II
VITA DEL SANTO ABATE LUPICINO
63. Per lottare dunque contro i freddi intensi di un paese glaciale e per
sconfiggere i capricci del corpo, utilizzò sempre una tunica di pelle col
vello che tuttavia per umiltà la volle formata dall’unione di povere
pellicce di vari quadrupedi cucite insieme; non era soltanto un abito rozzo
e ispido, ma era un qualcosa di spregevole deturpato dalla varietà di
colori. Il suo cappuccio era ugualmente misero e bastava a proteggerlo dalla
pioggia ma non a difenderlo contro i freddi rigorosi che imperversano, come
abbiamo detto, in questo paese. Di scarpe ne portò soltanto quando gli
capitava di recarsi alla contea per intercedere per qualche persona.
[2]
64. Ma nel monastero, anche se andava un po’ lontano per i lavori dei campi,
utilizzò in qualsiasi circostanza delle solette di legno chiamate
generalmente
«zoccoli»
nei monasteri della Gallia. Si racconta che non utilizzò mai né giacigli né
letti; quando la temperatura restava clemente, una volta completata la
sinassi della sera, mentre tutti gli altri andavano a letto per dormire, lui
entrava nell'oratorio, per meditarvi piuttosto che per riposarsi: là
prendeva solo quel tanto di sonno che la natura riusciva a rubargli quando
trovava riposo sul suo banco, dopo che si rialzava dal suolo alla fine della
sua orazione. 65. Se era
assalito da un freddo particolarmente rigoroso ricorreva ad una specie di
culla, adeguata alla sua dimensione, fatta di un grande pezzo di corteccia
staccata da una quercia e chiusa alle due estremità da due cortecce dello
stesso tipo che vi aveva unito. Dopo averla fatta riscaldare con discrezione
ed a lungo vicino al focolare dal lato della parte concava, o dormiva là,
approfittando alcuni momenti del tepore del luogo, oppure, quando il suo
giaciglio era caldo, lo trascinava subito sotto la sua ascella fino
all'oratorio per stendersi sopra.
Nei digiuni e nelle veglie si mostrò così straordinario da superare il
valore degli Orientali e degli Egiziani grazie al temperamento gallico.
[3]
66. Poiché nessuno, soprattutto al monastero del Condat e nel nome di
Cristo, osa oggi ancora gustare dei prodotti alimentari d'origine animale,
eccetto il latte, o dei prodotti del cortile, eccetto le uova, – ma solo per
i malati -
[4]
Lupicino rifiutava generalmente che si mettesse perfino nel suo brodo la
minima goccia d'olio o di latte. Quanto al vino non si poté mai forzarlo a
berlo o ad assaggiarlo da quando aveva fatto professione dello stato
monastico:
[5]
si astenne in ogni caso dal gustare anche l'acqua durante circa gli ultimi
otto anni della sua vita. 67. Se durante il periodo estivo, quando arrivava
l'ora del pasto, anche una sete violenta colpiva duramente il suo stomaco e
le sue membra, lui tagliava il suo pane nella ciotola, lo rammolliva con
acqua fredda e lo mangiava col cucchiaio al posto dell’altro cibo.
[6]
Io potrei raccontare atti d'astinenza ancora più grandi, se non sapessi che
i Galli sono incapaci di imitare tutte le imprese che egli compì nel
passato, come si racconta;
[7]
io temerei che qualcuno, inadeguato a seguire il suo esempio, aspiri ad
imitare virtù che, nella concessione delle sue grazie, il divino Benefattore
accorda non a tutti ma soltanto ad alcuni.
[8]
68. Ma parliamo ora dei suoi miracoli. Ci fu un anno in cui l’immensa
comunità e la moltitudine dei secolari che giungevano tormentavano l’economo
a causa della penuria imminente e del pericolo di carestia poiché, oltre a
quindici giorni di alimenti, non si possedeva assolutamente nulla per i tre
mesi che restavano prima del sostegno del nuovo raccolto; l’economo prende
con sé cinque anziani
[9]
e, tutto in lacrime, va a trovare il santo Padre Lupicino giurando che
presto tutti, come sé stesso, moriranno di fame. Ma Lupicino, pieno di
un’intrepida fiducia nel Signore, alzando la sua anima e gli occhi del suo
cuore verso il Pane Vivo sceso dal cielo disse:
«Venite,
miei cari figlioli, entriamo qui nel nostro granaio in cui restano soltanto
così pochi covoni e preghiamo; poiché anche noi, lasciando le città,
seguiamo il Salvatore nel deserto per ascoltarlo».
[10]
69. Il Padre entra, si prosterna e prega a lungo con insistenza. Poi,
restando in ginocchio, si solleva e con le mani aperte alza verso il cielo
gli occhi imploranti e completa la sua preghiera in una specie di estasi
dicendo:
«
O Dio onnipotente che con la bocca del tuo servitore Elia, hai già promesso
con linguaggio mistico alla vedova che non avrebbe visto diminuire né la
farina del suo vaso né l’olio della sua brocca fino al giorno in cui sarebbe
piovuto (1 Re 17,14:16); accorda ora a questa chiesa che, affrancata dalle
immagini, ha per protettore Gesù Cristo, tuo Figlio e suo eterno Sposo, di
avere pane a sazietà come essa si saziasse della tua parola; e non
permettere che questo nostro granaio manchi dell'abbondanza di frumento fino
a che noi non beneficiamo di una pioggia di nuovi raccolti».
70. Dopo che i fratelli risposero:
«Amen»,
Lupicino si gira verso l’economo e dice: “Battete ora questi covoni che il
Signore ha benedetto poiché è per rispondere alla nostra fede che Dio parla
così: “Ne mangeranno e ne faranno
avanzare”» (2 Re 4,43).
[11]
Inoltre, secondo la testimonianza dell’Abate Eugendo - che era presente, pur
essendo ancora soltanto un bambino di indole gioiosa
[12]
- e di tutti gli anziani che si ricordavano con lui di questo prodigio e con
lui erano stati salvati da questa benedizione divina. Inoltre si ricordano
che non avrebbero mai potuto esaurire con la trebbiatura questa riserva di
alimenti, tanto più che alla fine del ciclo il nuovo raccolto si era unito
al vecchio. Così l'uomo di Dio forte della sua fede liberò dal pericolo
della carestia sia la moltitudine dei fratelli che quella dei secolari.
[13]
71. C'era là nella medesima epoca un monaco che, a causa dei rigori di
un'astinenza estrema, aveva così consumato il suo povero corpo, tutto
raggrinzito dalla scabbia e di una magrezza estrema da sembrare mezzo morto.
Quest'uomo, immobile come un paralitico, non poteva più né raddrizzare la
schiena, né muovere le sue gambe per camminare, né piegare o stendere le
braccia per le sue necessità: inoltre, non fosse che per il debole soffio
che ancora lo animava, avresti creduto che questo moribondo fosse già morto.
[14]
72. Da circa sette anni non prendeva altro nutrimento che le briciole di
pane rimaste sulle tavole dei monaci: dopo il pasto dei fratelli
diligentemente le raccoglieva con un pennello, le inumidiva con un po' di
acqua e se le mangiava la sera.
[15]
Giunto da lui il beato Anziano con un benefico proposito di soccorrerlo, si
dice che lo aiutò con una specie di terapia così delicata che non dimostrò
per niente di rimproverare o di censurare pubblicamente l'eccessiva
astinenza di quest'uomo.
73. Un giorno dunque in cui i fratelli erano usciti ai campi per compiere
non so quale lavoro e tutto il monastero era assolutamente deserto:
«Vieni
- disse l'Abate al fratello - appoggiati sulle mie braccia e sulle mie
spalle ed entriamo nel giardino della comunità; poiché da tempo, costretto
dalla dura malattia che ti consuma, non hai goduto di un raggio di sole, né
gioito della vista di un piccolo angolo di verde».
74.
