VITA
DI SAN ROMANO ABATE
4. Dei venerabili Padri del Giura, precedentemente nominati, cercherò dunque di
spiegare fedelmente, nel nome di Cristo, le opere, la vita e la regola secondo
quanto io stesso ho qui
[1]
visto o sentito tramandare dagli anziani. Prima di tutto io proporrei il beato
Romano come un vero portabandiera nelle battaglie del Signore quale modello per
la vostra vita religiosa e per l'esercito dei monaci, affinché una santa
emulazione vi trascini sulle sue orme. Romano dunque fu il primo dei tre che,
fin dall'origine, ricevette il titolo di abate. Egli proveniva da una famiglia
molto buona, a giudicare dalla linea dei suoi ascendenti, e originaria, come
abbiamo appreso, dalla Gallia Sequanese.
[2]
5. Prima di lui, in questa provincia, nessun monaco, nel fare professione
religiosa, si era votato alla solitudine o alle osservanze comunitarie.
Non era certamente particolarmente istruito, ma, merito più raro, era dotato di
una purezza e di una carità senza uguali, al punto che non lo si vide, né nella
sua infanzia indulgere in scherzi infantili, né nel fiore della vita ridursi in
schiavitù delle passioni umane e di legami matrimoniali.
[3]
E' circa nel suo trentacinquesimo anno che, attirato dagli esempi degli eremiti
del deserto, dopo aver lasciato sua madre, sua sorella e suo fratello, si recò
nelle foreste del Giura vicino al suo paese
[4].
6. Percorrendo in tutte le direzioni queste foreste adatte e favorevoli al suo
ideale di vita finì per trovare, al di là, tra le valli fiancheggiate da rocce,
uno spazio aperto adatto per la coltivazione:
[5]
là, le scarpate di tre montagne si scostano un poco l'una dall'altra, lasciando
tra loro un piano di una certa estensione. Poiché in questo luogo si riuniscono
i letti di due fiumi, il luogo dove si
«costituisce»
un fiume unico, non tardò ad essere comunemente chiamato Condadisco.
[6]
7. Il nuovo arrivato, alla ricerca di una dimora che soddisfacesse i suoi
desideri trovò, sul lato orientale ed ai piedi di una montagna rocciosa,
[7]
un abete molto fitto che diffondeva i suoi rami in cerchio e che, diffondendo la
sua chioma, coprì il discepolo di Paolo come in tempi precedenti la palma aveva
coperto Paolo stesso.
[8]
Al di fuori del perimetro coperto dall’albero, fuoriusciva una sorgente di acqua
ghiacciata: ancora oggi le sue acque vive, condotte fino al monastero da tubi di
legno,
[9]
sono messe a disposizione dei suoi cari figli come segno visibile dell’eredità
che ha lasciato loro.
8. Così come abbiamo detto, l'abete gli procurava un tetto sempre verdeggiante,
contro il calore della canicola e contro il freddo (umido) delle piogge come se,
grazie ai meriti del santo, conoscesse una primavera perenne. C'erano anche
degli arbusti selvatici che fornivano le loro bacche, sicuramente acide per i
voluttuosi, ma dolci per chi fosse nella pace. Quando il santo vi entrò, la
regione a valle della confluenza si trovava separata dall’abitato da grandi
spazi (boschivi), data la scarsità di quelli che vi si fermavano a dimorare:
poiché la ricchezza delle coltivazioni, nella lontana pianura, non dava motivo a
nessuno di attraversare una successione di foreste per stabilirsi vicino al
Condat.
9. D' altra parte, se qualcuno decideva, con temeraria audacia, di attraversare
luoghi disabitati inaccessibili per raggiungere il territorio degli Equestri
[10]
- per non parlare della densità del bosco e della quantità di alberi caduti - le
sommità molto alte (dei monti) dove vivono i cervi e le ripide valli dei daini
permetterebbero a mala pena a quest'uomo, seppur robusto e agile, di effettuare
il tragitto in una lunga giornata di solstizio. Quanto a percorrere l’estensione
di questa catena da destra, o più correttamente dalla sinistra, voglio dire
partendo dal confine del Reno, da dove soffia l’Aquilone (vento di tramontana),
e dirigendosi verso i confini del fiume Mosa (altra traduzione possibile: del
paese di Nîmes.
Ndt), nessuno vi sarebbe riuscito, a causa della distanza e della difficoltà di
un terreno inaccessibile.
10. Pertanto, avendo portato i semi ed un piccone, in questo luogo il sant’uomo
iniziò, pur praticando assiduamente la preghiera e la lettura, a soddisfare col
lavoro manuale, secondo l'istituzione monastica, le esigenze di una vita
modesta; viveva in grande abbondanza, poiché non aveva bisogno di nulla;
[11]
donava abbastanza, dal momento che lì intorno c’erano pochi poveri a cui donare;
non si allontanava dal suo eremo; non si inoltrò oltre in quella regione
selvaggia e nemmeno tornò indietro (verso la civiltà); come eremita pregava
senza sosta e, da vero monaco, lavorava per potersi sostenere da solo.
[12]
11. Infatti, prima di abbracciare la vita religiosa, aveva conosciuto il
venerabile Sabino, abate del monastero “Interamnis
Lugdunensis” (della Confluenza di Lione), la sua impegnativa regola e la
vita dei suoi monaci;
[13]
poi, come un'ape raccoglitrice,
[14]
dopo aver raccolto in ognuno di loro il fior fiore della perfezione, tornò a
casa sua. Inoltre, da questo monastero, senza mostrare nulla delle sue più sante
ambizioni, si portò via il libro della
Vita dei santi Padri
[15]
e le notevoli Istituzioni degli Abati
[16]
: la sua capace insistenza gli permise di farseli donare a forza di preghiere o
di acquisirli con il denaro.
12. In questo luogo di cui abbiamo parlato, l'imitatore di Antonio,
[17]
l'antico eremita, gioiva già da molto tempo di una vita angelica
[18]
e, al di fuori della divina contemplazione, gioiva solo della vista degli
animali selvatici e dei rari incontri di cacciatori di passaggio. Ma ecco che il
suo venerabile fratello Lupicino, – l’abate di cui scriverò presto la vita - più
giovane di nascita, ma ben presto al suo pari per la santità, avvertito dal
fratello in una visione notturna, abbandonò per amore di Cristo coloro che il
beato Romano aveva già lasciato, la sorella e la madre e, con ardore, raggiunse
il rifugio di suo fratello ed adottò il suo stato di vita. Non si poteva mettere
in dubbio, e l'evento l’ha in seguito dimostrato, che in questo umile nido, in
questo remoto angolo disabitato, simili ad una coppia di tortore o a due giovani
colombi (Lc 2,24; Lv 12,8),
[19]
avrebbero concepito, con l'ispirazione del Verbo divino, una stirpe spirituale,
ed avrebbero distribuito in tutto il mondo i monasteri e le chiese di Cristo,
frutto del loro casto parto.
13. A quel tempo, due giovani chierici del municipio di Nyon,
[20]
avendo saputo della fama e del genere di vita dei santi giungevano in questa
regione impervia e disabitata dopo aver vagato qua e là, visto che non
conoscevano l’esatta località dei pii eremiti. Il rischio era grande, ma la loro
fede ancora di più. Si dice che il giorno prima, il santo abate Romano avesse
previsto a suo fratello il loro imminente arrivo:
«Due
giovani uomini, disse, attratti dal desiderio di imitarci verranno da noi
domani: il maggiore, che ha perso la moglie, osserva la continenza; l'altro
porta intatto il privilegio della verginità».
[21]
Siccome il luogo di nascita dei santi, per così dire, poteva solo a fatica
contenere il loro accresciuto numero, si stabilirono non lontano dall'albero, su
di una piccola collina in dolce pendenza dove si trova oggi, in loro memoria,
l'oratorio riservato alla preghiera privata; dopo aver sgrossato con l'ascia e
levigato con grande cura dei pezzi di legno, si costruirono delle capanne e ne
prepararono altre per coloro che sarebbero arrivati.
[22]
14. Nel frattempo, la fama dei santi si era diffusa così in lontananza e da
tutte le parti che il dolce profumo dei loro meriti faceva maledire a folle di
credenti gli orrori e il fetore del secolo e li determinava a sfuggire dal mondo
al fine di seguire, per il Signore, la vocazione della rinuncia e della
perfezione. Parecchi vi andavano per vedere i miracoli della nuova istituzione e
per portarsi a casa lo straordinario dono dell’esempio da questa emanato.
15. Altri vi conducevano uomini tormentati da demoni o altri spiriti maligni,
pazzi e paralitici, in modo che fossero guariti con la preghiera dei santi e con
la propria fede. La maggior parte di questi malati, dopo aver recuperato la
salute, tornavano a casa loro; altri rimanevano nel monastero, osservando
digiuni e veglie con tale compunzione che, con un meraviglioso mutamento, ora
allontanavano dai posseduti il diavolo con i suoi satelliti ed il suo seguito
più in fretta di quanto non occorra per dirlo, e chi vedeva ciò esclamava:
«Questo
è veramente un cambiamento dovuto alla destra dell'Altissimo»
(Sal 77 [76],11).
