LIBELLO DEL PRESBITERO AMBROGIO AUTPERTO
SUL CONFLITTO DI VIZI E VIRTÙ
MANDATO AL PRESBITERO E ABATE LANTFRID
ALL’INTERNO DELLA COSTITUZIONE DELLA BAVIERA.
1. La voce apostolica annuncia per la città e,
disposti nell’imminenza della battaglia della fede cristiana, affinché non
rimangano paralizzati dalla tranquillità, dice:
Tutti coloro che vogliono vivere in maniera pia in Cristo Gesù subiranno
persecuzioni (2 Tm 3,12). Ed ecco
che la cristianità ora è devota, ora è fedele alle proprie origini, e a
coloro che vivono piamente in Gesù Cristo mancano le catene, le bastonate, i
flagelli, le prigioni, i cavalletti di tortura, le croci e, se questi
esistono, generi di diversi tormenti. In che modo dunque sarà vero ciò che è
risuonato per mezzo dell’apostolo, cioè che tutti coloro che vivono in
maniera pia subiscono persecuzioni? Forse che nessuno vuole vivere piamente
in Cristo in tempo di pace, e per questo motivo mancano codeste cose? O
quale pazzo avrebbe detto questo? Dunque in questa frase dell’Apostolo deve
essere intesa non la particolare persecuzione di qualcuno, ma quella
generale di tutti. E inoltre nel grembo della madre Chiesa ce ne sono molti
che aggrediscono con insulti, ingiurie e derisioni e compiono oltraggi
contro coloro che vivono piamente in Cristo. Forse è questa quella
persecuzione generale che l’Apostolo ha narrato che subiscono tutti coloro
che vivono in maniera pia? Non lo direi facilmente, poiché ci sono alcuni
uomini devoti che nessuno dei depravati osa accusare di persona. Perciò si
deve intendere un’altra cosa, che è più terribile ed è un danno maggiore, e
che l’austerità materiale non distorce, ma l’ostilità dei vizi genera.
Mentre dunque all’umiltà si oppone la superbia, al timore di Dio la gloria
vana, alla vera religione l’inganno (imitazione), alla sottomissione il
disprezzo, alla felicitazione fraterna l’invidia, all’amore l’odio, alla
libertà la calunnia del rimprovero, alla pazienza l’ira, alla clemenza la
protervia, alla giustificazione l’orgoglio, alla gioia spirituale si oppone
la tristezza della vita mondana, all’esercizio delle virtù l’inerzia e la
pigrizia, alla sicura stabilità una sregolata vita errante, alla fiducia
nella speranza la disperazione, al disprezzo del mondo la cupidigia, alla
misericordia l’indurimento, alla rettitudine il furto e la frode, alla
verità l’inganno e la finzione, alla frugalità dei cibi l’ingordigia del
ventre, alla mestizia moderata la gioia eccessiva, al silenzio discreto la
loquacità, all’integrità della carne l’impurità e la lussuria, alla purezza
del cuore la fornicazione spirituale, e contro l’amore della patria celeste
si insinua combattendo il desiderio del tempo attuale, cos’altro se non la
crudele persecuzione di coloro che vivono in maniera pia infierisce contro
l’esercito schierato delle virtù? O quanto è spietata, quanto è dura la
battaglia della superbia, che ha esiliato gli angeli dal cielo, ha
allontanato gli uomini dal paradiso, il cui esercito e conflitto armato sono
i vizi che brevemente espressi abbiamo trattato. Ma vediamo in che modo gli
accampamenti celesti e infernali combattono, in che modo le armi di Cristo e
del diavolo urtatesi se la contendono.
2. E infatti la superbia dice: “Certamente tu
sei superiore a molti, anzi anche quasi a tutti, nell’uso della parola,
nella conoscenza, nelle ricchezze, negli onori e in tutte quelle cose che
corrispondono a doni divini sia di tipo carnale che spirituale. Perciò
disprezza tutti gli altri, e attento ad essere tu stesso superiore a tutti”.
