IL MISTERO DEL NATALE
Estratto da “Libertà
dello spirito” di Giovanni Vannucci O.S.M. – Quaderni di ricerca 5 –
Centro Studi Ecumenici Giovanni XXIII, priorato di sant’Egidio - Sotto il Monte - Bergamo
Nella contemplazione del mistero
natalizio, come del resto in quella di tutti i misteri della fede, il nostro
spirito deve essere ansioso non di raggiungere dei commossi stati d’animo, ma
quelle conoscenze offerte a noi per liberare l’atto religioso da ogni
accondiscendenza pietistica e devozionale e giungere al compimento, con dignità,
del nostro culto liturgico e sacrificale. Il quale non sarà più un’azione in
mezzo ad altre attività, ma
sarà
l’azione che ricompone ogni
espressione di vita nella realtà
del sacro.
Basta, per convincerci che nella
liturgia ci vengono offerte le conoscenze indispensabili perché i nostri giorni
terreni abbiano un senso, riflettere che il mistero dell'incarnazione compie la
discesa nella carne umana della Parola coeterna e coessenziale di Dio. Se la
Parola ha assunto la forma umana, in questa sarà espressa la vastità e la
profondità della sapienza di Dio, perché noi uomini legati ai sensi e alla carne
apprendiamo le conoscenze che importano veramente. Quindi nei mistero dei figlio
di Dio incarnato non solo appare la bontà dell’amore misericordioso di Dio, ma
ci vengono date, con realtà di fatti, quelle conoscenze che aiuteranno noi ad
avere un comportamento corrispondente all’immensità del dono offerto. Da ciò
deriva quell’atteggiamento che abbiamo suggerito, ripetutamente, a chi, in
maniera fertile, desidera partecipare allo svolgersi del mistero liturgico nel
corso dell’anno sacro, di parteciparvi con attenzione tale che il nostro essere
sia occupato dalle conoscenze che il rito, con la sua complessa capacità
evocativa, comunica.
Il silenzio della notte santa
La prima messa della festa del
Natale è celebrata nella notte profonda: una delle notti che seguono il
solstizio invernale che segna la ripresa del cammino dell’astro della luce dopo
l’esperienza, fatta dalle creature del nostro emisfero, di notti lunghissime.
Nel profondo del silenzio notturno le due nature, l’umana e la divina, l’essere
e il non-essere, il Tutto, la Parola di Dio e il nulla, la realtà umana, sono
unite in un meraviglioso scambio di vita.
Il silenzio fecondo raggiunto
dalla creatura che fa tacere in se stessa tutte le voci dell’esteriorità: sensi,
immaginazione, sentimenti, pensieri, rende possibile la nascita del figlio di
Dio nell’anima. Il mistero dell’Incarnazione si è compiuto a Betlem, ma non
comprenderemmo nulla di Dio se lo limitassimo nel tempo e nello spazio. Osserva
come tutto è concorde con divina esattezza: la parola di Dio discende nel seno
della Vergine che non conosce uomo, nasce fuori della città dell’uomo, in una
grotta, non costruita da mano creata, nell’ora in cui regna il silenzio perfetto
per il tacere di voci terrene e per l’assenza di luci sensibili.
Nel tuo cammino religioso il
giorno che sarai nel silenzio totale, per la tacitazione delle voci che salgono
dai sensi, dai desideri, dai sentimenti ed avrai raggiunto l’oscurità feconda di
chi non crede più alle proprie vedute umane e ti sarai portato fuori della città
costruita dagli uomini, spinto dalla constatazione dell’inutile operare umano,
sarai, come: la grotta di Betlem, nella condizione di accogliere la Parola di
Dio che discende da sempre. Quel giorno, in te e per te sarà nato il Salvatore.
Vedi che nella nascita del
figlio di Dio ti è indicata la via verso la luce: il silenzio fertile delle
creature che aspettano l’irrompere gioioso ed illuminatore della parola di Dio.
Osserva le indicazioni che ti
condurranno alla perfetta conoscenza della via seguita dalla Parola di Dio nella
sua manifestazione nella notte santa.
Si incarna e nasce da una
Vergine che non conosce uomo: « sine semine largitus est nobis suam deitatem
».