[23]
16. La santa comunità istituita dai due fondatori, come una messe abbondante
destinata senz’altro a riempire i granai del Signore (cfr. Mt 13,25) - e ancora
incontaminata dal vizio della zizzania - cresceva in unità di fede e di carità
al punto che si vedevano questi alloggi bastare a malapena per coloro che vi
erano già ospitati. Allora le venerabili schiere dei Padri si dispersero in
tutte le direzioni, come un alveare pieno, lanciato lontano dallo Spirito Santo,
in modo che non solo i più remoti paesi della provincia di Sequania, ma anche
molte diverse regioni della terra, un po’ ovunque, si riempivano di monasteri e
di chiese grazie alla santa propagazione di questa stirpe divina.
[24]
Tuttavia, è nel luogo della sua nascita - da dove queste fondazioni sgorgarono
come tanti corsi d'acqua - che l'istituzione dei Maestri, per quanto vecchia, si
mostrò sempre più pura e più vigorosa.
17. I due Padri si superavano a vicenda per qualità complementari ed
indispensabili nell'arte di dirigere e governare. Infatti, se il beato Romano
era molto misericordioso e di una perfetta calma verso tutti, suo fratello era
più severo, sia nel correggere e guidare gli altri, ma prima di tutto verso se
stesso. Romano, con inaspettata comprensione, si prendeva cura in modo
comprensivo dei colpevoli; l'altro, temendo che ripetute leggerezze portassero a
colpe più gravi, rimproverava con grande vigore. Romano non imponeva ai fratelli
maggiori privazioni di quelle che la loro volontà d’animo potesse accettare;
Lupicino, offrendo a tutti il suo esempio, non permetteva a nessuno di sottrarsi
a ciò che l'aiuto di Dio rendeva possibile.
18. Quando la notizia della loro fama giunse a S. Ilario, vescovo di Arles,
[25]
costui, tramite chierici inviati a tale scopo, convocò il beato Romano presso di
sé, non lontano dalla città di Besançon; esaltando in un magnifico encomio il
suo progetto e il suo genere di vita, gli diede l'onore del sacerdozio e lo
lasciò rientrare al monastero con i dovuti onori. Il sopraddetto Ilario,
sostenuto dal favore del patrizio e del prefetto (della Gallia)
[26]
e rivendicando illegalmente per sé un potere monarchico in Gallia, aveva deposto
dal suo vescovato, in maniera immotivata, il venerabile Celidonio, patriarca di
quella metropoli.
[27]
19. (Convocato) in udienza per questo motivo dal beato papa Leone a Roma, si
convinse di avere agito male e fu accusato ufficialmente dall’autorità
apostolica per abuso di potere, mentre Celidonio fu ripristinato alle sue
funzioni episcopali. Esiste inoltre un editto del sopramenzionato venerabile
papa indirizzata ai vescovi della Gallia, che è inclusa nei canoni e che
contiene il resoconto dei fatti: in questo documento il papa, demolendo le vane
pretese di Ilario, ristabilisce gli antichi privilegi dei vescovi metropolitani
nella Gallia.[28]
20. Così il beato Romano tornò al monastero rivestito del sacerdozio, come
abbiamo detto ma, ricordando il suo primo impegno, disprezzava con umiltà
monastica l’autorità che gli derivava dal ministero ecclesiastico così che, nei
tempi delle solennità, i fratelli lo obbligavano a fatica a mettersi in
posizione più elevata rispetto a loro per celebrare il sacrificio. Durante gli
altri giorni, mostrandosi monaco tra i monaci, non lasciava trasparire niente
nella sua persona della dignità sacerdotale.
[29]
21. Ma, mentre racconto ciò di un uomo così santo, si presentano agli occhi del
cuore altre persone che, dopo essersi votate alla vita monastica, giunsero con
delirante ambizione fino alla carica ecclesiastica: subito dopo, gonfiati
dall’orgoglio della loro elevazione, questi profumati ed esigenti giovani
vogliono superare non solo i loro pari di età e più meritevoli di loro, ma i
monaci più vecchi e gli anziani e, senza neppure possedere i primi e più
semplici elementi del sapere, si sforzano di dominare i fratelli dall’alto del
pulpito e del loro sacerdozio, loro che hanno ancora bisogno di essere puniti a
colpi di verga, a causa della loro vanità e della loro leggerezza giovanile.
[30]
22. Ma questa è un'altra questione. Noi che ci affrettiamo verso il porto sul
retto cammino, evitiamo questi devianti ed osceni discorsi. E poiché abbiamo
deciso di tacere su ciò, tentiamo ora di aggiungere questo fatto: in che modo il
luogo della comunità del Condat, popolato da un numero incredibile e
sorprendente di monaci, ormai con difficoltà forniva nutrimento non solo alle
folle che vi andavano, ma anche ai fratelli stessi. Abbarbicate alle colline ed
addossate ai pendii, tra sporgenze e dossi rocciosi, rovinate da frequenti
inondazioni sul terreno roccioso, le aree coltivate languivano, non solo per i
piccoli e difficili spazi (a disposizione), ma anche per l’incerto rendimento
dei raccolti.
23. Il rigido inverno non solo copre, ma seppellisce il paese sotto la neve;
così anche in primavera, in estate ed in autunno la calura estiva, riscaldata
dal riflesso delle rocce circostanti, brucia tutto, oppure le intollerabili
piogge trascinano nei torrenti, non solo il terreno lavorato e coltivato, ma
spesso anche i terreni incolti e rocciosi, gli alberi e gli arbusti insieme
all’erba; la roccia è messa a nudo e la terra fertile è tolta ai monaci, portata
via dalle acque.
[31]
24. Tuttavia, desiderando alleviare in certa misura questa situazione, i
santissimi padri tagliarono gli abeti e strapparono i ceppi nelle vicine
foreste, in mancanza di luoghi meno ripidi e più fertili. Ripulirono i prati con
la falce e livellarono il terreno con l'aratro, in modo che i terreni adatti
alle colture sollevassero dalla povertà gli abitanti di Condat. I due fratelli
abati erano a capo dei due monasteri. Tuttavia, il padre Lupicino viveva in modo
più proprio e più libero a Laucone - questo è il nome dato a questo luogo - a
tal punto che alla morte del beato Romano, vi lasciò almeno centocinquanta
fratelli formatisi seguendo la propria disciplina, (trasferendosi poi al
monastero di Condat).
[32]
25. Inoltre, si narra che vicino allo stesso luogo (Condat), su di un’alta rupe
dominata da una roccia naturale e delimitata da un arco roccioso che nascondeva
nei suoi fianchi spaziosissime caverne, (Romano e Lupicino,) guidati
dall’affetto familiare, stabilirono una Madre per una comunità di vergini
[33]
ed assunsero in questo luogo la direzione di centocinque monache. Questo luogo,
situato sopra un’inaccessibile e scoscesa rupe e scolpito dalla natura ai piedi
delle alte pareti di un arco roccioso, non offriva da quel lato nessuna uscita;
verso est, invece, subito dopo una stretta gola si sbucava improvvisamente sulla
terra e sul piano. In quel luogo, per così dire nella gola stessa, i beatissimi
Padri costruirono una basilica, che non solo ha ricevuto i resti mortali delle
vergini, ma ha avuto anche l'onore di contenere la tomba dello stesso eroe di
Cristo, Romano.
[34]
26. Così grande era allora il rigore delle osservanze in questo monastero che
tutte le vergini che vi entravano per la rinuncia non erano mai più viste al di
fuori, se non quando le si portava al cimitero durante il loro ultimo viaggio; e
nel caso che una madre avesse un figlio nel vicino monastero a Laucone, oppure
una sorella avesse lì suo fratello, nessuno dei due sapeva, per aver visto o per
sentito dire, se l'altro era ancora vivo, a tal punto che ciascuno dei due
supponeva l'altro già sepolto: (avveniva così) affinché i vincoli della
professione (religiosa) non fossero spezzati, a poco a poco, con una specie di
leggerezza, dalla dolcezza dei ricordi di famiglia. Ma ora devo tornare al beato
Romano ed al monastero del Condat.
[35]
27. Mentre si realizzavano queste opere, grazie all’ammirabile vita dei monaci,
il diavolo, il nemico del nome cristiano,
[36]
sdegnato nel vedere che le tante rinunce al mondo facessero emergere
quotidianamente tante vocazioni, osò dirigere sul beato Romano il dardo della
sua antica invidia, col pretesto di dargli un consiglio salutare. Facendo forza
su uno degli anziani, che bruciava col fuoco della gelosia, lo convince a tenere
questo discorso a Romano:
« Da tempo – disse - santo Abate, io
medito di suggerire alla tua carità alcune cose vantaggiose per la tua salvezza
e per il tuo modo di governare; e poiché la desiderata opportunità ci offre un
incontro privato, ti prego di lasciarmi aprire a te con utili discorsi che, da
molto tempo, rinchiudo nel mio cuore.
