La vita dei Padri del Giura: Romano, Lupicino e Eugendo
INTRODUZIONI
- I PADRI DEL GIURA ED IL MONACHESIMO DEL LORO
TEMPO
a cura di
Adalbert De Vogüé,
OSB
Libera traduzione dal tedesco dell’introduzione estratta da
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La vita dei Padri del Giura - con il suo titolo completo "La vita e la
Regola dei Santi Padri Romano, Lupicino e Eugendo, abati dei monasteri del
Giura" - è l'opera di un autore anonimo. Tutte le
intense ricerche non ci hanno illuminato su questo anonimo. Un'attenta lettura del testo porta, comunque, a diverse
tracce dell'autore. Il biografo scrive con una buona conoscenza del luogo, delle condizioni di
vita e delle particolari vicende del suo oggetto. Ciò porta alla
conclusione che lui stesso abbia vissuto in uno dei monasteri del Giura. Il modo particolare con cui l'autore racconta dell'ultimo abate Eugendo, ci
spinge ad una determinazione più precisa del suo lavoro biografico. Dovrebbe essere
stato scritto dall'interno delle comunità monastiche, poco dopo la morte
dell’abate Eugendo, intorno al 520. Il tempo
del racconto delle tre vite degli Abati copre poi un periodo di
quasi 90 anni (Romano si ritirò nel Giura intorno al 453), dei quali gli ultimi
30 sono stati vissuti anche dall'autore. François Martine, che ha curato l'edizione critica
delle Vite (vedere "Vie des Pères du Jura" - Sources Chretiennes 142 - Paris
1968), attribuisce il tempo intorno al 490 come data d'ingresso dell'autore
nel monastero del Giura, pensando ad un’entrata del medesimo come "puer oblatus".
1)
Tale fase di studio delle Vite, che l’autore ha situato
in età carolingia, potrebbe essere
ormai definitivamente
terminata.
2)
Per questo motivo
il valore della testimonianza
dell'ultima Vita è considerato molto elevato. I sei decenni
precedenti non possono essere descritti dalla sua diretta esperienza e qui l'autore è solo l'ascoltatore e raccoglitore della
tradizione orale sopravvissuta. Tuttavia, la compattezza di una comunità monastica unita alla preoccupazione
per la fedeltà ai primi periodi, meticolosamente mantenuta in tale ambiente, ed
il tipo del racconto consentono di attribuire un elevato grado di credibilità
anche per le due vite di Romano e Lupicino. L'autore scrive, naturalmente, come un agiografo, più
per edificare che per informare, ma i tipici lineamenti agiografici non
sono così stereotipati come in altri testi agiografici, dove facilmente, secondo
il noto schema di pensiero “come probabilmente sarebbe potuto essere” avrebbe
potuto semplicemente riempire le lacune esistenti. L'autore certamente conosceva i più importanti testi
monastici, come la Vita Antonii di Atanasio nella sua forma latina, la Vita Martini di Sulpicio Severo, l’Historia monachorum
nella versione di Rufino e altre serie di scritti della
tradizione dei padri. Però, ne ha usato saggiamente e senza cadere nel pericolo di
scivolare nel cliché agiografico. Nel suo modo di scrivere l’autore rivela una capacità letteraria anche se, con questo testo,
siamo lontani dal latino di Cicerone ed anche dalla potenzialità di Sulpicio
Severo e di Costanzo di Lione. Ma la
Vita patrum jurensium
è una notevole testimonianza della latinità del 6° secolo ed anche dell'educazione monastica di quel tempo. Allora, in
base alla ricostruita biografia dell'autore, egli può aver
acquisito le sue conoscenze letterarie e storiche solo nella comunità monastica.
La grande storia del mondo appare nelle biografie dei
tre abati, ovviamente, solo di passaggio. Comunque,
sentiamo tra le righe la dissoluzione dell'Impero Romano; sono menzionate le
unità amministrative romane e la relativa burocrazia, ma anche le tribù
germaniche
che premono sulla vecchia Gallia segnando una nuova era, sono già percepibili. La valutazione del cambiamento non è uniforme: denuncia la rovina e la
rassegnata disperazione, ma anche il riconoscimento di nuove opportunità per il
futuro, interpretando le tempeste barbariche come un meritato flagello di Dio
per il fallimento e le carenze del potere romano. La
Vita patrum jurensium
si incrocia in questa diagnosi del suo tempo con altri scrittori
ecclesiastici, in particolare con il De gubernatione Dei di Salviano di Marsiglia.