Quindi stende per terra delle pelli di pecora,
[16]
vi adagia il corpo tutto intorpidito tra le aiuole e si stende accanto al
fratello. Fingendo di essere anche lui irrigidito da una malattia dello
stesso genere, inizia a stendere alternativamente sia le sue braccia che le
sue gambe, una dopo l'altra; e poi, steso sul dorso, rotola a varie riprese
sul lato destro e sul lato sinistro e raddrizza la sua spina dorsale con
questo piacevole dondolamento. Allo stesso tempo, per convincere meglio
questa eccessiva austerità, l'Abate aggiungeva:
«Buon
Dio, che conforto e che rapido miglioramento ho provato! Vieni fratello, e
per guarirti ti farò eseguire simili movimenti oscillatori da un lato e
dall’altro».
75. Come un massaggiatore, si china su questo povero corpo piegato ed
esaurito, lo distende in tutti i sensi e gli ammorbidisce le membra ad una
ad una con tocchi salutari. Il fratello allora inizia ad allungare le sue
membra, ancora mezze intorpidite, ma già ristabilite e pronte alla loro
funzione umana.
Correndo allora dall’economo, il Padre entra nella dispensa e fa inzuppare
nel vino i più piccoli pezzi di pane che può trovare, senza dimenticare il
resto del pasto dove vi versa un'abbondante razione d'olio. Poi porta il
tutto nel giardino e dice:
«Andiamo,
carissimo fratello, rinuncia alla tua volontà e ai tuoi rigori e, se
l’obbedienza ti disgusta, che almeno non ti scoraggi un esempio. Quello che
mi vedrai fare – aggiunge - devi farlo anche tu, non ci sono dubbi, in nome
dell'obbedienza che nessuna discussione può cancellare: perché così vuole la
Regola».
[17]
76. Quindi, conclusa la preghiera, si siede accanto al fratello e risana
questo corpo intorpidito dalle eccessive austerità; o meglio, sostenendolo,
rimette in piedi
«quell'asinello»
di suo fratello
[18]
che crolla sotto il carico lungo la strada; detto l'inno, lo riconduce sul
suo letto, risollevato.
Il giorno dopo lo riporta al giardino con la sua abituale bontà e gli dedica
lo stesso zelo del giorno prima. Il terzo giorno infine, mentre il fratello
cammina senza farsi sostenere, ma con i suoi soli mezzi, l’Anziano gli
procura un pezzo di legno adunco, come una piccola zappa e gli insegna, a
volte in piedi e a volte anche disteso, a pulire con lui la terra attorno
alle ortaggi, sia con l'attrezzo che con le dita. 77. Cosa c'è ancora da
dire? In questo modo, nel giro di una settimana circa e da un momento
all’altro – dopo che egli rinunciò a ciò che nutriva la sua vanità -
Lupicino gli restituì la vita,
[19]
quando aveva un piede nella tomba, e da quel momento questo fratello visse
in seguito ancora molti anni che testimoniano, con la sua sopravvivenza e la
sua attività, il potere miracoloso e la carità di questo Padre. Così, con un
esempio concreto e divino mostrò chiaramente che nessuno, una volta che ha
abbracciato la vita religiosa, deve muoversi fra le difficili salite della
destra o fra le agevoli discese della sinistra, bensì nel mezzo, secondo la
direzione data dalla
«via
Regia»
(Nm 20,17; 21,22)
[20].
78. La liberalità divina, confermando i meriti di questo fratello mediante
doni gratuiti, gli concesse questo privilegio: se si metteva sul suo letto
un malato, la malattia se ne andava ed immediatamente gustava del benessere
della salute come prima
[21].
Io stesso, essendo ancora un fanciullo, ho visto molti fratelli testimoniare
questo potere, sia per averlo visto esercitare su altri, sia per averlo
provato più volte essi stessi. Ognuno deve dunque ritenere che i meriti di
quest'uomo non sono passati sotto silenzio poiché, quello che le parole non
dicono, lo proclamano i fatti.
79. Parliamo ora delle vigilie del beato padre. Una volta dunque, poiché
quel luogo non era sicuro per il riposo notturno, stava prolungando la sua
veglia,[22]
quand’ecco che due fratelli, uniti da un progetto comune d'evasione,
penetrano in complicità nell'oratorio come se volessero pregare e, in un
certo qual modo, (desiderassero) salutarlo;
[23]
dopo una preghiera, si fanno reciprocamente le loro raccomandazioni a bassa
voce dicendo:
«Tu,
dice l’uno, porti via da qui la mia zappa e la mia ascia, ed io andrò a
ritirare con precauzione la coperta del tuo letto ed il tuo cappuccio. Così,
dopo aver fatto i bagagli e aver portato via tutto, andremo ciascuno per la
proprio strada e ci troveremo in quel luogo o nell’altro».
80.
Nonostante l’oscurità, tuttavia la presenza divina splendeva, grazie al
servo di Cristo, ed il Padre sentiva che, essendo tutto combinato in
anticipo, si doveva tempestivamente fare qualcosa fuori dai limiti del
Paradiso.
[24]
Allora l’Anziano
[25]
dal suo angolo disse:
«Miei
cari figlioli poiché prima di partire mi avete già dato la preghiera, voi
non dovete neppure rifiutarmi la pace prima della nostra
separazione».
Gli infelici crollano immediatamente, come pronti a comparire davanti al
loro giudice; tirano lunghi sospiri dal fondo del loro cuore ed i loro
gemiti profondi, i loro incessanti singhiozzi testimoniano che il rimorso li
scuote dalle viscere. 81. Ma
il santo li chiama con il loro nome e lentamente tende la mano verso
ciascuno di loro, sfiora loro il mento, li accarezza con dolcezza, li
abbraccia e poi, senza dire altro, si mette di nuovo in ginocchio e usa le
armi della preghiera con paterno amore.
Con l’aiuto di Dio il complice “buono a nulla” del male è cacciato dal loro
cuore: pregando ed invocando il nome di Cristo, i due fratelli fanno
ripetutamente segni di croce sul loro petto e sui loro occhi e quindi, mesti
e tremanti, ritornano alla loro cella; sotto il colpo dello spavento e della
vergogna, non osano neppure intrattenersi, né proferire parola su ciò che è
appena successo. Per quanto riguarda il perdono dell’errore, essi speravano
solo che un Padre amoroso capisse come fossero percossi dal proprio
turbamento.
82. Prendo a testimone Gesù Cristo - il quale, dopo averci riscattati con la
sua passione, non permetta che soccombiamo agli inviti ripetuti del Nemico –
(per affermare) che il Padre, dinanzi alla compunzione con la quale i due
fratelli si erano ravveduti, coprì l'accaduto con un silenzio così totale
che lo si ignorava ancora quasi dopo vent’anni
[26]
- uno dei due pentiti aveva già raggiunto Cristo – quando, in presenza dello
stesso sopravvissuto che attestava la verità delle sue parole, lo stesso
Padre riportò a tutta la Comunità ciò che era avvenuto, per dare un esempio
di grande prudenza. Mescolando ai segni di gioia una nota di tristezza,
predicava così dinanzi a tutti i fratelli riuniti:
«Vedete,
miei cari figli, quanto sottili e perfidi sono i metodi dell'antico Nemico
per provare ad abbattere i servi di Cristo. 83. Ed ecco che il Redentore,
offrendo la sua misericordia, permise certamente che coloro che lo servivano
fossero tentati per un momento, secondo la condizione della carne. Ma,
stendendo la sua destra misericordiosa, non li ha lasciati divorare dal
Seduttore mentre erano nell’errore. Ed ecco che uno di loro – continuava -
ha già depositato il fardello del suo corpo e in paradiso gode delle
ricompense per lui preparate e invece l’altro è ancora con noi, come vedete,
ed esultante per la misericordia di Cristo condivide la nostra gioia.