»
28. Dato che era un vecchio – non tanto per il suo modo di vivere o per i suoi
(buoni) costumi, quanto semplicemente per la sua età avanzata, che gli ispirava
vane pretese – (l'abate) gli diede il permesso di dargli dei consigli ed allora
disse:
«Mi
dispiace, caro Padre, di vedere che gioisci ogni giorno, senza ragione,
dell'enorme numero di conversioni, e che tu ammetti in massa alla vita monastica
indifferentemente giovani e vecchi, persone disoneste e oneste, invece di
scegliere e separare con abilità monaci scelti e provati, e di eliminare ed
espellere giustamente dal nostro ovile, come esseri degenerati e indegni, tutto
gli altri. Guarda! Se esamini bene, con un vigile controllo, le nostre celle o
la zona di preghiera e di accoglienza, il flusso indistinto di monaci, come ti
ho sottolineato, non lascia quasi spazio per un nuovo arrivato».
29. Allora, ispirato da Colui che nel Vangelo ha promesso: «Io vi darò parola e
sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere»
(Lc 21,15),
il santo Padre si armò così in fretta della spada di cui parla l'Apostolo,
contro lo spirito dell'antico persecutore (Ef 6,17), che la testa del nemico
dall’aspetto di serpente (Gn 3), cadde rapidamente tagliata con le vigorose
parole. (Romano) replicò: «Dimmi, o tu che ammiri la nostra umiltà, e al quale,
senza dubbio, se tu sei veramente un pio consigliere, è stato concesso un sano
discernimento:
[37]
sei tu capace di scegliere e dividere, tra tutti questi fratelli che vedi nella
nostra comunità, per formare i due gruppi di cui parli, come se, esaminandoli
uno dopo l'altro, tu potessi perfettamente separare, prima della loro morte, i
santi comprovati dai negligenti e quelli che si perderanno da coloro che sono
perfetti? Puoi tu con questa valutazione – alla pari del Creatore che, solo lui,
vede nei cuori i segreti passati e futuri degli uomini - eleggere e dannare
senza danno e rischio per la tua propria salvezza? 30. Nella sua pia ed
instancabile maestà verso la debolezza umana, (Dio) in nessun caso usa la virtù
della prescienza per elevare qualcuno, prima della fine, alla felicità della sua
destra - eccetto l'assunzione dei beati Enoch (Gn 5,22-24; Eb 11,5) ed Elia (2
Re 2,11) - o per rinchiuderlo fin da ora a causa dei suoi peccati nella
profondità della geenna e nella prigione degli abissi; e tu, accecato da un
errore diabolico, fin da ora hai il coraggio di eleggere o condannare uomini
senza dubbio migliori di te per l’umile sentimento di ciò che valgono? Non hai
letto che Saul e Salomone, per non parlare degli altri, erano stati scelti dal
Signore per essere re d'Israele prima di affondare nei propri peccati?
[38]
(1 Sam 13,11-14; 15,9-30; 1 Re 11,1-11) Anche Giuda e Nicola (At 6,5-6),
chiamati tra tutti gli altri alle più alte cariche del sacro ministero si sono
persi, l’uno nell’eresia e l’altro al cappio di una corda?
[39]
31. Non ti ricordi di Anania e Saffira? (At 5,1-11) In quella primitiva e
purissima messe seminata dagli apostoli essi degenerarono soffocati dalla
zizzania (cfr. Mt 13,24-30 e par. 16) e, cadendo dai fastigi della loro
elezione, sono stati colpiti dalla divina severità con un punizione senza
precedenti. E viceversa, non è per te motivo di meraviglia, venerazione ed
ammirazione che Saulo il persecutore sia diventato improvvisamente Paolo il
predicatore; che Matteo il pubblicano sia diventato improvvisamente il discepolo
di Cristo; che il figliol prodigo sia diventato un ragazzo generoso; che
Zaccheo, arricchito con frode, ora è "il figlio del Patriarca" (Lc 19,2;
19,8-9); che un ladro, condannato e crocifisso per il suo crimine, sia
all'istante gratificato dalle dolcezze del Paradiso insieme al Signore? Quanti
uomini da citare, se io proseguissi (in questo esame), che sono caduti da un
luogo elevato fino in fondo all'abisso, e parecchi che sono saliti ad altezze
sublimi dal luogo più umile e più basso? Infine, quanti monaci piangiamo caduti
in dissolutezza? Di contro, quante cortigiane e quanti carnefici sono andati
verso il martirio colpiti da un'improvvisa ispirazione, stando a quanto
leggiamo.
[40]
32. E, per tacere del passato, non hai visto in questa nostra comunità alcuni
monaci applicarsi con entusiasmo (ad una regola di vita) che in seguito
calpestarono sotto i piedi in una lenta e tiepida conclusione?
E ancora, quante volte (dei fratelli) si allontanarono dalla comunità spinti da
un impulso contrario? E tra questi ultimi, quante volte abbiamo visto alcuni di
loro lasciare di nuovo il secolo, tornare a noi persino per tre volte
[41]
e tuttavia, ritrovato il coraggio, perseverare fino alla palma della vittoria
nella professione abbandonata per lungo tempo? Alcuni, inoltre, in modo
irreprensibile tornarono non ai loro vizi, ma al loro paese d' origine e là
osservarono la nostra regola con tanto amore e zelo che diressero molto
degnamente monasteri e chiese di Cristo, (dopo essere stati) elevati al
sacerdozio dall’affetto e dalla scelta dei fedeli. 33. Ed io ti darò ancora un
esempio, se tu non rifiuti la mia offerta, che è accaduto molto di recente. Si
direbbe che tu non hai visto quello che è successo ieri a Massenzio nel nostro
monastero: dopo (essersi imposto) spogliazioni ed indicibili privazioni in
Gallia,
[42]
dopo continue veglie ed assiduità nella lettura divenne preda del demonio più
immondo, ingannato dal vizio dell’orgoglio. E la sua follia e la sua rabbia
superarono di gran lunga quelle delle persone di cui un tempo si era preso cura,
quando era forte del frutto dei suoi meriti; legato da cinture e corde da parte
delle stesse persone che aveva per lungo tempo guarito grazie alla virtù del
Signore, egli è stato finalmente liberato dallo spirito funesto con un’unzione
con l'olio santo.
[43]
34. Riconoscilo dunque: è lo stesso orgoglio, ispirato dal diavolo, che
nascostamente ti spinge e il tuo caso non è molto diverso da quello di
Massenzio: tu sei simile a lui per la malvagia invidia e la gelosia che ti
istigano e meriteresti un castigo pari al suo».
Questo
fratello, costernato da ciò che aveva udito, quasi crollò; ma ben presto, grazie
alla preghiera del beato,
[44]
abbandonata la sua presunzione, mostrò tanta compunzione e si pentì: in questo
modo gli indemoniati, in preda al delirio, si ritrovano con una mente più pura e
più chiara, una volta che i demoni sono cacciati dai servi di Cristo.
35. Tuttavia, poiché i suoi piani furono sventati dal servo di Cristo, l'antico
nemico orientò la sua solita astuzia verso metodi più facili: producendo
avversità dalla prosperità, incoraggiò i fratelli ad aizzarsi non solo contro la
regola, ma quasi contro il Padre stesso. Il
punto
di partenza per questa nuova tattica furono i ricchi ed estesi raccolti; poi,
siccome erano pieni di abbondanza, li portò a gonfiarsi in vanità con un
rilassamento quotidiano; in seguito, (sollevandoli) per così dire sulle ali
delle loro conoscenze, li fece diventare pieni di superbia ed orgoglio.
[45]
Vi racconterò di questa situazione che il fratello di Romano, Lupicino, risolse
con una ammirevole eleganza utilizzando un’inedita terapia.
36. Ci fu un anno in cui questo monastero (di Condat), come abbiamo detto, fu
favorito da un insolita abbondanza dei raccolti, dato che era ancora nella
novità delle sue (modeste) culture; confidando in questa fertilità e fecondità,
alcuni fratelli, giudicando e disprezzando il loro Abate, si preoccuparono in
modo voluttuoso di mettere nel loro ventre e nella loro gola, non ciò che
sarebbe stato sufficiente in base alla regola e alla misura stabilita, ma ciò
che permetteva la sovrabbondanza. Siccome il beato Romano, sempre molto
benevole, li aveva biasimati più volte e loro si erano mostrati non solo più
audaci, ma anche più impertinenti a causa del loro eccessivo lassismo, fu
necessario che questo indulgente Abate, la cui bacchetta era blanda,
[46]
chiedesse la severa verga di suo fratello.
