Regola di san Benedetto
Capitolo XLIX - La quaresima dei monaci: 1. Anche se è vero che la vita del monaco deve avere sempre un carattere quaresimale, 2. visto che questa virtù è soltanto di pochi, insistiamo particolarmente perché almeno durante la Quaresima ognuno vigili con gran fervore sulla purezza della propria vita, 3. profittando di quei santi giorni per cancellare tutte le negligenze degli altri periodi dell'anno... 5. Perciò durante la Quaresima aggiungiamo un supplemento al dovere ordinario del nostro servizio, come, per es., preghiere particolari, astinenza nel mangiare o nel bere, 6. in modo che ognuno di noi possa di propria iniziativa offrire a Dio "con la gioia dello Spirito Santo" qualche cosa di più di quanto deve già per la sua professione di fede; 7. si privi cioè di un po' di cibo, di vino o di sonno, mortifichi la propria inclinazione alle chiacchiere e allo scherzo e attenda la santa Pasqua con l'animo fremente di gioioso desiderio.
DOMENICA DELLE PALME
Sant’Antonio da Padova
Link alla cronologia della vita di sant'Antonio
Estratto da “Sermoni”
LA CASE 2017
Temi del sermone
- Vangelo delle
Palme: “Mentre si avvicinava a Gerusalemme, Gesù...”; vangelo che si divide
in quattro parti.
-
Anzitutto sermone sulla passione di Cristo, rivolto all’anima del peccatore:
“Sali a Galaad”.
-
Parte I:
Sermone in lode della beata Vergine: “Avvicinandosi Gesù”; lo struzzo e il
suo simbolismo.
- Sermone morale ai
peccatori convertiti: “Gesù, sei giorni prima della Pasqua”.
- Sermone sulla
triplice luce del monte degli Ulivi e suo significato.
-
Parte III: Sermone sull’umiltà, la povertà e la passione di Cristo:
“Dite alla figlia di Sion”.
- Sermone contro i
prelati superbi: “Disperderò la quadriga di Efraim”.
- Sermone al
vescovo: “Il re seduto su di un’asina”.
-
Parte IV: Sermone sull’imitazione degli esempi dei santi: “Vi
prenderete i frutti dell’albero”.
Esordio -
sermone sulla passione di Cristo
1. In quel tempo: “Mentre si avvicinava a
Gerusalemme, Gesù, arrivato a Betfage presso il monte degli Ulivi” (Mt
21,1), ecc.
Geremia così parla all’anima peccatrice: “Sali a
Galaad e prendi della resina, o vergine figlia dell’Egitto” (Ger 46,11). La
figlia dell’Egitto è l’anima accecata dai piaceri di questo mondo: Egitto
s’interpreta “tenebre". Infatti Geremia continua: “Come mai il Signore,
nella sua ira, ha coperto”, cioè ha permesso che forse coperta, “di caligine
la figlia di Sion?” (Lam 2,1), cioè l’anima, che dev’essere figlia di Sion?
Essa è detta vergine perché sterile di buone opere. E di nuovo Geremia: “Il
Signore ha pigiato il torchio alla vergine figlia di Sion” (Lam 1,15), cioè
l’ha condannata alla pena eterna, perché restò sterile della prole delle
buone opere. E le dice: “Sali”, con i piedi dell’amore, con i passi della
devozione, “a Galaad”, che s’interpreta “cumulo di testimonianze”: sali cioè
sulla croce di Gesù Cristo, sulla quale sono accumulate innumerevoli
testimonianze della nostra redenzione, vale a dire i chiodi, la lancia, il
fiele, l’aceto e la corona di spine; e da lì “prendi la resina”.
La resina è una lacrima, una goccia, che stilla
da un albero. La resina migliore di tutte è quella del terebinto (la
trementina). Essa raffigura la goccia del sangue preziosissimo che fluì
dall’albero, piantato nel giardino delle delizie (cf. Gn 2,8), “lungo il
corso delle acque” (Sal 1,3), per la riconciliazione del genere umano.
Prendi dunque, o anima, questa resina e ungi le
tue ferite, perché essa è il medicamento più potente ed efficace per
risanarle, per ottenere il perdono e per infondere la grazia. Sali quindi a
Galaad, sali cioè con Gesù a Gerusalemme, perché anche lui vi è salito nel
giorno di festa (cf. Gv 7,8). Infatti dice il vangelo di oggi: “Avviatosi
Gesù a Gerusalemme”, ecc.
2. In questo vangelo si devono osservare quattro
momenti. Primo: Gesù che si avvicina a Gerusalemme: “Mentre si avvicinava”,
ecc. Secondo: l’invio dei due discepoli al villaggio: “Allora mandò due dei
suoi discepoli”, ecc. Terzo: l’assidersi del re mansueto, povero e umile, su
di un’asina e il suo puledro: “Ecco il tuo re viene, seduto su un’asina”,
ecc. Quarto: l’entusiasmo e le acclamazioni della folla: Osanna al Figlio di
Davide”, e “Una folla grandissima”, ecc.