Voi vedete chiaramente che non occorre imputare a peccato il solo desiderio
di una cosa, bensì piuttosto la sua realizzazione e non si devono
considerare come colpe tutti i cattivi progetti, ma soltanto quelli che sono
realizzati con molta malvagità.
[27]
84.
Che ciascuno di voi, dunque, mentre sta in piedi tema sempre di cadere,
secondo la sentenza dall'Apostolo (1 Cor 10,12), e al contrario, se cade
scoraggiato dalla sua fragilità, che si sollevi, secondo la parola del
profeta (Is 52,1-2). Infatti, quale guadagno e quale vantaggio avrei
realizzato se avessi rivelato l'intenzione di questi monaci con inflessibile
severità e se avessi punito con una severità inappropriata dei colpevoli
impacciati e tremanti?
[28]
In verità avrei guadagnato solo ciò: sotto l'impulso della vergogna, forse
pochi giorni dopo, essi avrebbero abbracciato con più ardore un progetto che
la vergogna riparatrice aveva appena distrutto grazie alla misericordia del
Signore.
85. Se infatti occorre riprendere con forza gli indocili e gli insolenti, al
contrario bisogna trattare con un delicato rimedio tutti quelli afflitti
dall'umiliazione della loro coscienza. Chi fra di voi ignora che
nell'amministrazione di questa comunità che ci è stata affidata dobbiamo
applicare il trattamento conforme alle regole dell'arte spirituale,
considerando, come medici perfetti, la natura delle ferite e la debolezza
dei pazienti, per dare a ciascuno il rimedio adeguato?
[29]
86. Poiché non tutti i mali devono essere asportati dalle incisioni della
chirurgia o sopportare le ustioni del cauterio; spesso si raccomandano gli
impacchi o le fomentazioni, per paura che cure inadatte alle vampate della
malattia o alle circostanze, lungi dal portare il rimedio, comportino
piuttosto lo sfinimento del paziente a causa di un impiego intempestivo ed
inadeguato. Questo discorso del beato Padre insegnò ai fratelli a giudicare
con grande cautela, accertando la natura esatta dei fatti e discernendo le
particolarità di ogni caso.
87. Passati alcuni mesi l'antico Nemico vuole prendere come preda allo
stesso modo uno dei fratelli più comprovati in santità e (a tal fine) lega e
cattura la sua anima molto astutamente: dapprima gli toglie le armi del
discernimento e la forza della preghiera e per finire lo incatena e lo lega
con vincoli segreti. (Questo fratello) era un uomo di estrema umiltà e
dolcezza e, oltre alla virtù d'obbedienza, la divina grazia lo aveva
adornato di grandi doti per qualsiasi tipo di lavori. 88. Con lui il Diavolo
agisce poco a poco e lentamente, gettando (nel suo cuore) una scintilla
d'orgoglio riguardo il suo valore. Quando lo vede ardere rapidamente
infiamma contro di lui alcuni fratelli colpiti sul vivo da un diverbio e
questi, col loro respiro malvagio, attizzano ogni giorno il fuoco di questo
cuore già surriscaldato dall'orgoglio. Altri ancora, con le catene dei loro
bei discorsi ed i legami seduttori del secolo, lo tirano fuori dalla
comunità e la esortano a non sopportare più tali persone, ma piuttosto ad
abbandonare tutto.
Allora, facendo dei suoi attrezzi un pacchetto ben legato, se ne va di
nascosto per paura di essere trattenuto da qualcuno e arriva a Tours in
fretta e senza mai fermarsi.
[30]
89. Quando entra nell'atrio della basilica del beatissimo Martino e poi
nella navata stessa per pregare con riverenza,
[31]
ecco che improvvisamente uno degli energumeni, correndo verso di lui,
esclama allegramente:
«Ecco
un monaco che ci appartiene di pieno diritto»,
e chiamandolo col suo nome dice:
«Come
va Dativo, compagno nostro?».
Poiché quest'ultimo, colpito da stupore e affliggendosi per essere stato
giocato dal diavolo, geme profondamente, il posseduto aggiunge:
«Sei
diventato la mia cavalcatura ed io ti ho domato con questa tentazione;
viviamo così».
[32]
Quindi il monaco prega in fretta, ritorna al monastero e supplica
prosternato che lo si accolga nuovamente (al monastero). Poi, prudente e
diligente, con l’aiuto divino e con più accortezza del solito chiude
l'accesso del suo cuore al Divoratore.
90. Ma due anni dopo il Cavaliere di una volta ritorna da quest'uomo
[33]
e, dopo averlo indotto con gli stessi metodi di prima, lo induce a preparare
per la partenza un pacco della sua coperta e del suo materiale. Il santo
Abate, capendo che questa povera pecora non sarebbe partita per rientrare,
come la prima volta, piangeva soffrendo per la sua definitiva perdita.
Dativo, in presenza dei fratelli, aveva già messo il suo fagotto sulle
spalle per partire, quand’ecco che rimane una mezz'ora, come stordito,
nell'atrio e grazie alla preghiera del servo di Dio ricaccia indietro con un
soffio
[34]
l'istigatore stesso della sua evasione e getta a terra nell’atrio il
fardello che aveva in spalla. 91.
«Andiamo!
– dice - tu che mi doni esortazioni e consigli, trasporta tu stesso il mio
carico là dove tu mi spingi ad andare, camminando davanti a me; allora io ti
seguirò se ti vedrò portarlo».
Immediatamente le immagini diaboliche sono cacciate dal suo cuore e, tornato
lieto ed allegro, bacia ed abbraccia tutta la comunità. Così, dal momento in
cui fu beffato e disprezzato, il Ministro del male non osò più gettare
sull’umile pecora di Cristo le catene della sua solita seduzione.
92. Inoltre il santo Abate parlava con un'autorità veramente ammirevole,
forte della sua sincerità. D'altra parte non successe mai che i complimenti
dei giudici
[35]
lo facessero scoppiare di un vano orgoglio, né che il timore dei principi
spezzasse o indebolisse il suo attaccamento alla giustizia.
[36]
Un giorno infatti, mosso dall'infelicità di gente povera sottoposta
illegalmente e con la violenza al giogo di una schiavitù ingiusta da parte
di un certo personaggio forte del suo prestigio alla corte
[37],
il servo di Dio, mediante la sua santa testimonianza, cercava di difenderli
dinanzi all’illustre Chilperico, già patrizio nella Gallia
[38]
- il potere pubblico era passato in quel tempo sotto il regime della
sovranità. Ma l’abominevole oppressore, infiammato di una furiosa rabbia e
vomitando parole frementi di rabbia per disonorare l'uomo santo, esclama:
93.
«Non
sei tu quell’impostore
[39]
che conosciamo da tempo e che circa dieci anni fa, abbassando
presuntuosamente la potenza dell'impero romano, proclamavi che la terra dei
nostri antenati era minacciata da una rovina imminente?
[40]
Perché dunque, di grazia, questi terribili presagi che tu hai previsto non
sono confermati da alcun evento spiacevole? Falso profeta, spiegacelo!»
Allora Lupicino, coraggiosamente e con la mano tesa verso Chilperico, uomo
di rara intelligenza e di pregevole onestà dice: 94.
«Ecco!
o perfido e perverso! Osserva il flagello che annunciavo a te ed ai tuoi
simili.
[41]
Non vedi, malvagio e degenerato, che diritto e giustizia sono rovesciati e
che a causa dei tuoi peccati e di quelli dei tuoi simili, compiuti con
ripetute estorsioni verso degli innocenti, le fasce color porpora soccombono
(all'autorità) di un giudice vestito di pelli di animali?
[42]
Rientra dunque un po' in te stesso e vedi se un nuovo ospite, con un
imprevisto spregio del diritto, non rivendichi per sé e non abbia già fatte
sue le tue terre e i tuoi iugeri. 95. Tuttavia io ho buon motivo per credere
che tu sai ciò o che ne hai il sentore, così come ho buon motivo di credere
che tu hai deciso di gettare sulla mia povera persona due uncini
[43]–
(o che io fossi) intimidito davanti al re o spaventato dalla piega degli
eventi - per sporcarmi con una nota di infamia».
