EPIFANIA DEL SIGNORE
Estratto da "La vita senza fine" di Giovanni Vannucci - O.S.M. – Quaderni
di ricerca 21 – 1985
Centro Studi Ecumenici Giovanni XXIII, priorato di sant’Egidio - Sotto il Monte - Bergamo
«Vedendo la stella provarono una grande gioia. Trovarono il Fanciullo con Maria, sua Madre, e lo adorarono» (Mt 2, 10-11).
Apparve una stella, dall’Oriente partirono dei sapienti, seguendone le indicazioni fino a Betlem, dov’era il Fanciullo nato.
Prima di Betlem si fermarono a Gerusalemme presso i detentori delle conoscenze religiose ebraiche, ne ottennero le informazioni necessario, soli si incamminarono verso Betlem, e la stella, scomparsa nel cielo della città santa, ricomparve su quello della Natività e il loro gaudio fu grande.
I primi che accolsero il mistero della Parola incarnata furono una fanciulla di Nazareth, Maria, i pastori di Betlem, dei saggi orientali, Anna la profetessa e l’anziano Simeone (cfr. Lc 2, 26-37). Tutti ignari delle speculazioni che i dotti interpreti dell’ebraismo ufficiale facevano sulla Parola scritta e conservata nei libri sacri, quindi accomunati da una fresca semplicità di spirito e da una prontezza a muoversi nel cammino di Dio, mai contenuto nei libri, snodantesi invece nella vita. E tutti accolgono la Parola incarnata attraverso interventi miracolosi e imprevedibili dalle dottrine ufficiali, e senza difficoltà riconoscono la stupefacente manifestazione della Parola eterna nella forma di un Fanciullo inerme.
La religiosità, nella sua essenza, è l’incontro della coscienza umana con la coscienza infinita del divino. Una religione è una rivelazione particolare, limitata a un particolare momento dello sviluppo, del divenire redentivo della coscienza umana. La prima rimane incommensurabile alla seconda, come il contenuto alla forma. Gli spiriti religiosi sono sempre aperti a seguire le nuove manifestazioni del divino che stimolano in loro una più vasta dilatazione della coscienza.
Quando la religiosità si trasforma in religione storica, si complica in dottrine, in precettistiche, in riti, in caste sacerdotali autoritarie, e viene a perdere la potenza mistica della rivelazione iniziale. La Rivelazione continua il suo cammino di redenzione oltre le costruzioni che, per un tempo, l’hanno accolta e trasmessa.
Il pensiero umano e i suoi edifici sono un processo di continuità nella durata; per questo non è loro possibile fissare per sempre la Rivelazione vivente sempre nuova. Le religioni storiche sono strutturazioni della Rivelazione, la religiosità è il germe che si sviluppa nell’intimo dell’uomo. L’ideale sarebbe il permanente incontro delle strutture e del germe: avremmo delle religioni viventi.
Queste considerazioni ci fanno comprendere perché i saggi dell’Oriente non si fermarono a Gerusalemme in oziose discussioni, incamminandosi subito e seguendo la stella che brillava sulla culla del Fanciullo. Entrarono nell’abitazione del Fanciullo e gli offrirono dei doni: l’oro, l’incenso, la mirra. Tre doni e tre simboli rivelanti la natura del Fanciullo.
L’oro, la luce minerale, evoca il sole: fecondità, regalità, ricchezza, calore, amore-dono, irradiamento di conoscenza e di vita. Con questo dono i Magi riconoscono nel Fanciullo la manifestazione della perfetta regalità del Buon Pastore, che dona la vita e inizia il ciclo dell’amore-dono, dell’amore che crea l’amore mediante l’annientamento di se stesso nell’amato.
«Se vi lascerete fecondare dall’amore che ho ricevuto dal Padre, sarete insieme trasformati nell’onda feconda dell’amore [...]. Vi comando di rimanere uniti nell’amore che vi ho affidato» (cfr. Gv 15, 12-17), dirà un giorno Gesù.
La regalità del Fanciullo è una grandezza senza potere, un’autorità capovolta: l’autorità del Fanciullo, dell’inerme, del debole che domanda amore e risveglia l’amore. Una regalità che non appartiene al mondo della potenza e della violenza.
