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Busto - reliquario e bastone pastorale di san Cesario d'Arles XII° secolo - Chiesa di san Cesario di Maurs - Francia (da Wikimedia Commons) |
La Gallia cristiana
L’eredità di Agostino in Gallia e
Cesario di Arles
Estratto da
“Introduzione allo studio dei Padri della Chiesa”
–
Michel Spanneut – Queriniana 2009
a) La grazia e l’anima
Agostino era appena scomparso, lo abbiamo visto, che già l’ardente Prospero
d’Aquitania se la prendeva con Cassiano, che a suo avviso tradiva il maestro.
Alla generazione successiva Fausto, ex abate di Lérins e vescovo di Riez in
Provenza dal 462 al 490 circa, nel trattato
Della grazia del Cristo e del libero arbitrio, pur condannando Pelagio, professa
che l’uomo riscattato conserva il marchio di Dio e una libertà sufficiente per
collaborare con la grazia. Fulgenzio di Ruspe (467-533 circa) risponde
espressamente con l’opera
Contro Fausto di Riez e
compone altri due trattati per sostenere un pessimismo radicale e un’incapacità
totale del libero arbitrio di liberarsi dal male senza la grazia.
L’eredità agostiniana veicolava un altro elemento. Il vescovo di Ippona verso il
419 nel trattato
L’anima e la sua origine s’era opposto con vigore alla tesi
della corporeità dell’anima sostenuta da Vincenzo Vittore. Dopo Cassiano, Fausto
di Riez riprende la tesi materialistica: «Dire l’anima incorporea» significa
farne una parte di Dio. L’idea la ritroviamo, alla fine del V secolo, in
Giuliano Pomerio di Arles, il maestro di Cesario, e in Gennadio di Marsiglia,
mentre Claudiano Mamerto, un prete di Vienne nel Delfinato, nel trattato
La natura dell’anima (470 circa) difende l’incorporeità
nella linea di Agostino. Lo spiritualismo, malgrado la battaglia del grande
teologo, incontrava sempre delle resistenze.
b) Cesario pastore
L’erede
più attivo di Agostino è senza alcun dubbio Cesario di Arles. Nasce verso il 470
nei pressi di Chalons-sur-Saóne dove viene ordinato presbitero, quindi entra nel
monastero di Lérins. Cade malato per eccesso di austerità e si ritira ad Arles,
allora importante centro commerciale. Ne diventa vescovo nel 503 e vi muore nel
542. È un predicatore instancabile, che lascia duecentotrentotto sermoni, e nel
contempo un riformatore religioso e un teologo.
Il
vescovo è alle prese con i tre regimi politici che si succedono e finisce almeno
due volte in prigione. Si preoccupa, tra l’altro, dei numerosi prigionieri dei
quali organizza il riscatto, delle vittime e della miriade di poveri, fino a
sacrificare per loro i vasi sacri. Fonda un importante ospedale.
Questa
attività caritativa non riduce il suo zelo propriamente pastorale. Anche in
questo è vicino al popolo, ma solo al popolo ‘romano’: nessuno sforzo, a quanto
pare, per raggiungere il mondo barbaro che lo circonda. Predica in una lingua
familiare, diretta, dalle immagini realistiche. Si serve volentieri dei testi
dei predecessori, tanto di Fausto di Riez quanto di Agostino, che reimpiega
senza scrupoli, e invita i vescovi (e i preti) a fare altrettanto in caso di
esiguità intellettuale. Bisogna leggere - sostiene - per arricchire le proprie
conoscenze e non accontentarsi di possedere dei bei libri. La lettura faciliterà
la predicazione, di cui fa un obbligo per i responsabili della parrocchia - e
non solo per i vescovi -, altrimenti la penuria della Parola di Dio» ricadrà su
di loro.
Nei
suoi sermoni denuncia i residui di paganesimo: le feste del nuovo anno, la
consultazione degli auguri, le pozioni magiche contro la fecondità, il culto
delle fonti o degli alberi, il riposo del giovedì consacrato a Giove...
Continuamente se la prende con l’ubriachezza. Con la stessa insistenza invita a
versare le decime delle proprie entrate alla Chiesa per le sue opere e, inoltre,
a fare l’elemosina che - secondo una tradizione da lui stesso irrigidita - è il
grande mezzo di riscatto per i ricchi, come la pazienza lo è per i poveri.