I.
Gesù si avvicina a Gerusalemme
3. «Mentre si avvicinava a Gerusalemme, Gesù...
«, ecc. Osserva che il Signore, quando andò a Gerusalemme, fece questo
percorso: dapprima arrivò a Betania, da Betania si recò a Betfage, da
Betfage al monte degli Ulivi, e dal monte degli Ulivi arrivò a Gerusalemme.
Vedremo che cosa significhi tutto questo: prima il significato allegorico e
poi quello morale.
Betania, che s'interpreta «casa
dell'obbedienza», o «casa del dono di Dio», o anche «casa gradita al
Signore», raffigura la Vergine Maria, che obbedì alla voce dell'angelo, e
quindi meritò di accogliere il dono celeste, il Figlio di Dio, e così fu
gradita al Signore più di ogni altra creatura. Infatti è detto di lei nei
Proverbi: «Molte figlie hanno radunato ricchezze, ma tu le hai superate
tutte» (Pro 31,29). Nessun santo ha accumulato nella sua anima tanta
ricchezza di virtù quanto la Vergine Maria, la quale per la sua
straordinaria umiltà, per il fiore incontaminato della verginità, meritò di
concepire e di partorire il Figlio di Dio, «che è al di sopra di tutto, Dio
benedetto nei secoli» (Rm 9,5).
E da questa Betania Gesù si recò a Betfage, che
s'interpreta «casa della bocca». Essa raffigura la predicazione di Gesù. Per
questo arrivò prima a Betania, cioè assunse umana carne dalla Vergine, per
poi dedicarsi alla predicazione. Egli stesso dice: «Andiamo nei villaggi
vicini e nelle città, perché io predichi anche là: per questo infatti sono
venuto» (Mc 1,38).
E da
Betfage si recò al monte degli Ulivi, cioè della misericordia. Èleos
(termine greco che assomiglia al latino òlea, olivo) s'interpreta
«misericordia». Il monte degli Ulivi sta a indicare la grandezza dei
miracoli che Gesù misericordioso e benigno operò a favore dei ciechi, dei
lebbrosi, dei posseduti dal demonio e dei morti. E tutti questi miracolati
dicono per bocca di Isaia: «Tu, Signore, sei il nostro padre, il nostro
salvatore: questo è il tuo nome dall'eternità» (Is 63,16). Nostro padre per
la creazione, nostro salvatore per i miracoli operati; questo è il tuo nome
dall'eternità perché sei benedetto nei secoli.
E dal
monte degli Ulivi andò a Gerusalemme, per compiere l'opera della nostra
salvezza, per la quale era venuto; per riscattare col suo sangue dalle mani
del diavolo il genere umano, schiavo nel carcere dell'inferno da oltre
cinquemila anni. Quindi Cristo in questo modo ci ha liberati, come
quell'uccello, che si chiama struzzo, libera il suo nato.
Si
racconta che il sapientissimo re Salomone possedeva una specie di uccello,
appunto uno struzzo, il cui nato aveva chiuso in un vaso di vetro: la madre
lo guardava piena di dolore, ma non poteva averlo. Finalmente, per lo
straordinario amore che nutriva per il figlio, andò nel deserto dove trovò
un verme; lo portò via e lo lacerò sopra il vaso di vetro. Il potere del
sangue del verme spezzò il vetro e così lo struzzo liberò il suo nato.
Vediamo che significato abbiano l'uccello, il nato, il vaso di vetro, il
deserto, il verme e il suo sangue.
Questo
uccello simboleggia la divinità; il suo nato raffigura Adamo e la sua
discendenza, il vaso di vetro il carcere dell'inferno, il deserto il grembo
verginale, il verme l'umanità di Cristo, il sangue la sua passione.
Dio, per
liberare il genere umano dal carcere dell'inferno e dalla mano del diavolo,
venne nel deserto, cioè nel grembo della Vergine, dalla quale assunse il
«verme», cioè l'umanità. Egli stesso ha detto: «Io sono un verme e non un
uomo» soltanto (Sal 21,7), perché era Dio e uomo. Lacerò questo verme sul
patibolo della croce e dal suo fianco uscì il sangue, il cui potere spezzò
le porte dell'inferno e liberò il genere umano dalla mano del diavolo.
4. Vedremo anche quale significato morale
abbiano Betania, Betfage, il monte degli Ulivi e Gerusalemme.
