GREGORIO DI TOURS
GLI ABATI LUPICINO E ROMANO
Introduzione
Oltre alla
Vita dei Padri del Giura di autore anonimo, vi sono poche altre fonti di
epoca merovingia che parlano degli inizi del monachesimo nella regione del
Giura.
Tra queste, la più importante è sicuramente il
racconto dettagliato di Gregorio di Tours
[1]
sui santi Romano e Lupicino che si trova nella sua opera
Vitae Patrum al cap. I – De
Lupicino atque Romano abbatibus. Quest’opera è stata composta verso il
585-590 ed è sei volte più corta delle due vite di Romano e Lupicino dell’autore
anonimo.
Vi si parla della fondazione da parte dei due
fratelli del monastero di Condadisco, nella solitudine del Giura, e del rapido
sviluppo con conseguente diffusione della vita monastica nelle località vicine.
I caratteri dei due fratelli, Romano più indulgente e Lupicino più fermo, sono
ben evidenziati e delle loro vite sono raccontati diversi episodi in modo
concreto e dettagliato.
Sono inoltre indicati i luoghi di sepoltura di
ciascuno dei due fratelli, con la menzione, per Romano, dei pellegrinaggi alla
sua tomba e dei miracoli che vi avvengono.
Il racconto di Gregorio di Tours è importante,
sia per la fama ed il prestigio dell’autore, sia per il contenuto e l’anzianità
del testo, che fu scritto solo un secolo dopo la morte di Lupicino.
Infine questo testo è importante perché è
indipendente dallo scritto dell’Anonimo, come si rileva da diverse ed importanti
discordanze tra i due testi.
[1]
Gregorio di Tours (Augustonemetum, odierna Clermont-Ferrand 538 - Tours 594) fu
un vescovo e storico gallo-romano. Ordinato diacono nel 563, si recò poco tempo
dopo presso la tomba di san Martino di Tours cercando una cura per una seria
malattia, ed entrò in contatto con Eufronio, vescovo della città. Alla morte di
questi, Gregorio venne acclamato dalla popolazione suo successore, e fu vescovo
autorevole e giusto in un periodo di grandi tensioni politiche e sociali per la
città.
Gregorio scrisse, commentò e tradusse diversi libri,
inclusi i racconti dei miracoli di san Martino; la sua opera più importante
rimane la Historia Francorum, la
storia dei franchi in dieci volumi, dalla fondazione del regno al 591: gli
ultimi sei volumi sono la fonte storica più attendibile riguardo all'epoca
merovingia.
VITE DEI PADRI
CAPITOLO PRIMO. GLI ABATI LUPICINO E ROMANO
(Libera traduzione da “Patrologia latina” – Migne, Vol. 71 – 1011,1016)
Il testo degli insegnamenti evangelici ci raccomanda di affidare ai banchieri il
denaro che ci rimette la generosità del Padrone (cfr. Mt 25,27), affinché degli
adeguati interessi riescano a moltiplicare la somma che renderemo a questo
Padrone che ce l’ha consegnata. Al contrario non ci è permesso nascondere e
seppellire questo denaro in profonde buche, ottenendo solo una perdita.
Accresciuto da una gestione intelligente, deve fruttare in guadagno di vita
eterna. Così, quando il Padrone della retribuzione inizierà ad informarsi di ciò
che ha prestato ed anche degli interessi maturati, avendo ricevuto il doppio dei
suoi talenti, dirà: “Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti
darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone„ (Mt 25,21). È
agli eletti, infatti, che spetta compiere alla perfezione questi precetti con
l'aiuto di Dio, a questi eletti che, fin dai vagiti della culla—come lo si legge
sovente di molti tra loro—hanno meritato di conoscere il Signore e, avendolo
conosciuto, non si sono mai allontanati dai suoi ordini. Costoro, dopo il
sacramento del battesimo, non hanno mai sporcato con azioni vergognose questo
abito bianco come la neve, questo abito prezioso della rigenerazione. A buon
diritto “seguono l'Agnello ovunque dove vada„ (Ap 14,4), poiché è l'agnello
stesso, nel singolare candore della
sua purezza, che
li ha coronati
dei gigli della gloria che nessuna passione della tentazione farà
appassire.
È per mezzo di tali corone che, tendendo la sua destra gloriosa e potente, li
stimola nella loro impresa, li sostiene nel loro successo,
adorna
nel loro trionfo coloro che ha segnato in anticipo col sigillo del suo nome,
strappandoli ai gemiti della terra ed alzandoli gloriosi fino alle gioie dei
cieli. Nel numero di questi eletti, bianchi come la neve, si trovano anche, non
ne dubito, questi uomini che, percorrendo gli spazi ombrosi del deserto del
Giura, non hanno soltanto meritato di diventare loro stessi tempio di Dio (cfr.
