude.
Lupicino, suo fratello minore, lo raggiunse qualche tempo dopo. La
reputazione dei fratelli era così grande che attirò un numero crescente di
discepoli e visitatori. Sono stati così costruiti tre monasteri per
accoglierli: Condat (Condadisco),
il primo e più importante; Laucone (Lauconnus)
e La Balme (Balma)
1.
Romano e Lupicino dirigevano insieme, anche se il primo risiedeva a Condat
ed il secondo a Laucone. Con la morte di Romano, intorno al 460, Minauso fu
eletto abate di Condat
2
ma, poco tempo dopo, a causa di una rigorosa ascesi e della debolezza
fisica, scelse Eugendo per aiutarlo nel compito di abate. Dopo la morte di
Lupicino, circa nel 480 (Minauso doveva essere già morto), Eugendo cominciò
a governare da solo i tre monasteri. Le
Vite di Romano, Lupicino ed
Eugendo, scritte da un autore anonimo tra il 512 ed il 515 (Masai 1971, p.
56-57) costituiscono un’opera unica, conosciuta come la
Vita dei Padri del Giura.
Come gli studiosi hanno recentemente notato (De Vogüé 2003, vol. 8, p. 41),
la Vita dei Padri del Giura è di
fondamentale importanza per lo studio del monachesimo occidentale, prima
della composizione della Regola di
San Benedetto. L'autore racconta non solo le gesta ed i miracoli di
Romano, Lupicino ed Eugendo, ma anche la storia dei primi ottant’anni di
Condat. In realtà, il monastero è l'elemento principale che unisce le
Vite. L'anonimo, non a caso,
mette in risalto le gesta ed i miracoli che, letteralmente, hanno costruito
Condat e lo hanno reso importante. Quindi, nessun’altra fonte del secolo IV
o V fornisce molti dettagli sullo sviluppo materiale di un unico monastero
come la Vita dei Padri del Giura.
Il mio obiettivo in questo articolo è quello di analizzare lo sviluppo
materiale di Condat, con particolare attenzione ai mezzi di sostentamento
dei monaci. Gli studiosi tendono a considerare i monasteri gallici del IV e
V secolo come economicamente autonomi. La loro continuità materiale
dipenderebbe dal lavoro manuale dei monaci o dalla rendita delle proprietà
dei propri membri più ricchi (Fontaine, 1967-1969, p. 677, 685, 991;
Pricoco, 1978, p. 119-120; Quacquarelli, 1982, p. 63; Nouailhat, 1988, p.
223-244). Lo studio della Vita dei
Padri del Giura ci permette di avere una visione diversa della
questione. Suggerisco che Condat non era autosufficiente e che il
sostentamento dei monaci faceva affidamento su varie fonti di reddito. Nella
prima sezione, esamino quali siano state le spese di manutenzione del
monastero. Io cerco di dimostrare che tali spese sono andate ben oltre il
minimo necessario per la sussistenza. Nella seconda e nella terza sezione
esamino come facessero a pagarle i monaci. Secondo l'anonimo, essi erano
assidui nel lavoro manuale, in particolare nel settore agricolo. Propongo
che il lavoro manuale, tuttavia, non era sufficiente per soddisfare tutte le
esigenze materiali. La richiesta di Lupicino di un aiuto materiale al re
Chilperico è la prova più evidente di tale mancanza. Infine, propongo che i
monaci contavano anche sulle donazioni dei devoti.
Le spese dei monaci di Condat
L’anonimo ci offre qualche notizia riguardo al crescente numero di monaci e
visitatori e sui conseguenti lavori di costruzione necessari per ospitarli.
I primi discepoli di Romano e Lupicino sarebbero stati due giovani chierici
di Nyon, che avrebbe corso gravi rischi addentrandosi nella foresta senza
sapere dove fosse la dimora dei fratelli (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 13). Da allora, il numero dei discepoli è
cresciuto costantemente. In un primo momento, il luogo in cui Romano si
stabilì in origine - ai piedi del monte Bayard, sotto la chioma di un "abete
molto fitto" e accanto ad una fonte d'acqua - diventò troppo piccolo per
ospitarli. Così,
si stabilirono non lontano dall'albero, su di una piccola collina in dolce
pendenza dove si trova oggi, in loro memoria, l'oratorio riservato alla
preghiera privata; dopo aver sgrossato con l'ascia e levigato con grande
cura dei pezzi di legno, si costruirono delle capanne e ne prepararono altre
per coloro che sarebbero arrivati (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 13).
Con queste parole l'anonimo descrive i primi lavori di costruzione eseguiti
dai monaci che si sono riuniti intorno a Romano e Lupicino. Le prime
abitazioni di Condat furono molto semplici, fatte solo di legno, materiale
abbondante nella foresta. Edward James (1981, p. 36-38) suppone, a partire
dalla Vita di Martino e dalla
Vita dei Padri del Giura, che le
costruzioni di legno o in altri materiali deperibili erano una
caratteristica comune dei monasteri della Gallia dei secoli IV e V. Suppongo
che James sia corretto, ma, come nel caso di Sulpicio Severo (Fontaine,
1967-1969, p. 667-672; De Vogüé, 1997, vol 4, p. 44; Lorans 2012, p.
177-203), la descrizione dell’anonimo deve essere presa con cautela. Sotto
la Cattedrale di Saint-Pierre, l'antica chiesa abbaziale, gli scavi condotti
da Jean-Luc Mordefroid hanno portato alla luce tracce di un edificio
gallo-romano del II secolo.
3
Gli archeologi finora non sono in grado di determinare quale fosse la natura
dell'edificio. Ma in ogni caso sembra che Romano ed i suoi compagni hanno
approfittato di edifici abbandonati per erigere il monastero: devono aver
rinnovato vecchi edifici oppure hanno utilizzato il loro materiale per la
costruzione dei nuovi. Condat, pertanto, non dovrebbe essere stato
interamente in legno. Il passo appena citato riguarda solo la costruzione
delle celle, non dell'intero monastero.
A causa del rigore e della durata dell’inverno nell’Alto Giura è difficile
immaginare che Romano ed i suoi primi discepoli si siano stabiliti sotto la
chioma di un abete. Come già ha osservato Adalbert de Vogüé (2003, vol. 8,
p. 48), l'anonimo cita tra l'altro il "rifugio comune" (tugurium
fraternum) all'arrivo di Lupicino. La descrizione della prima dimora di
Romano deriva dalla Vita di Paolo,
scritta da Gerolamo, come lo stesso anonimo chiarisce:
Il nuovo arrivato, alla ricerca di una dimora che soddisfacesse i suoi
desideri trovò, sul lato orientale ed ai piedi di una montagna rocciosa, un
abete molto fitto che diffondeva i suoi rami in cerchio e che, diffondendo
la sua chioma, coprì il discepolo di Paolo come in tempi precedenti la palma
aveva coperto Paolo stesso (Vita dei
Padri del Giura, 1968, 7).
Notiamo, inoltre, la somiglianza delle espressioni (1)
repperit [...]
sub radices axo simontis, (2)
patulis diffusa comis e (3)
fonsirriguus gelidissim afluenta
praestabat, dalla Vita dei Padri
del Giura 7, con (1) repperits
axeum montem ad cuius radices, (2)
patulis diffusa ramis e (3)
fontem lucidissimum, dalla
Vita di Paolo 5 (Martine, 1968,
p. 247).