Cosa aggiungere? Il patrizio in questione fu così incantato da questa audace
sincerità che, in presenza dei cortigiani, affermò con numerosi esempi ed un
lungo discorso che tutto era accaduto per decisione divina. Poco dopo, con
una decisione promulgata in virtù del potere regale, restituì la libertà a
questi uomini liberi e, dopo aver offerto doni per sostenere le necessità
dei fratelli e del monastero, lasciò ritornare il servo di Cristo nella sua
Comunità con onore.
96.
È sempre Lupicino che un giorno - non ho nessun dubbio che le persone molto
anziane si ricordano dell’avvenimento - procurò, pregando nel suo monastero,
la bella e straordinaria liberazione di un amico imprigionato a Roma, a cui
aveva promesso assistenza. In quel tempo l’illustre Agrippino, uomo di rara
avvedutezza, era stato nominato conte della Gallia dall'Imperatore,
accedendo agli onori che valgono le imprese negli eserciti di questo mondo.
[44]
Ma Egidio,
[45]
allora capo della milizia, l’aveva offuscato agli occhi dell’Imperatore con
un'arte consumata e perfida, dicendo che cercava senza dubbio di favorire i
barbari perché era invidioso dei fasci romani e di sottrarre le province
alla sovranità dello Stato con complotti sotterranei. Egidio aveva diffamato
Agrippino col fetido veleno dell’accusa, come abbiamo detto, prima ancora
che quest’ultimo potesse affermare formalmente la sua onestà ed abbattere la
menzogna tramite la verità. 97. Immediatamente delle furiose ordinanze
imperiali prescrivono che il capo della milizia, che l’aveva accusato, mandi
a Roma il nemico dello stato affinché sia severamente punito
dall’Imperatore.
Tuttavia il sopramenzionato Agrippino – che per il momento, nel luogo dove
stava, conosceva l'affare soltanto da dicerie venute a sfiorare le sue
orecchie - fu costretto a recarsi rapidamente e sotto buona guardia alla
Corte (dell’Imperatore).
[46]
Informato ancora sul posto da certe soffiate secondo le quali l’animo
dell’Imperatore era prevenuto nei suoi confronti a causa della gelosia di un
rivale - come abbiamo detto - si mise a protestare ed a proclamare a gran
voce che non sarebbe andato per niente a Roma finché il suo accusatore
nascosto non si rivelerà a lui per dimostrare la sua colpevolezza. 98.
Tuttavia Egidio non entra in aperta discussione con lui ma, temendo il
rimprovero della propria coscienza e segretamente allarmato, con frequenti
giuramenti sui sacramenti comincia a stringere la rete intorno all’innocenza
di Agrippino anziché lasciarla emergere.
«Senza
dubbio – diceva - Agrippino non ha assolutamente nulla da temere, poiché
nessuna persona innocente che conosco è stata bollata come colpevole davanti
all'Imperatore per il solo fatto di avere suggerito una cosa illecita. Ora
Agrippino vede chiaramente solo ciò: se par caso fosse accusato da qualcuno
aumenterebbe i sospetti nel rifiutarsi di apparire, mentre può chiaramente
pulirsi del sospetto di tradimento presentandosi (alla Corte)».
99. -
«Mio
signore e mio capo Egidio, rispose Agrippino, se dunque non ho nulla da
temere laggiù di questa accusa, chiedo che subito il santo servo di Dio
Lupicino, qui presente, si costituisca fin da questo giorno come garante
della tua Nobiltà».
«E
sia, risponde Egidio». Ed immediatamente stringe e bacia la mano destra del
servo di Dio, mettendola nella mano dell'imputato come garanzia
dell'accordo.
[47]
100. Agrippino si mette per strada ed al termine del viaggio arriva alla
Città capitale; conformemente alla recente notifica compare immediatamente
al cospetto del patrizio, in presenza del Senato; si consulta l'Imperatore,
già coinvolto nel caso, sulla sorte che si sarebbe degnato di riservare a
uno che ha falsamente preteso di agire per conto dello Stato, a un
cospiratore al soldo del nemico. Senza che la causa sia discussa e senza che
l'imputato sia ascoltato, (l'Imperatore) ordina di applicargli a breve
termine la pena capitale. Ma Dio volle senza dubbio, o piuttosto concesse
alla preghiera del suo servo, che un uomo condannato senza giudizio e
innocente non fosse immediatamente condannato a morte dallo Stato. 101. Si
dà dunque l’ordine di tenerlo nel frattempo in prigione; ovunque la folla
esultando e insultando dice:
«L'uomo
che accordava il suo favore ai barbari e che sembrava suscitare il loro
ardente desiderio d'invasione è infine annientato per favore divino e la
temerarietà barbara ha ormai perso tutta la sua audacia».
Ma il santo Lupicino fu subito al corrente di tutto il crimine perpetrato,
poiché il sopramenzionato Agrippino sollecitava il suo garante con pressanti
suppliche in spirito. 102.
Allora il servo di Cristo si impone, oltre alle ininterrotte preghiere, dei
continui atti di penitenza. Oltre alle midolla acerbe e crude del cavolo –
che era un suo nutrimento – e alle rape selvatiche dei campi, ogni giorno
non mangiò niente altro finché non vide quell'uomo liberato. Mentre l'amico
di Cristo incalzava senza sosta e con ostinazione le orecchie della
misericordia divina con le insistenti preghiere delle sue lunghe veglie,
[48]
ecco che una notte appare nella prigione al suo protetto. Viene verso di
lui, la esorta a non turbarsi e, mostrandogli uno degli angoli della cella,
gli dice:
«Spingi leggermente in questo punto
e, trascinandoti lentamente e silenziosamente, affrettatati ad uscire di qui
prima del sorgere del giorno».
103. Agrippino si sveglia e, come se fosse stato chiuso nella prigione di
Erode e avesse ascoltato l'angelo che un tempo parlò all’Apostolo (At
12,6-7),
[49]
afferra subito il gancio da dove pendeva la sua piccola borsa di
prigioniero, raccoglie le sue catene e scuotendo con precauzione la pietra
d’angolo la smuove e scopre un'uscita simile a una galleria. Allora, come se
fosse diventato di nuovo un giovane fanciullo, si allunga per terra, ripiega
sotto di sé le sue braccia e a carponi esce dalla prigione, ignorando verso
quale lato dirigersi per trovare rifugio nella dimora dell'Apostolo.
[50]
104. Infine sbuca in una piazza, accelera il passo per allontanarsi il più
possibile e per confondersi con i passanti in modo che non possa essere
riconosciuto mescolato con loro. Con la testa coperta del suo cappuccio
ignorava completamente dove stava andando. In quel mentre scorge sulla
destra un vecchio e venerabile monaco e, fingendo di essere un pellegrino,
gli chiede il più breve cammino per recarsi alla basilica del Capo degli
Apostoli. E quello gli risponde:
«Dalla
parte del Vaticano»
- questo luogo così famoso dove ora sono state costruite delle celle per i
malati sotto uno dei lati dei portici pubblici
[51]
- poi, con spiegazioni molto chiare, gli indica tutte le piazze (da
attraversare), le biforcazioni e le svolte e siccome Agrippino era ignaro
dei luoghi non lascia nell'incertezza neppure un dettaglio dell'esatto
itinerario.
105. Entrato dunque nella basilica San Pietro, Agrippino si inchina
mescolando le lacrime ai gemiti ed esalando dal fondo del suo petto tutte le
sue sofferenze; quest'uomo ferito chiede al Medico salvatore il perdono dei
suoi peccati
[52]
e mormorando parla delle insidie che al momento lo stringono. Pertanto la
notte arriva e l'amico molto fedele appare di nuovo nella basilica al suo
caro protetto e lo consola con dolci parole. Nel corso del colloquio
familiare Agrippino si rallegra sicuramente di essere stato condotto dal
buio della cella alla luce ma, tormentato ora dagli inconvenienti della
natura, dice che ha una grande fame; infatti, da quando era scappato fuori
dalla prigione e mentre continuava a fuggire qua e là, non aveva chiesto a
nessuno alcun alimento.