Nasce nella profonda oscurità di una delle più lunghe notti dell’anno; nel
silenzio assoluto; senza conforto umano; in una grotta, opera della natura;
lontano dalla città. Nel tuo avvicinamento al mistero dell’Incarnazione devi
tener conto di ognuna di queste circostanze, additate dalla liturgia, non per
fantasticarci sopra o perderti in dannosi sentimentalismi, ma con
quell’attenzione che metti quando, in un paese sconosciuto, consulti la carta
per orientarti. Più seguirai queste indicazioni e più ti renderai persuaso che
queste sono le uniche concesse, a te e a tutti, per ritrovare la terra
riconsacrata dalla discesa del Figlio di Dio. La tua prima cura sia di ritrovare
in te la terra verginale, liberandoti da tutte le soprastrutture che vengono
dagli uomini; questo lo otterrai quando sentirai te stesso solo come un anelito
che ascende verso l’alto, implorando l’unica luce che lo placa. In tale felice
condizione sarai quando in te taceranno le Voci della carne e del sangue, della
volontà e della ragione; quando non crederai agli ideali puramente umani di
conquista e di realizzazione, e capirai che per l’ineffabile incontro è
sufficiente un angolo qualunque della terra dove tu ti senta pronto all’offerta
fiduciosa alla
Parola,
come la materia primordiale, nel
silenzio e nella tenebra feconda, era in attesa del comando creatore.
Lo spogliamento totale e la
libertà luminosa
Non ci è
dato di
immaginare
un distacco maggiore
dalle
speranze
e
avidità umane
di
possesso,
di plauso,
di conforto,
di
quello che scopriamo nella
nudità
della grotta.
Il
figlio
di Dio
nasce
libero da ogni schiavitù
derivante da
privilegi
terreni, e questa
sua
condizione lo
rende il
dono di comunicazione offerto da
Dio
a tutti
gli
esseri,
a
qualunque
condizione appartengano. La
nascita da vergine, senza
concorso
umano, vuol dire anche questo:
tutto
è
incontaminato in
Cristo. Se
fosse
nato nella casa di
un
ricco non
sarebbe
stato
in comunione con
chi
non
ha nulla;
se avesse visto
la
luce nella casupola
del
povero,
il
ricco l’avrebbe guardato con
diffidenza.
La grotta, costruita dalla
natura,
è
di
tutti
e di nessuno,
così
il fanciullo
che
vi nasce
è
offerto a tutti gli esseri,
non
è proprietà esclusiva
di
alcuno. Accogli pensoso
le
indicazioni di questa nascita:
il figlio
di
Dio non ha privilegi di sorta, è
talmente spoglio di qualità vistose
che
suscitano il plauso umano
che
nasce ignorato da tutti. Il
sacerdozio
edotto sul tempo e sul luogo
della sua
nascita,
al momento
che questa
si compie, l’ignora; il potere civile
non
ne sa niente; gli abitanti di
Betlem
chiudono la porta delle loro
case
alla
Madre
che sta
per
partorire.
II figlio
di
Dio ha
una
cosa che
né
la carne né il
sangue, né il potere
sacro,
né
quello civile,
né il possesso di un
nome famoso
o
di
beni terreni potevano dargli:
Egli
è la
Parola di
Dio incarnata.
Approfondisci ancora: quella
notte mille sogni di
conquista agitavano la capitale dell’impero;
sottilissime questioni di filosofia tenevano sveglie le menti dei pensatori
ellenici; discussioni a non finire si facevano a Gerusalemme sul regno di Dio e
sul suo messia. Ignorato da tutti nasce il figlio di Dio, e, da quel punto
insignificante di spazio e di tempo, l’umanità si dilata verso più vasti
orizzonti di coscienza.
Dunque il Figlio di Dio non ha
nulla ma è il figlio di Dio.
Ti confesso che tale verità mi fa tremar tutto, vorrei gridare a tutti i miei frati, a tutti i credenti nel mistero dell’Incarnazione: a nulla serve l’avere, il figlio di Dio ci dice che dobbiamo essere, perché la gioia e la pace trovino spazio di danza nel cuore degli uomini, nella terra riconciliata.