Secondo l'anonimo, il numero dei monaci continuò a crescere in modo tale che
il primo alloggio presto si rivelò insufficiente. Alcuni dei monaci si
distribuirono così "
non solo nei più remoti paesi della provincia di Sequania, ma anche in molte
diverse regioni della terra, un po’ ovunque " (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 16). Su questi altri monasteri, l’anonimo non
fornisce alcuna informazione. Non sappiamo se si mantenessero in contatto
con Condat e quale fosse la loro condizione materiale. La fondazione, citata
da Gregorio di Tours (1885, 1.2), di un monastero
intra Alemannia terminum, di
solito identificato con Romainmôtier, è dovuta probabilmente alla prima
emigrazione dei discepoli.
L'anonimo racconta che, da quel momento, cominciò ad arrivare "un numero
straordinario e senza precedenti di monaci" e, quindi, apparvero le prime
difficoltà per garantire il loro sostentamento (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 22). La soluzione era quella di estendere le
colture in altri luoghi, dove fu poi fondata Laucone. La fondazione di un
nuovo monastero, però, non era sufficiente a ridurre la concentrazione di
monaci di Condat, dato che nuovi convertiti arrivavano "quotidianamente" (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 27). I problemi causati dalla mancanza di
spazio appaiono nel suggerimento che un anziano ha dato a Romano di
selezionare i buoni monaci e di spaventare i cattivi. Nelle parole
dell’anonimo, l’argomento dell’anziano era questo: "Se esamini bene, con un
vigile controllo, le nostre celle o la zona di preghiera e di accoglienza,
il flusso indistinto di monaci, come ti ho sottolineato, non lascia quasi
spazio per un nuovo arrivato"(Vita
dei Padri del Giura, 1968, 28). Non sappiamo quanti monaci abitavano a
Condat, ma Laucone, quando morì Romano, aveva centocinquanta monaci (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 24).
I monaci costruirono anche un monastero femminile, La Balme, dove si trova
oggi la città di Saint-Romain-de-Roche, a circa undici chilometri da
Saint-Claude. A tale scopo essi hanno approfittato delle vaste caverne
naturali di roccia su di una falesia. Sul terreno che in questo luogo, dopo
uno stretto corridoio, si apre verso l'Oriente, vi hanno eretto una basilica
per l'ufficio delle monache. Il monastero, che è stato governato dalla
sorella di Romano e Lupicino, arrivò ad ospitare centocinque suore, tutte
soggette a clausura perpetua (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 25-26). Ma, sulla base del fatto che Gregorio
di Tours ignorava l'esistenza di La Balme, si può supporre che il monastero
era scomparso nel corso dei secoli V e VI. Martine (1968, p. 266-267)
suggerisce che La Balme potrebbe essere stato abbandonato prima ancora della
composizione della Vita dei Padri del
Giura. Le ragioni di abbandono possono essere state diverse, ma non
possiamo escludere l’ipotesi che si fossero esaurite le risorse per fornire
alle monache le nacessità materiali. A causa della vita claustrale, era
responsabilità dei monaci ottenere tutto ciò che era necessario per
mantenere centocinque monache. E, come suggerisco nelle pagine seguenti, le
risorse, dopo i primi anni dalla fondazione di Laucone, diventarono sempre
più limitate.
Accanto ai numerosi discepoli, arrivavano i visitatori, a cui il monastero
doveva fornire cibo e alloggio. Secondo l'anonimo, la reputazione di Romano
e Lupicino, diffusa longe lateque
(in lungo e in largo. Ndt.), attraeva "folle di fedeli": alcuni erano
attratti dalla curiosità, perché volevano vedere "le meraviglie
dell'istituzione" ed altri portavano persone possedute, lunatici e
paralitici perché fossero guariti dalle preghiere dei fratelli (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 14-15). Più tardi l'anonimo racconta che, a
causa dei miracoli di Eugendo, i visitatori erano quasi numerosi come i
monaci e potevano rimanere giorni o mesi fino a quando non avessero ricevuto
la guarigione desiderata (Vita dei
Padri del Giura, 1968, 147). Tale affluenza necessitava di costruire non
solo uno xenodochium (una
foresteria) - che ospitava indiscriminatamente monaci e visitatori, come
suggerito dalla parole del vecchio citato sopra - ma anche un ospedale.
4
L’anonimo afferma che un incendio, durante l’abbaziato di Eugendo, distrusse
tutto il monastero di Condat. Raccontando l'episodio, però, egli cita la
distruzione e la ricostruzione del solo
xenodochium. L'edificio,
costruito molto tempo prima in legno, riuniva le celle dei monaci, una
accanto all'altra, al primo piano, e le camere (cenacula)
nel secondo (Vita dei Padri del Giura
,1968,, 162-163).
5
L’anonimo non indica quale fosse la funzione di queste camere, ma possiamo
supporre che esse furono usate per ospitare i visitatori. Dopo l'incendio,
Eugendo costruì un dormitorio comune, chiamato anch’esso
xenodochium. Nel suo racconto,
infatti, l’anonimo non menziona la distruzione e la ricostruzione della
chiesa (oratorium), della
sagrestia (secretarium), situata
alla sua destra, dell'atrio (atrium,
uestibulum), certamente pertinente alla chiesa, della dispensa (cellariolum),
del granaio (spicarium), dell'aedicula
(una stanzetta. Ndt.) dove i monaci mangiavano e cucinavano, pur accennando
a queste strutture in diversi momenti (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 64, 65, 68, 69, 72, 75, 79, 90, 130, 131,
135, 166, 170, 177). Questo perché il fuoco deve aver distrutto solo lo
xenodochium. L’anonimo precisa
che il fuoco ha iniziato inminente
uespera (verso sera), in modo che potrebbe essere stato causato da una
lampada o da una stufa accesa dopo che i monaci si erano ritirati nelle loro
celle.
A parte lo xenodochium distrutto
dall’incendio, l’anonimo non indica i materiali e le dimensioni degli
edifici di Condat. Ma si può dedurre che la chiesa, in particolare, non era
piccola, poiché doveva ospitare tutti i monaci per le preghiere e le
celebrazioni quotidiane e, probabilmente, i visitatori. Sembra molto
improbabile che un edificio con notevoli dimensioni, che comprendeva, a
destra, una sagrestia e, più avanti, un atrio, fosse costruito interamente
in legno. Almeno questo complesso avrebbe dovuto essere costruito con
materiali di edifici abbandonati che si incontravano nel luogo prima
dell'arrivo di Romano. E non dovrebbe essere esclusa la possibilità che i
monaci abbiano acquistato anche parte del materiale necessario.
In Condat, i monaci potevano ricevere una formazione completa. L’anonimo
riferisce che il padre di Eugendo, avendo percepito che doveva destinare il
figlio, che aveva sei anni, alla vita religiosa, ha cominciato ad
insegnargli i rudimenti delle lettere e, dopo un anno, lo ha offerto come
oblato a Romano (Vita dei Padri del
Giura, 1968, 125). Una volta nel monastero, Eugendo si rese conto di ciò
che gli veniva imposto dall'abate o dal preposito e, durante il tempo libero
che gli rimaneva, si dedicava alla lettura. L’anonimo dice che, "oltre alle
opere latine, fu istruito in eloquenza greca" (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 126). Martine (1968, p. 374-375) si mostra un
po’ scettico sulla possibilità che Eugendo abbia imparato il greco a Condat.
Romano e Lupicino, tuttavia, che erano di una famiglia aristocratica (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 4) e che, quindi, avevando ricevuto
un’istruzione ricercata, possono avergli insegnato il greco.