«Resta
calmo ancora un po’, gli dice il servo di Dio; poiché al sorgere del giorno
ti invierò di che nutrirti a sufficienza.»
106. Non appena si fece l'alba del giorno successivo, ecco che la moglie di
un senatore, venuta a pregare dinanzi alla tomba dell'Apostolo, mentre si
gira per uscire, osservò Agrippino in un angolo.
«È
un pellegrino - disse al suo schiavo - e, a giudicare dalla sua naturale
raffinatezza, non è di bassa estrazione famigliare. Prendi questi due soldi
- è tutto ciò che ci resta della nostra piccola elemosina - e intanto
portali a lui: quando rientrerò a casa gli farò recapitare – tu me lo
ricorderai - una somma più consistente».
[53]
107. Subito dopo avere ricevuto le monete compra degli alimenti al vicino
mercato e ritorna ormai più contento verso l'atrio esterno.
Ed ecco che sente delle persone del palazzo, tristi e preoccupate, che
parlano tra loro:
«Sì,
dicevano, questo Agrippino che è evaso della prigione causerà senza dubbio
l'invasione dello Stato da parte dei Barbari, indotto dalla grave
ingiustizia (che ha subito)».[54]
Inteso ciò, e poiché non era ancora stato riconosciuto, si mescola per breve
tempo e in modo sottile agli interlocutori. Fingendo di essere un abitante
del paese, si informa abilmente presso di loro, ponendo domande mentre parla
e mescolando al discorso delle prudenti osservazioni:
108.
«Come
avrebbe fatto meglio l'Imperatore – dice - a costringere quell’uomo ad
essergli grato, fosse stato anche riconosciuto colpevole, concedendogli la
sua grazia piuttosto che condannarlo senza confronto e senza prova e
istigarlo forse per questo motivo a commettere, spinto dall'ingiustizia, il
crimine di cui lo si aveva ingiustamente accusato».
[55]
Ma quelli sostenevano:
«Ciò
che voi dite, l'Imperatore, il patrizio e tutto il senato si chiedono
gemendo perché non è stato fatto».
A sua volta dice Agrippino:
«E
ora, supponendo di trovarlo, come farebbe a fuggire?».
Risposero gli altri:
«Se
si potesse seguirlo e trovarlo non solo ne uscirebbe indenne, ma sarebbe
innalzato ai più alti onori, riempito di presenti e lo si lascerebbe
rientrare a casa - purché l'Impero sia prontamente liberato da questo timore».
109.
«Sappiate
– dice - che questo Agrippino, malvagiamente accusato, avrebbe potuto
certamente fuggire dal nemico, ma che, se è colpevole, desidera essere certo
della colpa e vedere venire alla luce tutta la verità prima di essere
condannato. Andate subito ad annunciare all'Imperatore ed al patrizio che
Agrippino è qui e che Agrippino sono io!
».
[56]
Stupefatti, lo abbracciano e lo baciano e mandano di corsa un messaggero al
palazzo. Sentendo la notizia, l'Imperatore torna ad essere più lieto. Tutto
il popolo, dinanzi a questo cambiamento della situazione, prova una stessa
gioia, cambia umore e volto e si allieta della svolta positiva.
110. Il senato, rapidamente
convocato, a sua volta accorre. Essendo stata scoperta la menzogna, gli
mandano subito tanti segni di simpatia e numerosi doni; tutti testimoniano
in suo favore, senza essere stati incaricati da nessun avvocato. Senza
indugio viene condotto dinanzi all'Imperatore, gli fanno conoscere l'accusa
ed è assolto da ogni sospetto. Ritornato in Gallia si reca presso il servo
di Cristo, si prosterna davanti a lui rendendogli grazie, e davanti a tutti
racconta ciò che abbiamo raccontato.
111. Certamente in quel tempo fioriva dappertutto la buona fragranza dei
servi del nostro signore Gesù Cristo (cfr. 2 Cor 2,15) - o meglio ovunque si
sentiva il profumo - poiché nessuno di loro era in preda alla subdola
gelosia, nessuno era lacerato dal famelico odio; tutti, vi dico, erano
soltanto uno perché tutti appartenevano all’Unico (cfr. Gv 17,22). Se dunque
uno dei due Padri scopriva che il suo fratello al timone (della Comunità),
cioè il suo coabate, gustava con entusiasmo qualcuna delle grazie che
dispensa lo Spirito Santo, alzava gli occhi e le mani verso il cielo, come
se lui stesso la ricevesse, e lieto riversava a Cristo lacrime di gioia.
[57]
112. Se dunque (un monaco) aveva, grazie a Dio, una certa facilità di parola
ed era esperto nell’insegnare cose sante, allo stesso monaco procurava più
piacere la scoperta in un fratello della semplicità e della purezza, che la
coscienza della sua abilità personale e della sua saggezza. Da parte loro i
monaci semplici, pieni di rispetto, avevano a cuore di essere formati ed
istruiti da quelli la cui
«la
bocca si apriva»,
secondo la parola dell'Apostolo, con più efficacia e competenze
«per
parlare dei misteri di Cristo»
(Ef. 6,19; Col 4,3). Secondo l'uso dei tempi degli apostoli, assolutamente
nessuno diceva:
«Questo
è mio»
(At 4,32):
l’uno differiva dall'altro solo nella proprietà del nome e non nella stima
della fortuna o della reputazione.
113. A tal punto erano contenti della loro indigenza che praticavano con
entusiasmo l'unione dei cuori nella carità e nella fede in modo che se un
fratello, avendo ricevuto un ordine per qualche compito, fosse uscito al
freddo o se fosse rientrato tutto inzuppato da una pioggia invernale,
ciascuno a gara lasciava un abito migliore e più secco o gli toglieva le
calzature per riscaldare e confortare rapidamente il corpo di suo fratello,
piuttosto che pensare al proprio corpo. Non si vedeva mai in quel tempo un
fratello, inviato fuori dal proprio abate per un motivo qualunque, - ed io
ho vergogna di riferirlo e di dirlo ora che le prime istituzioni sono
contrastate dovunque - farsi portare, lui che è un essere sensibile e
bipede, da un cavallo ovvero da un quadrupede: ciascuno si accontentava
dell'appoggio di un bastone, così come della focaccia grezza e nutriente del
monastero.
[58]
114.
Ed ecco perché spesso i servi del Signore, dotati di poteri miracolosi,
operarono guarigioni ed altri miracoli; ma se ne andavano dal luogo del
miracolo lasciando appena ai testimoni il tempo di conoscere il loro viso o
il loro nome. Insegnavano così ai loro ammiratori la necessità di andare a
cercare la fonte ed il principio delle grazie nel posto stesso in cui si
affrettavano di rientrare senza chiedere nulla in cambio del dono divino,
una volta effettuata e compiuta la loro missione nella carità e nell'ardore
della fede.
[59]
Costoro temevano che se avessero installato nel tempio del loro cuore un
mercato commerciale, sia i cambiavalute ai loro tavoli che anche i
commercianti di colombe sarebbero stati flagellati dalla severità del
Signore.
[60]
115.
Quando il beato Padre, raggiunta un'età avanzata, si sentì oppresso dal
doppio male della vecchiaia e della malattia, in primo luogo mise un padre
alla testa del Condat, la più vecchia delle Comunità. Poi, essendo il suo
trapasso imminente, designò anche un abate per il monastero di Laucone.