Essere ed avere sono i due poli di tutta la storia drammatica dell’umanità e della Chiesa. L’uomo proteso verso l’avere, diventando schiavo delle potenze tenebrose esteriori, profana se stesso e il creato. L’uomo che nel silenzio ricompone in sé l’immagine divina diventa un centro irradiarne di vita e di luce. Ecco il miracolo della notte santa: il fanciullo è il figlio dell’Altissimo e il silenzio è rotto dal canto degli angeli, la tenebra dissipata da luce del cielo, la solitudine abolita dai cuori dei pastori che vengono a portare i loro doni. Tutto è armoniosamente messo in movimento dal fanciullo che è il figlio dell’Altissimo. I banditori, i trafficanti, gli agitatori verranno dopo, ma quando vorremo ricontemplare il fascinoso incanto della notte santa dovremo sempre andare oltre la loro urlante turma;
Non lasciare di pensare su queste indicazioni, finché non ti sarai nutrito del loro midollo.
Se il figlio di Dio avesse avuto dei privilegi, come l’avrebbe potuto accogliere chi ne è privo? Così se avesse avuto possessi terreni, schiere di servi al suo servizio, un nome potente e famoso, non avrebbe avuto la libertà luminosa del figlio di Dio, non sarebbe stato un dono di grazia e di vita per ogni essere.
La grotta
La nascita del figlio di Dio in un’incavatura della superficie terrestre è, come del resto ogni avvenimento della vita del Signore, simbolo di ben più profonda realtà. La Parola incarnata fu reclinata nell’interiorità della terra, e viene a nascere nel profondo di ogni essere umano che appare all’esistenza. Questo ci viene assicurato dal quarto evangelista quando afferma che la Parola incarnata è la luce che illumina ogni uomo che viene a questo mondo (Giovanni 1). Dunque nel nostro profondo non ci sono soltanto istinti selvaggi di libidine e di distruzione, complessi incestuosi e forze tenebrose, ma c’è il Signore Gesù che con la sua pacifica luce placa e indirizza ogni energia al su vero fine.
La redenzione della terra comincia da questa certezza: nel profondo di ogni essere, anche nel più abbietto, c’è Cristo. In me c’è la Parola incarnata, come nell’amico più sincero, come nell’avversario più crudo. Da questa constatazione sorge l’umanità nuova, sorretta dalla rispettosa venerazione di ogni essere, dalla speranza incrollabile che un giorno il cuore di ogni uomo sarà avvolto dal canto degli Angeli e inondato da una luce che non è di questo mondo. E l’incanto della notte santa si ripeterà senza fine: «Io Giuseppe camminavo e non camminavo. Guardai su nell’aria e vidi l’aria colpita da stupore, e guardai alla volta del cielo e la vidi ferma e gli uccelli del cielo immobili. Guardai la terra e vidi un vassoio giacente e degli operai seduti intorno a mangiare e le loro mani erano nel vassoio, e quelli che stavano masticando non masticavano, quelli che prendevano i cibo non lo sollevavano dal vassoio, e quelli che lo stavano portando alla bocca non ce lo portavano, e i visi di ognuno erano rivolti verso l’alto. Ed ecco delle pecore erano spinte innanzi e non avanzavano, il pastore levò la mano per percuoterle e la sua mano rimase per aria. Guardai la corrente del fiume, vidi le bocche dei capretti poggiate sull’acqua e non bevevano. Poi, dopo un istante, le cose furono riprese nel loro corso » (Vangelo di Giacomo).
L’imposizione del nome di Gesù
Usciamo dalla luce della notte santa per riprendere il corso
normale della nostra esistenza. La liturgia ci accompagna alla soglia della
Chiesa e, nella festa dell’imposizione del nome di Gesù al Salvatore ci dà un
suggerimento concreto perché il gaudio natalizio fiorisca pei la salvezza di
tutti. Se il Signore Gesù è la presenza santa e luminosa di ogni essere che
viene al mondo, il servizio cristiano sarà di comportarsi coerentemente a questa
certezza di fede.
Dire il nome di Gesù su ogni creatura, amica o contraria,
benefica o malefica, simpatica o no. Dirlo con atteggiamento di umile rispetto,
di amore che tutto crede, di venerazione per il mistero racchiuso nel giro di ogni esistenza. La pace della
notte santa in tal maniera passa da cuore a cuore, di generazione in
generazione, senza conoscere fine. E si traduce in umanissime forme di vita — «è
apparsa la benignità e l’umanità del Signore Gesù» — che implicano il rispetto,
l’amore fermo e incrollabile, la speranza indefettibile di vedere ogni porzione
di terra ribenedetta e riconsacrata dal nome santo di Gesù.