6
Ma, a prescindere dal fatto che Eugendo abbia imparato il greco o no, le
parole dell’anonimo ci permettono di ipotizzare l'esistenza di una scuola o
di uno scriptorium a Condat.
Roberto Alciati (2009, p. 138) suggerisce che Romano, nel fondare Condat,
sia stato influenzato dal monastero
Île-Barbe,
a Lione, dove era stato per un certo periodo prima di insediarsi nel Giura.
Il monastero
Île-Barbe,
secondo Alciati (2009, p. 136), aveva una biblioteca ed uno
scriptorium. L'alto valore
spirituale assegnato alla lettura da parte dei Padri del Giura appare fin
dall'inizio della vita: Romano, quando si ritirò nella foresta, “si portò
via il libro della Vita dei santi
Padri e le notevoli Istituzioni
degli Abati" e si dedicava alla lettura, alla preghiera e tra l’una e
l'altra, al lavoro manuale (Vita dei
Padri del Giura, 1968, 10-11). Eugendo, a sua volta, arrivava al punto
di dimenticare il cibo davanti a sé, come in uno stato di estasi, a causa
delle letture effettuate durante i pasti (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 169). Non a caso è stato lui ad aver
introdotto a Condat la lettura comune durante i pasti (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 169). Secondo l'anonimo, Eugendo scriveva
anche lettere a importanti personaggi (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 139, 145), vescovi e sacerdoti (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 140), oltre ad inviare benedizioni (Vita
dei Padri del Giura, 139, 143-144, 148). Affinché potesse leggere il
latino ed il greco e scrivere lettere ai nobili ed al clero – lettere che,
considerando i destinatari, dovevanono seguire determinati standard
stilistici e retorici - Eugendo dovette passare attraverso una specie di
scuola e dovette poter contare su di una ricca biblioteca. Ma la formazione
di una biblioteca richiedevao ingenti somme di denaro (Williams, 2006, p.
133-147, 174-175).
A mio parere, le vaste conoscenze dell’anonimo sono i più forti indizi che
in Condat c'era una scuola od uno
scriptorium ed una importante biblioteca. Anche lui, come Eugendo, entrò
nel monastero da bambino ed ha ricevuto lì la sua formazione. Martine
riassume molto bene ciò che lui, attraverso la
Vita dei Padri del Giura, ci fa
sapere delle sue conoscenze:
Si tratta di una mente colta, non priva di talento. Possiede almeno i
rudimenti del greco e si mostra come un conoscitore di etimologia; conosce
molto bene la lingua latina, si permette alcune libertà morfologiche e
sintattiche, ma varia a volontà il suo vocabolario, scegliendo con cura il
termine giusto con un gusto marcato per le parole non comuni. Egli conosce
non solo la Bibbia, da cui trae frequentemente allusioni e citazioni
testuali, ma anche la letteratura monastica, in particolare la
Vita di Antonio ed altri
Vite dei Padri, la
Storia dei monaci in Egitto,
tradotta da Rufino, le opere di Cassiano e, ovviamente, la
Vita di Martino, di Sulpicio
Severo. Egli cita un passaggio esatto della
Storia della Chiesa, tradotta e
completata da Rufino, e vi aggiunge un dettaglio preciso. L’anonimo biografo
conosce una raccolta di decretali e interpreta correttamente quello scritto
da San Leone a proposito del vesovo Celidonio di Besançon, il cui documento,
tuttavia, non indica la sede. Preoccupato per l'originalità, indica
raramente le sue fonti, ma molte reminiscenze delle sue letture emergono
sotto la sua penna. Il suo stile è spesso raffinato, prezioso e, senza mai
dimenticare lo scopo spirituale del suo lavoro, si compiace del suo lavoro
di scrittore e dell’applicazione degli schemi (MARTINE, 1968, pag. 52-53).
Come reminiscenze delle letture dell’anonimo, possiamo aggiungere
Il governo di Dio, di Salviano di
Marsiglia (Vita dei Padri del Giura,
1968, 94), e la Vita di Ilario (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 18-19).
E’ molto probabile che l'anonimo fosse Vivenziolo, prete del monastero di
Condat, vescovo di Lione dal 515 e uno dei corrispondenti di Avito, vescovo
di Vienne (nella Gallia Meridionale. Ndt.).
7
Nella prima lettera di Vivenziolo, Avito elogia la suo "sollecitudine,
istruzione e dottrina "(1883, Epistola 19), mentre nella seconda risponde
all’accusa che, in un sermone, abbia commesso un errore contro le regole
della grammatica, parlando come se fosse lunga la seconda sillaba di
potitur (1883, Lettera 57).
L'autore della Vita dei Padri del
Giura, quindi, aveva una conoscenza approfondita dei testi classici e di
letteratura cristiana ed era ben informato sulle questioni politiche ed
ecclesiastiche del suo tempo.
I monaci di Condat mangiavano un solo pasto al giorno, ma sembra che gli
incaricati dei lavori più pesante potessero consumarne due, almeno in estate
(MARTINE, 1968, pag. 381). Secondo l'anonimo, la dieta era prevalentemente
vegetariana (costituita di verdura e cereali), fatta eccezione per le uova
ed il latte consentiti ai malati. I monaci consumavano anche l'olio d'oliva,
vino e miele (Vita dei Padri del
Giura, 1968, 38, 66, 75, 116). L'olio d'oliva era anche necessario per
accendere le lampade (Vita dei Padri
del Giura, 1968, 170). Anche se dedicati alla coltivazione ed alla
zootecnia, i monaci dovevano necessariamente acquistare l'olio, dato che era
impossibile produrlo nel Giura,
8
e, molto probabilmente, il vino. E’ vero che Plinio nella sua
Storia Naturale (1958,
14.3.18),
menziona la produzione di vino in Sequania ma, come accade ora, doveva
essere limitata alle zone più basse. Saint-Claude, almeno oggi, non fa parte
dei territori produttori di vino del Giura.
La maggior parte di questi prodotti potevano essere facilmente disponibili
nelle vicinanze di Condat. In realtà, il "deserto" dove Romano ha scelto di
vivere non era un luogo isolato, come afferma l’anonimo. La regione era
attraversata da strade sia in direzione nord-sud che in direzione est-ovest.
9
Monumenti antichi, uillae e altri
tipi di abitazioni erano a poca distanza l'uno dall'altro.
10
Oltre all'esistenza di strutture abbandonate, la vicinanza di vie di
comunicazione ha certamente influenzato la scelta di Romano ed ha assicurato
la sua sopravvivenza in loco. Ma l'anonimo riferisce che Eugendo, all'inizio
del suo abbaziato, ha inviato alcuni monaci sulle sponde del Mediterraneo
per comprare il sale, perché gli Alemanni, che aggredivano i viaggiatori,
rendevano pericoloso viaggiare verso
Aeriensium, dove erano abituati ad andare. La salina a cui si riferisce
l’anonimo si trova a circa sessanta chilometri da Saint-Claude, presso
l'attuale Salins-les-Bains, vicino a Pont-d'Hiry, il cui nome deriva da
Aerensium.