3)
La Vita rende un discreto contributo alla storia della
Chiesa nelle sue osservazioni sulla posizione ecclesiastica del vescovo di Arles
e sulle persone coinvolte nella disputa per questa posizione.
4)
Inoltre, la
Vita ci permette di conoscere anche il ruolo politico dei funzionari della
chiesa, che questi maturano nella situazione storica mutata ed anche da loro
assimilata. Oltre a ciò la Vita ci concede, come le vite di Martino
e Germano, di farci un’idea rivelatrice della vita e della pietà cristiana dei
Galli.
La testimonianza fondamentale della
Vita risiede certamente nelle sue attestazioni circa le origini del monastero di Condat,
oggi Saint Claude nel Giura francese. E’ un documento
di prim'ordine come prima ed ampia relazione contemporanea sull'origine e lo
sviluppo iniziale di questo centro monastico. Il valore del messaggio è ulteriormente accresciuto,
dato che non possiamo fornire nessun documento equivalente a confronto della
Vita sugli inizi di Condat e sino ad ora nemmeno le prove archeologiche
potevano essere utilizzate per integrare il messaggio letterario.
5)
Le poche testimonianze sugli inizi del monastero di
Condat - una nota in una lettera di Sidonio Apollinare datata circa nel 470 (Ep
IV 25) e una lettera del vescovo Avito di Lione al prete e monaco Vivenziolo del Condat (Ep 17.) – permettono di dire che
gli inizi del Condat non sono facilmente rappresentabili. Le notizie di
Gregorio di Tours sugli abati fondatori Romano e Lupicino (De Vita patrum
I)
datano del periodo 585 - 590 e trasmettono poche altre testimonianze, la cui
origine non può essere determinata. Come prime informazioni rimangono in vigore
solo le tre biografie. La storia e le tradizioni dell’importante monastero
medievale benedettino di Saint Claude – il monastero originario di Condat, dopo
la morte dell'abate Eugendo
(Oyende),
prese il nome di Saint Oyend e nel
Medioevo, dopo la morte dell’abate Claude nel 700, fu rinominato di Saint
Claude – non sono utili per gli studi sugli inizi del monachesimo nel Giura.
Libera traduzione dal francese dell'introduzione estratta da
"Vie des Pères du Jura" a cura di François Martine -
Sources Chrétiennes 142 - 1968
Quando, verso il 435, san Romano, nuovo Antonio, si ritira
nel «deserto» del Giura per condurre
una vita di rinunce e di preghiera, il monachesimo è già in gran parte diffuso,
o almeno rappresentato, in Occidente. Imitando ed adattando più o meno il genere
di vita dei monaci orientali, laici o chierici, sia isolati, sia raggruppati,
sia organizzati in comunità, cercano, mediante l’ascesi, di giungere alla
perfezione evangelica. In Gallia, i monasteri più famosi e più influenti sono da
un lato quelli di san Martino, il primo dei quali risale al 361 (il monastero ha
sede nell’Abbazia di Saint-Martin de Ligugé ed è ancora in attività. Ndt),
dall’altro sono quelli del Sud-Est, più recenti, in pieno periodo d'espansione e
d'irradiazione: in particolare Lérins fondato verso il 400 da san Onorato ed i
due monasteri di Cassiano a Marsiglia. Le comunità provenzali sembrano essersi
molto presto diffuse verso il nord, o per lo meno il loro esempio fu imitato
fino nel territorio di Vienne (dipartimento francese attraversato dal fiume
Vienne e con capitale regionale Poitiers. Ndt) e di Lione.
Ma, verso il 435, il
monachesimo non era ancora penetrato nella Sequania (cioè l'odierna Franca
Contea e parte della Borgogna. Ndt). È circa in questa data che un certo Romano,
originario di questa provincia, che conosce per esperienza un monastero lionese
e che ha lungamente maturato la sua vocazione personale (aveva trentacinque
anni), lascia il suo territorio e la sua famiglia e scopre nelle foreste e nelle
valli del Giura un luogo favorevole alla sua professione. Si fissa vicino alla
confluenza di due fiumi 1), sulla futura posizione della città
di Saint-Claude 2).