[61]
Di giorno in giorno cominciava a peggiorare la malattia che lo tormentava,
fino al momento in cui le sue membra inaridite furono preda di brucianti
attacchi febbrili. 116. I suoi monaci lo convinsero con preghiere a prendere
un piccolo sorso d'acqua dato che, come abbiamo detto, se ne asteneva da
circa otto anni,
[62]
in modo che avrebbe potuto così almeno sciacquare l'interno della bocca,
come era usanza, muovendo la lingua avanti e indietro. I suoi venerabili
figli, per amore del padre, ruppero i legami del suo voto e, con un piccolo
e tardivo cambiamento, fecero sciogliere di nascosto una cucchiaiata di
miele nella coppa in cui gli veniva dato un dito d'acqua. Poiché era
coricato lo si fa sedere sostenendolo da ogni lato e gli si presenta la
bevanda; con la punta delle labbra la assaggia ed immediatamente, mosso dal
desiderio di rispettare il suo voto, dice:
«Nemico,
anche alla fine tu tenti di corrompere la mia umiltà con l'esca di una
dolcezza deperibile».
Quindi, rovesciatosi un po' all’indietro, passò a Cristo con un lieto
ardore.
117. Prendendo ispirazione dalla sua naturale preferenza - come abbiamo
detto - i suoi diletti figli seppellirono la cara spoglia del padre al
monastero di Laucone. Poiché suo fratello Romano ornava già il luogo di
preghiera della Balme e poiché sant’Eugendo da parte sua avrebbe un giorno
ornato quello del Condat, Lupicino, che governò in mezzo a loro, ebbe una
tomba situata tra le loro tombe al monastero di Laucone,
[63]
che egli colma dei suoi miracoli, pervade coi suoi esempi, onora con le sue
protezioni e sostiene continuamente con le sue preghiere. Amen.
[1]
Vedere la vita di Romano 17 e 38; Lupicino è, secondo queste indicazioni
il fratello minore di Romano. Nella conduzione dei monaci era ovviamente
il più forte. Gregorio di Tours (De vita patrum I) considera Lupicino il fratello maggiore e di
conseguenza chiamò la sua Vita "la vita degli abati Lupicino e Romano".
[2]
La “Contea” fu la residenza ad Arles. Questa “Contea” può essere sia
quella del re burgundo che la residenza imperiale di Arles, sede della
prefettura dei Galli: senza dubbio è là che san Lupicino si dovette
trovare presente all’incontro di Egidio e di Agrippino (cfr. par.
98-99).
[3]
L’ingegnosità del modo di dormire ascetico ricorda le pratiche
eccentriche dei monaci sirici, di cui ci informa Teodoreto nella sua
Historia religiosa. Lo scopo
di questa pratica è evidente: il monachesimo orientale deve essere
superato dal monachesimo gallico nella persona di Lupicino. - Nei
dialoghi di Sulpicio Severo si parla ripetutamente dell'inferiorità dei
monaci gallici nei confronti di quelli orientali.
[4]
La rinuncia alla carne è una tradizione comune del monachesimo
primitivo. Invece il pollame era servito in casi eccezionali.
Regula Magistri 69,2 prevede
le uova come alimento salutare.
[5]
Giovanni Cassiano, Conl. 17,28
permette la rinuncia all’olio ed al vino come una speciale prova
ascetica, senza mettere in pericolo la professione monastica.
[6]
L’utilizzo del “pane rammollito” (significato originale della parola
francese “soupe”, zuppa), fu molto diffuso nella Gallia, ma la “soupe”
di san Lupicino è composta di semplice acqua. Ad un monaco malato invece
egli offrirà del pane rammollito nel vino.
[7]
Anche in questo caso il tema della concorrenza, con l'ammissione
dell'incapacità gallica nelle prove ascetiche da primato. – Vedere a
tale proposito Sulpicio Severo,
Dial. I,4: "E' crudele da parte tua, che tu pretenda da noi Galli di
vivere come gli angeli. Sì, con la mia simpatia per il cibo, mi viene il
pensiero che anche gli angeli dovessero mangiare".
[8]
Un avvertimento contro l’imprudente ascetismo ed una esortazione alla
discretio.
La frase potrebbe essere stata presa dall’insegnamento di un abate che
deve guidare i suoi monaci in modo da corrispondere ad ogni singola
capacità e talento.
[9]
Gli "anziani" sono qui probabilmente non solo monaci anziani, ma i
monaci che sono partecipi nella guida della comunità (ad esempio,
Regula Benedicti 3,12:
"seniorum consilium").
[10]
Allusione al racconto della moltiplicazione dei pani: le folle hanno
lasciato le città e seguito Gesù nel deserto per ascoltare la sua
parola. (cfr. Mt 14,13 e paralleli).
[11]
Si tratta di una moltiplicazione dei pani compiuta da Elia.
Nel racconto del miracolo l'Autore si basa in primis sulla comprensione
ecclesiale della Scrittura, secondo la quale l'Antica Alleanza è il
modello ombra della nuova alleanza, ed in seconda istanza Lupicino viene
equiparato al Profeta.
[12]
Eugendo è abate di Condat nel tempo dell'Autore della
Vita (cfr. Introduzione). Il
particolare apprezzamento dell'Autore risulta evidente dalla frase "pueritia
beatae indolis", come in 1 Re 11,28 a proposito di Geroboamo, in 1
Cr 12,28 a proposito di Zadok ed in Sap 8,19 a proposito di Salomone.
Vedere anche i paragrafi 121-123 riguardo al segno precoce della
speciale elezione di Eugendo.
[13]
L’affinità letteraria mostra il rapporto con Rufino,
Historia
monachorum
7, dove l’autore racconta due miracoli compiuti dal monaco Apollonio.
[14]
I paragrafi 72-77 mostrano l'arte di conduzione dell'abate Lupicino.
Secondo la terapia qui presentata, si tratta di un monaco malato di una
paralisi psicogena che Lupicino guarisce con la chinesiterapia, ovvero
con l’esecuzione di lenti movimenti di ginnastica medica, insieme con la
necessaria istruzione spirituale.
[15]
Stando al paragrafo 67 anche Lupicino si accontentò di tali alimenti;
tuttavia, egli fu sempre all’altezza di questo tipo di ristrettezze. Nel
monaco malato viene superata la capacità personale. - Nella
Regula Magistri 23,34-37 e 25,
la raccolta e il consumo delle briciole è un’usanza rituale.
[16]
Richiamo a Sulpicio Severo, Dial.
I,4: "impositis in terram vervecum pellibus" come base per sedersi nella
cella di un monaco della Cirenaica.
[17]
Lupicino convinse il fratello ad un pasto tonificante, mangiandolo anche
lui insieme. L'adeguamento del "sano" al "malato" è un mezzo popolare di
guida spirituale degli uomini. – Secondo Tommaso di Celano, per esempio,
Francesco d’Assisi: “Una volta venne a conoscenza che un frate ammalato
aveva desiderio di mangiare un po' d'uva. Lo accompagnò in una vigna, e
sedutosi sotto una vite, per infondergli coraggio, cominciò egli stesso
a mangiarne per primo” (Vita
Seconda di san Francesco d’Assisi, 176); una storia simile al
paragrafo 15 con la spiegazione del Santo: "
La carità vi sia di esempio, non il cibo, perché questo soddisfa la
gola, quella invece lo spirito". - Il riferimento alla "Regola" non
fornisce informazioni sulla Regola esattamente seguita a Condat: è la
tradizione monastica in generale che obbliga all’obbedienza
incondizionata.
[18]
Il confronto tra il corpo umano e l'asino è diffuso nella letteratura
ascetica. L'asino è considerato animale lussurioso-istintuale e diventa
il simbolo del corpo umano. – Anche qui si può di nuovo ricordare San
Francesco d'Assisi che parla del suo corpo come di "Frate Asino"
(Tommaso da Celano, Vita Seconda 116; 129).
[19]
Lupicino ha riconosciuto la vera causa della malattia: si trattava di un
falso zelo ascetico che era nato dall’orgoglio egoistico.