Regola con molta austerità le relazioni coniugali che, sotto pena di peccato,
riserva alla procreazione, e invita vigorosamente gli sposi a praticare la
castità nelle vigilie, durante la quaresima e anche lungo il tempo pasquale. Il
matrimonio insomma è un ripiego, inconciliabile con la perfezione. La vita
monastica è la vera risposta cristiana e la salvezza del laico consiste nel
conformarvisi al massimo.
c) Cesario riformatore
Cesario
intende correggere d’autorità i costumi del suo ambiente, che le guerre hanno
reso effettivamente rudi e grossolani. La sua volontà di riforma si estende ai
preti e ai religiosi. Nel 506 presiede il concilio di Agde, debitamente
preparato a colpi di archivio, che regolamenta per tutta la regione la vita
ecclesiastica: clero, vescovi, beni della Chiesa; viene imposto il celibato
ecclesiastico; la caccia o il diritto di sciopero sono banditi. A partire dal
513 riceve un mandato per la Gallia e per la Spagna, così convoca numerosi
concili di portata disciplinare. Tra le altre cose istituisce delle scuole
presbiterali. L’ex monaco di Lérins impone peraltro al suo clero dei tempi di
vita comune e una liturgia monastica.
La vita
religiosa è una delle sue preoccupazioni continue. Fin dal suo arrivo ad Arles,
il vescovo Eone gli affida la riforma di una comunità. È questa certamente
l’origine della breve e un po’ arida
Regola dei monaci.
Nel 512 fonda un monastero di religiose, di cui la sorella Cesaria diventa la
prima badessa. A tal proposito Cesario redige una
Regola delle vergini, che si ispira a Cassiano più che al
suo maestro Agostino, e insiste sulla vita strettamente comunitaria e sulla
gerarchia delle cariche. La monaca si impegna alla stabilità. Il monastero
‘esente’ dalla giurisdizione vescovile è alle dipendenze dirette del papa.
Cesario perfeziona fino alla sua morte questa regola femminile, forse la prima a
essere stata direttamente concepita per le donne.
Questo
pastore, molto legato al monachesimo come la maggior parte dei vescovi del suo
tempo, è anche autore di un’opera dottrinale. Abbiamo già nominato gli scritti
relativi agli ariani. Egli porta avanti simultaneamente la battaglia contro i
pelagiani e si rivela più vicino ad Agostino che non i suoi amici di Lérins.
Interviene presso il papa Felice, che gli rivolge alcuni
Capitoli sull’argomento; compone un
opuscolo sulla grazia. Ma, soprattutto, nel 529 convoca il
concilio di Orange, che mette un termine al problema de «l’iniziativa della
salvezza». Il testo conciliare, più concreto che teorico, sottolinea le
conseguenze del peccato di Adamo e la necessità assoluta della grazia
antecedente per qualsiasi azione meritoria. Senza nulla concedere al «vigore
naturale», esso insiste anche sull’opera di restaurazione operata dal battesimo
e sulla collaborazione attiva del cristiano con la grazia. Non parla della
predestinazione al bene o alla salvezza, ma respinge la predestinazione al male,
contro certi agostiniani estremisti. Ammette la possibilità del Regno per tutti
i battezzati, se lo vogliono, ma non affronta il caso degli infedeli. Queste
posizioni furono approvate dal papa Bonifacio II nel 531 e regolarono per lungo
tempo il problema pelagiano. Il vescovo di Arles svolse con questo un ruolo
universale.
Cesario non è uno speculativo.
È un pastore intelligente e vigoroso, forse troppo legato al monachesimo. Immerso nella civiltà latina, non ha saputo
leggere «i segni dei tempi».
***
Nell'edizione critica delle opere di San Cesario di Arles curata da Dom Germano
Morin la Regula Monachorum occupa il terzo ed ultimo posto nella sezione degli
Scritti monastici, dopo gli Statuta Sanctarum Virginum e le Epistole. In realtà
essa è stata redatta per prima, secondo il Lambot verso il 500. Noi pensiamo che
la sua composizione vada collocata in un'epoca successiva all'esperienza di
Trinquetaille e, con ogni probabilità, allo stesso Concilio di Agde, ma
anteriore tuttavia alla fondazione di San Giovanni e all'inizio della redazione
degli Statuta, vale a dire fra il 506 ed il 512. Ciò non osta che, prima della
redazione definitiva, Cesario, fin dal periodo di Trinquetaille, avesse
compilato una o più redazioni parziali e provvisorie, o comunque disponesse di
schaedulae dalle quali avrebbe preso forma, nel periodo anzidetto, la Regola dei
Monaci come noi la conosciamo. Comunque sia, questo codice ascetico di San
Cesario costituisce, dopo la Regula tertia di Sant'Agostino, la più antica
Regola monastica dell'Occidente, senza dubbio anteriore a quella di San
Benedetto.