Ma la vera umiltà risponde: “Ricorda che sei polvere, (Cfr. Gen 3,19) che
sei cenere, che sei verme e marciume, e tanto più se sei qualcosa se non ti
umili tanto quanto sei importante perderai completamente ciò che sei (Cfr.
Sir 3,20). Forse che tu sei più nobile del primo angelo? Forse che sei più
luminoso in terra che Lucifero in cielo? Che se quello è caduto da luoghi
così elevati a causa della superbia, in che modo tu, essendo così
orgoglioso, salirai a così tanta altezza dalla zona più infima, tu che,
finché vivi in questo luogo, sei tenuto in quella condizione che è descritta
per mezzo di un certo sapiente:
Il corpo che si corrompe indebolisce l’anima e la dimora terrena opprime la
mente che pensa molte cose? (Sap
9,15) Come pensiamo che il fango rotoli in terra dall’oscurità piena di
superbia, se in cielo la stella che sorgeva al mattino ha potuto privare il
mondo della sua luce? (Cfr. Is 14,12) Ascolta perciò piuttosto la Luce di
verità che dice:
Chi mi segue, dice, non cammina nelle tenebre ma avrà la luce di vita (Gv
8,12). Tuttavia ha ammonito in un
altro passo in cosa bisognasse seguirla dicendo:
Imparate da me, poiché sono benigno e umile di cuore, e troverete la pace
per le vostre anime (Mt 11,29).
Ascolta, corruccio di superbia, ascolta ancora il
maestro di umiltà che dice:
Chiunque
si esalti sarà umiliato, e chi si umilia, sarà esaltato
(Lc 14,11).
E quello: Sopra chi si riposerà il
mio spirito, se non sopra l’umile, sul modesto e su colui che teme le mie
parole? (Is 66,2).
Ascolta anche ciò che dice l’Apostolo riguardo a colui che ti invita a
seguire queste cose. Dice infatti:
Lui, pur essendo di condizione divina, non ha
ritenuto un privilegio essere uguale a Dio, ma ha spogliato se stesso,
assumendo la condizione di servo, divenuto simile agli uomini, e
riconosciuto nell’aspetto come un uomo. Ha umiliato se stesso rendendosi
ubbidiente fino alla morte, ma ad una morte in croce
(Fil 2,6-8).
Se dunque la divina grandezza affonda se stessa in così tanta umiltà, la
debolezza umana deve insuperbire in qualcosa?”.
3. La gloria vana dice: “Fai
bene ogni cosa di cui sei capace, e mostra a tutti ciò che di buono fai,
affinché tu sia definito virtuoso da tutti, affinché tu sia proclamato santo
e venerabile da tutti, affinché tu sia chiamato l’eletto di Dio, affinché
nessuno ti disprezzi, nessuno ti sdegni, ma tutti insieme ti paghino il
debito con onore” (Gregorio Magno,
Moralia in Iob, L. 31, ?). Ma il
timore di Dio risponde: “Se fai qualcosa di buono, non farlo per onori
passeggeri, ma per gli onori eterni. Nascondi ciò che fai per quanto puoi.
Perché se non ci riesci completamente, ci sia nell’animo il desiderio di
nascondere, e non ci sarà nessuna sconsideratezza riguardo all’ostentazione,
e non sarà considerata una colpa mostrare talvolta ciò che vuoi sempre
mantenere nascosto. Così infine sembrerà che siano state soddisfatte quelle
due frasi del Redentore, tra di loro quasi opposte, con le quali è detto:
Mentre fai l’elemosina, non sappia la tua mano sinistra cosa fa la tua
destra, ma la tua elemosina sia in segreto; e il padre tuo che vede nel
segreto ti ricompenserà (Mt 6,3-4).
E:
Vedano le vostre opere buone e glorifichino il padre vostro che è nei cieli
(Mt 5,16). Attento insomma
affinché non ti si addica quella frase che è pronunciata riguardo agli
ipocriti:
Fanno tutte le loro azioni per essere lodati dagli uomini. In realtà io vi
dico, hanno già ricevuto la loro ricompensa (Mt 23,5; Mt 6,2).