1 Cor 3,16-17), ma hanno allestito in molte anime dei tabernacoli per le grazie
dello Spirito Santo: voglio cioè parlare di Lupicino e di Romano, suo fratello.
1. Lupicino dunque, fin dalla sua più tenera età, cercava Dio con tutto il suo
cuore; una volta completati gli studi letterari e giunto ad un'età conveniente,
fu costretto da suo padre ad impegnarsi nel vincolo matrimoniale, benché nel suo
animo non vi acconsentisse. Romano, ancora vicino all'adolescenza e desiderando
anche lui di dedicarsi al servizio di Dio, si rifiutò di sposarsi. Quando i loro
genitori lasciarono questo mondo, tutti e due, di comune accordo, desiderarono
la vita solitaria; insieme guadagnarono i disabitati recessi del Giura, situati
tra la Borgogna e l’Alemannia, vicini alla città di Aventicum (oggi Avenches);
vi piantarono la loro tenda e, prostrati a terra, supplicarono ogni giorno il
Signore modulando la loro salmodia, nutrendosi solo di radici. Ma perché la
malignità di colui che è caduto del cielo ha sempre l’abitudine di tendere delle
insidie al genere umano, ecco che costui si armò contro questi servi di Dio e
con l’aiuto dei suoi seguaci cercò di deviarli dalla via in cui si erano
impegnati. Infatti, ogni giorno, i demoni non cessavano di affliggerli con
pietre ed ogni volta che piegavano la ginocchia per pregare il Signore,
immediatamente si abbatteva su di loro una pioggia di pietre lanciate dai demoni,
al punto che spesso venivano feriti ed erano tormentati da dolori atroci.
Allora, essendo ancora di età acerba, cominciarono a
temere gli assalti del loro nemico quotidiano ed, incapaci di sopportarne più a
lungo le sofferenze, abbandonarono l’eremo e decisero di rientrare nel loro
paese. A cosa costringe l’odio del nemico? Ma ecco che nel momento in cui, dopo
aver lasciato quella dimora che erano andati a cercare, giunsero ai villaggi
abitati, entrarono nella casa di un povero. La moglie si informò da quale
viaggio arrivassero i soldati di Cristo. Essi risposero, non senza confusione,
che lasciarono l’eremo ed esposero punto per punto quale ragione li ha distolti
dal progetto intrapreso. E quella disse: “Avreste dovuto, o uomini di Dio,
combattere da uomini contro le insidie del diavolo, senza temere le ostilità di
colui che così spesso, sconfitto dagli amici di Dio, è stato abbattuto (cfr. Ap
12,11). Poiché il diavolo è geloso della santità, temendo di vedere il genere
umano, nobilitato dalla fede, accedere alle sommità da cui l’ha fatto
precipitare la sua vile perfidia„. E loro, con cuore contrito ed una volta
lontani da questa donna, dicevano tra sé: “Disgrazia a noi, perché abbiamo
peccato contro Dio rinunciando al nostro proposito! Ed ecco che ora una donna ci
convince della nostra viltà! Quale sarà ormai la nostra vita se non ritorniamo
sul luogo da cui ci ha cacciato l'astuzia del nemico? „
2. Allora, armati del vessillo della croce, con in mano
i loro bastoni, ripartirono verso l’eremo. Di nuovo, al loro arrivo, la slealtà
del demonio iniziò a colpirli con pietre; ma, persistendo nella preghiera,
ottennero dalla misericordia del Signore di liberarsi di questa prova e di
potere perseverare senza ostacoli nel servizio del culto divino in tutta
libertà. Successivamente, mentre si dedicavano alla preghiera, truppe di
fratelli iniziarono ad affluire da ogni parte presso di loro per ascoltare le
loro testimonianze. E poiché i beati eremiti, come abbiamo detto, erano già
conosciuti alla gente, essi fondarono un monastero che vollero chiamare
Condatisco. In questo luogo, una volta abbattuta e livellata la foresta,
ricavavano i loro alimenti col lavoro delle loro mani. Gli abitanti delle
regioni vicine si erano così infiammati con fervore di un amore verso Dio, che
la folla che si raccoglieva per il servizio divino non poteva starci tutta nello
stesso tempo: quindi fondarono ancora un altro monastero dove installarono lo
sciame del felice alveare. Ma, poiché il numero di costoro era ancor più
aumentato, grazie all'aiuto di Dio, stabilirono un terzo monastero nel
territorio dell’Alemannia. A turno questi due padri vi si recavano per trovare i
figli che avevano formato agli insegnamenti divini, predicando in ogni monastero
ciò che era pertinente alla formazione spirituale.