37. Essendo quindi andato a trovare suo fratello Lupicino,
[47]
gli racconta che questi depravati arrivano ormai ad alzarsi contro la sua umile
persona: infatti, consegnati al piacere ed alla sregolatezza, si rifiutavano di
essere sottomessi alla regola. Allora l'abate Lupicino ordina a suo fratello di
rientrare in segreto e gli fa sapere che arriverà al suo monastero, come
d’improvviso, esattamente sei giorni dopo. Quando quest’uomo di straordinaria
intelligenza arrivò lì, riconobbe che tutta questa insolenza era alimentata
dalle incitazioni della golosità e tuttavia non disse nulla per due giorni; ma
il terzo, prendendo a pretesto la sazietà e la repulsione verso i piatti serviti
fin dal suo arrivo, chiese di prendere nel frattempo delle erbe amare per meglio
gustare il cibo. E siccome i fratelli in questione cenano insieme a lui, rivolge
allegramente questa richiesta all'abate Romano:
38.
«Come
nutrimento, signore mio fratello, io ti chiedo che domani tu ordini di
prepararci come leggero spuntino una semplice zuppa d'orzo non setacciato; e
perché mi piace molto mangiare così, io ti scongiuro, che la tua bontà ordini di
servirla senza sale né olio».
Poiché nessuno osava dire di no o mormorare, il giorno seguente venne servita la
vecchia pietanza modificata, sia agli asceti che agli ingordi. Siccome Lupicino
e suo fratello avevano preso questa decisione senza chiedere, come si dice, allo
stomaco la sua opinione, i nostri ghiottoni lasciarono il tavolo completamente a
digiuno.
[48]
Allora l’Abate Lupicino, deridendoli senza farsi accorgere, disse:
39.
«Se
tu vuoi darmi qualche soddisfazione, carissimo fratello, ti scongiuro di farci
saziare ogni giorno con simili golosità, fino a quando dal tuo monastero tornerò
a Laucone. Ma io confesso alla tua Carità che desidero chiederti, quasi
supplicandoti, di lasciare questi luoghi per andare a vivere a Laucone, mentre
io continuerò a stare qui per godere, coi signori fratelli, di queste delizie».
Quando fu servita per la terza volta la misera zuppa della prova, tutta la
superbia, con i suoi promotori, svanì col favore della notte: e neppure uno di
questi uomini rimase nel monastero, ad eccezione di quelli che la golosità e la
voracità per il cibo non avevano ancora corrotti.
40. In mattinata il beato Lupicino, dopo aver constatato che questa ventata di
fumo si era dispersa dal monastero, disse:
«Ora
vieni, fratello mio Romano, e ordina di ripristinare la normale dieta secondo
gli usi poiché, come vedo, le persone di quel genere avevano deciso non di
servire Cristo, ma il loro ventre (cfr. Rm 16,18). Pertanto, dato che la paglia
è stata dispersa al vento, ora mantieni il buon grano e nutri ormai in pace le
mitissime colombe di Cristo, essendo volate via cornacchie e corvi».
[49]
41. Per quanto riguarda gli ammirevoli miracoli attribuiti a Romano e che egli
fece, fortificato dalla grazia divina, per scacciare gli spiriti maligni, ne
racconterò alcuni meglio che posso. Ma probabilmente furono molto più notevoli
quelli che compì con il solo Dio come testimone, per rimanere nascosto. Inoltre,
poiché le grazie concesse in base al merito e sempre rinnovate sono un fuoco
inestinguibile, il lettore attento e pio andrà a cercare questi doni dello
Spirito Santo in modo particolare intorno alla sua tomba; è (proprio) lì che
ogni persona, seguendo la sua fede e i suoi meriti, troverà più motivi per
credere, piuttosto che in un racconto che forse gli offre più motivi di dubbio.
[50]
42. Infatti io mi ricordo che il mio beato signore Eugendo aveva l’abitudine di
riportare questo fatto: tra quelli che nella sua infanzia aveva visto lì,
tormentati in vari modi, ma sempre dalla stessa Potenza, aveva visto uno di
questi sfortunati disteso a faccia in giù, sulla tomba del beato Romano, nella
consueta postura dei criminali e scellerati che, con le membra divaricate e
allungate da corde, per decisione dei giudici sono presi a frustate; e poi nello
stesso luogo, stando sospeso ad un'altezza di due cubiti per circa mezz'ora,
[51]
l'uomo rendeva pubbliche con grida e lamenti le malvagità e i crimini del
demonio che lo possedeva.
43. Ma, come abbiamo detto, il beato Padre si impegnò così tanto a rimanere
nascosto nel fare miracoli che sicuramente noi non conosceremmo neanche quello
che fece nella parrocchia di Poncin
[52]
dove, durante un viaggio, restituì la salute della giovinezza a un paralitico
irrigidito dalla letargia, se non fosse stato assolutamente impossibile tenere
nascosta questa guarigione dal momento che lo accompagnava il santo fratello
Palladio.
44. E poiché ho
accennato
a Palladio, un uomo molto santo, leale sostegno del beato Romano sia nel
monastero che in viaggio e suo vero compagno nella carità, io racconterò anche
il miracolo a cui ha assistito lo stesso fratello e che Romano non ha potuto
nascondere perché la notizia si diffuse nella popolazione di tutta la città.
Infiammato con l’ardore della fede, (Romano) decise di recarsi ad Agauno presso
la basilica dei santi,
[53]
dovrei dire piuttosto all’accampamento dei martiri, secondo la testimonianza
fornita dalla storia della loro passione,
[54]
una passione che, lungi dal riuscire a contenere 6.600 uomini
[55]
in un edificio, non ha nemmeno potuto rinchiuderli tutti in questa pianura, come
suppongo.
45. Siccome partì per Ginevra
[56]
e nessuno era stato informato dell'avvicinarsi di questo povero - e certamente
lui stesso non aveva alcun desiderio di essere segnalato o riconosciuto – gli
accadde verso sera di entrare in una grotta lungo la strada in cui vivevano due
lebbrosi, un padre e suo figlio. Dato che gli infelici, ora felici perché la
misericordia era entrata da loro, erano usciti e si erano un po’ allontanati per
raccogliere legna per il loro fabbisogno, il beato Romano, dopo aver battuto
all'umile porta, l’apre ed entra nella grotta. 46. Non appena (Romano e
Palladio) finirono di pregare secondo i doveri del proprio stato, ecco che
arrivarono i sofferenti portando la loro legna; gettano il loro fascio sulla
soglia e, non senza esitazione, scoprono gli ospiti sconosciuti ed inattesi. Ma
san Romano, con quella speciale gentilezza che abbiamo ammirato in lui, li
saluta molto cordialmente, li abbraccia come avrebbe fatto Martino e, con
santissima fede e carità, li bacia tutti e due.
[57]
Dopo la preghiera e gli altri rituali
[58]
mangiano tutti insieme, poi tutti dormono ed insieme si alzano all'alba;
rendendo grazie a Dio ed ai suoi ospiti, Romano si rimette in marcia (con
Palladio).
47. Meraviglia della fede! Poco dopo la sua partenza fu chiara la somiglianza
del miracolo di Romano con quello di Martino,
[59]
del quale non aveva fatto altro che imitare la forza d'animo. Infatti non appena
i lebbrosi, mentre conversano e ricordano l'immagine dei loro nobili ospiti, si
guardano e si esaminano a vicenda, mandano un grido di gioia e si congratulano
l’un l’altro della loro comune guarigione. Corrono allora in fretta nella città
dove molte persone li conoscevano per aver dato loro l'elemosina e lì, davanti
al vescovo e al clero, davanti al popolo ed ai grandi, annunciano il glorioso
atto della loro salute (ritrovata) e la gioia che il miracolo ho ottenuto, con
la chiara testimonianza delle loro stesse persone. 48. Ci fu quindi un
incredibile afflusso di folla attorno a ciascuno dei due e, gettando lo sguardo
dappertutto, cercano attivamente l'autore del miracolo che deve essere in
qualche luogo. Quando si scoprì che era partito in gran fretta nelle prime ore
del giorno, il prefetto della città nominò degli uomini di chiesa, ai quali
ordinò di scendere in campo per questa santa ricerca e di andare a controllare
le pareti rocciose del monte Bret.
[60]
Si temeva che, se, nel suo rientro al monastero, il “conquistatore” del regno
celeste avesse superato quel percorso stretto e delimitato, non avrebbe potuto
essere “conquistato” dai Ginevrini.
49. Pertanto lo trovarono tramite domande poste con la massima precauzione e
poi, accompagnandolo quasi come fosse stato un incontro casuale, lo catturarono
nella rete dell’amicizia e uno di loro all'improvviso prende l'iniziativa e
corre a portare la notizia in città; gli altri lo avvolgono così bene in una pia
conversazione che lui non sospetta niente, fino a quando non cade nelle mani del
vescovo e della folla venuti ad incontrarlo fuori le mura. Quanto ai lebbrosi
che aveva guarito, come abbiamo detto, essi vanno ripetutamente da lui in
lacrime, si gettano ai suoi piedi e lo riveriscono. Posta di fronte alla loro
esultanza di gioia, tutta la città in pianto si è essa stessa purificata
interiormente con la fede, respingendo i peccati accumulati da un contagio
malsano, così come i lebbrosi avevano lasciato le spoglie di una terribile
malattia. 50. Quindi il servo di Cristo viene accompagnato, o meglio trascinato
via, dal santo vescovo, poi da tutto il clero e dai cittadini, così come dal
popolo, uomini e donne, una folla enorme ed eterogenea che, per ottenere i
rimedi della salvezza lo circonda e si stringe intorno a lui. Tuttavia, come
servitore del Cristo, li benedì davvero tutti nel modo più idoneo ad ognuno di
loro, incoraggiando coloro che erano all’inizio della pratica religiosa; avverte
i ritardatari di non aspettare troppo ad emendarsi a causa dell'incertezza della
vita. Coloro che sono in difficoltà li consola con paterna bontà ed ai malati,
secondo la loro fede, rende la salute di un tempo. Come al solito tornò in
fretta alla comunità,
[61]
temendo di essere lusingato da una conversazione umana e di farsi corrompere
magari attraverso l'udito o la vista, viste le seduzioni dell’attraente secolo.