Dice
Giovanni nel suo vangelo: «Gesù, sei giorni prima della Pasqua», cioè il
sabato che precede la domenica delle Palme, «arrivò a Betania, dov'era morto
Lazzaro, che poi egli aveva risuscitato. Gli fecero una cena: Marta serviva
e Lazzaro era uno dei commensali, insieme con Gesù. Maria allora prese una
libbra di puro (pisticus) nardo prezioso e ne cosparse i piedi di Gesù» (Gv
12,1-3). Invece Matteo e Marco dicono che versò il nardo profumato sopra il
capo di Gesù, adagiato a mensa (cf. Mt 26,7; Mc 14,3).
Betania
s'interpreta «casa dell'afflizione». E questa è la contrizione del cuore,
della quale parla il Profeta: «Sono afflitto e umiliato all'estremo:
ruggisco per il fremito del mio cuore» (Sal 37,9). In questa casa è stato
risuscitato Lazzaro, il cui nome s'interpreta «aiutato». Infatti nella casa
della contrizione il peccatore viene risuscitato, viene aiutato con la
grazia divina, e quindi dice con il Profeta: «In lui ha sperato il mio cuore
e sono stato aiutato» (Sal 27,7). Quando il cuore spera, la grazia viene in
aiuto. E il cuore può sperare nell'indulgenza e nel perdono, quando lo
tormenta il dolore della contrizione per il peccato commesso.
«Allora
gli fecero una cena e Marta serviva». Le due sorelle del peccatore
risuscitato dalla morte del peccato, Marta, il cui significato è «che
provoca» o «che irrita», e Maria, che s'interpreta «stella del mare», sono
il timore della pena e l'amore della gloria. Il timore della pena provoca il
peccatore al pianto, e lo stimola quasi come un segugio a ricercare il
peccato e a confessarlo con tutte le sue circostanze. L'amore della gloria
illumina, il timore sprona, l'amore conforta.
«Marta»,
dice, «serviva». Il timore che cosa serve? Certamente il pane del dolore e
il vino della compunzione. Questa è la cena di Gesù, e di essa dice Matteo:
«Mentre cenavano, Gesù prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede ai
suoi discepoli... E prendendo il calice, rese le grazie e lo diede loro
dicendo: Bevetene tutti» (Mt 26,26-27).
«Lazzaro
poi era uno dei commensali, insieme con Gesù». Perché non sembrasse un
fantasma, ma fosse evidente la sua risurrezione, egli mangia e beve. Che
grande grazia! Il peccatore, che prima era disteso nella tomba, ora è
adagiato a mensa e banchetta con Gesù e i suoi discepoli; egli che prima
bramava di riempirsi il ventre, cioè la mente, delle carrube dei porci, cioè
delle sozzure dei demoni, e nessuno gliene dava (cf. Lc 15,16).
«Maria
allora prese una libbra di vero nardo prezioso». La libbra consta di dodici
once: e qui abbiamo una specie di peso perfetto, perché consta di tante once
quanti sono i mesi dell'anno. La libbra poi è così chiamata perché è
«libera» e perché comprende in se stessa tutti i pesi. Nardo vero (genuino)
è detto in latino pisticus, cioè autentico, senza contraffazioni, e deriva
dal greco pistis, che vuol dire fede.
La
libbra, composta di dodici once, è la fede dei dodici apostoli, libera e
perfetta. Maria dunque, cioè l'amore della gloria celeste, unge il capo
della divinità e i piedi dell'umanità con una libbra di nardo genuino,
riconoscendo che Cristo è Dio e uomo, che nacque e subì la passione. E così
la casa, cioè la coscienza del penitente, viene riempita del profumo
dell'unguento (cf. Gv 12,3), dicendo con la sposa del Cantico dei Cantici: O
Signore Gesù, con la fune del tuo amore trascinami dietro a te, perché io
corra nel profumo dei tuoi unguenti (cf. Ct 1,3), perché io da Betania
arrivi a Betfage.
5. Betfage s'interpreta «casa della bocca», e
sta ad indicare la confessione, nella quale dobbiamo essere come residenti,
non come ospiti di una notte che è passata (cf. Sap 5,15), affinché non ci
avvenga ciò che dice Geremia: «Così dice il Signore di questo popolo: gli è
piaciuto tenere in movimento i piedi e non si è fermato; per questo non gli
è gradito; ora egli ricorda le loro iniquità e visiterà (punirà) i loro
peccati» (Ger 14,10).
«E da
Betfage andò al monte degli Ulivi». Ricorda che il monte degli Ulivi era
detto il «monte delle tre luci» perché era illuminato dal sole, da se stesso
e dal tempio: dal sole perché, rivolto a oriente, ne riceveva i raggi; da se
stesso per l'abbondanza dell'olio che produceva; dal tempio, a motivo delle
lampade che di notte vi ardevano e illuminavano anche il monte.