L’incenso, simbolo della preghiera che unisce la terra al cielo, è l’emblema della funzione sacerdotale. Con questo dono i saggi riconobbero nel Fanciullo il sacerdote nuovo, che non offre vittime propiziatorie, ma immola se stesso nel rito definitivo dell’amore. Il sacerdote nuovo che benedice la vita, e l’infonde nell’ammalato, nel peccatore, nel debole, nella stessa morte.
La mirra è il simbolo della vittima sacrificale. I saggi riconoscono nel Fanciullo la vittima che avrebbe abolito tutti i sacrifici rituali, che tutto avrebbe redento, rinnovato, riplasmato.
I saggi venerarono nel Fanciullo l’incarnazione della Parola divina che riassumeva tutto il passato dell’umanità religiosa, e apriva l’èra dell’adorazione in Spirito e Verità.
Estratto da “Verso la luce” di Giovanni Vannucci
Centro di Studi Ecumenici Giovanni XXIII – 1990
«Cammineranno i popoli alla tua luce, i tuoi figli verranno da lontano, le ricchezze del mare si riverseranno su di te; tu sarai raggiante, col cuore pieno di gioia» (Is 60, 1-6).
È il grande sogno del popolo d’Israele: Gerusalemme inondata di luce è
accolta dai popoli come il centro sacro della manifestazione divina sulla terra.
Il grande sogno che ha sostenuto gli ebrei lungo il loro cammino doloroso - e
che essi hanno trasmesso agli altri popoli - ha risvegliato quelle aspirazioni
di giustizia e di vita che rendono l’uomo semplicemente e veramente uomo. Sogno
portato da Israele lacerato da una forza più grande di lui, da un tormento che
porta il nome del Dio vivente. Sogno che, nel corso dei secoli e attraverso
indicibili sofferenze, ha purificata l’anima di questo singolare popolo che,
nella distruzione della nazione, del tempio, nella dispersione in mezzo ad altre
popolazioni quasi sempre ostili, ha continuato a sognare la Gerusalemme celeste,
rivestita della luce di Dio, pronta ad accogliere gli uomini che, abolite tutte
le frontiere tribali, in essa si riconosceranno uomini liberi e redenti.
Del sogno della Gerusalemme celeste si è nutrito il primo cristianesimo, ne fa
eco il brano della lettera agli Efesini: «II mistero nascosto alle
precedenti generazioni è stato disvelato dallo Spirito Santo agli Apostoli: le
nazioni non ebraiche sono chiamate, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa
eredità, a formare lo stesso insieme sociale e a partecipare, nell’annuncio
cristiano, alla stessa promessa fatta al popolo ebraico» (3, 2-6).
Il banchetto di tutti i popoli
L’ampiezza del sogno ebraico nel cristianesimo si dilata, la promessa viene estesa a tutte le popolazioni della terra, abbattendo le barriere razziali e religiose e continuando a essere il più stimolante sogno dell’umanità: non ci siano più frontiere ma soltanto gli uomini, la luce di Dio sia la terra liberata! Sogno che, per la lentezza della coscienza umana a liberarsi dagli egoismi tribali, è ancora nella lontananza degli ideali non realizzati, ma rimane inscritto nella carne e si attuerà anche se l’uomo continuerà ad aggirarglisi intorno, a costruire nuove e impenetrabili barriere.
Alle numerose Gerusalemme terrene la voce del profeta ripete: «Svegliati, svegliati! Su tutte le montagne, su tutte le pianure, su tutte le valli e i golfi aperti, su tutti i mari hanno preparato la mensa dell’uomo. La tavola è in legno proveniente da tutti i boschi, la tovaglia è tessuta da tutti i telai della terra. Hanno spezzato il pane! Hanno sollevato i calici colmi! Ascolta: pregano in silenzio. La santa cena umana comincia» (E. Fleg).
Il brano evangelico che narra l’adorazione dei magi che dall’Oriente si sono recati a Betlem per ossequiare il Fanciullo, Re della nuova èra, centro del culto in Spirito e Verità, fornisce ai credenti le indicazioni del passaggio dal particolarismo all’universalità, dalle divisioni settarie all’unione dei cuori e delle menti attorno alla sua inerme e possente, umile e luminosa figura. Quest’episodio non va letto soltanto con lo spirito storico-esegetico che può aiutarci nella comprensione dell’aspetto che ha nel vangelo di Matteo (2, 1-12), ma è necessario tener presente l’arricchimento e l’approfondimento che le generazioni dei credenti gli hanno conferito.