La Regola dei Monaci fu pubblicata dopo la morte dell'arcivescovo di Arles ad
opera di un anonimo, di certo un abate, che l'aveva avuta direttamente dal
sacerdote e abate Teridio, nipote di Cesario, come si ricava dalla nota che
funge da breve introduzione alla Regola. Da questa stessa fonte sappiamo anche
che Cesario avrebbe dettato, forse allo stesso Teridio, il suo codice monastico
maschile che, durante gli anni del suo episcopato, venne imposto, secondo i
criteri della riforma monastica cesariana, a tutti i monasteri della sua
giurisdizione.
Quali furono le fonti della Regula Monachorum? Le ipotesi che si possono
formulare su questo punto non si discostano molto da quelle espresse riguardo
alla Regola delle Vergini. All'origine della Regula Monachorum c'è tutta la
formazione patristica di Cesario, con particolare riferimento a Sant'Agostino e
alla sua Regola. Ma il codice cesariano è il primo significativo frutto anche
della esperienza monastica del vescovo di Arles, prima come semplice monaco a
Lérins e più tardi come delegato episcopale con funzioni di abate a
Trinquetaille. In questo senso si può dire che la prima Regola monastica
dell'Europa occidentale affonda sì le sue radici nella tradizione patristica sia
greca che latina, ma è anche l'opera di una personalità vigorosa e originale,
dotata di altissima spiritualità e di grande concretezza, alla cui formazione
concorsero fattori ed esperienze di carattere squisitamente locale e del tutto
irripetibili.
* * *
Com'è naturale, la Regola dei Monaci presenta parecchie analogie con gli Statuta
Virginum, sul piano della normativa spicciola come nel timbro spirituale e
ascetico che deve presiedere a tutta la vita del cenobio. Come sarà per le
«sorelle» guidate da Cesaria, anche i monaci sono invitati a non litigare, a non
giurare, a non pronunciare menzogne né maldicenze, a non adirarsi, ad assistere
con zelo e carità gli infermi, a non rispondere ai superiori, a rispettare il
silenzio a mensa e durante la Salmodia, a venire puntuali all'Ufficio divino, ad
osservare il digiuno, a concepire la vita monastica come una milizia, a privarsi
dei beni e ad avere tutto in comune, a coltivare la lectio come fonte di
preghiera e meditazione, a lavorare con umiltà, solerzia e spirito di obbedienza
e di servizio. In caso di infrazione, anche i monaci subiranno i rigori della
Regola, con punizioni corporali o, nei casi più gravi, con l'excommunicatio.
In definitiva, se si riflette sul fatto che la Regula Monachorum risale ai primi
anni dell'episcopato di Cesario e precede di molto la stesura definitiva della
Regola delle Vergini (dove la concezione ed il programma ascetico-spirituale
dell'A. si dispiega in tutta la sua ricchezza e vastità), si vede chiaramente
che fin dall'inizio del VI secolo Cesario aveva individuato con sicurezza la
linea da seguire per promuovere quella decisiva riforma della vita monastica che
i tempi e le condizioni richiedevano.
È
in questo senso che la brevissima Regola maschile di San Cesario (poco più di
cinque pagine nell'edizione di Morin) risulta complementare e preparatoria
rispetto agli altri Scritti analoghi ed all'intera opera monastica, anche
pratica, del vescovo di Arles. In essa infatti - ed è questo il suo merito
storico più cospicuo - troviamo già delineati con chiarezza quelli che saranno
i
cardini del monachesimo postcesariano e benedettino, vale a dire la decisa
affermazione dell'autorità abbaziale, il principio della stabilitas loci ed il
rispetto della clausura, con tutte le conseguenze di ordine pratico e spirituale
ch'essa comporta: divieto d'ingresso in monastero alle donne, proibizione di
ricevere o spedire nulla fuori del monastero, invito a non fungere da padrini di
Battesimo, e via discorrendo.
Per non parlare della novità prima e più importante legata alla composizione e
alla diffusione della Regula Monachorum, ravvisabile nell'esistenza, per la
prima volta in Europa, di una normativa scritta, oggettiva, universalmente
valida e non modificabile da parte di nessuno. Fino a quel momento, infatti, il
disordine e l'involuzione della vita monastica, almeno in Occidente, avevano
avuto origine anche nella mancanza di una legislazione stabile e sicura. La
Regola dei Monaci di San Cesario di Arles, prima di una lunga serie, veniva a
colmare con la sua sola esistenza, anche prescindendo dai contenuti, questa
lacuna fondamentale, ponendo solide basi alla fioritura del monachesimo
medievale.
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6 Gennaio 2015 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net