Il monte
degli Ulivi raffigura l'importanza della soddisfazione (penitenza) alla
quale deve arrivare il penitente dalla casa della confessione. E giustamente
la soddisfazione è detta «monte delle tre luci». Infatti l'uomo, sostando
nell'opera di penitenza, viene illuminato dal sole di giustizia Cristo Gesù,
che dice di se stesso: «Io sono la luce del mondo» (Gv 8,12); viene
illuminato da se stesso, perché deve essere fornito di olio abbondante, cioè
di misericordia, verso se stesso e verso il prossimo; infatti dice Giobbe:
«Visitando i tuoi simili non peccherai» (Gb 5,24). Disse un santo: «Mai
l'anima potrà meglio vedere al di sopra di sé i suoi simili per mezzo della
verità, come quando la carne si piega al di sotto di sé, verso il suo
simile, per mezzo della carità». Sarà illuminato anche dal tempio, cioè
dalla comunità dei fedeli, ai quali dice l'Apostolo: «Santo è il tempio di
Dio, che siete voi» (1Cor 3,17).
E dal
monte degli Ulivi andò a Gerusalemme. Infatti queste tre cose, la
contrizione del cuore, la confessione della bocca e l'opera di penitenza,
che soddisfa il debito del peccato, conducono alla luce, alla Gerusalemme
celeste, alla beatitudine eterna. Quindi giustamente è detto: «Gesù,
essendosi avvicinato a Gerusalemme... «, ecc.
II.
L'invio dei due discepoli al villaggio
6. «Gesù
mandò due dei suoi discepoli dicendo loro: «Andate nel villaggio (castellum)
che vi sta di fronte: subito troverete un'asina legata e con essa il suo
puledro; scioglieteli e conduceteli a me» (Mt 21,1-2). Vedremo che cosa
rappresentino in senso morale i due discepoli, il villaggio, l'asina e il
suo puledro.
Il discepolo è così chiamato perché impara
(discit) la disciplina. Il villaggio (castellum) è costituito da una
muraglia che circonda tutt'all'intorno una torre, situata al centro.
L'asino, o asina, è così chiamato perché, diciamo, «lascia le cose alte»
(lat. alta sinens); puledro (pullus) è come pollutus, impuro, macchiato,
perché nato da poco. Quindi i due discepoli del giusto, che imparano la
disciplina della pace, sono il disprezzo del mondo e l'umiltà del cuore.
Questi due discepoli sono Mosè e Aronne che
fanno uscire gli ebrei dall'Egitto, sono le due stanghe che servivano per
trasportare l'arca della testimonianza, sono i due cherubini che guardano il
«propiziatorio» (il coperchio d'oro dell'arca), rivolti uno verso l'altro
(cf. Es 25,17-18).
In Mosè che, come dice l'Apostolo, «stimava
l'obbrobrio di Cristo ricchezza maggiore dei tesori dell'Egitto» (Eb 11,26),
è raffigurato il disprezzo del mondo. In Aronne che spense il fuoco e placò
l'ira di Dio perché non infierisse su tutto il popolo (cf. Nm 16,46-49), è
indicata l'umiltà del cuore che spegne il fuoco della suggestione diabolica
e placa l'ira della punizione divina. Questi due discepoli, come due stanghe
inflessibili, portano l'arca del testamento, cioè la dottrina di Gesù
Cristo, oppure l'obbedienza al prelato. Guardano verso il propiziatorio,
cioè verso lo stesso Gesù Cristo, che è «propiziazione» per i nostri peccati
(cf. 1Gv 4,10); guardano, dirò ancora, a Cristo adagiato nella mangiatoia,
inchiodato sulla croce, deposto nel sepolcro.
Il giusto manda questi due discepoli, dicendo:
«Andate nel villaggio (castello) che sta di fronte a voi». Il castello
(villaggio) è costituito, come abbiamo già detto, di un muro perimetrale e
di una torre: nel muro è indicata l'abbondanza delle cose temporali, nella
torre la superbia del diavolo. Come nel muro si sovrappone pietra a pietra,
e le pietre si saldano tra loro con il cemento, così nell'abbondanza delle
cose temporali il denaro si aggiunge al denaro, si unisce casa a casa, si
aggiunge campo a campo (cf. Is 5,8), e tutto si attacca tenacemente con il
cemento della cupidigia. Di questo muro dice Isaia: «Il mio ventre suonerà a
Moab come una cetra, e le mie viscere al muro di mattoni cotti (al fuoco)»
(Is 16,11). E Geremia, quasi con le stesse parole: «Il mio cuore suonerà a
Moab come i flauti, il mio cuore darà un suono di flauti per gli uomini del
muro di mattone cotto» (Ger 48,36). Nel ventre è designata la mente, nella
cetra o nel flauto la melodia della predicazione. Con cuore e mente compunti
e con la melodia della predicazione, Isaia e Geremia, cioè ogni predicatore,
deve suonare a Moab, che s'interpreta «dal padre», cioè al peccatore, che
proviene da quel padre che è il diavolo, che costruisce il muro di cotto e
di mattoni di argilla, cioè l'abbondanza dei beni temporali: cotto, perché
indurito al fuoco della cupidigia, di argilla perché destinato a crollare.