51. Ma il beato Romano in monastero non brillava solo per questi doni
miracolosi. Grazie a questo modello di perfezione e di carità tutti i fratelli,
nei prodigi che essi compivano, seguivano l'esempio che egli offriva a tutti.
Infatti là si vedevano spesso molte persone liberate dal veleno dei serpenti e
liberati da truppe di demoni. Anche per questo motivo l'antico nemico tendeva lì
così tante trappole al gregge del Signore; sotto la spinta dell’invidia si
aggirava intorno all’ovile del gregge del Signore con tanta rabbia sfrenata che,
rinunciando anche alla serie di tentazioni, si sforzava di far fuggire i monaci
(fuori dalla comunità) con la pressione fisica di fantasmi ostili e mostruosi.
Dirò dunque di come il nemico in questo luogo ingaggiò la lotta con uno dei
fratelli
[62]
per mostrare più facilmente, a chi lo vuole sapere, cosa fu in quel tempo la
fermezza di tutti gli altri.
52. C'era nel monastero, tra questi uomini “da miracoli” di cui abbiamo parlato,
un certo diacono di nome Sabiniano. Grazie alla santità della sua anima e del
suo corpo cercò di imitare in purezza il primo uomo incaricato di questo
ministero (diaconale), Stefano (cfr. At 6-7),
[63]
ed inoltre dimostrò con la sua virtù di essere suo discepolo. Rivestendo un
ruolo utile gestiva attivamente mulini e chiuse situate nel vicino fiume sotto
lo stesso monastero di Condat, per i bisogni della comunità. Dal fondo della
valle si arrampicava in fretta alle riunioni conventuali, non solo durante il
giorno, ma di notte, e anticipava quasi tutti i monaci alla sinassi.
[64]
53. Il diavolo lo tormentava ogni notte e in ogni momento con tanto furore da
non concedergli neanche un po’ di riposo. Infatti, oltre ai ripetuti colpi
contro le pareti, fracassava rumorosamente con le pietre il suo povero tetto a
tal punto che ogni giorno il fratello riusciva a malapena a riparare i danni
della notte. Ma siccome il Maligno constatava l'inutilità della sua malizia
esercitata dal di fuori, dopo essere entrato di notte nella capanna in presenza
del diacono prese un tizzone dal camino e poi cercò di appiccare il fuoco alla
cella correndo in fretta e allegramente avanti e indietro: senza dubbio ci
sarebbe riuscito se il santo diacono non avesse vegliato stando in guardia e
stimolato dal suo amore per il Signore.
[65]
54. Poiché l’aveva cacciato invocando il nome di Cristo, la notte successiva il
diavolo lascia il suo aspetto mascolino ed è sotto l'aspetto di due giovani
ragazze
[66]
che si presenta per insidiare il castissimo servo di Dio. Mentre veglia vicino
al camino la porta viene forzata e con parole molto tenere il tenace tentatore
entra (nella capanna). Il fratello era provocato da una parte e dall'altra della
stanza con ogni sorta di risata, ma non si degnava di volgere lo sguardo a
queste mostruose apparizioni: allora l'avversario pieno di cattiveria suscita -
o meglio aggiunge - cose ancora più detestabili di quelle che aveva fatto. 55.
Ripiegando il leggero tessuto dei suoi vestiti portò davanti al volto del servo
di Cristo la nudità femminile, da qualunque parte volgesse il suo pudico
sguardo: perché non riuscì a dominare la sua anima umana volle almeno
contaminare i suoi sguardi ed i suoi casti occhi in modo più astuto. Ma lui,
riconoscendo nella doppia visione un unico mostro, disse:
«Qualunque
cosa tu faccia, o nemico, grazie al nome di Cristo tu non sarai abbastanza forte
da farmi abbandonare il posto perché il mio cuore, armato della bandiera della
Passione del Signore,
[67]
non si lascerà per niente corrompere dalle tue seduzioni, né abbattere dal
terrore. Perché mi attacchi tante volte sotto diversi aspetti? Tu arrossisci,
naturalmente, insensato
[68]
che non sei altro, perché io con l'aiuto di Dio rimango una sola e medesima
persona e tu non mi vedi mai diverso da come mi hai visto prima».
56. Poi il diavolo, acceso di furore, allontana la visione di queste fanciulle e
stendendo improvvisamente il suo braccio colpisce il diacono con un colpo così
violento che la mascella, non solo si gonfiò sotto il colpo, ma diventò fetida,
lacerata e contorta:
[69]
e come al solito si volatilizza e scompare in aria. La mattina, siccome la
stupefatta comunità chiedeva al santo come si era procurato quei lividi e quelle
lesioni, raccontò le azioni dell’instancabile ingannatore. Subito dopo aver unto
la sua mascella con l'olio santo, tornò alla sua cella e oramai l’umiliato
tentatore non tentò più in modo vano di farlo cadere.
57. Un giorno successivo san Sabiniano, aiutato dai fratelli, si prodigava con
grande cura ad alzare l’argine del canale
[70]
che porta l’acqua del mulino per far muovere la ruota: si piantava una doppia
fila di pali e, secondo l'usanza, si intrecciavano tra questi dei rami e si
riempiva il vuoto con una miscela di paglia e pietre. Mentre i monaci stavano
comprimendo con forza tra i graticci gli strati di materiali, ecco che
improvvisamente scivola fuori dalla paglia un enorme serpente che scompare
subito dopo essersi mostrato. Tuttavia i fratelli, temendo il veleno della
vipera, cercano invano la bestia nascosta nelle gelide acque e, senza ottenere
lo scopo, sprecano le ore della giornata dedicate al lavoro.
58. Allora il santo diacono, rivolgendosi ai fratelli disse: «Perché siamo così
preoccupati e sospettosi nel timore dell’antico insidiatore?».
«Vieni, disse a uno dei fratelli, arma le mie mani e i miei piedi col segno
della croce del Signore».
Quando il
suo compagno, dopo avere detto una preghiera, esegue l’ordine, il levita
[71]
entra allora nei graticci del canale e disse: «Vieni! o tu nostro insidiatore,
ora facci del male e percuoti chi ti calpesta, se sei il più forte!»
Stando lì vicini, i fratelli si dissero l'un l'altro: «Davvero il nostro levita
è uno di coloro ai quali il Salvatore ha promesso nel Vangelo:
Ecco, io vi ho dato il potere di camminare
sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà
danneggiarvi (Lc 10,19)».[72]
59. Ed ora, anche se abbiamo detto così poco su un argomento così eccezionale ed
importante, è comunque il momento di portare a termine la narrazione di questo
libro piccolo libro affinché lo zelante lettore arrivi alla conclusione con più
desiderio (di sapere) piuttosto che nel torpore della prolissità. Quindi vi
chiedo e vi esorto, fratelli che ho nominato nella mia prefazione, fidatevi
della mia buona fede più che della mia prosa
[73]
e che la mia loquacità non vi sconcerti, così come la semplicità dei santi Padri
non è stata disprezzata dal Signore. Mi rimane dunque di avvertirvi di una cosa:
siccome vi avevo anche promesso una presentazione metodica della Regola dei
Padri, sappiate che la riservo per il mio terza libretto. Infatti, è più giusto
che ve la dia con la vita del beato Eugendo perché è lui che ha perfezionato con
particolare cura le istituzioni primitive, sotto l'ispirazione del Signore. 60.
Ma ora, completato questo primo libretto, il racconto del secondo libretto sarà
dedicato al Santo Padre Lupicino.
Così, quando Romano, l'eroe di Cristo, vicino alla sua fine al termine di una
lunga vecchiaia, si sentì sopraffatto dalla debolezza fisica cercò sua sorella
per dirle addio, ormai certo della sua morte da una rivelazione dal Signore.
Sorella che aveva messo a capo del monastero di vergini situato in quella conca
o "Balma", che viene così chiamata con quel nome che penso gallico.
[74]
Ma, colpito da un dolore violento, convocò i fratelli presso di sé e distribuì
come grande eredità la pace di Cristo che egli stesso aveva mantenuto per tutta
la sua vita grazie alla purezza e alla dolcezza della sua anima, baciando ognuno
di loro. 61. Terminò con suo fratello Lupicino, gli diede la sua benedizione, lo
baciò e gli raccomandò vivamente l'intera comunità, affidandone la direzione
alla sua carità pastorale.