Attento in ogni cosa che fai, perché tu, spinto dalla superiorità, non senta
insieme a quelli che si vantavano dei segni dei miracoli:
Vedevo Satana come un bagliore che cadeva dal cielo” (Lc 10,18).
4. L’imitazione della vera religione dice: “Poiché non fai niente di buono
in segreto, fingi di essere fuori ciò che dentro non desideri essere,
affinché tu, riconosciuto da tutti, non sia criticato”. Ma la vera religione
risponde: “Al contrario preoccupati più di essere ciò che non sei, infatti
mostrare agli uomini ciò che non sei, cos’altro è se non una condanna?
Perciò ricorda ciò che è detto:
Guai a voi scribi e farisei ipocriti, che pulite ciò che è all’esterno del
calice e del piatto, mentre all’interno siete pieni di ruberia e sporcizia.
Oh fariseo, pulisci prima ciò che sta dentro il calice e il piatto, affinché
diventi pulito anche ciò che è fuori
(Mt 23,25-26).
E allo stesso modo è ripreso quello che si deve tenere bene a mente:
Guai a voi scribi e farisei ipocriti, poiché siete simili ai sepolcri
imbiancati, che da fuori appaiono splendidi agli uomini, in verità
all’interno sono pieni di ossa di morti e di ogni sporcizia. E così voi da
fuori apparite sicuramente giusti agli uomini, mentre dentro siete pieni di
ipocrisia e iniquità (Mt 23,27-28).
E si legge quello che è stato scritto riguardo a tali persone:
Giungono a voi in abiti di pecore, in verità dentro sono lupi feroci”
(Mt 7,15).
5. La disubbidienza dice: “Chi sei tu che, per
conformarti ai peggiori, offri la servitù ai più cattivi? Comandare si
confaceva più a te che a quelli, che non possono essere paragonati a te per
intelligenza ed energia. Quindi obbedisci piuttosto all’autorità del
signore, e non interessarti di nessun altro”. Ma la beata sottomissione
risponde: “Se si deve obbedire all’autorità del Signore, è necessario essere
sottomessi agli insegnamenti umani. Lui stesso infatti dice:
Chi ascolta voi ascolta me, e chi disprezza voi disprezza me (Lc 10,16).
Così, dici, è necessario, ma se ci fosse un tale che comanda, non c’è un
tale attraverso il quale Dio dà gli ordini?
Ma l’Apostolo al contrario dice: Non c’è autorità se non da Dio.
Inoltre
tutte quelle cose che esistono, sono state ordinate da Dio. Perciò chi si
oppone all’autorità, si oppone all’ordinamento di Dio
(Rm 13,1-2).
Quali infatti debbano essere questi che governano, non deve essere discusso
da coloro che vi sono sottomessi. E senza dubbio il Signore ha detto ai
primi pastori della Chiesa:
Sapete che i re di quei popoli comandano, e coloro che esercitano il potere
sono chiamati tra di loro generosi. Voi invece non così, ma chi vuole essere
il più importante tra di voi, sarà servo di tutti, come il figlio dell’uomo
non viene per essere servito, ma per servire
(Lc 22,25-26; Mt 20,25-28).
Tuttavia, poiché aveva previsto che non tutti sarebbero stati tali,
prendendo con sé tra i discepoli persone di ogni tipo di suddito (umili)
ammonì dicendo:
Si sono seduti sopra il seggio di Mosè scribi e
farisei. Ciò che vi dicono, fatelo. Quelle cose che invece fanno, non
vogliate farle. Pongono infatti sulle spalle degli uomini pesi pesanti e
insopportabili, ma loro non vogliono muoverli con un dito”
(Mt 23,2-4).