La notorietà dell'eremita finisce per
spargersi ed attira inizialmente presso lui suo fratello Lupicino e poi
discepoli sempre più numerosi. Romano e Lupicino diventano i
Padri di
questa colonia di anacoreti, ai quali si aggiungono dei secolari e dove la vita
comunitaria si organizza poco a poco. Questo primo monastero, chiamato
Condadisco, si espande inizialmente
nell’immediata vicinanza, quindi in regioni più distanti. È già un centro
importante alla morte di san Romano, verso il 460; Lupicino, che gli succede nel
governo di
Condadisco, usufruisce anche
di un grande prestigio, tanto da non temere un'incontro con il re dei Burgundi,
Chilperico. Ma è l'abate Eugendo (in francese Oyend: vedere nota
3) del testo
originale: Ndt) (dal 490 circa fino all’intorno del 510) che darà al monastero
la sua piena espansione, mettendo a punto la regola e sostituendo le costruzioni
primitive, che un incendio aveva distrutto, con edifici nuovi perfettamente
adattati alla vita comunitaria.
Su questi primi 75 anni del Condat (così si traduce di solito Condadisco), abbiamo il vantaggio di possedere un resoconto dettagliato, vivo e pittoresco e molto circostanziato su alcuni punti: la Vita Patrum Jurensium. Questa non presenta soltanto le principali virtù e gli atti dei tre Padri, Romano, Lupicino, Eugendo; offre, inoltre, molte informazioni interessanti (ed alcune sono introvabili altrove) sulla vita monastica nel V° secolo e sulla Gallia nella stessa epoca. È un documento tanto più allettante per lo storico, dato che il suo autore afferma di essere il discepolo di san Eugendo e di avere utilizzato, per la sua relazione, le confidenze di questo abate, i racconti dei monaci anziani, come pure le proprie osservazioni. Aggiungiamo che dal punto di vista letterario, la Vita Patrum Jurensium è allo stesso tempo caratteristica dell'agiografia monastica, e presenta una connotazione originale fra molte altre Vitae Patrum per il contenuto e per la forma.
Ma una questione preliminare si
pone: questo anonimo scrittore è così antico come pretende di essere?
Quest'opera non sarebbe la compilazione o l'invenzione di un autore tardivo?
Bruno Krusch, alla fine del XIX° secolo, lo ha affermato con tanta sicurezza che
noi dobbiamo riprendere, all’inizio di questo studio, il problema
dell'autenticità della Vita Patrum Jurensium.
Termine del capitolo, pag 44.
In conclusione, nessuna delle molte obiezioni accumulate
da Krusch contro l'autenticità del V.P.J. resiste all'esame. A volte i fatti che
invoca sono manifestamente falsi, o almeno molto incerti; altre volte, da fatti
esatti, trae conclusioni affrettate ed abusive.
Al termine di questa lunga confutazione della tesi di Krusch, noi diremo che non c'è ragione di dubitare della sincerità dell'Anonimo quando afferma di essere il contemporaneo di san Eugendo.
Ammesso ciò, è possibile
chiarire un po' il mistero dell'anonimato e, d'altra parte, fissare, almeno
approssimativamente, la data della
V.P.J.
e le circostanze della sua redazione?
“L’autore e la data„
Termine del capitolo, pag 57.
Questi dati permettono di
essere certi che si possa, senza grande rischio d'errore, fissare la redazione
della V.P.J.
intorno all'anno 520; sarebbe dunque tutt'al più posteriore di dieci anni dalla
morte di san Eugendo.
Note
1)
Questi due fiumi non sono nominati nella Vita Patrum Jurensium: si chiamano oggi
la Bienne ed il Tacon.
2) Circoscrizione amministrativa del dipartimento del Giura. Dotata di un
passato ricco, questa città si è chiamata molto a lungo Saint-Oyan-de-Joux (dal
nome dell'abate Eugendo (Oyend), il terzo dei “Padri del Giura„). Il nome
attuale è quello di un abate del VII° secolo, il cui culto, estremamente
popolare a partire dal XII° secolo, attirò in questa città numerosi e famosi
pellegrini.
3) Questo nome proprio si
presenta anche sotto altre forme molto variate; citiamo in particolare Oyan,
Oyant, Ouyan, Héand, Eugende. Noi lo scriviamo “Oyend„ pur conservando
l'ortografia più tradizionale “Saint-Oyan„ per designare l'abbazia e la città
alle quali il santo diede il suo nome.