[75]
E spirò contemplando la morte con gioia, [76]
puro da ogni male così come libero da ogni colpa. I suoi cari figli dei due
monasteri portarono il suo povero corpo e lo seppellirono là nella basilica in
cima alla collina - di cui abbiamo già parlato nel corso del racconto. Questo
luogo venerabile, testimonio dei meriti del santo, fiorisce con un susseguirsi
di miracoli e prodigi e si adorna sempre più, ogni giorno ed ogni momento, per
la gloria dei figli (di Romano)
[77].
Amen.
[1]
A Condat, dove l’autore è
monaco.
[2]
Romano nacque
intorno all'anno 400. La "Gallia
Sequanica" è l'area tra il Giura, il Rodano e la Saona, cioè la
parte occidentale della regione creata sotto Diocleziano e denominata
Provincia Maxima Sequanorum,
che comprendeva la zona dell‘odierna Svizzera.
Il
luogo di nascita resta sconosciuto;
al
paragrafo 120,3 si dice tuttavia che l‘abate Eugendo, che proveniva da
una zona intorno a Izernore, era un connazionale di Romano.
Anche
Romano potrebbe essere giunto da questa zona (circa 40 km a sud ovest di
Condat, Dipartimento Ain).
Izernore è stato un importante luogo di culto gallo-romanico.
-
Riguardo ai reperti cfr. A. Grenier,
Manuel d'Archeologie gallo-romain (Manuale d’archeologia gallo-romanica)
3, 1, 19, pag 403-406.
[3]
Vedere a tale riguardo
Atanasio, Vita Antonii 1, ove
si riscontrano analoghe espressioni riguardo all’infanzia di Antonio.
[4]
L’Anonimo, che sembra non sapere esattamente di quale paese (in latino
villa) fosse originario
Romano, indica soltanto che questo Sequano non doveva fare molta strada
per raggiungere la foresta del Giura. Traducendo “suo paese”, noi
intendiamo anche restare nel vago sul carattere e l’importanza di questo
luogo d’abitazione, così come sul fatto che questo luogo appartenesse
alla stessa famiglia di Romano (senza dimenticare che questa famiglia
era di un certo livello sociale).
[5]
Cfr.
Vita Antonii 25;
Romano
ha trovato nei boschi del Giura l‘"eremus",
così come i monaci egiziani lo cercarono nel deserto.
[6]
Cercando il luogo
adatto per soggiornare, Romano seguì certamente il corso del Bienne fino
alla foce del Tacon.
Circa alla
sua confluenza sorge il Monte Bayard (907 m). La
montagna scende a ovest a picco verso la valle del fiume.
All‘altezza di circa 400 m (la posizione della odierna Saint Claude) vi
è una spianata di piccole dimensioni (circa 500 m di lunghezza in
direzione nord-sud e 200 m di larghezza in direzione est-ovest), su cui
sorgono la cattedrale di Saint Claude ed il centro della città.
Un’altra ripida discesa (circa 50 m) scende verso la valle del fiume.
-
Nonostante la riprogettazione per la città e per l'industria, il luogo
dove si trova Saint Claude ha conservato uno straordinario fascino e
attesta come Romano avesse una percezione del bel paesaggio nella
ricerca della sua dimora.
- Il
nome del luogo, oggi chiamato in modo abbreviato Condat, in realtà
Condadisco (Condatisco), è
probabilmente di origine celtica e dovrebbe provenire dalla confluenza
dei due fiumi, in questo caso il Bienne ed il Tacon.
[7]
Questa montagna non può essere che quella oggi chiamata Mont Bayard e
l’abete di san Romano sicuramente non era lontano dal “chemin du Bugnon
(cammino del Bugnon)”, vicino al quale lo situa la tradizione locale.
[8]
Vedere Gerolamo, Vita Pauli
5-6, dove si incontrano diverse somiglianze di espressioni usate
dall’Anonimo.
Tra i
primi eremiti del cristianesimo, come ci ha trasmesso Gerolamo, verrà
ora inserito Romano come inventore della vita monastica nel Giura;
vedere anche Vita Antonii 24.
[9]
La tradizione locale
è a conoscenza di una "fontana di S.
Romano
" o “fontana del Bugnon” nel percorso del " chemin du Bugnon " a Saint
Claude.
[10]
La civitas Equestrium, che la
Notitia Galliarum nomina nella
Provincia Maxima Sequanorum, aveva per capoluogo
Noviodunum , l’attuale città
di Nyon sul bordo del lago Lemano: essa comprendeva una parte del
cantone di Vaud. Troveremo Nyon al paragrafo 13.
[11]
Vedere
Vita Antonii 30
[12]
L'autore conosce la
tradizione ascetica dell'obbligo indispensabile di lavorare e pregare
per il monaco;
vedere
Giovanni Cassiano, Conlatio
9-10;
Agostino, Il lavoro manuale dei monaci.
Per la
breve sintesi di questa tradizione l’autore delle
Vita può essere stato
stimolato dalla Vita Antonii 3
“Lavorava con le proprie mani, poiché aveva udito: Il pigro non mangi.
Parte del suo guadagno gli serviva per procurarsi il pane, parte lo
distribuiva a chi ne aveva bisogno. Pregava continuamente sapendo che
bisogna pregare in disparte senza interruzione”. Si veda anche la Regola
di san Benedetto al capitolo 48 sul lavoro manuale giornaliero.
[13]
Un abate Sabino è
completamente sconosciuto.
Il
monastero che viene menzionato si trova probabilmente sulla Ile Barbe,
un’isola del fiume Saona (Saône in francese) un po’ sopra Lione, dove
confluisce nel Rodano (così scrive anche Prinz in “Frühes
Mönchtum” (Il primo
monachesimo),
Pag. 26, 67, 114).
–
Prima che Romano andasse nella solitudine dei boschi del Giura, aveva
inizialmente ricevuto una formazione monastica in un convento,
esattamente secondo gli insegnamenti di Giovanni Cassiano: La vita
eremitica non può che essere il frutto di una vita cenobitica.
[14]
La parabola delle
api si trova spesso nella letteratura della Chiesa primitiva, come ad
esempio in Clemente di Alessandria,
Stromata 1 11,2;
Basilio, Ad Iuvenes Instr., E Atanasio,
Vita Antonii 3, che probabilmente si presenta come una fonte diretta
dell’argomento.
[15]
La raccolta delle
Vite dei Padri Orientali fu denominata "Vitae
Patrum" (Vitas Patrum) fin
dal VI secolo (Gennadio di Marsiglia,
de viris Illustribus 11;. 42).
Non si
tratta di una sola composizione, ma una sintesi di vari testi latini
(Rufino, Palladio, Gerolamo, Atanasio, etc.).
Il
titolo deve essere inteso come una "visione dinamica".
Vedere
Columba M. Battle, Le '"Adhortationes sanctorum Patrum» (Verba Seniorum) in latino Medievale, Munster 1971
[16]
Anche questo titolo non è esclusivo. Molto probabilmente si tratta delle
"Institutiones coenobiorum" di
Giovanni Cassiano.
[17]
E' Antonio il Grande (251-356), la cui vita è stata scritta da Atanasio,
a cui l'autore si riferisce più volte. Antonio, il prototipo del
monachesimo egiziano, è stato considerato fin dall'inizio come
l’obiettivo di una “imitatio”
monastica interiore. Vedere gli
Apophthegmata Patrum, Sisoes 9: "Non hai ancora raggiunto il livello
di Antonio, padre?"
[18]
A proposito del designare la vita monastica come "vita angelica" vedere
Suso Frank, Angelikos Bios. Concetto analitico e studio storico concettuale
della "vita angelica" nel primo monachesimo, Münster 1964
[19]
Reminiscenza e curiosa trasposizione di un passaggio di Luca che si
riferisce alle offerte rituali della purificazione. Conformemente
all’uso biblico, l’autore della Vita impiega volentieri
columba in senso morale (cfr.
par. 2 e 40)
[20]
Nyon, sul lago di Ginevra è stata una delle 4
civitates della
Provincia Maxima Sequanorum.
Sulla difficoltà di attraversare il Giura vedere il seguente par. 9
[21]
L’informazione di Romano ricorda una diffusa classificazione della
verginità nell’antica Chiesa (per la prima volta Tertulliano,
Exhortatio ad castitatem 1):
la verginità dalla nascita, la verginità con l'astinenza nel matrimonio
e la verginità rinunciando ad un nuovo matrimonio dopo la morte di un
coniuge.
[22]
In questo luogo si trova oggi la cattedrale di Saint Claude. Sull’area
del citato oratorio si trova ora la cattedrale dedicata ai santi
apostoli Pietro, Paolo ed Andrea (cfr. paragrafi 155-156)
[23]
Come per gli eremiti d'Egitto, anche le cellule di Romano e dei suoi
compagni diventarono rapidamente meta di numerosi pellegrini che
venivano in parte per curiosità, in parte in cerca di cura per le
malattie o dal disgusto per il mondo. - Il versetto del Salmo 77 (Volg.
