Regola di san Benedetto
Capitolo XLIX - La quaresima dei monaci: 1. Anche se è vero che la vita del monaco deve avere sempre un carattere quaresimale, 2. visto che questa virtù è soltanto di pochi, insistiamo particolarmente perché almeno durante la Quaresima ognuno vigili con gran fervore sulla purezza della propria vita, 3. profittando di quei santi giorni per cancellare tutte le negligenze degli altri periodi dell'anno... 5. Perciò durante la Quaresima aggiungiamo un supplemento al dovere ordinario del nostro servizio, come, per es., preghiere particolari, astinenza nel mangiare o nel bere, 6. in modo che ognuno di noi possa di propria iniziativa offrire a Dio "con la gioia dello Spirito Santo" qualche cosa di più di quanto deve già per la sua professione di fede; 7. si privi cioè di un po' di cibo, di vino o di sonno, mortifichi la propria inclinazione alle chiacchiere e allo scherzo e attenda la santa Pasqua con l'animo fremente di gioioso desiderio.
IL SACRAMENTO QUARESIMALE
Estratto da “Verso la luce” di Giovanni Vannucci
Centro di Studi Ecumenici
Giovanni XXIII – 1990
Il tempo del Sacramento quaresimale abbraccia la successione di quaranta
giorni a partire
dal Mercoledì delle Ceneri fino alla domenica
delle Palme. In questo periodo la liturgia è dominata da alcuni temi
fondamentali, cui accennerò brevemente in questa riflessione: il numero
quaranta, le ceneri, il deserto, il diavolo tentatore.
Il numero quaranta
Il numero quaranta è, nel linguaggio religioso, un numero simbolico:
sottolinea la fase critica che precede una trasformazione, il passo avanti
nello sviluppo della coscienza, il compimento di un ciclo e il suo passaggio
a un ordine differente di pensiero, di azione e di vita.
L’alleanza tra Dio e Noè avvenne il quarantesimo giorno del diluvio (Gen 7).
Mosè viene chiamato a iniziare la sua missione nel quarantesimo anno della
sua vita (At 7, 30). Sempre Mosè dimora quaranta giorni sul Sinai prima di
ricevere il Decalogo, e il popolo d’Israele erra quarant’anni nel deserto
(Nm 13).
Il Buddha e Maometto iniziarono la loro predicazione nel quarantesimo anno
della loro età.
Quaranta giorni dopo la nascita, Gesù vien condotto al tempio; vince il
tentatore dopo aver dimorato quaranta giorni nel deserto (Mt 4). La sua
predicazione dura quaranta mesi; la sua risurrezione avviene dopo
quaranta ore di permanenza
nel sepolcro e appare ai discepoli per lo spazio di quaranta giorni (At 1).
I
quaranta giorni della
Quaresima ci sono offerti come un tempo favorevole, un tempo che ci toglie
dalla banalità inserendoci nel tempo dell’anima che dà sapore e senso al
nostro quotidiano vivere. È un tempo di grazia e di ripresa cristiana della
nostra personale esistenza.
Viviamo il Sacramento quaresimale con intensità di partecipazione al dono
che ci è offerto e alla responsabilità che ne segue.
Le Ceneri
Il Mercoledì delle Ceneri segna l’inizio del
Sacramento quaresimale. Sulla testa di ogni fedele viene cosparsa la cenere
e ripetuta la formula: «Ricordati che sei
polvere e alla polvere ritornerai». Gesto
misterioso e formula altrettanto enigmatica.
La cenere di cui veniamo cosparsi è ricavata dai rami dell’ulivo, benedetti
il giorno delle Palme dell’anno precedente. L’ulivo che fu il testimone
dell’estremo patire di Cristo nell’orto del Getsemani; l’albero che cresce
dolorante nella pietraia, che dona un frutto meraviglioso che è nutrimento,
medicina, alimento della luce. L’ulivo è il perfetto simbolo di Cristo, il
cui patire è sorgente di luce, di alimento, di salvezza.
La cenere è il prodotto del fuoco applicato ai rami dell’ulivo. Il fuoco li
brucia, e lascia nella cenere la quintessenza dell’ulivo. In alcune culture,
la cenere di certe piante indispensabili all’alimentazione veniva mescolata
ai corrispettivi semi e gettata insieme nel solco, per ottenere un prodotto
qualitativamente migliore.