Parimenti nella torre è indicata la superbia del diavolo. Questa è la torre
di Babele, cioè della confusione, la torre di Siloe che, come si legge nel
vangelo di Luca, crollando uccise diciotto uomini (cf. Lc 13,4). Il giusto
manda contro questo castello (villaggio) due suoi discepoli, cioè il
disprezzo del mondo, perché faccia crollare il muro dell'abbondanza
transitoria, e l'umiltà del cuore perché abbatta la torre della superbia.
7. E dice giustamente: «che sta di fronte (lat.
contra) a voi». L'abbondanza di questo mondo è sempre contraria alla
povertà, e la superbia contraria all'umiltà. In questo castello si trova
un'asina legata e con essa il suo puledro (l'asinello). L'asina, che lascia
le cose alte e cammina in piano, rappresenta la vita dei chierici e dei
religiosi che, abbandonata l'altezza della contemplazione, procede pigra e
fatua tra le bassezze del piacere carnale. Ahimè, con quante catene di
piaceri, con quante funi di peccati viene tenuta legata quest'asina!
«E insieme ad essa un puledro» (asinello).
Questo puledro di asina raffigura il chierico o il religioso, che
giustamente è detto puledro (pullus), perché è macchiato (pollutus) da molti
vizi. È trovato insieme con l'asina, attaccato alle sue mammelle, della gola
e della lussuria, succhiando da tergo. Di entrambi si lamenta il Signore,
con le parole di Geremia: «Io li ho saziati ed essi hanno fornicato, e nella
casa della meretrice si sono dati alla lussuria» (Ger 5,7). E più avanti
dice che la cintura di Geremia era marcita nel fiume Eufrate, di modo che
non serviva più a nulla (cf. Ger 13,7). «La cintura di castità» di tanti
chierici e di tanti religiosi imputridisce nel fiume Eufrate, che
s'interpreta «fertile», e indica l'abbondanza di beni temporali - dalla
pinguedine infatti proviene l'iniquità -, di modo che essi a nient'altro
sono buoni, se non ad essere gettati nel letamaio dell'inferno.
«Scioglieteli e portateli da me». O Signore
Gesù, cos'è quello che dici? Chi mai potrà sciogliere le catene dei chierici
e dei falsi religiosi, le ricchezze, gli onori e i piaceri con i quali sono
tenuti legati, abbattere la loro superbia e condurli a te? «Tutti, dice
Geremia, sono come un cavallo che corre impetuosamente» (Ger 8,6); «La loro
corsa è verso il male e la loro forza è diversa» (Ger 23,10) dall'immagine,
a somiglianza della quale li ho creati (cf. Gn 1,26); o anche è diversa
perché non da un vizio solo, ma da diversi vizi sono contaminati.
Perciò continua Geremia: «Sia il profeta che il
sacerdote sono immondi, e nella mia casa ho trovato la loro malvagità. Tutti
sono diventati per me come gli abitanti di Sodoma e Gomorra. Per questo dice
il Signore: Io li ciberò di assenzio», cioè dell'amarezza della morte
eterna, «e li abbevererò di fiele», cioè con l'amarezza del rimorso di
coscienza. «Perché dai profeti di Gerusalemme», cioè dai chierici e dai
religiosi, «è uscita l'empietà su tutta la terra» (Gn 23,11. 14-15).
«Scioglieteli, dice Gesù, e portateli a me!» Il
disprezzo del mondo e l'umiltà dell'animo sciolgono tutti i legami e portano
al Signore l'asina e il suo puledro.
III. Gesù Cristo, re seduto
sull’asina e il suo puledro
8. «Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò
che era stato annunziato dal profeta», cioè da Zaccaria: «Dite alla figlia
di Sion: Ecco, il tuo re viene a te mite, assiso su di un'asina e con un
puledro, figlio di bestia da soma» (Mt 21,4-5). E queste sono, alla lettera,
le parole di Zaccaria: «Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia
di Gerusalemme: Ecco, a te viene il tuo re; egli è giusto e salvatore. Egli
è povero e siede su di un'asina, su un puledro figlio di asina. Disperderò
le quadrighe da Efraim e i cavalli da Gerusalemme, e l'arco di guerra sarà
spezzato» (Zc 9,9-10). Sion e Gerusalemme sono la medesima città, perché
Sion è la torre di Gerusalemme, e raffigura la Gerusalemme celeste, nella
quale c'è l'eterna contemplazione e la visione della pace assoluta.