76) è anche citato in Rufino,
Historia monachorum 21, in
relazione alla conversione di un peccatore strappato agli assalti
diabolici.
[24]
L'autore rimane in questo senso piuttosto vago riguardo alle nuove
fondazioni. Vuole fare del Giura una nuova "Tebaide"? Riguardo ai noti
monasteri del Giura, quello denominato Romainmôtier (Romani
monasterium), nel Cantone di Vaud nel Giura, rivendica la sua
fondazione da parte di Romano, ma questo fatto non può essere
chiaramente dimostrato.
[25]
Ilario, in origine un monaco nel monastero di Lérins, fu Arcivescovo di
Arles negli anni 429-449. La città, fin dal 392, fu la sede del
praefectus praetorio
della Gallia. Sotto Papa Zosimo il vescovo di Arles ricevette 417
diritti metropolitani sopra le province della Gallia meridionale,
Viennensis e
Narbonensis I e II, che furoni duramente difesi dagli arcivescovi di
Arles nel periodo successivo.
[26]
Il prefetto citato è Flavio Ezio; vedere Frank,
Mönchsleben I, Leben des Germanus 28 (Vita
di monaci I, vita di Germano),
nota n. 139
[27]
Celidonio fu deposto nel 444 da Ilario, che lo privò dell’autorità che
aveva sulla Provincia Viennensis.
Il pretesto fu che il vescovo di Besançon si era sposato con una vedova
prima di entrare nella Chiesa, ciò che contraddiceva le disposizioni
ecclesiastiche (Vita Hilarii 16).
Questa data ci offre un punto di riferimento per la cronologia della
vita di san Romano. Purtroppo è il solo. Si conosce l’età di Romano al
suo arrivo a Condat (35 anni, stando al paragrafo 5), ma non quella che
aveva quando morì “al termine di una lunga vecchiaia” (cfr. par. 60).
[28]
Celidonio era chiamato il Grande dopo la sua deposizione presso papa
Leone che lo aveva riabilitato. Ilario si recò a Roma per protestare
contro questa disposizione, ma senza successo. Papa Leone pose fine ai
privilegi dei Metropoliti di Arles e limitò i loro diritti al territorio
della propria Chiesa. Cfr. E. Caspar,
Geschichte des Papsttums 1 (Storia
del papato 1),
Tübingen 1930, pp. 441-447;
G. Langgärtner, Die Gallienpolitik
(la politica della Gallia),
Bonn 1964
[29]
Tra le righe si intravede il riserbo proprio del primo monachesimo
nell’accoglimento dei sacerdoti nella comunità monastica. I sacerdoti
possono solo essere accolti, oppure i monaci sono ordinati sacerdoti a
condizione che il sacerdozio in nessun modo diventi il titolo di
speciale prevalenza nella comunità monastica; cfr.
Regula Magistri 83;
Regula Benedicti 60; 62.
[30]
Un esempio di "detractatio
clericorum (rifiuto dei sacerdoti)" tratto dalla prima letteratura
monastica; cfr. anche il paragrafo 113; i brani più noti di tale critica
satirica verso i chierici sono di Gerolamo,
Ep. 22, 28.
[31]
La descrizione rivela nuovamente la chiara conoscenza dei luoghi da
parte dell'autore e la sua diretta esperienza delle condizioni
geografiche e climatiche del monastero. La posizione del monastero di
Condat era certamente abbastanza adatta per l’agricoltura estensiva.
[32]
La nuova fondazione era a pochi chilometri a ovest di Condat in un'ampia
valle alpina (circa 550 m di altezza). Laucone è chiamato oggi S.
Lupicino. Del monastero di un tempo testimonia ancor oggi la piccola
basilica risalente agli inizi del XII secolo, in cui trova una lastra di
piombo con la scritta: “Hic
requiescit beatus Lupicino Abbas” (datata V-VIII secolo).
[33]
Stando al paragrafo 60 si parla della "Madre" dei monasteri di vergini
proprio come della sorella dei due fratelli. La sorella di un fondatore
di monasteri come responsabile di un convento di monache è una tipica
notizia della primitiva letteratura monastica; mi riferisco ad Antonio,
Pacomio, Agostino, Benedetto (Scolastica), Cesario d’Arles (Cesarea),
Leandro e Isidoro di Siviglia (Florentina). Il convento di monache era
Balme (cfr. par. 60) e si trovava circa 10 km a sud ovest di Laucone
(ora Saint Romain-de-Roche); non sono rimaste tracce di esso. Forse era
già scomparso al momento della stesura del
Vita. - Per la descrizione del
luogo vedere la vita di Martino 10 (ove descrive la località di
Marmoutier).
[34]
La sepoltura nella chiesa era comune nella Chiesa antica, nonostante i
ripetuti divieti. La legislazione ecclesiastica ha infine permesso la
sepoltura dei vescovi, degli abati, di degni sacerdoti e anche di
fedeli, quando la chiesa vide allontanarsi i laici. Vedere B. Kötting,
Der frühchristliche Reliquienkult und die Bestattung im Kirchenraum
(Il culto paleocristiano delle reliquie e la sepoltura in chiesa),
Colonia / Opladen 1965
[35]
La particolare attenzione alla stabilità nel monastero (stabilitas
loci) richiama immediatamente le disposizioni della Regola per le
monache di Cesare d’Arles. Nel loro nucleo possono esserci come base
comune le disposizioni di Lérins.
[36]
Riguardo al diavolo come "inimicus
nominis christiani"
vedere Vita
Antonii 4.
[37]
La "discretio", che qui Romano concede al monaco con ironia, è una
vecchia virtù del monaco. È stato sviluppato in particolare
l'insegnamento monastico di Giovanni Cassiano,
Conl. 2 (De
discretione). Vedere. A. Cabassut, Art. Discretion = Dict. Spirito.
3, pag. 1311-1330. Il lungo discorso dell'abate è ovviamente una
composizione da parte dell'autore. Il materiale proviene in parte da
Giovanni Cassiano (Conl. 3, 5
“De tribus abrenuntiationibus”)
e anche contiene elementi di polemica di Cassiano contro la dottrina
della grazia di Agostino. Durante il secolo V in abito monastico ci fu
una certa reazione antiagostiniana
[38]
Il rifiuto di Saul in Sam 15, 10-31; quello di
Salomone in 1 Re 11, 11-13.
[39]
A proposito di Giuda cfr. At 1,15-20. Nicola apparteneva, secondo At
6,5-6, al gruppo dei sette “diaconi" ed era considerato nella chiesa dei
primi secoli uno degli autori di tutte le eresie, ciò che può aver dato
occasione ad Ap 2,15. La Vita
segue qui probabilmente Cassiano,
Conl. 18,16, dove Nicola è già posto al fianco di Giuda.
[40]
Riguardo questo apologia della "misericordia di Dio", vedere anche la
vita Martini 22. - Tra le
"meretrici convertite", che sono riverite come martiri donne, occorre
menzionare Santa Afra di Augusta (Augsburg), la cui
Passio può risalire al V
secolo.
Il termine “scurrae” è qui tradotto con “aguzzini”, pensando per esempio a san
Basilide di Alessandria (Eusebio,
Hist. Eccl. VI, 2-6) che fu un soldato romano, poi martirizzato per
essersi convertito dopo aver portato al patibolo la vergine santa
Potamiena. Oppure potrebbe essere anche tradotto con “damerini” (attori,
ballerini): per esempio San Genesio di Roma (persecuzione di
Diocleziano) e Filemone di Tebe, suonatore di flauto, che insultò il
monaco Apollonio prigioniero e, dopo essersi improvvisamente convertito,
lo difese davanti al giudice finendo anche lui martirizzato. (Rufino,
Hist. Monachorum 19).
[41]
Le primi regole monastiche prevedono una riammissione nel monastero: per
esempio, Regula Magistri 64; Regula Benedicti 29 (fino a tre volte).
[42]
Seguendo Cassiano ed altri autori del suo tempo, l’Anonimo insisterà
altrove su questa idea che il monachesimo orientale deve spogliarsi di
certi rigori per adattarsi al clima ed alle condizioni di vita della
Gallia (cfr. anche i seguenti par. 65 e 67).
[43]
L'esorcismo (guarigione del posseduto) include l'unzione con l'olio. Per
questo utilizzo si diffuse l'olio a causa del suo effetto curativo (Mc
6,12-13).
[44]
Conformemente alla tradizione dei “Padri spirituali” d’Oriente,
l’Anonimo ci mostra spesso i Padri che pregano per i loro monaci in
difficoltà spirituali. Queste preghiere hanno spesso un’efficacia
immediata.
[45]
L’Anonimo insisterà più volte, nel suo racconto, sul peccato di orgoglio
(elatio); per designarlo in
modo più pittoresco, egli utilizza la lunga parola
cothurnositas, che sembra aver
creato lui stesso. La successione tra i vizi che l’Autore fa notare, è
esattamente quella che Cassiano riconosce nella tentazione di Adamo ed
in quella di Cristo; dopo la gola, la vana gloria; dopo la vanagloria,
la superbia (cfr. Cassiano, Conl.