ED IL MONACHESIMO
CONTEMPORANEO DEI LORO GIORNI
di Adalbert De Vogüé, OSB
Libera traduzione dall’inglese dell’introduzione estratta da
"The
lives of the Jura Fathers”
– Cistercian Publications 1999
In primo luogo, considereremo la breve legislazione di
Lérins, quindi le opere di Cesario di Arles ed infine le due estese Regole
italiane del VI° secolo.
LE
REGOLE DEI PADRI (TRADIZIONE DI LERIN)
Verso la conclusione della
Vita dei Padri del Giura
il monastero di Lérins è nominato due volte ed ogni volta con l’aggettivo
lirinensis.
Nel primo passaggio (par. 174) l'agiografo giustappone le osservanze del Giura,
che ci ha appena delineato, con quelle descritte da quattro autori (o gruppi di
autori) riuniti nell'ambito della classificazione “orientale”: san Basilio; “i
santi padri di Lérins”; “San Pacomio, l'antico abate dei siriani [sic]” ed
infine “il venerabile Cassiano”, identificato come il più recente.
Il nostro interesse in questo repertorio è duplice. In
primo luogo dobbiamo notare l'inclusione dei “padri di Lérins” in una lista di
autori “orientali”. Basilio è situato correttamente in Cappadocia; il Copto
Pacomio è collocato erroneamente nel mondo siriano; per quanto riguarda
Cassiano, è ben noto che ha scritto in Gallia e per i Galli, ma nelle sue
Istituzioni
e
Conferenze
si riferisce costantemente al monachesimo palestinese e particolarmente a quello
egiziano. Questi tre scrittori certamente meritano di essere considerati come i
portavoce per i monaci dell'est.
Di conseguenza, è chiaro che i “padri di Lérins”, gallici
come Cassiano, hanno loro stessi fondamentalmente qualcosa di “orientale” che
permette di paragonarli ai loro tre colleghi. Chi sono poi questi
sancti lirinensium patres?
Con ogni probabilità sono gli autori di quella che è chiamata la “Regola dei
Quattro Padri”, vale a dire “Serapione, Macario, Pafnuzio ed il secondo
Macario”. Questi abati con i nomi egiziani danno un sapore orientale ad un testo
scritto in Latino. Questa breve Regola è probabilmente la legislazione che ha
costituito la base del monastero di Lérins, promulgata intorno 400-410 dai
fondatori della comunità: il Vescovo Leonzio di Frejus, l’anziano monaco
Caprasio ed il primo superiore, Onorato.
Questa testimonianza dell'anonimo autore del Giura è in
effetti una delle prove principali che ci permette di identificare con grande
certezza la Regola primitiva di quella celebrata istituzione cenobitica. Lo
stesso testo, oltre al cospicuo servizio che rende alla storiografia, offre una
caratteristica notevole: i “padri di Lérins” sono là collegati in un modo
speciale a san Pacomio. Questo collegamento stabilito fra la Regola leriniana e
la Regola pacomiana è a sua volta una parte della prova che suggerisce di
situare nel Giura un altro documento del cenobitismo latino che, in modo
parallelo, combina estratti da Pacomio con testi leriniani: la “Regola
Orientale”
(Regula Orientalis).
Ma questo nuovo risultato compare soltanto se esaminiamo un altro passaggio
della
Vita
che cita Lérins: la conclusione.
In questo ultimo
paragrafo, una specie di epilogo, (179) l'autore anonimo dice che
l’abate-sacerdote di Lérins, un certo Marino, gli chiese di pubblicare, ad uso
del monastero di Agaune, alcune “Istituzioni” che potrebbero aiutare nella
“formazione” di quell'istituzione cenobitica molto recente. Secondo le regole di
modestia letteraria osservate dagli antichi, questo documento informativo -
descritto come qualcosa di “eccezionale” - può soltanto essere l’unione di testi
presi in prestito in cui il nostro autore soltanto svolge il ruolo del
compilatore.
Che cosa è poi questa raccolta di
Instituta
che il nostro monaco dal Giura ha spedito ad Agaune con la
Vita?
La raccolta delle Regole monastiche antiche riunite da Benedetto di Aniane
intorno all'anno 800 contiene una collezione anonima, la “Regola Orientale”,
bene in grado di essere il documento che stiamo cercando. Un primo indizio che
punta in questa direzione è il titolo stesso: il nome “Orientale” è rievocativo
di quello che il nostro autore ha prima dato all'insieme di Padri che ha citato.