La sequela logica dei brani liturgici della festa dell’Epifania del Signore è questa; la prima lettura (Is 60, 1-6) annuncia l’orientamento di tutte le genti verso la luce di Gerusalemme; la seconda (Ef 3, 2-6) sottolinea l’estensione della promessa ai popoli non ebrei e la conseguente abolizione dei privilegi razziali; l’episodio dell’adorazione dei magi che vengono dall’Oriente pagano puntualizza il compimento del sogno messianico universale nel Fanciullo di Betlem (Mt 2, 1-12).
Le generazioni cristiane che hanno riflettuto su quest’immagine l’hanno arricchita di approfondimenti che ne aiutano la comprensione e la traduzione nella vita. Esse hanno rivestito i magi di manti regali, coronate di diademi le loro fronti, dato un colore alla loro pelle e ai loro vestimenti. Ciò potrebbe spiegarsi con la curiosità della mente popolare di rivestire l’avvenimento evangelico di un colorito più pittoresco e familiare, ma non è da escludersi che i particolari aggiunti dalla successiva riflessione siano dovuti a un’esigenza di necessarie precisazioni che, esplicitando il contenuto, ne rendono possibile l’attuazione nell’esperienza personale di un cristianesimo vissuto.
II nesso recondito di questo processo di arricchimento potrebbe essere il seguente: il Fanciullo di Betlem è il centro cui converge l’universale aspirazione religiosa dell’uomo, Gesù è il salvatore non solo del popolo ebraico, ma di tutti i popoli. I misteriosi personaggi in questa prospettiva si sono trasformati in re, rappresentanti degli altri popoli. Il primo ad attribuire il titolo di re ai magi è Cesario di Arles nel VI secolo. Beda il Venerabile nel IX secolo li designa con il rispettivo nome: «II primo si chiamava Melchior e offrì l’oro al Signore come al suo re. Il secondo, chiamato Gaspare, offrì l’incenso, omaggio riservato alla divinità. Il terzo, dal viso nero, aveva il nome di Balthasar, presentò l’omaggio della mirra annunciando che il Figlio dell’Uomo doveva morire». Questi elementi ermeneutici furono in seguito sviluppati, i tre re divennero i rappresentanti delle tre razze umane: la nera, la bianca, la rossa.
Precisazioni che sottolineavano da una parte l’apertura della rivelazione cristiana a tutte le genti, dall’altra indicavano le tappe per raggiungerla. La nuova rivelazione è universale, l’aggettivo che la qualifica non ha nessun valore se le coscienze che l’accolgono rimangono aderenti ai loro particolarismi mentali, ideologici, razziali. Come passare dalle chiusure egoistiche alla vastità della nuova rivelazione?
Il numero tre, il colore della pelle e delle vesti dei magi sono divenuti nella meditazione cristiana le tre tappe della trasformazione personale che, partendo dalla materia informe dell’io umano, giunge al vertice dell’io universale dei figli di Dio.
I tre re magi nelle loro colorazioni, nera, bianca, rossa, sono divenuti la proiezione del dramma della conversione personale dell’uomo cristiano. L’apertura universale della coscienza cristiana teoricamente è un fatto; siccome non scende automaticamente nella coscienza si pone il problema: come raggiungerla?
Nell’immagine dell’adorazione dei magi viene indicata la via: il primo passo consiste nell’affrontare e superare gli aspetti dell’anticristo in noi, l’ombra e la tenebra. Ciò provoca sofferenza, la morte ai valori dei sensi, la nigredo. Superata la tenebra sorge un giorno nuovo: l’albedo, che è uno stato ideale, astratto. ha bisogno di essere ravvivato dal sangue: la rubedo, che trasforma gli ideali in un’esistenza umana integrale.
L’immagine dell’adorazione dei magi è un’epifania, manifestazione nel tempo del mistero di Dio, e perché tale rivela i momenti e le modalità dell’incontro dell’uomo con il cuore della rivelazione universale: Cristo.
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6 gennaio 2020 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net