Questo episodio indica che i monaci dipendevano, almeno per quanto riguarda
alcuni prodotti, da mercati locali, che avevano buone informazioni sulle
condizioni di viaggio e che il denaro, la fatica ed il tempo necessario per
acquistare il sale del Mediterraneo compensavano i rischi di un viaggio ad
Aeriensium. L’anonimo cita solo
due altri viaggi: uno di Romano ed un compagno ad Acauno, per visitare il
santuario di San Maurizio (Vita dei
Padri del Giura, 1968, 44-50), ed un altro di due anni, di due monaci a
Roma. Ma l’anonimo sostiene inoltre che Romano e Lupicino, a causa delle
opere di misericordia, sono stati costretti a lasciare spesso il monastero (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 126) e che Lupicino si recò qualche volta
alla corte di Chilperico per intercedere a favore di fedeli e bisognosi (Vita
dei Padri del Giura, del 1968, 63). I monaci di Condat, quindi, in
particolare Romano e Lupicino, dovevano essere sempre in viaggio. Tanto che
Romano ha guarito un paralitico nella parrocchia di Poncin, distante una
cinquantina di chilometri da Saint-Claude (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 43), ed Eugendo è stato rimproverato di aver
inviato i monaci per acquistare il sale nel Mediterraneo perché gli altri,
che erano andati contemporaneamente in un luogo vicino ad
Aeriensium, era tornati sani e
salvi (Vita dei Padri del Giura,
1968, 158).
Pertanto, i monaci di Condat e Laucone avevano bisogno di procurare il cibo
non solo per se stessi, ma anche per un gran numero di visitatori e per
centocinque monache. Ma avevano bisogno di disporre di denaro, sia per
costruire e mantenere una ricca biblioteca, sia per pagare il viaggio ed i
prodotti che non potevano coltivare nella regione. E’ possibile che avessero
anche bisogno di soldi per costruire alcuni edifici del monastero.
L’anonimo, nella Vita dei Padri del
Giura, voleva dimostrare che i mezzi di sostentamento dei monasteri
fondati da Romano e Lupicino dipendevano unicamente dal lavoro manuale, in
particolare dall'agricoltura. Le spese, tuttavia, non si limitavano ad
un’alimentazione di sussistenza, ma erano varie e grandi. E, come suggerisco
di seguito, anche se i monaci hanno fatto il possibile per massimizzare il
loro lavoro, le colture sono diventate insufficienti, per lo meno dopo
alcuni anni dalla fondazione di Laucone.
Il lavoro manuale e la sua produttività
La pratica del lavoro manuale appare per la prima volta all'inizio della
Vita, dopo che Romano si era
ritirato nei boschi del Giura. Prese con sé alcuni semi ed una zappa e si
stabilì in una piccola pianura che sembrava adatta per l'agricoltura (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 6). L’anonimo suggerisce che Romano abbia
così vissuto secondo "le istituzioni monastiche": lavorava per rifornirsi di
alimenti, pregava incessantemente, donava l'eccedenza ai poveri e rimaneva
in isolamento (Vita dei Padri del
Giura, 1968, 10). In questo periodo, Romano si nutriva anche di frutti
acidi forniti da cespugli selvatici (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 8).
L’anonimo tratta ancora una volta del lavoro manuale - in particolare della
coltivazione dei campi - riferendosi a un momento in cui il monastero era
già popolato "da un numero straordinario e senza precedenti di monaci" e
riceveva molti visitatori:
Abbarbicate alle colline ed addossate ai pendii, tra sporgenze e dossi
rocciosi, rovinate da frequenti inondazioni sul terreno roccioso, le aree
coltivate languivano, non solo per i piccoli e difficili spazi (a
disposizione), ma anche per l’incerto rendimento dei raccolti.
Il rigido inverno non solo copre, ma seppellisce il paese sotto la neve;
così anche in primavera, in estate ed in autunno la calura estiva,
riscaldata dal riflesso delle rocce circostanti, brucia tutto, oppure le
intollerabili piogge trascinano nei torrenti, non solo il terreno lavorato e
coltivato, ma spesso anche i terreni incolti e rocciosi, gli alberi e gli
arbusti insieme all’erba; la roccia è messa a nudo e la terra fertile è
tolta ai monaci, portata via dalle acque.
(Vita dei Padri del Giura,
1968 22-23).
I monaci quindi cercato una soluzione:
Tuttavia, desiderando alleviare in certa misura questa situazione, i
santissimi Padri tagliarono gli abeti e strapparono i ceppi nelle vicine
foreste, in mancanza di luoghi meno ripidi e più fertili. Ripulirono i prati
con la falce e livellarono il terreno con l'aratro, in modo che i terreni
adatti alle colture sollevassero dalla povertà gli abitanti di Condat (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 24).
Questi nuovi luoghi dove, in quel momento, è stata fondato il monastero di
Laucone, sono situati intorno all'attuale città di Saint-Lupicin, distante
circa sei chilometri da Saint-Claude.
Il fatto che la coltivazione è stata inizialmente tenuta in terre inadeguate
non indica che i monaci non conoscessero le tecniche agricole. Al contrario.
Romano ha saputo scegliere un luogo ideale - piatto e vicino a una fonte
d'acqua - per le sue piccole piantagioni, appena necessarie per il proprio
consumo. Lui, ovviamente, non aveva preso in considerazione un luogo per le
grandi piantagioni che divennero via via necessarie. E’ successo che, con la
crescita costante del numero di persone da alimentare, i monaci aumentarono
proporzionalmente le prime piantagioni di Romano fino a quando non fu più
possibile. E, quando necessario, sono stati in grado di scegliere terreni
più adatti per estendere le piantagioni nei dintorni di Condat. La
fondazione di Laucone è stata senza dubbio parte di questo progetto, essendo
dovuta non solo al crescente numero di monaci, ma fu anche tentata la
possibilità di coltivare in un luogo distante. La scelta di nuove terre per
le piantagioni e la precisa descrizione della geografia nella
Vita, descrizione inaspettata per
un agiografo di quel periodo (MARTINE, 1968, pag. 264), rivelano che i
monaci del Giura avevano una conoscenza profonda del terreno e del clima
intorno a Condat.
L’anonimo dice anche che, a causa di un insolita abbondanza dei raccolti,
alcuni monaci di Condat cominciarono a mangiare più di quanto fosse permesso
(Vita dei Padri del Giura, 1968,
35-40). L'evento ha avuto luogo poco dopo la fondazione di Laucone, dal
momento che, come precisa l’anonimo, "le modeste culture" erano ancora nuove
(Vita dei Padri del Giura, 1968,
36). L'abbondanza di cibo, tuttavia, era una situazione occasionale. In caso
contrario, Lupicino ed i monaci, poco dopo la morte di Romano, non avrebbero
sentito la minaccia dell’imminente carenza di cibo e l'abate non avrebbe
avuto la necessità di chiedere un contributo al re Chilperico (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 92-95; Gregorio, 1885, 1.5). Anche se le
piantagioni di Laucone hanno garantito un’abbondanza immediata, i monaci,
trascorsi i primi anni, hanno dovuto accontentarsi di risorse sempre più
limitate. L’anonimo non menziona l'estensione delle piantagioni, ma è certo
che le colture, durante l’abbaziato di Lupicino diventarono insufficienti
per il crescente numero di monaci e visitatori.
I monaci avevano anche una buona conoscenza di architettura ed ingegneria.
Oltre ai propri monasteri, hanno costruito, nella valle che scende da Condat
verso sud, sulle rive del fiume Tacon, un mulino idraulico e magli a
battente, alimentati da una ruota idraulica (pisae).