La sorgente del potere e la legge
II giorno dell’andata dei magi a
Betlem per compiere atto di venerazione al figlio di Dio, è designato dalla
liturgia come il giorno dell’Epifania del Signore, cioè della manifestazione
del potere glorioso di Gesù. I tre doni offerti indicano chi è il piccolo
venerato, l’oro è l’offerta in onore dei re, l’incenso il dono al sacerdote, la
mirra, sostanza fragrante per l’imbalsamazione del corpo della vittima. Tenendo
presenti questi tre simboli, comprendiamo la natura di colui il cui mistero in
questo giorno ci viene svelato; è il re e la sorgente di ogni potere terreno
esercitato secondo il pensiero di Dio; è il sacerdote e la scaturigine del
sacerdozio conforme al cuore di Dio; è colui che compie in se stesso l’unico
gesto che rende possibile, nella dura era attuale, l’accesso alla verità; il
sacrificio di se stessi. Il giorno della nascita il figlio di Dio è apparso in
una porzione di terra non profanata da mano d’uomo, lo squallore è stata la
condizione necessaria perché potesse comunicare con tutte le creature, in
perfetta libertà e immunità da privilegi. Per questo è il re di tutti e la
scaturigine e la norma di ogni vero potere sulla terra. Per questo, stando alla
rivelazione di Betlem, il potere regale non è la meta di sogni ambiziosi di
potenza, non il risultato di abili maneggi delle masse e delle loro oscure
bramosie, ma servizio umile e incondizionato, silenzioso e fattivo, dell’uomo
che, attraverso la mano sicura
del
potere terreno, deve raggiungere
una più robusta maturità di coscienza, una percezione più chiara di ciò che è
vero e di ciò che è transitorio. Nel fanciullo venerato dai magi è già in atto
l’insegnamento che un giorno definirà la vera statura del capo: « Il buon
pastore dà la vita per il suo gregge, il prezzolato l’abbandona nel momento del
pericolo »
(Giovanni
10, 11).
Il fanciullo venerato dai magi è
anche sacerdote, l’origine e il compimento del vero sacerdozio, la cui missione
è di ricongiungere la terra e il cielo attraverso le vie di pace tracciate da
Cristo.
La
mancanza di ogni privilegio, la nudità più semplice, la libertà da qualunque
potere terreno, anche il più tenue che poteva essere rappresentato dall’aprirsi
di una casa per accogliere la Vergine partoriente,
sono le ali che fanno volare in alto, nella
sua opera mediatrice, il sacerdozio vero.
Anche qui l’essere prevale sull’avere.
E da Cristo nasce non una
casta sacerdotale, avida di potere e di
privilegi terreni,
ma un ordine nuovo di creature che in lui
ritrovano l’armonia perduta dell’amore e del servizio silenzioso, e fedele,
perché ogni uomo dall’umile e spoglia presenza del sacerdote cristiano sia
guidato a vedere in se stesso, senza violenza e senza imposizioni, la luce del
Signore.
Il fanciullo
è anche la vittima più augusta, immolata nell’ora nella quale
l’era, cui noi uomini attualmente apparteniamo, raggiungeva il suo punto
centrale. La nostra è l’era della forza bruta e della violenza spietata, i suoi
sentieri sono segnati dalle vittime che si sono offerte per aprire un varco alla
speranza e alla verità nel cuore dell’uomo. L’unica via possibile perché
possiamo ritrovare la connessione tra la terra e il cielo, il nostro io chiuso
nelle valve dell’egoismo e l’io divino aperto nell’infinito cielo, è il
sacrificio. Ed il sacrificio cruento è diadema del re vero, l’infula sacra del
sacerdote vero. Questo intuirono i semplici e pensosi cuori dei saggi che
dall’Oriente vennero a Betlem, per prestare omaggio a colui che compiva la loro
conoscenza e la loro speranza ed
era il fiore sbocciato sul terreno della
insonne attesa religiosa dell’uomo.
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22 dicembre 2018 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net