La figlia
di Sion è la santa chiesa alla quale, o predicatori, dovete dire: «Esulta
grandemente nella fatica, giubila nel tuo animo». Il giubilo infatti nasce
nel cuore con sì grande letizia, quanta non è in grado di esprimerne
l'efficacia della parola. «Ecco il tuo re», del quale dice Geremia: «Non c'è
nessuno come te, Signore: tu sei grande e grande è la potenza del tuo nome.
Chi non ti temerà, o re delle nazioni?» (Ger 10,6-7). Egli, leggiamo
nell'Apocalisse, «nel suo manto e nel suo femore porta scritto: Re dei re e
Signore dei signori» (Ap 19,16).
Il manto
rappresenta le sue fasce e il femore è la sua carne. A Nazaret infatti fu
incoronato di carne umana, come di un diadema; in Betlemme fu avvolto in
fasce, come di porpora. E queste furono le prime insegne del suo regno. Su
entrambe le cose infierirono i giudei, come se avessero voluto privarlo del
suo regno: Cristo infatti nella passione fu da essi spogliato delle sue
vesti e la sua carne fu confitta in croce con i chiodi. Ma lì il suo regno
si è perfettamente affermato: infatti, dopo la corona e la porpora, non gli
mancava che lo scettro. Ricevette anche questo quando, «portando la sua
croce», come dice Giovanni, «s'incamminò verso il Calvario» (Gv 19,17). E
Isaia: «Sulle sue spalle è posto il segno della sua sovranità» (Is 9,6); e
l'Apostolo nella lettera agli Ebrei: «Abbiamo visto Gesù coronato di gloria
e di onore, a motivo della morte che ha sofferto» (Eb 2,9).
9. «Ecco il tuo re, che viene a te», cioè per la
tua utilità, «che viene mite», per essere amato, e non viene con la potenza
per essere temuto, «seduto su di un'asina». Dice Zaccaria: «Giusto e
Salvatore, eppure povero, seduto su un'asina». Le virtù proprie di un re
sono due: la giustizia e la pietà. Così il tuo re è giusto perché, in fatto
di giustizia, rende a ciascuno secondo le sue opere; è mansueto e redentore,
in fatto di pietà; ed è anche povero: infatti nell'epistola di oggi è detto:
«Annientò se stesso, assumendo la condizione di servo» (Fil 2,7). Poiché
Adamo nel paradiso terrestre non volle servire il Signore, il Signore
assunse la condizione di servo per servire il servo, affinché in futuro il
servo non si vergognasse di servire il Padrone.
«Divenuto
simile agli uomini, e per condizione riconosciuto come uomo» (Fil 2,7).
Perciò dice Baruc: «Per questo è apparso sulla terra e ha vissuto tra gli
uomini» (Bar 3,38). Quel «come» (lat. ut) esprime la verità, la realtà, e
non la somiglianza. «Umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte,
e alla morte di croce» (Fil 2,8).
Dice in
merito Agostino: «Il nostro Redentore appostò al nostro tiranno (predatore)
la «trappola» della sua croce e vi collocò come esca il suo sangue. Egli
versò il suo sangue, che però non era sangue di debitore, e per questo fu
separato dai debitori (cf. Eb 2,14; 7,26). E il beato Bernardo dice di
Cristo: «Ebbe in sì grande stima l'obbedienza che preferì perdere la vita
piuttosto che l'obbedienza, fatto obbediente al Padre fino alla morte», e
alla morte di croce. Egli che non ebbe dove posare il capo (cf. Mt 8,20; Lc
9,58), se non sulla croce, dove «reclinato il capo, rese lo spirito» (Gv
19,30).
10. «Egli fu povero». Dice infatti Geremia: «O
aspettazione d'Israele, suo salvatore nel tempo della tribolazione, perché
sarai in terra come un colono, e come un viandante che rinuncia a fermarsi?
Perché sarai come un uomo errante, e come un forte incapace di salvare?»
(Ger 14,8-9).
Il nostro
Dio, il Figlio di Dio, colui che aspettavamo, è arrivato, e nel tempo della
tribolazione, cioè della persecuzione diabolica, ci ha salvati, e come un
colono, uno straniero, un pellegrino ha abitato la nostra terra e l'ha
irrigata con l'acqua della sua predicazione. Egli fu come un viaggiatore
senza bagaglio (levis), cioè immune dal peccato; compì il suo cammino perché
«esultò come un gigante che percorre la via» (Sal 18,6); reclinò quindi il
capo sulla croce quando disse: «Padre, nelle tue mani affido il mio spirito»
(Lc 23,46), e poi restò chiuso nel sepolcro tre giorni e tre notti.