Ma la “Regola Orientale” è un'antologia di testi pacomiani combinati con altri e
in essa vi riconosciamo una serie di prestiti dalla leriniana “Regola dei
Padri”. Probabilmente pubblicati a Lérins personalmente dall’Abate Marino,
questi testi non-pacomiani della “Regola Orientale” si uniscono con gli estratti
da Pacomio, esattamente come i “santi padri di Lérins” sono stati associati con
“san Pacomio, l'antico abate dei Siriani”, nella lista delle autorità
“orientali” citate sopra.
L'autore della
Vita dei Padri del Giura
sembra effettivamente aver composto la “Regola Orientale” per l'uso dei monaci
di Agaune, a cui l’ha inviato con la
Vita.
Questa ipotesi è confermata da un passaggio della
Vita
che ci fornisce una considerazione riguardo a due ordini dati dall’Abate Eugendo
ai suoi monaci: “secondo la Regola dei Padri” nessun fratello può avere contatto
con ospiti laici, neanche con quelli che appartengono alla sua famiglia, senza
permesso; inoltre ogni monaco dove consegnare all'abate o all'amministratore
tutti i doni che ha ricevuto dai suoi parenti. Effettivamente, queste due
prescrizioni possono essere trovate, nello stesso ordine ed in parte negli
stessi termini, al centro della Regola Orientale.
LA
VITA
E LA REGOLA DI CESARIO DI ARLES
La clausura permanente delle monache, così come la
descrive l'autore del Giura (25-26) è il principio fondamentale che Cesario di
Arles ha stabilito all'inizio della sua
Regola per le Vergini.
La sepoltura di Romano nella basilica delle sorelle (61) è inoltre rievocativa
della sepoltura di Cesario nella chiesa di San Giovanni ad Arles, fra le sue
sorelle.
Parecchie altre usanze nella
Vita
del Giura riappaiono nel monastero di Arles: l'abate
o la badessa mangiano con la comunità, non separatamente (170); i monaci e le
monache dormono in camere comuni (170) mentre gli ammalati hanno diritto a
camere separate (171); ogni lavoro individuale è proibito, così come non ci sono
camere singole e
proprietà personali che si possano chiudere a
chiave (173).
LE
REGOLE DEL MAESTRO E DI BENEDETTO
Nella “Regola del
Maestro”, l'abate, come Romano e Lupicino (115 e 132) designa il suo successore
senza consultare la comunità. Nel caso di Eugendo una cerimonia di benedizione
abbaziale è citata dall'anonimo autore del Giura (135-137). Pensiamo qui ad un
analogo rito che il Maestro descrive e che Benedetto presuppone.
Il dormitorio in comune istituito da Eugendo al Condat
(170) non lo si trova solo ad Arles, come abbiamo appena visto, ma anche in
Italia centrale, nei monasteri del Maestro e di Benedetto. Soltanto la
Vita dei Padri del Giura
ci da una testimonianza sull'istituzione di questo nuovo genere di abitazione,
sostituito da Eugendo alle celle primitive che il cenobitismo aveva conservato
dalle sue origini anacoretiche. Nelle regole del Maestro e di Benedetto il
dormitorio è già una norma stabilita ed indiscussa. Un dettaglio in particolare
collega la Regola benedettina e la
Vita dei padri del
Giura:
una lampada a olio illumina il dormitorio durante la notte.
Benedetto è ancora d'accordo con l'autore del Giura quando
scrive di incoraggiare i suoi seguaci a lavorare nei campi se necessario: “Sono
veri monaci se vivono del lavoro delle loro mani come i nostri Padri e gli
Apostoli”. Allo stesso modo Romano, all'inizio, dice “come un vero monaco ha
lavorato per fornire il sostentamento per se stesso” (10). Non è impossibile che
qui la Regola possa derivare dalla
Vita,
come è stato sostenuto.
Allo stesso modo notiamo che la
parola
scapulare,
che designa un indumento esterno, prima del periodo carolingio la si trova
solamente nella
Vita di Eugendo
(127) e nella Regola benedettina. Ma questa caratteristica comune difficilmente
può essere un prestito letterario preso da Benedetto dall'anonimo autore del
Giura. I due autori attestano semplicemente dell'esistenza di questo indumento
nei loro rispettivi ambienti, il monachesimo italiano essendo stato capace di
prendere ciò in prestito da quello della Gallia.
Su altri due punti la legislazione benedettina somiglia in
modo particolare alla
Vita del
Giura.