All'abate Lupicino tuttavia spettava la direzione dei
monasteri. Era di una sobrietà estrema e si privava di alimenti e di bevande al
punto che molto spesso si sfamava soltanto un giorno su tre. Quando la sete, che
è una necessità naturale, si impossessava di lui, si faceva portare un
recipiente pieno d'acqua dove immergeva a lungo le sue mani. E, cosa
straordinaria a dirsi, la sua carne assorbiva così bene l'acqua che toccava, che
sembrava l’avesse assorbita con la bocca e così estingueva l'ardore della sete.
Mostrava una grande severità nella guida dei fratelli, non permettendo di
comportarsi in modo malvagio, neanche nelle parole. Quanto alle donne, evitava
accuratamente di parlare con loro e di incontrarle. Romano aveva tale semplicità
di cuore che esse non esercitavano sul suo cuore nessuna profonda influenza, ma
a tutti, sia uomini che donne, accordava la benedizione richiesta, dopo avere
invocato il nome di Dio.
3. Successe poi che, dato che l’abate Lupicino non
possedeva di che nutrire una così grande comunità, Dio gli rivelò un posto in
quelle terre desolate dove anticamente erano stati nascosti dei tesori. Si recò
da solo in questo posto, riportò al monastero tutto l'oro ed il denaro che aveva
potuto prendere con sé e con questo acquistò delle provviste con cui nutrì le
moltitudini di fratelli che aveva radunato al servizio di Dio. E così faceva
ogni anno. Ma non rivelò mai a nessun fratello il luogo che il Signore si era
degnato di rivelargli.
Successe poi che un giorno si recò a far visita ai
fratelli riuniti, come abbiamo detto, in questa regione dell’Alemannia. Essendo
arrivato a mezzogiorno, mentre i fratelli erano ancora nei campi, entrò nella
casa in cui si cucinavano i cibi per il pasto: vide allora diversi piatti di
grande ricercatezza ed una grande quantità di pesci. Disse allora in cuor suo:
“Non è degno che dei monaci, che vivono nella solitudine, si concedano delle
spese così sconvenienti„. Ed immediatamente, fece preparare un grande pentola di
rame. Quando questa, messa sul fuoco, iniziò a bollire, vi gettò alla rinfusa
tutti i cibi che avevano preparato, sia i pesci che le verdure ed i legumi, o
qualunque alimento che fosse destinato al pasto dei monaci, e disse: “Che i
fratelli si nutrano ora di questa poltiglia. Non devono, infatti, dedicarsi alle
squisitezze che li ostacolano nel servizio di Dio! „. Quelli, dopo aver appreso
la notizia, la presero molto male. Infine, dodici uomini, dopo essersi accordati
ed essendo infiammati di collera, lasciarono il luogo e se ne andarono errando
in luoghi disabitati, alla ricerca delle delizie del mondo.
Questi fatti furono immediatamente rivelati a Romano in
una visione e la misericordia divina non volle nascondergli ciò che era
avvenuto. Rientrato l'abate al monastero, disse al fratello: “Se doveva
succedere così, e cioè il tuo viaggio aveva per scopo la dispersione dei
fratelli, volesse il cielo che non tu fossi arrivato fino a loro! „ Lupicino gli
rispose: “Non affliggerti, amato fratello, di ciò che è successo. Infatti, l’aia
del Signore è stata pulita e solo il frumento è stato raccolto nel granaio,
mentre la paglia è stata gettata fuori (cfr. Lc 3,17). Volesse il cielo, riprese
Romano, che nessuno di loro se ne fosse andato! Ma ora dimmi, ti prego, quanti
se ne sono andati. Rispose Lupicino; dodici uomini presuntuosi ed arroganti, in
cui Dio non abita „. Allora Romano disse piangendo: “Credo, in considerazione
della misericordia di Dio, che non separerà neppure quelli dal suo tesoro, ma
che li raccoglierà e li guadagnerà, poiché Lui si è degnato di soffrire per
loro„. E, pregando per loro, ottenne che ritornassero alla grazia di Dio
onnipotente. Il Signore mise la compunzione nel loro cuore e, dopo che ebbero
fatto penitenza per la loro defezione, raccolsero ciascuno per conto loro una
Comunità e fondarono dei monasteri che ancor oggi continuano a cantare le lodi
di Dio.
Intanto Romano perseverava nella semplicità e nelle
buone opere, visitando i malati e guarendoli con la sua preghiera.
4. Successe poi che un giorno, mentre era in strada per
visitare dei fratelli, fu sorpreso dal crepuscolo e deviò verso un piccolo
ospizio di lebbroso. Vi si trovavano nove uomini. Accolto da loro e pieno della
carità di Dio, ordinò subito che si facesse riscaldare dell'acqua e, con le sue
mani, lavò i piedi di tutti. Poi li invitò a preparare un letto spazioso che
sarebbe servito da unico giaciglio per il riposo di tutti, senza provare
ripugnanza per la livida macchia della lebbra.