V,6).
[46]
L’ ”usus”
monastico a Condat conosceva quindi la punizione corporale dei monaci,
come le antiche regole monastiche (ad esempio Agostino,
Ordo Monasterii 10;
Regula Benedicti 23; 28).
[47]
A Laucone, dove vive abitualmente Lupicino (cfr. par. 24)
[48]
Riguardo al pericolo di "gula"
/ "gastrimargia" per il monaco, in particolare ci si riconduce a
Giovanni Cassiano, De Inst. V.
- Il seguente racconto mostra il dono straordinario di guida delle
persone che l'autore attribuisce all'abate Lupicino; vedere anche ai
seguenti paragrafi 71-77.
[49]
Gregorio di Tours aggiunge una specie di epilogo , visibilmente
leggendario: grazie alle preghiere di san Romano, i dodici monaci
disertori sono colti da pentimento e compunzione e fondano ciascuno una
nuova comunità.
[50]
Stando al paragrafo 25 la tomba di Romano si trova nella Basilica del
convento di monache adiacente. La
Vita vuole probabilmente dichiarare, in modo discreto, la tomba come
un luogo di pellegrinaggio e l’Anonimo vuole forse invitare i suoi
lettori a venire qui in pellegrinaggio.
[51]
Non è raro vedere, nella letteratura agiografica, dei posseduti che si
sollevano in aria: per esempio Sulpicio Severo,
Dial. III. 6 e la
Vita sanctae Genovefae, 28)
[52]
Poncin, una piccola cittadina a circa 50 km a sud ovest di Saint-Claude,
sulla strada per Lione (cfr. anche par. 160). Era senza dubbio una tappa
importante sulla strada da Condat a Lione.
[53]
Oggi Saint Maurice, il luogo del martirio della "Legione Tebea". Nella
seconda metà del IV secolo fu qui costruito il primo memoriale. I
numerosi pellegrini hanno portato nei primi anni del V secolo alla
costruzione di una basilica più grande. Nell'anno 515, il re burgundo
Sigismondo fondò qui un monastero, ma era stato preceduto da un
insediamento monastico più antico. Dal 1128 Saint Maurice è un convento
di canonici agostiniani. Vedere.
J.M. Theurillat, L’Abbaye de Saint
Maurice d’Agaune, Sion 1954, alla nota n. 12.
[54]
Fu poco prima del 450 che il vescovo Eucherio di Lione scrisse la "Passio
Agaunensium martyrum" (Monumenta
Germaniae Historica, Scriptores rerum Merovingicarum 3, pag. 32-41).
[55]
Il numero di 6.600 martiri deriva sempre dal racconto di Eucherio; lui
stesso lo presupponeva a partire dall’effettivo ordinario di una
legione.
[56]
La strada verso Saint-Maurice passava da Ginevra. - Il testo latino
mantiene qui la forma “Genua” secondo la tradizione manoscritta, che è ovviamente
sbagliata; correttamente si deve leggere “Genava”,
da cui deriva l'aggettivo "genavensis",
correttamente utilizzato al par. 48.
[57]
Vedere Vita Martini 18 di Sulpicio Severo. Il culto di san Martino è già
allora una memoria di patrimonio comune della Chiesa gallica. Romano può
avere appreso di Martino nel monastero sull’ “Insula
Barbara”, l’odierna
île Barbe
sulla Saona a Lione.
[58]
“Oratio
cum reliqua sollemnitate".
I due viaggiatori rispettavano la disciplina della preghiera monastica
ed anche per strada adempivano i tempi di preghiera giornalieri. Cfr.
Regula Magistri 56.;
Regula Benedicti 50.
[59]
L’autore si riferisce a Martino di Tours. Romano aveva imitato il suo
amore e ora mostra anche lo stesso potere miracoloso.
[60]
Il Passo di Bret è sulla riva sud-orientale del Lago di Ginevra, o
Lemano, (non lontano dall’attuale Saint Gingolph in Alta Savoia), a
circa 50 km di distanza da Ginevra in linea d’aria. La guarigione
miracolosa avvenne vicino a Ginevra sulla strada verso Saint Maurice.
Romano da lì impiegò ben tre giorni per arrivare ad Agaune, dove
probabilmente rimase uno o più giorni. I Ginevrini ebbero quindi
abbastanza tempo per la loro impresa.
[61]
Il rapido ritorno al monastero "iuxta
morem". Seguendo la tradizione monastica, il monastero è lo spazio
proprio del monaco: i viaggi e i soggiorni al di fuori del monastero
sono eccezioni. Si veda, ad esempio
Apophthegmata patrum, Synkletika 6: "Se tu vivi in un cenobio,
allora non cambiare il tuo posto, perché ti fa molto male. Se l'uccello
si allontana dalle sue uova, diventeranno uova non fecondate e infertili
– così anche il monaco o la vergine, mentre viaggiano da un luogo
all'altro, si raffreddano e muoiono nella fede ".
[62]
L’infestazione diabolica è più rara nella
Vita, che nelle Vite dei Padri
del deserto in generale.
[63]
Stefano, uno dei sette diaconi, (At 6-7) è considerato il primo
"diacono", perché è attestato fin dalla fine del II secolo che lui è il
primo dei sette. Ireneo da già per scontato più volte il rapporto tra i
“sette” e i diaconi della chiesa.
[64]
In base al testo il mulino può essere situato sul Bienne o sul Tacon.
Entrambi i fiumi sono al di sotto di monasteri. Secondo un'antica
tradizione locale la località del mulino potrebbe forse essere appunto a
Tacon, a sud del monastero in questione.
[65]
Riguardo all’aspetto del diavolo in forma umana, vedere Frank,
Mönchsleben 1, Leben des Martinus 6 n.30 (Vita
monastica 1, Vita di Martino 6, nota n. 30).
[66]
Nella primitiva storia monastica il diavolo spesso si veste in forma di
una seducente bella donna, per esempio:
Vita Antonii 4; Hist. Lausiaca 23;
Historia Monachorum 1, 32 ss.; Vita Pachomii 9; Gregorio Magno, Dial. II
2; 8; la Vita di san Gallo 12.
Ma la Vita, anche in questo
caso, presenta una netta originalità nel dettaglio della scena.
[67]
A proposito del segno della croce come agente protettivo contro
l'attacco del diavolo vedere la Vita di Martino 12,3; il termine qui scelto "vexillum
dominicae passionis" lo si trova anche
in Vita Antonii 13, 26 e altri.
[68]
La stoltezza del diavolo (qui "stultissimus")
è provata dalla sua mancanza di successo contro il monaco; confrontare
Vita Antonii 16.
[69]
Historia Lausiaca
23 racconta una situazione inversa: Pacone diede uno schiaffo al demonio
che gli stava comparendo in forma femminile; allora non poté sopportare
per due anni il cattivo odore della sua mano.
[70]
Questi canali sono chiamati nella zona di Saint Claude "arrivoire". Il
canale in questione potrebbe essere l’antenato di quello che, prendendo
l’acqua del Tacon in un piccolo sbarramento, la porta fino a valle per
alimentare mulini ed officine.
[71]
Il levita è il diacono Sabiniano. Dal momento che nella Chiesa primitiva
la gerarchia sacerdotale dell'Antico Testamento è stato intesa come un
precursore del sacerdozio della Chiesa, i leviti (assistenti dei
sacerdoti del tempio) sono equiparati ai diaconi (assistenti dei
sacerdoti).
[72]
Nella
Vita Antonii 17,
sant’Antonio utilizza questo testo nello stesso significato.
[73]
Vedere Vita Martini, Ad Desiderium Epistula 3, dove si trovano quasi
esattamente gli stessi termini.
[74]
Vedere al paragrafo 25, dove non è detto che implicitamente che la Madre
delle monache fosse la sorella di san Romano; non era ancora stato detto
che il luogo fosse una “Balma”. L’autore sottolinea qui che la parola
balma è l’equivalente di
cingulum, qui tradotto in
“conca”. Nel paragrafo 117 parlerà della “Balma” come di un luogo
conosciuto.
[75]
Nel Condat i superiori venivano insediati nella loro carica tramite una
designazione; vedere par. 115 e 132. Ciò corrisponde alla norma di
elezione
secondo Regula Magistri 92.
[76]
Citazione quasi letterale di Vita
Antonii 59 dove Anastasio scrive: “Mortem
laetus aspexit”. L’anonimo scrive: “Mortem
laetus adspiciens”.
[77]
Vedere al par. 25; 41. Dei miracoli sulla tomba
dell'abate Romano parla anche Gregorio di Tours,
De Vita Patrum I 6,13. - Come
anno della morte si considera generalmente l'anno 460. Il santo potrebbe
avere avuto 60 anni.
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26 febbraio 2015 a cura
di Alberto "da Cormano"
alberto@ora-et-labora.net