6. L’invidia dice: “In
cosa sei inferiore a quello o a quello? Perché dunque non sei o uguale o
superiore a quelli? In quante cose sei forte, nelle quali proprio loro non
sono capaci? Perciò non devono essere superiori o anche uguali a te”
(Gregorio Magno,
Moralia in Iob,
L. 31, cap. 45,5). Ma la felicitazione per il successo del fratello
risponde: “Se superi gli altri in virtù, mantieni te stesso nel luogo più
basso di tutti piuttosto che in quello più elevato. La caduta infatti
risulta sempre più rovinosa dall’alto. Poiché se, come dichiari, alcuni sono
uguali o superiori a te, cosa ti danneggia, cosa ti nuoce? Attento insomma a
non invidiare ancora agli altri la posizione elevata, e a non imitare ciò
che conservi scritto:
La morte entra nel mondo grazie all’invidia del diavolo; e quelli che gli
appartengono lo
imitano”
(Sap 2,24-25).
7. L’odio dice: “Lungi da me il pensiero che tu
ami quello che ti è ostile in tutte le cose, che ti sminuisce, che ti
insulta, che ti irrita con ingiurie, che ti rimprovera i tuoi peccati, che
cerca sempre di esserti avanti in detti, opere e onori. Se infatti non ti
invidiasse, in nessun modo si mostrerebbe così con te”. Ma il vero amore
risponde: “Se queste cose di cui parli sono da odiare nell’uomo, per questo
non è da amare l‘immagine di Dio nell’uomo? Così come Cristo, che posto in
croce ha amato i suoi nemici, prima della sofferenza della croce ha esortato
dicendo:
Amate i vostri nemici,
agite rettamente verso coloro che vi hanno
odiato (Lc 6,27-28)
e pregate
per quelli che vi perseguitano e vi criticano, affinché siate figli del
Padre vostro che è nei cieli (Mt
5,44-45).
E come è detto per mezzo di Salomone e dell’Apostolo:
Se il tuo
nemico avrà fame, nutrito; se ha sete, dagli da bere. Facendo questo infatti
accumulerai sopra la sua testa carboni di fuoco
(Pr 25,21-22; Rm12,20).
A questa frase lo stesso Apostolo di sua iniziativa ha fatto seguire
dicendo:
Non vogliate essere vinti dal male, ma vincete
il male con il bene (Rm 12,21).
Per questo motivo contro coloro che sono riconosciuti odiare i fratelli è
detto per mezzo di Giovanni:
Chi odia
il proprio fratello è un omicida. E sapete che nessun assassino ha la vita
eterna dimorante in se stesso (1 Gv
3,15).
E ancora: Chi odia il proprio
fratello, cammina nelle tenebre, ed è nelle tenebre sino ad ora, e non sa
dove stia andando poiché le tenebre hanno accecato i suoi occhi
(1 Gv 2,11).
Ma, dici, a me basta amare coloro che mi amano. Ma il Signore al contrario:
Se infatti amate coloro che vi amano, quale
ricompensa avrete? Non fanno forse questo gli esattori?
(Mt 5,46)
A queste affermazione cosa sei capace di obiettare anche tu? Certamente chi
odia il proprio fratello rimane in una condizione di morte, e colui che ama
Dio, rimane in Dio e Dio in lui (Cfr. 1 Gv 3,14; 4,15). Perciò getta fuori
ogni amarezza del fiele, scegli la dolcezza della carità, e sarai salvo in
ogni modo. Niente infatti è più soave, niente è più dolce di quella.
Dio,
dice Giovanni, è carità
(1 Gv 4,8.16).
E l’eccellente predicatore:
La carità
di Dio è stata diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che è
stato dato a noi (Rm 5,5).
Perciò si dice non a torto di nascondere le azioni delittuose come è stato
scritto: “La
carità nasconde ogni errore” (Pr
10,12).
8. La maldicenza dice: “Chi può proteggere, chi
può nascondere in silenzio, quante azioni malvagie commette quello o quello,
se non forse chi è d’accordo?”. Ma la libertà del giusto rimprovero
risponde: “Non si devono tacere le azioni disoneste del vicino, e nemmeno
essere d’accordo. Ma si deve rimproverare il prossimo di persona con amore
fraterno, e non denigrarlo di nascosto. Se gli si obietta questo, ovvero che
non vuole rimproverare il fratello davanti agli occhi, perché esasperato non
tragga giovamento dal rimprovero, ma piuttosto tragga motivo di scandalo dal
rimprovero, accorre la divina scrittura e dichiara esserci più occasione di
peccato dicendo:
Mentre sedevi parlavi contro tuo fratello e
diffamavi il figlio di tua madre
(Sal 50(49),20).