In entrambi, fin dall'inizio, accertiamo la presenza di sacerdoti fra i monaci.
Questo sacerdotalismo monastico non è senza i suoi problemi, tanto agli occhi
dell'agiografo (18-21, 132, 151) quanto in Benedetto. Quest'ultimo, tuttavia,
permette senza esitazione l'ammissione dei sacerdoti che diventano monaci e
l’ordinazione dei monaci come sacerdoti o diaconi, ciò che il Maestro
espressamente escluse o nemmeno prese in esame. I monasteri del Giura hanno
sacerdoti (148, 163) e diaconi (52-58) per non menzionare gli abati-sacerdoti
del Condat (18-20) e di Lérins (179).
Un’altra caratteristica, molto meno comune, è la cura
nell’onorare i poveri secolari come pure i ricchi (172). Qui la Regola
benedettina ha ancora qualcosa in comune con la
Vita,
ma senza antecedente nella Regola del Maestro.
Queste comparazioni, che potrei moltiplicare, forniscono
uno scorcio della ricchezza documentaria della
Vita Patrum Jurensium
e della sua importanza in tutta la ricerca riguardo al monachesimo occidentale a
partire dal quinto e sesto secolo. Fra gli scritti di Sulpicio Severo su San
Martino e quelli dei due Gregorio - il vescovo di Tours ed il papa romano - non
c'è testo agiografico che rifletta più chiaramente il mondo dei monaci.
Soltanto, forse, la
Vita di Fulgenzio di Ruspe
del diacono Fernando di
Cartagine, che è leggermente successiva, offre la testimonianza di una qualità
comparabile. Questa biografia del vescovo-monaco contiene, inoltre, una
caratteristica che la collega con la descrizione del Giura: Fernando descrive
due volte coppie di abati su un piano di parità, come Romano e Lupicino (17).
Ruspe ed il Giura, l'Africa e la Gallia: non è la prima
volta che le due regioni, da un lato e dall’altro del Mediterraneo, sono state
così associate. Già la “Regola dei Quattro Padri”, la carta di fondazione di
Lérins, aveva seguito molto attentamente l’Ordo
monasterii
di Alipio ed il
Praeceptum di
Agostino. Ma questo volta, l'ordine è invertito: il grande lavoro di agiografia
monastica gallica precede quello della sua sorella africana. Ad un intervallo di
alcuni anni i due ambienti monastici vengono insieme a celebrare lo stesso
ideale evangelico di rinuncia del mondo per l'amore di Cristo e di “unanimità”
in questa ricerca comune di Dio.
Adalbert De Vogüé, OSB
Abbazia “La Pierre-qui-Vire”
I luoghi nominati nel testo della Vita dei Padri del Giura
Immagine estratta dall'edizione "Sources Chretiennes" citata sopra
Corrispondenza odierna dei luoghi citati
Ritorno alla pagina iniziale sulla "Vita dei Padri del Giura"
Testo italiano e con latino a fronte:
-
VITA DI SAN ROMANO
in lingua italiana -
VITA DI SAN ROMANO in lingua latina con testo
italiano a fronte
-
VITA DI SAN LUPICINO
in
lingua italiana -
VITA DI SAN LUPICINO in lingua
latina con testo italiano a fronte
-
VITA DI SAN EUGENDO
in
lingua italiana -
VITA
DI SAN EUGENDO
in lingua latina con testo italiano a fronte
APPENDICI
- Eucherio di Lione: PASSIONE DEI MARTIRI D'AGAUNE
- Gregorio di Tours: GLI ABATI LUPICINO E ROMANO
- Eucherio di Lione: L'ELOGIO DELLA SOLITUDINE
Per la traduzione dal
latino, non essendo io un esperto latinista, ed essendo il latino di questi
testi non proprio semplice, ho "sfruttato" questi libri:
- la traduzione francese "Vie des Pères du Jura"
a cura di François Martine - Sources Chrétiennes 142 - 1968,
- la traduzione tedesca "Das
Leben der Juraväter Romanus, Lupizinus und Eugendus” – Ed. EOS Verlag Sankt
Ottilien 2011
- e
quella inglese "The lives of the Jura Fathers" - Autori vari -
Cistercian Publications 1999.
| Ora, lege et labora | San
Benedetto | Santa Regola |
Attualità di San Benedetto |
| Storia del Monachesimo |
A Diogneto | Imitazione
di Cristo | Sacra Bibbia |
7 febbraio 2015 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net