Regola di san Benedetto
Capitolo XLIX - La quaresima dei monaci: 1. Anche se è vero che la vita del monaco deve avere sempre un carattere quaresimale, 2. visto che questa virtù è soltanto di pochi, insistiamo particolarmente perché almeno durante la Quaresima ognuno vigili con gran fervore sulla purezza della propria vita, 3. profittando di quei santi giorni per cancellare tutte le negligenze degli altri periodi dell'anno... 5. Perciò durante la Quaresima aggiungiamo un supplemento al dovere ordinario del nostro servizio, come, per es., preghiere particolari, astinenza nel mangiare o nel bere, 6. in modo che ognuno di noi possa di propria iniziativa offrire a Dio "con la gioia dello Spirito Santo" qualche cosa di più di quanto deve già per la sua professione di fede; 7. si privi cioè di un po' di cibo, di vino o di sonno, mortifichi la propria inclinazione alle chiacchiere e allo scherzo e attenda la santa Pasqua con l'animo fremente di gioioso desiderio.
CON MARIA IN
CAMMINO
VERSO LA SANTA PASQUA
Regola di san Benedetto,
Capitolo 49
In questi santi
giorni, ciascuno spontaneamente,
nella gioia dello Spirito Santo,
offra a Dio
qualcosa di più e
così attenda la santa Pasqua
nella gioia del più intenso desiderio
spirituale.
(RB, cap. 49,vv. 3.6-7)
In
questo capitolo, che è in certo modo rappresentativo dell’intera vita
monastica, la silenziosa presenza di Maria è quanto mai forte. La sua
esistenza terrena, infatti, fu tutta segnata dalla profezia di Simeone: «
Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come
segno di contraddizione - e anche a te una spada trafiggerà l’anima -,
affinché siano svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 2,34-35). Nelle nostre
quotidiane fatiche o quando accade qualche evento più doloroso dobbiamo
imparare a riconoscere quella « spada » che trafigge il cuore, ma per una
ferita di salvezza.
San Benedetto, dicendoci che tutta la vita dovrebbe essere improntata
all’austerità quaresimale, ci ricorda il valore sacrificale della sofferenza
e il valore di offerta della vita cristiana. Grande però è la fragilità
umana e siamo inclini a disperderci, ad abbassare il livello dell’impegno.
Ecco, allora, la necessità - e la grazia - di tempi più forti, per
«riprendersi in mano» e vivere con più intensità la nostra vocazione -
qualunque essa sia - camminando con più lena verso la meta, non solo della
Pasqua liturgica, ma della pasqua eterna.
San Benedetto riconosce, dunque, alla Quaresima una particolare
importanza per la vita spirituale del monaco. Ne tiene conto nel determinare
l’orario della comunità e dispone le attività in modo tale che in questo
periodo ci sia una maggiore possibilità di attendere alla lectio divina,
allo studio, alla preghiera, ossia al lavoro interiore (cfr. cap. 48).
Già questo ci fa comprendere che vivere bene la Quaresima non
significa vivere con tristezza e volto scuro, ma in purità di cuore, in
compunzione ed espiazione, quale cammino verso la pasqua della vita eterna,
verso la pienezza della felicità, verso la gioia.
Possiamo dunque chiederci in che cosa consiste per noi tale ascesi
«ordinaria». Vi sono numerosi aspetti ascetici, sentiti diversamente da
ciascuno a seconda delle proprie abitudini e della propria indole. A uno il
Signore chiederà di sopportare il freddo, all’altro di sopportare il caldo,
all’altro ancora una malattia o una particolare fragilità fisica o
psicologica... Ognuno ha i propri punti deboli, le proprie ferite, o
fatiche... Ciascuno deve convincersi che così com’è può quotidianamente
partecipare ai «patimenti di Cristo» (Col 1,24), come dice san Benedetto nel
Prologo; può fare di ogni aspetto sacrificale, penoso della sua
esistenza quotidiana la partecipazione al mistero di Cristo; e questo per i
fratelli, per la Chiesa, per l’intera umanità. Ecco di nuovo la dimensione
mariana!
Fondamentalmente ciò che conferisce alla vita monastica - e più
generalmente alla vita cristiana, là dove sia autenticamente vissuta - una
impronta di austerità quaresimale è l’essere sempre in stato di esodo da noi
stessi per armonizzarci con gli altri; superare gli egoismi e l’isolamento
per vivere insieme.
Conoscendo la debolezza umana e la difficoltà che i più incontrano
nel mantenere sempre vivo il fervore e lo zelo nella ricerca del meglio, san
Benedetto esorta a riprendere vigore almeno nel periodo dell’anno che
immediatamente prepara alla solenne celebrazione del mistero pasquale.
Dopo aver detto quale deve essere la disposizione d’animo con cui
affrontare il cammino quaresimale, delinea qualche aspetto dell’osservanza e
indica gli «esercizi» interiori ed esteriori ai quali il monaco in questo
periodo dovrebbe dedicarsi con particolare cura e intensità.
Alle pratiche comunitarie è bene aggiungere pratiche individuali,
spontanee, il cui frutto spirituale torna a vantaggio di tutta la comunità,
della Chiesa e dell’intera famiglia umana: «Ciascuno spontaneamente, nella
gioia dello Spirito Santo, offra a Dio qualcosa di più della misura che gli
è imposta... e così attenda la santa Pasqua nella gioia del più intenso
desiderio spirituale» (Cap.
49, vv. 6-7)
[1].