11
Il funzionamento di tali apparecchiature è stata affidata ad un unico monaco
che, anche se aveva la propria cella (tuguriolum,
cellula) nel mulino, aveva l’obbligo di partecipare alle orazioni diurne
e notturne. L'anonimo racconta i lavori che un certo Sabiniano aveva fatto
per migliorare il funzionamento del mulino:
Un giorno successivo san Sabiniano, aiutato dai fratelli, si prodigava con
grande cura ad alzare l’argine del canale
che porta l’acqua del mulino per far muovere la ruota: si piantava
una doppia fila di pali e, secondo l'usanza, si intrecciavano tra questi dei
rami e si riempiva il vuoto con una miscela di paglia e pietre (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 57).
I monaci di Condat hanno anche costruito un sistema di tubi di legno per
guidare fino al monastero l'acqua della fonte accanto all’albero sotto il
quale Romano aveva inizialmente vissuto (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 7).
L'innalzamento del letto del canale e la costruzione del mulino, dei magli a
battente e del sistema di tubazioni ha richiesto un serie di conoscenze che,
come indicano queste stesse opere, i monaci impiegavano per massimizzare il
loro lavoro. Lo scopo dell’innalzamento del letto del canale era quello di
aumentare la velocità della ruota del mulino per ridurre i tempi delle
operazioni durante il processo di macina. Ma l'introduzione del mulino e dei
magli idraulici aveva già fatto risparmiare tempo e mano d’opera.
12
L’anonimo, a proposito di un certo Dativo, scrive che "la divina grazia lo
aveva adornato di grandi doti per qualsiasi tipo di mestieri" (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 87). Il significato di mestieri (artificium),
tuttavia, non è chiaro.
13
La Regola di Macario, scritta a
Lérins intorno al 490 (De Vogüé, 1982 , v. 1, p. 287-371), usa la parola con
la stessa significato della Vita dei
Padri del Giura: "
Si è dovuto, poi, aggiungere questo: che all'interno del monastero nessuno
eserciti un mestiere se non colui la cui fedeltà è stata sperimentata e che
faccia ciò che è capace di fare per il bene e per le necessità del monastero
" (Regola di Macario, 1982,
30.1-4). In entrambi i casi, non è chiaro se
artificium si riferisca ad un
lavoro artigianale specializzato, o più in generale, ad un lavoro manuale.
Suggerisco che una soluzione deve essere ricercata nella prima lettera di
Avito a Vivenziolo, di cui ho parlato. Vivenziolo era andato a Lione per
visitare un monaco malato e, in quell’occasione, è stata inviata ad Avito
una sedia (sella) (Secondo altre
versioni “sella da cavallo”. Ndt.) realizzata in Condat. Riferendosi alla
sedia, il vescovo dice che, con "certa eleganza", si attraevano "i desideri
degli uomini" per visitare il monastero (Avito 1883,
Epistola 19). Queste parole fanno
capire che alcuni monaci di Condat praticavano dei lavori artigianali
specializzati che, come la falegnameria, richiedevano una serie di tecniche
per trasformare le materie prime in oggetti e utensili.
14
Questa è la chiave per comprendere il significato di
artificium nella
Vita dei Padri del Giura e nella
Regola di Macario. Prodotti
artigianali soddisfacevano certamente alcune delle esigenze quotidiane del
monastero. La domanda che emerge è se i monaci li vendessero ai visitatori.
Nei testi del monachesimo orientale tenuti in grande considerazione a
Condat, particolarmente la Regola di
Pacomio e gli scritti di Giovanni Cassiano (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 174), la vendita dei prodotti del monastero,
al fine di acquisire il necessario alla sussistenza, appare come una pratica
abbastanza comune e anche raccomandata ai monaci. Ma non vi è alcuna prova
diretta che a Condat si facesse lo stesso.
I monaci, infine, allevavano gli animali. La menzione dell’anonimo sul
consumo di latte e uova (Vita dei
Padri del Giura, 1968, 66) suggerisce l’allevamento di bovini e pollame.
I bovini, infatti, oltre a produrre latte, sono molto importanti per
l'agricoltura perché facilitano l'aratura dei campi e forniscono letame. Un
passaggio in cui l'anonimo racconta che Lupicino stende pelli di pecora sul
pavimento per sdraiarsi (Vita dei
Padri del Giura, del 1968, 74) e un altro in cui dice che anche il filo
di lana era messo a disposizione di tutti (Vita
dei Padri del Giura, 1968 173), indicano che i monaci allevavano anche
pecore.
Le donazioni ai monaci di Condat
Secondo l'anonimo, Lupicino, tra il 463 e il 469, molto probabilmente nel
467 (Favrod 1997, p. 120), si diresse alla corte di Chilperico, re dei
Burgundi e patrizio dei Galli, "uomo di rara intelligenza e di pregevole
onestà "(Vita dei Padri del Giura,
1968, 93), per difendere la causa di alcuni poveri. Per giustificare il
viaggio dell'abate alla corte burgunda, l’anonimo chiarisce che il diritto
pubblico era passato al potere reale (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 92). I poveri in questione, secondo la
narrazione, erano stati sottomessi da un aristocratico gallo-romano, al
"giogo di una schiavitù ingiusta".
15
L’"abominevole oppressore", presente alla sessione e "infiammato di una
furiosa rabbia," ha cercato di screditare Lupicino:
"
Non sei tu quell’impostore", disse, "
che conosciamo da tempo e che circa dieci anni fa, abbassando
presuntuosamente la potenza dell'impero romano, proclamavi che la terra dei
nostri antenati era minacciata da una rovina imminente?
Perché dunque, di grazia, questi terribili presagi che tu hai
previsto non sono confermati da alcun evento spiacevole? Falso profeta,
spiegacelo!" (Vita dei Padri del
Giura, 1968, 93).
Lupicino, con la mano tesa verso Chilperico, rispose:
"Ecco! o perfido e perverso! Osserva il flagello che annunciavo a te ed ai
tuoi simili. Non vedi,
malvagio e degenerato, che diritto e giustizia sono rovesciati e che a causa
dei tuoi peccati e di quelli dei tuoi simili, compiuti con ripetute
estorsioni verso degli innocenti, le fasce color porpora soccombono
(all'autorità) di un giudice vestito di pelli di animali?
Rientra dunque un po' in te stesso e vedi se un nuovo ospite, con un
imprevisto spregio del diritto, non rivendichi per sé e non abbia già fatte
sue le tue terre e i tuoi iugeri. Tuttavia io ho buon motivo per credere che
tu sai ciò o che ne hai il sentore, così come ho buon motivo di credere che
tu hai deciso di gettare sulla mia povera persona due uncini
– (o che io fossi) intimidito davanti al re o spaventato dalla piega
degli eventi - per sporcarmi con una nota di infamia"(Vita
dei Padri del Giura, 1968 94-95).
Il re, affascinato dall’audace sincerità (ueritatis
audacia) di Lupicino, ha confermato che gli eventi, per mezzo del
giudizio divino, erano realmente accaduti come aveva predetto. E così "con
una decisione promulgata in virtù del potere regale, restituì la libertà a
questi uomini liberi e, dopo aver offerto doni per sostenere le necessità
dei fratelli e del monastero, lasciò ritornare il servo di Cristo nella sua
Comunità con onore" (Vita dei Padri
del Giura, 1968, 95).