Qui è
detto «uomo errante», in base alla valutazione dei giudei che lo reputavano
girovago e incostante. Per questo, quando disse: «Ho il potere di offrire la
mia vita e di riprenderla di nuovo» (Gv 10,18), «molti di loro dicevano: Ha
un demonio ed è fuori di sé; perché lo state ad ascoltare?» (Gv 10,20). A
motivo della condizione di servo, che aveva assunto, sembrava loro privo del
potere di salvare. Ma egli fu «l'uomo forte» che, con le mani trafitte dai
chiodi, vinse il diavolo. «Ecco, dunque, a te viene il tuo re, mite, seduto
su di un'asina e con un puledro, figlio di bestia da soma», cioè della
stessa asina domata con il basto.
Oh,
volessero i chierici e i religiosi accogliere un sì grande re, un sì nobile
«cavaliere», e portarlo devotamente come fecero quei miti animali, per
essere degni di entrare con lui nella superna Gerusalemme. Ma siccome sono
figli di Belial, cioè «senza giogo» e, come dice Geremia, «sono andati
dietro a ciò che è vano e sono divenuti essi stessi vanità; e non hanno
domandato: Dov'è il Signore?» (Ger 2,5-6), hanno spezzato il giogo e
strappate le corde e hanno detto: «Non serviremo!»: per tutto questo il
Signore, per bocca di Zaccaria, dice di essi: «Disperderò le quadrighe da
Efraim e il cavallo da Gerusalemme, e sarà spezzato l'arco di guerra». La
quadriga, che gira su quattro ruote, rappresenta l'abbondanza nella quale
vivono i chierici; abbondanza che consiste in quattro cose: nell'estensione
delle proprietà, nell'accumulo delle prebende e dei redditi, nella
sontuosità dei cibi e nel lusso delle vesti. Il Signore disperderà questa
quadriga e scaglierà nel mare dell'inferno chi vi è sopra (cf. Es 15,1);
sterminerà il cavallo, cioè la superbia schiumosa e sfrenata dei religiosi i
quali, sotto l'abito della religione, sotto il pretesto della santità, si
ritengono grandi.
Ma il
Signore grande e potente, che guarda gli umili e abbatte i grandi (cf. Sal
137,6), scaccerà questo cavallo dalla Gerusalemme celeste, nella quale
nessuno entrerà, se non chi si sarà umiliato come un bambino (cf. Mt 18,4),
come lui che si è umiliato fino alla morte, e alla morte di croce.
11. Senso morale. Il re che siede sull'asina e
sul suo puledro raffigura il giusto che mortifica la sua carne e frena i
suoi stimoli. Dice Geremia: «Vergine d'Israele, ti ornerai nuovamente dei
tuoi timpani e uscirai nel coro dei festanti» (Ger 31,4).
Nel
timpano, che è la pelle di un animale morto, tesa su di un cerchio di legno,
è indicata la mortificazione della carne; nel coro, in cui le voci sono in
accordo, è raffigurata la concordia dell'unità. Quindi l'anima è ornata con
i timpani ed esce nel coro dei festanti, quando è come adorna della
mortificazione della carne e della concordia dell'unità. Dice il profeta:
«Con il timpano e con il coro lodate il Signore» (Sal 150,4).
Altro
significato. Il re che siede sull'asina è il vescovo, che governa il popolo
che gli è affidato, del quale dice Salomone: «Beata la terra», cioè la
chiesa, «il cui re è nobile e i cui prìncipi», cioè i prelati, «si nutrono
al tempo giusto, per rifocillarsi e non per gozzovigliare» (Qo 10,17).
«Mangiano solo per vivere, e non vivono per mangiare» (Glossa); «si nutrono
al tempo giusto», perché non cercano quaggiù la ricompensa, ma guardano a
quella futura. Questo re dev'essere - come abbiamo detto sopra - mansueto,
giusto, salvatore e povero. Mansueto verso i sudditi; giusto con i superbi,
versando vino e olio; salvatore nei riguardi dei poveri; povero, pur tra le
ricchezze. O anche: mansueto se riceve un'ingiuria; giusto esercitando la
giustizia verso chiunque; salvatore con la predicazione e con l'orazione;
povero per l'umiltà del cuore e il disprezzo di sé.
Beata
l'asina (sic), beata la chiesa, che ha un simile reggitore (sessore). Al
contrario, il vescovo di questo nostro tempo è come Balaam, seduto sopra
l'asina: essa vedeva l'angelo, mentre Balaam non poteva vederlo (cf. Nm
22,21-30). Balaam s'interpreta «che demolisce la fraternità», oppure «che
turba la gente», o anche «che divora il popolo». Un vescovo scandaloso è un
albero inutile: con il suo cattivo esempio demolisce la fraternità dei
fedeli e la precipita prima nel peccato e poi nell'inferno; con la sua
stoltezza, giacché è anche inetto, sconcerta i fedeli; con la sua avarizia
divora il popolo. Costui, assiso sopra l'asina, non solo non vede l'angelo,
ma vi assicuro che vede il diavolo, pronto a precipitarlo all'inferno.