La Quaresima del monaco, contrassegnata dall’ascesi
e dalla gravità dello spirito meditativo, deve tuttavia essere animata dalla
gioia e dalla carità, frutti dello Spirito Santo. È chiaro infatti che
l’ascesi è in vista della mistica; l’aspetto penitenziale della vita
monastica non è mai separabile dal suo fine. Non avrebbe senso praticare
l’ascesi per l’ascesi, la penitenza per la penitenza, la privazione solo per
la privazione...Tutto assume valore e significato dallo scopo per cui si fa,
e lo scopo è sempre un bene più grande: la gioia del Signore, la
partecipazione alla sua Pasqua, che è liberazione dal peccato e dalla morte.
Con gioia spirituale, dunque, il monaco offrirà spontaneamente
qualcosa di più di quanto la Regola già gli chiede. La sua offerta,
però, dovrà portare il sigillo dell’obbedienza. San Benedetto dispone che
ciascuno sottoponga all’abate il proprio «programma » quaresimale per avere
il permesso di attuarlo. Rimettersi, anche per questo spontaneo impegno, al
giudizio discrezionale dell’abate può costituire già da sé un non facile
esercizio ascetico di distacco, di spogliazione, di sincera umiltà.
L’abate prega sull’ascesi che il monaco si propone di fare e
benedicendola gliela fa in certo modo diventare un sacrificio di soave
odore, come le oblate che sono messe sull’altare e il sacerdote trasforma
nel corpo e nel sangue di Cristo. Se uno si sottopone a questo discernimento
diventa lui stesso un sacrificio a Dio, perché offre non soltanto qualcosa,
ma se stesso, la propria volontà, il proprio intimo sentimento.
Tutto va compiuto con retta intenzione, con vera generosità; allora
è culto in spirito e verità, ed esprime amore al Signore e ai fratelli. Solo
l’abate ha il discernimento di vedere se il monaco cerca veramente il
Signore; nell’ascesi, infatti, si insinua facilmente la tentazione
dell’orgoglio che spinge alla ricerca di sé facendo sciupare le proprie
energie, mettendole nel sacco del maligno anziché nel tesoro del regno dei
cieli...
Gli aspetti ascetici che l’obbedienza può talvolta comportare fanno
veramente crescere il monaco e sono di grande sostegno anche per gli altri.
Come dice il Salmo 125 (126), dove si semina nel pianto, si raccoglie nella
gioia: si raccoglie il frutto pasquale, che è pace e amore. Salendo la
Via crucis con Maria, stando con lei presso la croce, proprio nel dolore
si conosce anche la gioia della fecondità materna di una vita offerta.
[1]
Questo testo di Enzo Bianchi è
stato aggiunto dal redattore del sito.
ANDARE OLTRE LA MISURA INDICATA
Super mensuram.
Regola di san Benedetto, Cap. 49,6
Estratto
da: "Al termine del giorno" di Enzo Bianchi - Ed. Qiqajon 2017
Fratelli e sorelle,
torniamo alla Regola,
al capitolo 49, dove Benedetto norma la Quaresima. A un certo punto
egli dà un consiglio, fa un’esortazione che resta sempre valida e
che è molto importante nella vita di un monaco. Dice Benedetto:
“Ciascuno offra a Dio qualcosa al di sopra della misura che gli è
stata indicata, ma lo faccia liberamente, nella libertà e nella
gioia dello Spirito santo (cf.
1
Ts 1,6)” (unusquisque
super mensuram sibi indictam aliquid propria voluntate cum gaudio
sancti Spiritus offerat Deo: RB
49,6).
Voi sapete quanto a me
sia cara, ma perché è precisazione cristiana, la condizione della
libertà e dell’amore. Qui Benedetto parla della libertà e della
gioia che viene dallo Spirito, ma è sempre nella stessa ottica,
nella stessa dinamica spirituale. Questa esortazione che Benedetto
fa mi sembra molto importante: fare qualcosa al di là della misura
che uno si indica. Sì, noi dovremmo, proprio in vista di una più
grande libertà interiore, proprio per non finire per essere degli
obbedienti alla regola in uno spirito di schiavitù, mostrare
a noi stessi che sappiamo alcune volte
andare oltre la misura che ci è indicata.
Io sono convinto che
questo andare oltre la misura indicata sia anche quello che ci
permette di misurare quanto noi siamo capaci di una sequela nella
libertà e quanto invece facciamo una sequela da schiavi, da servi
magari obbedienti, ma che non oltrepassano mai la misura che è stata
richiesta loro e quindi non sono capaci di quella soggettività, di
quella libertà, di quell’amore che nasce dall’abbondanza del cuore.
Per questo, sapere ogni tanto andare oltre la misura è davvero
importante.
Non pensiamo subito alla
misura di cui, lo possiamo capire, deve parlare la Regola di
Benedetto - misura del cibo, misura delle bevande (cf. RB
39-40) pensiamo invece a quante cose, magari nascoste agli occhi
degli altri, noi possiamo fare oltre misura... Ad esempio il non
giudicare gli altri, e magari quando c’è un giudizio da dare, non
darlo, tacere, per far abbondare una misura di misericordia, di
comprensione. Questo sarebbe già molto importante in una vita
comunitaria, in cui sovente la cosa che finisce per causare più
sofferenza è il sentirsi giudicati. Andiamo oltre la misura delle
regole, di quello che ci siamo imposti, mostriamo a noi stessi
un’abbondanza del cuore e conosceremo la gioia dello Spirito santo.
Perciò, fratelli e
sorelle, vigiliamo, perché il demonio troppe volte si traveste da
angelo di luce (cf. 2 Cor 11,14) e ci
chiede un’obbedienza che è quella degli schiavi. Resistiamogli forti
nella fede e tu, Signore, abbi pietà di noi.
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4 aprile 2020 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net