Gregorio di Tours, nella sua Vite dei
Padri, descrive anche lui una visita di Lupicino alla corte di
Chilperico. Il racconto del vescovo, però, è molto diverso da quello
dell’anonimo. Una volta arrivato l’abate alle porte del palazzo, il trono
tremò. Il re, che era ad un banchetto, pensava che ci fosse stato un
terremoto, ma gli ospiti dissero che non avevano sentito nulla. Così
Chilperico, col timore che qualcuno volesse prendere il suo regno, ordinò
agli stessi di indagare su chi fosse alla porta. Trovarono un vecchio
vestito con pelli e riferirono il fatto al re, il quale disse che voleva
vederlo. Chilperico poi chiese all'abate che si presentasse e chiarisse il
motivo della sua visita. Lupicino rispose: "Sono il padre delle pecore del
Signore, il quale le fornisce di alimenti spirituali nel suo continuo
sostegno, ma alle quali certe volte mancano gli alimenti corporali. Perciò
chiediamo alla vostra potenza di concedere loro gli aiuti necessari per il
cibo ed i vestiti"(Gregorio, 1885, 1.5). Il re offrì campi e vigneti per
fornire i monaci del necessario, ma Lupicino rifiutò, dicendo che non gli
conveniva possedere ricchezze. L'abate chiese al re che fornisse loro,
invece delle proprietà, una parte del loro reddito. Chilperico allora "diede
loro una concessione di ricevere ogni anno trecento
modii (moggi) di frumento ed
altrettante misure di vino, più cento monete d’oro per comperare abiti ai
fratelli. Si dice che ancor oggi ricevano questi beni dal fisco reale"
(Gregorio, 1885 1.5).
Gli studiosi considerano giustamente la
Vita dei Padri del Giura più
affidabile rispetto alla Vita dei
Padri di Gregorio (Duchesne, 1898, p 12-16; Martine, 1968, pag 81-83;
Moyse 1.973, p. 56). L'anonimo, avendo vissuto in Condat tra la fine del V
secolo e l'inizio del VI secolo, aveva condizioni più favorevoli di Gregorio
per scrivere circa i Padri del monastero, perché poteva contare non solo
sulla profonda conoscenza della geografia locale, ma anche su ciò che lui
stesso testimoniava e su ciò che aveva sentito dagli anziani e da Eugendo,
suo confidente (Vita dei Padri del
Giura, 1968, 4, 42, 70, 78, 133). Oltre al fatto che la
Vita dei Padri è stata scritta
circa sessanta anni dopo la Vita dei
Padri del Giura, il vescovo di Tours ignora molti dettagli e commette
gravi errori: le notizie geografiche sono problematiche; Lupicino appare
come il fratello maggiore e come l'unico abate dei monasteri del Giura;
Lupicino e Romano si sarebbero ritirati insieme nella foresta dopo la morte
dei loro genitori; e Romano sarebbe stato sepolto su una piccola collina, a
dieci miglia da Condat. Gregorio chiaramente non conosceva la
Vita dei Padri del Giura.
Tuttavia, da alcune somiglianze tra le due opere, Martine (1968, p. 72-73)
suggerisce che la Vita dei Padri
possa dipendere da un testo antico e molto frammentato, che può anche
derivare in parte della Vita dei
Padri del Giura.
16
La narrativa di Gregorio ha quindi molto probabilmente un nucleo storico ed
il fatto che Chilperico abbia concesso un aiuto materiale ai monaci di
Condat non deve essere scartato.
Lupicino dovette chiedere una sovvenzione al re perché le risorse dei
monasteri del Giura, pochi anni dopo la morte di Romano, erano già
insufficienti.
17
Infatti, l’anonimo segnala che, una volta, "
l’immensa comunità e la moltitudine dei secolari che giungevano" sono stati
minacciati da una "penuria imminente". L'economo, tormentato, riferisce a
Lupicino che il grano sarebbe finito in soli quindici giorni, anche se il
prossimo raccolto sarebbe stato dopo tre mesi. L'abate, "
pieno di un’intrepida fiducia nel Signore ", entrò nel granaio, pregò e poi
ordinò che si battessero i covoni rimanenti. Ma, secondo le parole
dell’anonimo, "non avrebbero mai potuto esaurire con la trebbiatura questa
riserva di alimenti, tanto più che alla fine del ciclo il nuovo raccolto si
era unito al vecchio" (Vita dei Padri
del Giura1968, 68-70). Tuttavia, l'anonimo racconta come un miracolo di
Lupicino quello che potrebbe essere stato, in verità, il suo successo alla
corte burgunda. Dopo aver ricevuto la rendita dal re, sarebbe stato in grado
di salvare i monasteri dalla penuria.
L’anonimo trasformò il sussidio di Chilperico ai monasteri del Giura in un
dono come riconoscimento della santità di Lupicino per una ragione molto
chiara. L'eremita Giovanni ed il monaco Armentario che vissero nei dintorni
del Santuario di Maurizio, ad Acauno, avevano chiesto all'anonimo di
scrivere la Vita dei Padri del Giura
(1968, prefazione 1-2).
18
Egli ha quindi colto l'occasione per mostrare loro, tra le altre cose,
19
come doveva essere la vita monastica (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 4). Non a caso il lavoro è intitolato, nei
manoscritti, Vita uel Regula
sanctorum patrum Romani Lupicini et Eugendi monasteriorum Iurensium abbatum.
Difensore delle istituzioni di Basilio, Pacomio, Cassiano e Lérins (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 174), l'anonimo rappresenta i monasteri del
Giura come autosufficienti, perché i monaci avrebbero contato solo sul
lavoro delle proprie mani per ottenere ciò di cui avevano bisogno.
20
Con il racconto della visita di Lupicino a Chilperico, specificamente,
l’anonimo ha voluto non solo dimostrare che l'abate era un difensore dei
poveri contro le ingiustizie dei grandi proprietari, ma anche lodare il re
ed, indirettamente, i suoi successori, i quali avevano permesso e ancora
permettevano la continuità materiale dei monasteri del Giura. Come osserva
Amory (1994, p. 10), Lupicino, nell’intercedere per i poveri, si posiziona a
lato del diritto romano e Chilperico, giudicando a suo favore, si presenta
come un giudice imparziale, un vero
patricius romano. L'unico personaggio che si comporta come un barbaro
nella narrazione è l'aristocratico gallo-romano.
Il sussidio di Chilperico non fu l'unica omissione dell’anonimo. In realtà,
egli ha omesso tutto ciò che non si adattava ai suoi obiettivi. Sappiamo,
per esempio, che il predecessore di Eugendo era Minausio, il cui nome appare
solo nel catalogo abbaziale di Condat.
21
L’anonimo ha escluso Minausio dalla
Vita perché voleva elogiare Eugendo, il suo mentore, presentandolo come
un discepolo, erede spirituale e successore diretto dei Padri fondatori.
