I SIMBOLI DELLA SETTIMANA SANTA

Estratto da “Verso la luce” di Giovanni Vannucci

Centro di Studi Ecumenici Giovanni XXIII – 1990

 

La Settimana Santa ci presenta un vasto insieme di immagini simboliche e, se vogliamo vivere il suo tempo sottile, è necessaria un’attenta riflessione su di esse. Riflessione che ci permetterà di entrare nei loro contenuti di conoscenza. Non potendo fermarmi su tutte, sceglierò quelle che mi sembrano più essenziali: la lavanda dei piedi, la frazione del pane, la discesa agli inferi.

 

La lavanda dei piedi

« Gesù depose le vesti, versò dell’acqua in un catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli » (Gv 13, 4-5). L’immagine dei piedi, ricorrente nella simbologia religiosa, indica la terra, lo spazio nel quale l’uomo stabilisce il contatto con la manifestazione corporale. I piedi sono l’opposto della testa, essa è nell’alto e i piedi nel basso. Perché il cammino dell’uomo sia compiuto nel perfetto equilibrio, è necessario che l’alto alimenti il basso, il cielo la terra, e che quest’ultima accolga le forze fecondatrici del primo. Nel linguaggio biblico: « La tua parola è luce ai miei piedi » (Sal 118); « Guida i nostri piedi nella via della pace» (Lc 1,79).

Il piede dell’uomo segue la via giusta quando è in accordo con la sua testa, esperienza questa facilmente verificabile, ma essa, sul piano religioso, indica che il comportamento umano è nella verità quando è in accordo con l’alto, con Dio.

Una serie di immagini religiose ci dice che i piedi dell’uomo sono insidiati e feriti. Nella Genesi il serpente insidia i piedi della donna, Edipo ha i piedi feriti, Achille è vulnerabile nel tallone. L’insidia, la ferita, la vulnerabilità si manifestano nei piedi, nella terra, ma la causa è nell’alto dell’uomo, nella testa.

L’uomo, in Adamo, si è separato dal suo principio divino, la sua intelligenza e conoscenza non presiedono più al compimento della sua vocazione, alla conquista del Regno divino nella sua interiorità. Intelligenza e conoscenza sono dirette al soggiogamento del Regno esteriore, della terra separata dal cielo, dell’universo di cui l’uomo non ha più coscienza di essere parte integrante e di possedere le chiavi. Così avviene che le energie dell’uomo, invece di ascendere, scorrono al livello dei piedi attraverso un’aperta ferita. La natura ontologica dell’uomo è stata alterata, la dimensione dell’alto, del cielo, messa da parte, e ne è derivata una vita disorganizzata, confusa, priva del suo centro. L’Incarnazione della Parola eterna in Cristo segna la discesa del cielo sulla terra — i piedi cosmici —, per guarirne la ferita e guidarla alla riconquista dell’alto.

La lavanda dei piedi ci rivela qualcosa di più di un gesto d’umiltà: è il gesto con il quale Cristo cura e guarisce la ferita del piede dell’uomo. La lavanda dei piedi è la nuova nascita dell’uomo in una realtà d’amore gratuito, che ignora ogni ricerca di orgogliosa affermazione di sé e ritrova le vie dell’ascesa nella silenziosa, instancabile, umile e perenne offerta di se stesso alla vita.

La frazione del pane

La purificazione dei piedi rende l’uomo capace di consumare il Pane e il Vino che l’introducono nel mondo della Rivelazione ultima. « Gesù prese il pane, lo spezzò e disse: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo offerto per voi”. Quindi prese il calice del vino e disse: “Prendete e bevete, questo è il sangue della Nuova Alleanza, sparso per il cancellamento del peccato dell’uomo. Fate questo in memoria di me” » (1 Cor 11,23-25).

Parole e gesto che hanno abolito, in Occidente e ovunque sono stati annunziati e ripetuti, i sacrifici cruenti della religiosità.

Parole e gesto che costituiscono il cuore vivente del Cristianesimo e che perpetuano la presenza di Cristo nell’umanità. E ciò nonostante rimangono misteriosi e incomprensibili: prova ne sono le molteplici interpretazioni cui hanno dato origine e i ricorrenti conflitti interpretativi che da sempre l’accompagnano.

Parole e gesto che rivelano la caratteristica fondamentale della Rivelazione cristiana: l’Incarnazione della Parola eterna, realtà che implica che la presenza divina non è, nel Cristianesimo, tributaria di una rivelazione idiomatica, ma è contenuta nella carne, nel nutrimento del Pane e del Vino. Realtà, questa, ripetuta numerose volte da Cristo: « Io sono il pane della vita, chi mangia di questo pane avrà la vita senza fine, il pane che io dono è la mia carne » (Gv 6, 51).

Il parallelo, l’analogia tra il consumare il pane della mensa e la manducazione del pane eucaristico non potrà che essere lo strumento per una comprensione più profonda della frazione del Pane. L’analogia è evidente: come il nutrimento fisico conserva la vita fisica mediante i meccanismi complessi della digestione, così l’assimilazione dell’essenza di Cristo conferisce la vita divina. E possiamo spingere più avanti l’analogia: nell’alimentazione vengono prima decomposte le molecole del pane, quindi ricomposte in strutture analoghe, ma che portano le caratteristiche individuali di chi le consuma; nella consumazione del corpo di Cristo l’assimilazione è omogenea al meccanismo della digestione. Consumando il corpo di Cristo decomponiamo la sua vita nei suoi elementi di base, ne estraiamo quegli elementi che più corrispondono alla nostra personalità, per scoprire dei modi originali di applicazione e costruire una personalità conforme alla natura personale e differente da ogni modello e da quella di ogni altro uomo.

La frazione del pane, e la consumazione del Pane che discende dal cielo, escludono qualunque uniformità nell’applicazione, ogni banalizzazione della vivente realtà del Maestro unico, la monotonia nelle schiere dei fedeli che cercano di assimilare la Parola e la Carne di Cristo.

La discesa agli inferi

La lavanda dei piedi e la frazione del pane dischiudono la porta della vita divina: la coscienza ritorna germe che, animato dalla luce essenziale, potrà riascendere, nuova creatura, dalle profondità ove è stato sepolto e che segnano il limite tra la vecchia e la nuova vita. Solamente l’anima che ha sperimentato la luce della purificazione e si è nutrita del Pane celeste può affrontare gli inferi del proprio essere. Sarebbe un errore pensare che la coscienza, ricollocata sulla giusta via dalla lavanda dei piedi e alimentata dal Pane celeste, sia giunta al vertice della sua ascesa. Ha ricevuto un dono di luce ed è stata resa capace di affrontare l’incontro con l’ombra più fitta che è in lei e nel mondo. Discendendo nei propri inferi, nel male e nella malvagità che sono in lei e nel mondo, la coscienza ha la possibilità di raggiungere la pienezza della Realtà. Solo dopo aver abbracciato l’ombra assoluta, è possibile il ritorno alla vita e avviene la Risurrezione: la reintegrazione della morte nella vita, dell’ombra nella luce.


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21 marzo 2016        a cura di Alberto "da Cormano"     Grazie dei suggerimenti      alberto@ora-et-labora.net