Si fece come aveva detto e, mentre i lebbrosi dormivano, lui vegliava occupato
al canto dei Salmi. Stese poi la mano, toccò il fianco di un malato ed
all’istante quello si trovò purificato (cfr. Mc 1,41-42). Toccò di nuovo un
altro con questo salubre contatto ed anche quello si trovò immediatamente
purificato. Rendendosi conto che erano guariti, toccarono ciascuno il loro
vicino: era perché si svegliassero e chiedessero al santo la loro purificazione.
Ma, dopo che si erano così toccati l'un l'altro, anche gli altri si trovarono
purificati. Giunto il mattino e vedendoli tutti con la pelle brillante e pulita,
rese grazie a Dio, li salutò, li baciò tutti e se ne andò,
raccomandando loro di conservare nel loro cuore e di realizzare nei loro atti
ciò che apparteneva a Dio.
5.
Un giorno Lupicino, già diventato vecchio, si recò dal re Chilperico che allora
era a capo della Burgundia. Aveva infatti saputo che risiedeva nella città di
Ginevra. Appena Lupicino superò l’ingresso, la sedia del re, che a quell’ora era
seduto ad una festa, tremò. Chilperico si spaventò e disse ai suoi: “C'è stato
un terremoto„. Le persone presenti risposero che non avevano sentito alcuna
scossa. Ma lui: “Correte il più rapidamente possibile alla porta, che non ci sia
per caso là qualcuno che ha l'intenzione di prendere il nostro trono e si
prepara a farci del male, perché questa sedia ha tremato per qualche ragione„.
Subito tutti si precipitarono, si trovarono in presenza di un vegliardo vestito
di pelli di animali e ne parlarono al re, che disse: “Andate! Portatemelo qui
davanti, così che io capisca che tipo di uomo è costui„. Non appena fu condotto
dal re, Lupicino stette davanti a lui, come un tempo Giacobbe in presenza del
Faraone (cfr. Gen 47,7). Chilperico gli chiese: “Chi sei e da dove vieni? E
quale è il tuo mestiere? E quale necessità ti ha spinto a venire fino a noi?
Forza, parla! Ed egli rispose: “Sono il padre delle pecore del Signore, il quale
le fornisce di alimenti spirituali nel suo continuo sostegno, ma alle quali
certe volte mancano gli alimenti corporali. Perciò chiediamo alla vostra potenza
di concedere loro gli aiuti necessari per il cibo ed i vestiti„. A queste parole
il re disse: “Accettate campi e viti, con i quali potrete vivere e affrontare le
vostre necessità„. Ma Lupicino rispose: “Non accetteremo né campi né viti ma, se
piace alla vostra autorità, conferiteci una parte del loro reddito. Poiché non
si addice ai monaci esaltarsi per le ricchezze del mondo, bensì cercare,
nell'umiltà di cuore, il regno di Dio e la sua giustizia (cfr. Mt 6,33) „.
Quando il re intese queste parole diede loro una concessione di ricevere ogni
anno trecento moggi di frumento ed altrettante misure di vino, più cento monete
d’oro per comperare abiti ai fratelli. Si dice che ancor oggi ricevano questi
beni dal fisco reale.
6. Dopo di ciò, quando erano diventati vecchi ed erano
avanzati in età, ovviamente parlo dell'abate Lupicino e di suo fratello Romano,
Lupicino disse a suo fratello: “Dimmi, gli chiese, in quale monastero vuoi che
ti si prepari la tomba, affinché riposiamo insieme? „. Romano rispose: “Non può
essere che io abbia la mia tomba in un monastero, poiché l'accesso è vietato
alle donne. Sai infatti che, nonostante la mia indegnità e senza merito da parte
mia, il Signore mio Dio mi ha concesso il dono delle guarigioni e che molti, con
l'imposizione della mia mano e con la potenza della croce del Signore, sono
stati strappati a diverse malattie. Accorreranno, dunque, in gran numero alla
mia tomba quando avrò lasciato la luce di quaggiù. È per questo che chiedo di
riposare lontano dal monastero„. Ecco la ragione per la quale, alla propria
morte, fu seppellito su una collinetta a diecimila passi di distanza dal
monastero. In seguito si costruì sulla sua tomba una grande chiesa dove accorre
ogni giorno un’enorme folla. Numerosi sono infatti i miracoli che si manifestano
in questo luogo in nome di Dio. Infatti spesso i cechi recuperano la vista, i
sordi l'udito, ed paralitici riprendono a camminare (cfr. Mt 11,5).
Quanto all'abate Lupicino, alla sua morte fu
seppellito all'interno della basilica del monastero e lasciò al Signore, in
cambio del denaro a lui affidato, un numero moltiplicato di talenti
(cfr. Mt 25,16-17), cioè di beate
comunità di monaci consacrate alla sua lode.
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26 febbraio 2015 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net