E’ molto probabile che i monaci del Giura contassero non solo sul sussidio
dei re burgundi, ma anche sulle donazioni da parte dei visitatori. L’anonimo
dice che i monaci non accettavano pagamenti per le guarigioni che operavano
(Vita dei Padri del Giura, 1968
114). Ma i devoti che facevano il pellegrinaggio ai monasteri, non sempre
portando gli ammalati, certamente contribuivano con piccole donazioni. I
ricchi aristocratici che conoscevano gli abati, a loro volta, dovevano fare
donazioni più significative. Sidonio Apollinare dice che Domnulo, che era
stato
quaestor sacripalatii
(ministro della giustizia. Ndt.)
durante il governo di Maggioriano, si trovava spesso nei monasteri del Giura
(Sidonio Apollinare, 2003, Epistola 4.25.5). L’anonimo riporta anche
l'intercessione di Lupicino a favore dell’inlustris
Agrippino ingiustamente accusato di tradimento (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 96-110), ed il miracolo di Eugendo a
beneficio di Siagria, che apparteneva a una delle famiglie più importanti
della Gallia (Vita dei Padri del
Giura, 1968, 145-146). Siagria è presentata nella Vita in questi
termini: "
Siagria, un tempo madre di famiglia, ed oggi anche madre delle chiese e dei
monasteri per le sue elemosine" (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 145). L'anonimo, però, cercando di mostrare i
monasteri di Giura come autosufficienti, ha omesso i contributi materiali
che Agrippino, Siagria e altri potrebbero avere fatto, limitandosi, nel suo
racconto, ai miracoli di Lupicino ed Eugendo. In ogni caso, le donazioni dei
visitatori non avrebbero potuto essere sufficienti a coprire tutte le spese
dei monasteri. In caso contrario, Lupicino non avrebbe sentito il bisogno di
chiedere un aiuto materiale a Chilperico.
L'anonimo racconta, infine, che Eugendo ha sopportato l’incendio citato di
Condat "con tanta pazienza e serenità che la divina Provvidenza non tardò a
rendergli non solo due volte più di quello che aveva perso in prodotti
alimentari e abiti, ma anche dei locali tutti nuovi " (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 162). Da dove provenivano queste risorse?
Solo ipotesi sono possibili, dal momento che l'anonimo ha omesso tutti i
dettagli. Possiamo supporre che i visitatori, soprattutto i ricchi devoti
con i quali gli abati erano in contatto, si commossero per la situazione e
cominciarono a donare più abbondantemente al monastero. Ma il fatto che
Eugendo abbia ricevuto il doppio di quanto disponeva prima mi sembra, in
ogni caso, dubbio. L'anonimo chiaramente si basa sull’esempio di Giobbe,
che, dopo aver mostrato grande pazienza nella perdita dei suoi beni, è stato
premiato da Dio due volte (Martine, 1968, p. 413). L’anonimo avrebbe voluto
dimostrare la santità della Eugendo equiparandolo a Giobbe. E' possibile,
quindi, che abbia inventato il fatto.
Conclusioni generali
A differenza di quanto suppongono gli studiosi circa i monasteri gallici del
IV e V secolo, Condat non era economicamente autonomo. Le spese dei monaci
andavano ben al di là di quanto fosse necessario per il proprio
sostentamento. Avevano bisogno di procurarsi il cibo non solo per se stessi,
ma anche per centocinque monache e numerosi visitatori. Allo stesso tempo,
formarono una ricca biblioteca ed a Condat si poteva ricevere una formazione
completa. La creazione di una biblioteca, in quell’epoca, richiedeva ingenti
somme di denaro. Ma i monaci si procuravano anche con lunghi viaggi i
prodotti che non potevano crescere nella regione. Le risorse per farlo
provenivano non solo dal lavoro manuale. I monaci hanno saputo sfruttare le
possibilità offerte dall'ambiente e, attraverso la tecnologia, massimizzato
il loro lavoro, cercando così di superare i limiti imposti dalle condizioni
del territorio. Ma avevano bisogno di soldi e le piantagioni, trascorsi i
primi anni di abbondanza dopo la fondazione di Laucone, sono diventate
progressivamente più limitate. E' stato quindi necessario incontrare un
ricco mecenate che aiutasse economicamente il monastero. Probabilmente nel
467, Lupicino ottenne un sussidio da Chilperico, ma i monaci dovevano già
contare sulle donazioni da parte dei visitatori.
Note
1 Condat è praticamente l'unico monastero di cui si tratta
nella Vita dei Padri del Giura.
Laucone e La Balme sono appena accennati. Condat passò da una iniziativa
individuale, quella di Romano, ad una comunità cenobitica, a partire
dall'arrivo di Lupicino ed altri convertiti. Anche se i monaci inizialmente
dormivano in celle separate - una accanto all'altra (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 162) - tutti dovevano rispettare l'abate, gli
uffici liturgici erano comuni ed il lavoro era eseguito a favore della
comunità. Fu Eugendo che, solo dopo che un incendio distrusse le celle,
costruì un dormitorio comune (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 170). Per l'importanza che il cenobitismo
assunse nei secoli IV e V, si veda Rousseau, 2010, insieme ai commenti sulla
prima edizione. A quanto pare, Romano e Lupicino hanno composto una
Regola. L’anonimo (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 59) promette di presentarla alla fine della
vita di Eugendo, ma il testo (tra i §§ 174 e 175) è stato perso. In ogni
caso, la Vita dei Padri del Giura
suggerisce che la fondazione e lo sviluppo dei tre monasteri si siano
verificati in modo indipendente dall’autorità episcopale.
2 Il nome Minauso appare solo nel catalogo abbaziale di
Condat, che è giunto a noi in due versioni. Mi riferisco qui a quella
trasmessa da un manoscritto del secolo XII,
Catalogi abbatum S. Eugendi Iurensis
(Robert 1881). La durata dell’abbaziato di Romano (100 anni), Minauso (50
anni) e Eugendo (13 anni e 6 mesi), tuttavia, è sbagliata, e Lupicino viene
escluso dalla lista.
3 Si sono trovate
tegulae
ed imbrices
(tegole e coppi. Ndt.) su di uno strato da 10 a 15 cm di cenere bianca.
Sotto questo strato c'erano ancora tracce di terracotta comune ed una fibula
prodotta tra il 70 ed il 170. Cfr. Mordefroid, 1993, p. 3-10; Rothe, 2001,
p. 631-633.
4 Xenodochium
(dal greco xenodochéion) indicava
un edificio per ospitare gli stranieri oppure un ospedale. L’anonimo usa il
termine per identificare l'edificio che, a Condat, ospitava i monaci ed i
pellegrini.
5 Dubreucq e Lauranson-Rosaz (2003, p. 284) suppongono che
cenacula significhi refettorio.
Martine (1968, p. 415) traduce la parola con
étage (piano) e Vivian, Vivian e
Russell (1999, p. 176) con
second-floor rooms (Stanze al secondo piano. Ndt.). Sono d'accordo con
Vivian, Vivian e Russell: il plurale mi suggerisce camere ai piani
superiori.
6 L’anonimo, nella
Vita dei Padri del Giura (1968, 5), afferma che Romano "non era molto
istruito nelle lettere". Ma abbiamo qui un
topos letterario. I paralleli di
questo passo con la vita di Antonio sono chiari. L’anonimo, infatti, ha
fatto appello più volte alla Vita di
Antonio per scrivere l'inizio della
Vita di Romano e, nel capitolo
12, descrive Romano come imitator
Antonii. Già Gregorio, nella sua
Vita dei Padri (1885, 1.1) dice che Lupicino era istruito nelle lettere.
7 Masai (1971, p. 57) ha pensato di dedicare uno studio
successivo riguardante l’autore della
Vita dei Padri del Giura, "il cui anonimato", a suo parere, "non sembra
così difficile da scoprire". Masai, tuttavia, non lo fece, avendo lasciato
il nome di Vivenziolo appena sottinteso. Il primo a suggerirlo apertamente
fu Moyse (1973, p. 44).
Wood
(1981, p. 27-28) e De Vogüé (2003, vol. 8, p. 123-126) sono d'accordo. Si
confrontino anche Shanzer e Wood (2002, p. 267-268), che suggeriscono che il
destinatario delle carte 19, 57, 59, 67, 68, 69 e 73 di Avito fosse la
stessa persona, vale a dire Vivenziolo.