La cenere di ulivo che viene posta sulla fronte dei fedeli non è segno di
cordoglio, ma è la rianimazione, attraverso il rito, della nostra vita con
la quintessenza dell'ulivo-Cristo.
È un gesto tendente a renderci più vivamente partecipi delle forze redentive
di Cristo.
La formula:
«Ricordati che sei polvere e alla polvere
ritornerai» va intesa in stretta relazione col
gesto che l’accompagna e che comunica l’essenza dell’ulivo-Cristo
e che dona nuova fecondità al fedele che coscientemente di Lui si insapora.
Essa potrebbe venire così tradotta: «Ricordati
che sei un’essenza spirituale e in Cristo devi risorgere in una realtà
spirituale». In Cristo siamo polvere
destinata a divenire luce, se ne accogliamo le forze fecondatrici in un
gesto di perfetto abbandono, come la zolla che riceve gli elementi atti a
renderla fertile.
La Chiesa, all’inizio del Sacramento quaresimale, ci cosparge con le ceneri
dell’ulivo-Cristo per renderci coscienti del mistero della trasmutazione che
accompagna il nostro quotidiano incontro con il Salvatore.
Il « deserto »
Il « deserto », come luogo dove lo Spirito conduce Cristo perché sia tentato
dal Diavolo, costituisce l’ambiente del periodo quaresimale. Il « deserto »
non è uno spazio geografico, ma una situazione concreta in cui l’uomo viene
continuamente a trovarsi. Nella religiosità biblica il « deserto » è il
luogo prescelto da Dio per provare la fedeltà e la vigoria della fede dei
suoi eletti che, superata la tentazione, raggiungono la statura dell’uomo
vero.
Nell’esperienza religiosa universale, il « deserto » è il passaggio
obbligato di chiunque voglia rispondere alle sue più profonde aspirazioni
umane verso la liberazione nell’Assoluto divino. Esso è contrassegnato dalla
spogliazione di quanto è superfluo nella ricerca della pienezza della vita,
ed è insieme la soglia di una vita differente, di un senso nuovo
dell’esistenza. È l’esperienza di un’incolmabile assenza che rende inquieta
ogni espressione di vita, e rende stabilmente « aperte » le coscienze verso
un « oltre » e un « di più », ove le loro radicali aspirazioni trovino
compimento e pacificazione.
La vita è animata da un fuoco immanente che distrugge implacabilmente le
forme esistenti per crearne delle nuove. Il bocciolo è mosso alla fioritura
dal fuoco animatore che lo rende vitalmente teso dall’assenza del fiore.
L’essere creato è costantemente condotto a un limite di consumazione e di
superamento formale che, una volta raggiunto, crea una nuova forma che, a
sua volta, viene spinta al suo logoramento per dischiudersi a una nuova
conformazione.
La vita è un processo alternato: da un segno positivo passa a uno negativo
per riprendere su un piano di maggiore intensità il segno positivo. La vita
è una successione ininterrotta di vita-morte-vita; un susseguirsi di
oasi-deserto-oasi.
L’anima umana è portata ad aderire tenacemente alla permanenza delle forme,
a respingere la distruzione. Sente la dissoluzione come il male, ed essa è
invece la pulsione dell’incolmabile assenza che prepara nuovi cicli di vita.
II « deserto » è il momento dell’orrore, della tentazione del Diavolo, della
perdita di ogni certezza formale, il momento della rivelazione del non
valore dell’esistenza, dei limiti effimeri dell’io esistenziale e della
verità dell’io essenziale. È il momento della prova estrema, e insieme
quello del risveglio alla voce dell’Essenziale, dell’Eterno che abolisce il
tempo.
Nello sfacelo di tutte le speranze, nella più deserta solitudine, l’uomo
sperimenta le sottili insidie e le angosce dell'horror
vacui (l'orrore del vuoto).
Quando il cuore è saldo, dalla tenebra spunta la visione di una realtà
differente, di una vita più vera: gli angeli scendono e donano il loro pane,
la solitudine si popola, la tenebra si trasforma in luce.
La vita di Cristo è esemplare dalla nascita alla totale spogliazione della
Croce, come accettazione eroica di tutte le separazioni per giungere
all’estasi della consumazione del proprio « io » in Dio. II suo mistero
concerne tutti gli uomini, per essi il passaggio al divino è segnato
dall’esperienza del « deserto », della spogliazione per raggiungere la
vittoria dell’essenza sull’esistenza.