[20]
Gli Antichi identificavano tutto il grande, il bene ed il divino con la
destra, il piccolo, il male ed il demoniaco con la sinistra. Per la
continua influenza nel cristianesimo vedere. Otto
Nußbaum, Die Bewertung von Rechts
und Links in der römischen Liturgie
(La valutazione di destra e sinistra nella liturgia romana) = Jahrbuch
für Antike und Christentum, 5, 1962, pag. 158-171. La
Vita porta avanti il confronto
con l’ascesi monastica e prevede il rispetto della "via Regia", un tema
tradizionale della letteratura ascetica, che ha la sua origine nella
citata "via Regia" in Num 21,22. Spiritualmente interpretata a partire
da Filone di Alessandria (come l'immagine della retta via verso Dio), da
Clemente di Alessandria e da Origene viene considerata ai fini della
dottrina di perfezione cristiana. Giovanni Cassiano dipende da loro (ad
esempio De inst. 11,4 ; Conl 2,16;
4,12; 6, 11; 24, 14-25). Negli
Apoftegmi dei Padri se ne può trovare un riferimento in
Poemen 31: “In verità, digiunavo anche tre e quattro giorni e una
settimana intera. I padri, che erano capaci, hanno provato tutte queste
cose, e hanno trovato che è bene mangiare ogni giorno, ma poco; e ci
hanno tramandato la via regale, che è leggera”.
[21]
Come nell'altra Vita, quella di Romano, appare qui di nuovo la convinzione che un
potere di guarigione può essere trasferito agli oggetti.
[22]
Riguardo al posto per dormire di Lupicino vedere i par. 65-66.
[23]
Il monaco, prima di lasciare il monastero per andare in viaggio al
servizio della comunità, si raccomanda alle preghiere di tutti i
fratelli e dell'abate, secondo RB
67,1. Invece secondo la Regula
Magistri 57,23 la preghiera di intercessione (valem
facere) è fatta nell'Oratorio come qui nella
Vita.
[24]
Il "Limes Paradisi" è il perimetro del monastero. Equiparare il
monastero (la cella del monaco) con il Paradiso è di nuovo un tema
tradizionale della letteratura monastica. È il risultato dell'idea che
l'ascetismo vuole ristabilire la condizione del Paradiso prima della
caduta dei progenitori.
[25]
L’Autore impiega raramente, per designare l’abate, la parola
senior (anziano), e solo in
questi racconti che riguardano san Lupicino.
[26]
Secondo questa indicazione di tempo e secondo l’intenzione espressa nel
paragrafo 62, ora vuole solo riferire sugli eventi posteriori alla morte
di Romano (nell’anno 460); questo fatto sgradevole doveva aver avuto
luogo all'inizio del governo di Lupicino. La morte di Lupicino è
comunemente ammessa nell’anno 480.
[27]
Come esempio di questa "dottrina del peccato" si veda l’apoftegma
Poemen 182: "Un fratello
chiese ad Abba Poemen, “Padre, vi erano due uomini, uno era monaco e
l'altro secolare, una sera il monaco pensò di gettare l'abito la mattina
dopo, e l’altro pensò di diventare monaco. In quella notte entrambi
morirono. Come saranno giudicati?” E l’anziano rispose: "Il monaco è
morto da monaco ed il secolare da secolare, perché se ne sono andati
come erano".
[28]
Secondo una rigorosa pratica monastica (ad es. RB 58,28; RM 89,83-87)
Lupicino avrebbe dovuto rimproverare e punire i due monaci
pubblicamente. Il comportamento di Lupicino adempie un’istruzione per
l'Abate come stabilisce la Regula Benedicti 46,6, secondo la quale
l'abate può curare le ferite altrui, senza svelarle e renderle di
pubblico dominio.
[29]
L'abate come "medicus" è
particolarmente sottolineato da Benedetto (RB
27,2; 28,2); anche nella Regola del Maestro l'immagine è famigliare (ad
esempio, 14,12; 15,19) - La disciplina monastica e la direzione
spirituale dall'abate possono essere ampiamente intese come medicina
spirituale, come arte della guarigione. L'autore segue nella
terminologia probabilmente un cliché, ma con ciò intende sottolineare il
particolare potere e l'arte di Lupicino nella gestione delle risorse
umane.
[30]
L'episodio descritto mostra la conoscenza dell'autore della psicologia
spirituale. Lo sfondo reale della narrazione può essere l'esperienza di
fratelli che hanno effettivamente lasciato il monastero sulla base delle
motivazioni indicate. Secondo la
Regulae fusius tractatae cap. 36 di Basilio, un monaco può ad
esempio lasciare una comunità monastica molto corrotta.
[31]
Il fuggiasco si recò a Tours presso la tomba di S. Martino, motivo per
cui l'autore, per inciso, può nuovamente parlare della venerazione di
Martino nel suo monastero.
[32]
Come nelle altre Vite i Demoni
sono nascosti e si annunciano ad alta voce. Così, il monaco si riconosce
come una vittima dei Demoni. Il monaco illuso dal Demone come "vehiculum"
del Diavolo è una descrizione plastica dello stato in cui colui che
soccombe è dominato dal diavolo, come un veicolo dal suo conducente o
come un cavallo da parte del suo cavaliere. - Origene, in
Ex. Hom. VI 2, applica
l'immagine a Giuda: Prima del tradimento Giuda era un cavallo e aveva
Cristo come cavaliere, poi Satana diventò il suo cavaliere (adscensor) e lo guidò contro il Signore.
[33]
L'autore rimane sulla stessa immagine. Egli qui chiama Satana il "sessor
antiquus".
[34]
Ha cacciato il demone con un soffio (exsufflans):
un’espressione di disprezzo per il diavolo, che è anche entrata nel
rituale del battesimo cristiano.
[35]
Si può interpretare la parola “giudici” sia in un senso generale (coloro
che apprezzavano la condotta di Lupicino), sia in senso stretto, ciò che
è più probabile, dato che si parla di un suo sollecito in favore di
gente infelice.
[36]
Come Costanzo di Lione rivela in Germano un vescovo nel ruolo del
"difensore", così la Vita parla ora dell'abate in questo ruolo. (Cfr. L'opera di Costanzo
intitolata "Vita di Germano
(vescovo) di Auxerre" in Gallia tra il 418 ed il 448).
Un'indicazione della crescente importanza di un abate al di fuori del
suo monastero.
[37]
Il contesto sembra indicare che si tratta di un dignitario Gallo-romano.
[38]
Chilperico I, re semi-leggendario dei Burgundi (morto nel 480 circa).
Era il fratello del re Gundioco e quindi probabilmente un figlio di re
Gundicaro. Chilperico I fu coreggente assieme al fratello; nel 457,
quando il fratello era ancora vivo, era presentato come il re, con la
sua residenza a Ginevra. Come governatore militare e civile era al
servizio di Roma. L'autore lo caratterizza come favorevole e benevolo,
ciò che è coerente con altre testimonianze, anche se era ariano. Cfr.
Ludwig Schmidt, Storia dei
tedeschi dell'Est, Monaco 1941.
[39]
"Nonne tu es ille ... inpostor, qui ante hos ... annos", una
sorprendente allusione letteraria ad Atti 21,38 (“Nonne tu es Aegyptius
qui ante hos dies tumultum concitasti “- Paolo davanti al tribunale di
Gerusalemme).
[40]
Il procuratore vuole probabilmente con questa accusa alludere al fatto
che Chilperico, sebbene funzionario romano, si preoccupa soprattutto dal
suo stesso popolo. Quel "certo personaggio" sarebbe quindi annoverato
nell'aristocrazia gallo-romana, che ancora credeva all’ "eterna Roma ".