8 Brun (1993, p. 307-341) sottolinea la produzione di olio
d'oliva essenzialmente provenzale alla fine dell'Antichità.
9 La vicinanza di Condat alle vie di comunicazione può
essere dedotta dalla Vita dei Padri
del Giura (1968, 9, 12, 153). Wood (1981, pag. 5) è stato il primo a
richiamare l'attenzione su questo fatto, che è stato confermato da recenti
indagini archeologiche. Cfr. Rothe, 2001, p. 82-88, 631.
10 Riguardo alle tracce di monumenti,
uillae ed abitazioni vicino a
Saint-Claude, cfr. Mordefroid, 1993, pag. 8; Bully 2009, p. 257-290.
L'anonimo racconta che Romano si ritirò nei pressi della sua
uilla (Vita
dei Padri del Giura, 1968 5).
11 Pisas, parola
rara e di oscuro significato, è la lezione trasmessa dai tre manoscritti
conosciuti della Vita dei Padri del
Giura ed è accettata da Martine. I Bollandisti e Bruno Krusch la
corressero in piscinas (vivaio
per pesci. Ndt). Accetto qui la lezione ed il significato proposto da
Martine. Ma non possiamo dimenticare che Gregorio (1885, 1.3), parlando dei
monaci golosi (con dettagli differenti dalla narrazione dell’anonimo),
afferma che Lupicino, mentre si recava un giorno al monastero
nell’Alemannia, a mezzogiorno, vide "[. ..]
diuersorum ferculorum apparatum
magnum pisciumque multitudine aggregatam [...] " (diversi piatti di
grande ricercatezza ed una grande quantità di pesci. Ndt). Se ciò che vide
l’abate è corretto (situando l'evento, ovviamente, a Condat), allora
piscinas può essere la lezione
corretta.
12 Riguardo alla diffusione dei mulini idraulici
nell'antichità, cfr. il classico articolo di Bloch (1935, p. 538-563) e lo
studio più recente di Brun, Borreani e Guendon (1998, p. 279-326).
13 Martine (1968, p. 333) traduce la parola con
métiers (mestieri. Ndt), e
Vivian, Vivian e Russell (1999, p. 142) con
work (lavoro). De Vogüé (2003,
vol. 8, p. 78-79) si riferisce ad
artificium come lavoro artigianale. Nessuno degli autori, tuttavia,
giustifica la propria traduzione.
14 Moyse (1973, p. 64) aveva già notato, partendo da questa
stessa lettera di Avito, che i monaci di Condat si dedicavano a lavori
artigianali.
15 L'interpretazione di Martine (1968, p. 336-337) e Amory
(1994, p. 10) rispetto all'origine di questo oppressore mi sembra più
coerente. Courcelle (1948, p. 138), Griffe (1957, v. 2, p. 96) e Mathisen
(1993, p. 123) suppongono che fosse, tuttavia, un signore burgundo, mentre
De Vogüé (2003, vol. 8, pag. 79) lo considera, più in generale, un
dignitaire de la cour (dignitario
della corte. Ndt.).
16 Nella Vita dei
Padri del Giura (1968, 35), i monaci golosi sono
cothurnositate superbos
(sollevati sulle ali della superbia. Ndt.) e nella
Vita dei Padri (Gregorio, 1885,
1.3) appaiono come cothurnosi atque
elati (presuntuosi ed arroganti. Ndt.) (Il coturno era un calzare greco
dalla suola alta, indossato dagli attori tragici. Ndt.). Martine nota che la
struttura di entrambe le opere è simile: aumento del numero di monaci,
necessità di espandersi, funzioni di governo dei monasteri di Romano e
Lupicino, confronto del carattere dei fratelli. Infatti, Gregorio racconta,
con meno dettagli rispetto all’anonimo ma, in generale, senza contraddirlo,
che Romano e Lupicino in un primo momento mangiavano solo radici di erbe e
che, con l'arrivo dei discepoli, disboscarono i terreni e cominciarono le
piantagioni. L'anonimo e Gregorio sottolineano anche le molte guarigioni
compiute dai fratelli. Martine propone che Gregorio abbia usato "
un abrégé, très pauvre et très infidèle, de la
V. P. J. (un riassunto, molto
scarno e molto infedele, della V.P.J.
Ndt.)"
o che entrambi gli autori dipendano da "quelque
notice ancienne, très succincte, sur les deux fondateurs
(qualche antica notizia, molto succinta, sui due fondatori. Ndt.)". Credo
che un compendio della Vita dei Padri
del Giura sia improbabile. L’opera avrebbe avuto bisogno di essere
abbastanza diffusa, ma i pochi manoscritti antichi conosciuti (solo tre)
indicano esattamente l'opposto. Pertanto, la seconda ipotesi di Martine mi
sembra molto più probabile.
17 L’anonimo non menziona le donazioni immobiliari dei
convertiti ai monasteri del Giura. Se si sono verificate, non erano
sufficienti a garantire il sostentamento dei monaci. In caso contrario,
Lupicino non avrebbe chiesto aiuto a Chilperico.
18 Come rilevato dal Masai (1971), la
Vita dei Padri del Giura è stato
scritta per la comunità o le comunità che esistevano intorno al santuario
(di san Maurizio) prima della fondazione di Sigismondo, nel 515. Pertanto,
l’opera, a differenza di quanto suggerisce Diem (2013, p. 57-63), non
potrebbe essere un modello alternativo al monastero di Saint-Maurice
d'Agaune.
19 Altri obiettivi dell’anonimo erano, come sottolinea
Martine (1968, p. 49, 67, 88-89, 110), esaltare la santità dei Padri
fondatori e dei loro seguaci, presentare gli adattamenti alle istituzioni
orientali che i Padri sostenevano e criticare la situazione contemporanea
elogiando il passato.
20 Per come Cassiano, in particolare, concepisce il lavoro
manuale, vedere Goodrich, 2007 , p. 198-200.
21 Cfr. la nota 3 sopra. L’anonimo fornisce informazioni
vaghe sul predecessore di Eugendo (Vita
dei Padri del Giura, 1968, 111, 132).
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Testo italiano e con latino a fronte:
-
VITA DI SAN ROMANO
in lingua italiana -
VITA DI SAN ROMANO in lingua latina con testo
italiano a fronte
-
VITA DI SAN LUPICINO
in
lingua italiana -
VITA DI SAN LUPICINO in lingua
latina con testo italiano a fronte
-
VITA DI SAN EUGENDO
in
lingua italiana -
VITA
DI SAN EUGENDO
in lingua latina con testo italiano a fronte
APPENDICI
- Eucherio di Lione: PASSIONE DEI MARTIRI D'AGAUNE
- Gregorio di Tours: GLI ABATI LUPICINO E ROMANO
- Eucherio di Lione: L'ELOGIO DELLA SOLITUDINE
Per la traduzione dal latino, non essendo io un esperto latinista, ed essendo il latino di questi testi non proprio semplice, ho "sfruttato" questi libri:
- la traduzione francese "Vie des Pères du Jura" a cura di François Martine - Sources Chrétiennes 142 - 1968,
-
la traduzione tedesca
-
e quella
inglese "The lives of the Jura Fathers" - Autori vari - Cistercian
Publications 1999.
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Benedetto | Santa Regola |
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di Cristo | Sacra Bibbia |
7 febbraio 2015 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net