Il "Libello sul conflitto di vizi e virtù" di Ambrogio Autperto
- Testo latino con italiano a fronte
“Conflitto tra i vizi e le virtù”
di Ambrogio Autperto
BENEDETTO XVI – Udienza generale,
Piazza San Pietro, 22 aprile 2009
Estratto dal sito della Santa Sede: http://www.vatican.va
(Qui il testo dell'Udienza completa)
Ambrogio Autperto fu monaco ed abate in un’epoca segnata da forti tensioni
politiche, che si ripercuotevano anche sulla vita all’interno dei monasteri.
Di ciò abbiamo echi frequenti e preoccupati nei suoi scritti. Egli denuncia,
ad esempio, la contraddizione tra la splendida apparenza esterna dei
monasteri e la tiepidezza dei monaci: sicuramente con questa critica aveva
di mira anche la sua stessa abbazia. Per essa scrisse la Vita dei tre
fondatori con la chiara intenzione di offrire alla nuova generazione di
monaci un termine di riferimento con cui confrontarsi. Uno scopo simile
perseguiva anche il piccolo trattato ascetico Conflictus vitiorum et
virtutum (“Conflitto tra i vizi e le virtù”), che ebbe grande successo
nel Medioevo e fu pubblicato nel 1473 a Utrecht sotto il nome di Gregorio
Magno e un anno dopo a Strasburgo sotto quello di sant’Agostino. In esso
Ambrogio Autperto intende ammaestrare i monaci in modo concreto sul come
affrontare il combattimento spirituale giorno per giorno. In modo
significativo egli applica l’affermazione di 2 Tim 3,12: “Tutti
quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati” non
più alla persecuzione esterna, ma all’assalto che il cristiano deve
affrontare dentro di sé da parte delle forze del male. Vengono presentate in
una specie di disputa 24 coppie di combattenti: ogni vizio cerca di adescare
l’anima con sottili ragionamenti, mentre la rispettiva virtù ribatte tali
insinuazioni servendosi preferibilmente di parole della Scrittura.
In questo trattato sul conflitto tra vizi e virtù, Autperto contrappone alla cupiditas (la cupidigia) il contemptus mundi (il disprezzo del mondo), che diventa una figura importante nella spiritualità dei monaci. Questo disprezzo del mondo non è un disprezzo del creato, della bellezza e della bontà della creazione e del Creatore, ma un disprezzo della falsa visione del mondo presentataci e insinuataci proprio dalla cupidigia. Essa ci insinua che “avere” sarebbe il sommo valore del nostro essere, del nostro vivere nel mondo apparendo come importanti. E così falsifica la creazione del mondo e distrugge il mondo. Autperto osserva poi che l’avidità di guadagno dei ricchi e dei potenti nella società del suo tempo esiste anche nell’interno delle anime dei monaci e scrive perciò un trattato intitolato De cupiditate, in cui, con l’apostolo Paolo, denuncia fin dall’inizio la cupidigia come la radice di tutti i mali. Scrive: “Dal suolo della terra diverse spine acute spuntano da varie radici; nel cuore dell’uomo, invece, le punture di tutti i vizi provengono da un’unica radice, la cupidigia” (De cupiditate 1: CCCM (Corpus Christianorum Continuatio Mediaevalis) 27B, p. 963). Rilievo, questo, che alla luce della presente crisi economica mondiale, rivela tutta la sua attualità. Vediamo che proprio da questa radice della cupidigia tale crisi è nata. Ambrogio immagina l’obiezione che i ricchi e i potenti potrebbero sollevare dicendo: ma noi non siamo monaci, per noi certe esigenze ascetiche non valgono. E lui risponde: “È vero ciò che dite, ma anche per voi, nella maniera del vostro ceto e secondo la misura delle vostre forze, vale la via ripida e stretta, perché il Signore ha proposto solo due porte e due vie (cioè la porta stretta e quella larga, la via ripida e quella comoda); non ha indicato una terza porta ed una terza via” (l. c., p. 978). Egli vede chiaramente che i modi di vivere sono molto diversi. Ma anche per l’uomo in questo mondo, anche per il ricco vale il dovere di combattere contro la cupidigia, contro la voglia di possedere, di apparire, contro il concetto falso di libertà come facoltà di disporre di tutto secondo il proprio arbitrio. Anche il ricco deve trovare l’autentica strada della verità, dell’amore e così della retta vita. Quindi Autperto, da prudente pastore d’anime, sa poi dire, alla fine della sua predica penitenziale, una parola di conforto: “Ho parlato non contro gli avidi, ma contro l’avidità, non contro la natura, ma contro il vizio” (l. c., p. 981).
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13 marzo 2021 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net