[41]
In questa veemente replica il santo non nega i propositi mantenuti già
da tempo; egli li esplicita: la catastrofe da lui predetta interessa
essenzialmente l’aristocrazia fondiaria gallo-romana, le cui estorsioni
hanno attirato su di essa un castigo divino, l’espropriazione dei grandi
a profitto degli occupanti. Questa interpretazione teologica delle
invasioni si ritrova altrove, in particolare da un contemporaneo di san
Lupicino, il prete Salviano di Marsiglia. Si veda il suo
De Gubernatione Dei IV,12, dove vi è un raffronto fra i vizi dei
Romani e le virtù dei barbari portato allo scopo di dimostrare come la
Provvidenza agisca attraverso i secondi per punire i vizi dei primi.
[42]
Un tipico eufemismo per il reale trasferimento di potere dai Romani ai
Germani. La formulazione ricorda Sidonio Apollinare,
Ep. VII 9, dove "principes
purpurati" e "iudices pelliti"
sono contrapposti.
[43]
Gli uncini, in latino uncus, erano utilizzati dai romani per trascinare
i prigionieri sulle Scale Gemonie, vicine al carcere, e gettarli nel
Tevere.
[44]
Agrippino fu “Magister militum”, ovvero maestro dei soldati, in Gallia almeno dal
452. Nel 458 fu destituito dall’imperatore Maggioriano (457-461) e
ritenuto responsabile di aver favorito i barbari. Dopo l'assassinio
dell'imperatore nel 462 fu nominato ancora “Magister
militum” e si alleò con i Visigoti contro Egidio. La descrizione
dell'Autore si adatta a stento ai fatti reali.
[45]
Egidio, un comandante militare romano in Gallia, era molto amico
dell'imperatore Maggioriano. Dopo il suo assassinio, ha rifiutato il
governo di Libio Severo (461-465), succeduto a Maggioriano, cercando di
rovesciarlo. Dopo che questo piano fallì, si costruì la sua propria
posizione di potere nel nord della Gallia, indipendente dal governo
nazionale.
[46]
La Vita si riferisce all’incriminazione di Agrippino dell'anno 458; ma
mescola gli eventi che riguardano Egidio dopo il 462 e la conseguente
riabilitazione di Agrippino. Così si può ben scrivere a favore di
Agrippino e contro Egidio. Martine, in “Vie
des Pères du Jura” - S.C. 142, pag. 445, commenta: "L'amico di un
santo non è necessariamente lui stesso un santo."
[47]
Questo gesto si spiega così: costituendosi garante della buona fede di
Egidio, sa Lupicino contratta una specie di impegno nei confronti di
Agrippino; è un nuovo legame che si stabilisce tra i due amici. In
questo modo, il miracolo compiuto da sa Lupicino sarà un modo di
soddisfare ai suoi obblighi di garante.
[48]
L'idea della fervente preghiera è una preoccupazione particolare
dell'autore. Vedere il prologo, paragrafi 68-70; 81; 90; secondo
Sulpicio Severo, Dial. III
14,3-6 Martino pregò e digiunò in un caso particolare: "si ritirò nella
sua cella, dove rimase a pregare ed a digiunare per sette giorni e sette
notti, e da dove ne uscì soltanto dopo che il Signore gli accordò ciò
che si era incaricato di chiedere."
[49]
Ricordando Pietro in carcere: Atti 12,6-7.
[50]
Agrippino cercava la Basilica di San Pietro; era quella basilica a
cinque navate, che fu costruita circa nel periodo dal 330 a dopo la metà
del IV secolo sopra la tomba dell'Apostolo.
[51]
Forse quegli edifici nella basilica costantiniana, che il
Lib. Pont. 1, Pag. 239,
attribuisce a Papa Leone I (440-461). Si pensi al paralizzato Servulo
che san Gregorio Magno ci mostra mentre passa tutta la sua vita “sotto
il portico che conduce alla chiesa di San Clemente” a Roma (Hom
XV in Ev, 5)
[52]
L’Autore della Vita insiste
volentieri sugli effetti spirituali dei miracoli (cfr. par. 49); in
questo caso si è compiuta una vera conversione nell’anima di Agrippino:
la sua liberazione ha avuto anche un significato soprannaturale.
[53]
Il soldo o solido, in latino “solidus”, è stato introdotto come unità
monetaria in tutto l’impero da Costantino il Grande, che divenne
imperatore nel 324.
[54]
Il dialogo del romano esprime bene la paura opprimente delle invasioni
barbariche. Questa paura spiega anche la rapida condanna di Agrippino
(par. 100) e, più oltre, il rapido cambio di opinione della folla, del
senato e dell’imperatore a favore di questo personaggio (par. 109-110).
[55]
Agrippino è temuto a causa del suo valore, del suo prestigio presso i
Barbari e della sua politica fondata sull’alleanza con loro.
[56]
Ecce ich sum ego Agrippinus
è una reminiscenza della frase rivolta al demonio da parte di
sant’Antonio: Ecce hic sum ego
Antonius (PL 73, 131 D)
[57]
Il fratello al timone (della Comunità), cioè il suo coabate, è Minauso,
che è stato designato da Romano e Lupicino al monastero di Condat come
abate ed ora governava con Lupicino (abate a Laucone) le due comunità;
confrontare il seguente par. 132.
[58]
Una ricorrente critica che si trova nella letteratura monastica
primitiva nei riguardi della presente desolante situazione e costruita
sull'antitesi tra passato e presente. Che i monaci vadano a cavallo è
ovviamente una novità degli ultimi tempi, con cui l'autore non si è
ancora adattato.
[59]
Confrontare questo atteggiamento con la modestia e la discrezione di san
Romano, in particolare in occasione di miracoli. Cfr. La vita di Romano,
ai precedenti paragrafi 43; 46-50.
[60]
L'anonimo rammenta sia San Paolo: l'anima è un tempio di Dio (1 Cor
3,16), sia una celebre scena del Vangelo: Gesù che caccia i venditori
del tempio (Mt 21,12); la scena dei venditori è così trasportata sul
piano della vita interiore: non è soltanto in un tempio materiale, ma
nel tempio del cuore che il commercio è vietato. Si aggiunge inoltre una
precisazione interessante: mentre Gesù quel giorno si è mostrato più
indulgente per i mercanti di colomba che per i cambiavalute (Gv
2,15-16), mostrerà uguale severità per i nuovi mercanti di colombe, cioè
i cristiani che fanno commercio dei beni spirituali. È la simonia che
qui viene considerata. Un'esegesi simile non era nuova. Ecco per esempio
un passaggio del sermone di Sant'Agostino a proposito di Simone il mago:
" Ma il Signore cacciò dal tempio coloro che vendevano le colombe, dove
la colomba raffigurava appunto lo Spirito Santo. Ebbene, Simone voleva
comprare la colomba e vendere la colomba; ma il Signore Gesù Cristo, che
aveva dimora in Pietro, gli si avvicinò e col flagello fatto di corde
cacciò via l'empio mercante" (Esposizione sui Salmi 130, 5).
[61]
La successione è a sua volta disciplinata dalla designazione. Per il
monastero di Condat, Lupicino può effettivamente non aver nominato un
nuovo abate, dal momento che governava ancora Minauso, insediato da
Romano e Lupicino.
[62]
Confrontare il precedente paragrafo 66.
[63]
L'autore fa un ingegnoso avvicinamento tra la situazione di san Lupicino
nel tempo e la sua situazione nello spazio, ovvero la posizione della
sua tomba. Questa nota si accorda molto bene con la topografia: S.
Lupicino occupa approssimativamente il sommo di un triangolo isoscele
abbastanza appiattito i cui due altri angoli corrispondono l'uno a Saint
Claude, a est, e l'altro a San Romano a sud-ovest. Tutte e tre le
fondazioni monastiche conservano quindi una santa spoglia come garanzia
del mantenimento della vita monastica e della protezione divina. Per
Romano cfr. il precedente paragrafo 61 e per Eugendo il seguente 178.
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aprile 2015
a cura di
Alberto "da
Cormano"
alberto@ora-et-labora.net