Il « deserto » è il momento del risveglio alla più completa fiducia in Dio,
nella positività della vita, purché l’anima sia vigorosa e forte.
Il Diavolo
Nel « deserto » Cristo e con lui noi uomini incontriamo il Diavolo.
Etimologicamente significa quella potenza misteriosa che attraversa il
cammino verso Dio.
Nella tentazione del deserto l’anima umana viene posta davanti a un bivio: o
aderire tenacemente alla permanenza delle forme rifiutandone la distruzione,
o accettare quest’ultima per avanzare in nuovi orizzonti vitali. Il Diavolo
è il
missus dominicus
che accompagna la nostra vita, per mettere alla prova la nostra volontà di
andare sempre oltre le forme. Quando in esse ci chiudiamo, diveniamo i servi
del Diavolo.
L’opera del Diavolo è essenzialmente un’opera di vessazione, di disturbo. Le
vie attraverso le quali compie la sua vessazione sono quelle mentali: la
fantasia sbrigliata; l’immaginazione non sorretta da una profondità e
rettitudine morale; la memoria tesa a rivangare o ad abbellire il passato;
l’ansia del domani che è una forma assunta dall’immaginazione.
Sottili e multiformi sono le sue vessazioni. Può presentarsi all'immaginazione
con le vesti della bontà, della virtù, della giustizia. Uno che lavora
accanitamente per accumulare denaro, si rassicura che lo fa per provvedere
al domani, alla malattia, alla vecchiaia, e non pensa che è mosso
dall’avarizia. Uno lotta per la giustizia, per i principi morali, convinto
di lavorare per gli alti ideali umani, e non riflette che obbedisce al suo
istinto di potere. Uno si sente impegnato a propagare la fede e non si
accorge di lavorare per l’affermazione di se stesso o delle sue ideologie.
Tutto ciò che lega l’uomo a un interesse terreno,
distraendolo dal suo vero
destino umano, è vessazione diabolica. Si potrebbe dire che il Diavolo è il
risultato della malvagia volontà di tutte le cose, il risultato del non
voler guardare con occhio sereno e libero l’ombra che accompagna ogni nostra
intellezione e volontà di fare. Cristo ci esorta a essere svegli, con gli
occhi ben aperti, a pregare per non cadere in tentazione, a non aver paura
di chi può uccidere il corpo, a temere chi può distruggerci l’anima.
Nei nostri tempi, la vessazione diabolica concerne più la vita sociale che
la sfera del singolo, è un modo di vivere, è la società che vive il Diavolo.
L’uomo è disturbato, ossessionato, distratto dalla preoccupazione dei beni
terreni, dalla paura di perderli, dall’angoscia che non siano sufficienti.
Un’altra azione sottile del Diavolo consiste nel convincere gli uomini che
l’impermanente è permanente, che il tempo sia l’eternità, L’uomo così
sedotto pensa che le forme siano perenni, che la sua personalità e le sue
opere sfidino i secoli. Mentre, per una mente non sedotta la permanenza è
irreale, impermanente è la vita, impermanente è la morte, impermanente il
pensiero, impermanenti i sentimenti.
Prendendo coscienza di questa particolare vessazione del
missus dominicus
si evita di vegetare nelle forme costituite, si risveglia in noi la
scintilla divina che ci ripete: sempre oltre, sempre oltre è la tua dimora.
Il Diavolo dice: « Dimora tranquillo nel tuo guscio, riposa sereno nelle tue
virtù ». Gesù, il pellegrino senza dimore costruite da mano d’uomo, dice: «
Io sono la vita in ogni morte, la morte in ogni vita ».
È necessario riconoscere il Diavolo come apportatore di menzogne
nell’esistenza, nelle forme, nelle apparenze, in ciò che riteniamo
necessario ed è invece inutile. Il Diavolo diventa così il
missus dominicus,
la pietra di paragone della vita: piccole anime, piccole tentazioni; grandi
anime, grandi tentazioni. Senza le tentazioni l’uomo si addormenterebbe;
tentato, è spronato ad andare avanti.
La bontà, le qualità, i valori veri dell’umanità, l’immensa comunione dei
santi compongono il corpo fisico di Dio; le chiusure, le menzogne, le
falsità costituiscono il corpo fisico del Diavolo. Nell’anima dell’uomo i
due grandi avversari si fronteggiano, ma l’arbitro è l’uomo: è lui che deve
scegliere a fianco di chi vuole schierarsi.
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2 aprile 2019 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net