Invece il popolo semplice, che ha una fede retta e che vive onestamente,
vede l'angelo del Sommo Consiglio, riconosce e ama il Figlio di Dio.
IV. L'entusiasmo e le
acclamazioni della folla a Cristo
12. «La folla numerosissima stese le sue vesti
per terra: alcuni tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla via; le
folle che precedevano e quelle che seguivano, gridavano dicendo: Osanna al
Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!» (Mt
21,8-9). Fa' attenzione a questi tre fatti: stesero le proprie vesti,
tagliavano i rami, e gridavano: Osanna! Le vesti raffigurano le membra del
nostro corpo, con le quali si veste l'anima: di esse dice Salomone: «In ogni
tempo siano candide le tue vesti» (Qo 9,8). Dobbiamo stenderle sulla via,
vale a dire essere pronti ad esporle alla passione e alla morte per il nome
di Gesù, per meritare di riaverle gloriose e immortali nella risurrezione
finale, quando questo corpo corruttibile si vestirà di incorruttibilità e
questo corpo mortale si vestirà di immortalità (cf. 1Cor 15,53).
I rami
sono gli esempi dei santi padri, dei quali dice il Signore: «Vi prenderete i
frutti dell'albero più bello, spate di palma, rami di alberi dalle dense
fronde e salici di torrente e gioirete davanti al vostro Dio» (Lv 23,40).
L'albero più bello è la gloriosa Vergine Maria, i cui frutti furono l'umiltà
e la povertà. Le palme furono gli apostoli, che riportarono vittoria su
questo mondo. Le spate sono i frutti delle palme, prima di aprirsi: in esse
vediamo la fede, la speranza e la carità degli apostoli. L'albero dalle
dense fronde è la croce di Cristo, che ha allargato le dense fronde della
fede in tutto il mondo.
I rami di
quest'albero furono le quattro estremità della croce, alle quali furono
inchiodati i piedi e le mani di Cristo. In queste quattro estremità ci
furono quattro pietre preziose: la misericordia, l'obbedienza, la pazienza e
la perseveranza. Nell'estremità superiore ci fu la misericordia, in quella
destra l'obbedienza, in quella sinistra la pazienza, e in quella inferiore
la perseveranza. I salici del torrente, che restano sempre verdi,
raffigurano tutti i santi, che nel torrente di questa vita mortale e
passeggera sono rimasti sempre verdi nell'operare il bene.
Prendiamoci
dunque i frutti dell'albero più bello, vale a dire la povertà e l'umiltà
della Vergine Maria, le spate delle palme, cioè la fede, la speranza e la
carità degli apostoli, i rami dell'albero di dense fronde, cioè la
misericordia, l'obbedienza, la pazienza e la perseveranza della passione di
Gesù Cristo, i salici del torrente, vale a dire le rigogliose opere di tutti
i santi, ed esultiamo davanti al Signore, nostro Dio, Gesù Cristo, gridando
con le turbe e con i fanciulli degli ebrei: «Osanna al Figlio di Davide!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei
cieli!» (Mt 21,9).
Osanna
s'interpreta «salvezza», oppure «salva, ti scongiuro!». Osanna dunque, cioè
la salvezza appartiene al Figlio di Davide, o viene dal Figlio di Davide o
per mezzo del Figlio. Benedetto, cioè immune dal peccato: quindi sei
benedetto in modo particolare tu, o Cristo, che vieni nel nome del Signore,
cioè in onore del Padre, oppure «che vieni», cioè che verrai. Infatti tu che
dapprima sei apparso nella condizione di servo, verrai alla fine quale
glorioso Signore. Osanna nell'alto dei cieli, cioè «salva nell'alto dei
cieli»; quasi a dire: Tu che hai salvato in terra con la redenzione, salva,
te ne scongiuriamo, dandoci un posto nei cieli.
Ti
scongiuriamo, dunque, o Gesù benedetto: fa' che anche noi ci avviciniamo a
Gerusalemme con il tuo timore e con il tuo amore. Riportaci a te dal
villaggio di questa peregrinazione terrena; riposati, tu, nostro re,
nell'anima nostra, affinché insieme con i fanciulli che hai scelto da questo
mondo, cioè con gli apostoli, siamo fatti degni di glorificarti, di lodarti,
di benedirti nella città santa, nell'eterna beatitudine. Accordacelo tu, cui
è onore e gloria per i secoli eterni. Amen. E ogni anima fedele risponda:
Amen!
Con
Maria in cammino verso la Santa Pasqua -
Quaresima: Convertirsi alla comunione -
Il
Sacramento quaresimale - I
simboli della Settimana Santa -
Discesa agli inferi e risurrezione
-
Il Risorto -
L'esperienza del Risorto -
Sarò sempre con voi
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1 aprile 2023 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net