Infatti si arroga maggiormente occasione di peccato chi si ritiene un
denigratore, piuttosto che colui che sostiene l’accusatore. E poiché
talvolta gli errori di coloro che sbagliano si devono nascondere in silenzio
per un certo tempo, affinché vi sia posto rimedio in un tempo più adatto,
per questo è aggiunto:
Hai fatto queste cose e io ho taciuto (Sal 50(49),21).
Affinché invece da questo discreto silenzio i calunniatori non applaudiscano
se stessi, i quali mentre preferiscono sempre sminuire di nascosto, mai
sfociano in un aperto rimprovero, è aggiunto:
Hai pensato che io fossi simile a te nell’ingiustizia
(Sal 50(49),21) come se si
dicesse: è ingiusto pensare che poi io appaia simile al calunniatore. Per
cui mentre passo sotto silenzio momentaneamente e non sminuisco, aspetto
opportunamente il momento del rimprovero. E di seguito è aggiunto:
Ti accuserò e metterò quelle cose davanti ai tuoi occhi (Sal 50(49),21),
come se si dicesse: Non in segreto, come è tua abitudine, ma apertamente,
come è mia premura, mentre aspetto il tempo adatto per rimproverare,
accuserò il peccatore e metterò davanti ai suoi occhi i suoi errori. Invece,
dici, non provo odio, ma amo colui che rimprovero giudicandolo in segreto.
Anzi soprattutto per questo lo odi e non lo apprezzi, perciò denigri e non
rimproveri. Quanto invece sia da maledire la denigrazione del prossimo, le
divine scritture lo attestano in moltissimi passi. Ad esempio c’è quello:
Perseguitavo colui che sparlava in segreto del suo prossimo (Sal
101(100),5), e quello:
Chi sparla del fratello, sparla della legge (Gc 4,11),
e quello:
Chi sparla del fratello, sarà distrutto (Pr 20,13; LXX),
e anche quello dell’apostolo Paolo:
Guardate, mentre vi mordete a vicenda, a non distruggervi vicendevolmente”
(Gal 5,15).
9. L’ ira dice: “Le cose che sono fatte contro
di te, non possono essere sopportate con serenità. È anzi un errore
sopportarle con rassegnazione, poiché sebbene non ci si opponga loro con
grande irritazione, sono accumulate una dopo l’altra contro di te senza
misura”. Ma la pazienza risponde: “Se si richiama alla memoria la passione
del Redentore, niente è così crudele, da non essere sopportato con animo
sereno.
Cristo infatti, come ha detto
Pietro,
ha patito per noi, lasciando a noi l’esempio, affinché seguissimo le sue
orme (1 Pt 2,21).
Inoltre sempre lui ha detto:
Se hanno chiamato Belzebù il padrone, quanto più chiameranno così i suoi
servi (Mt 10,25). Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi (Gv
15,20). Ma nella comparazione con
le sofferenze di Cristo, quante sono quelle che subiamo noi? Quello infatti
ha sopportato insulti, scherni, schiaffi, sputi, flagelli, la corona di
spine e la croce, e noi miseri siamo esasperati da un solo discorso contro
il nostro turbamento, siamo abbattuti da una sola parola. E come ci
comportiamo riguardo a ciò che è detto:
Se non soffriamo insieme, non regneremo insieme?
(Cfr. 2 Tm 2,12) Per questo bisogna respingere gli stimoli dell'ira e
bisogna temere la dannazione per causa sua. Onde leggiamo lo scritto:
Colui che si adira contro il proprio fratello, sarà accusato in giudizio;
chi invece avrà detto al suo fratello: Omiciattolo, sarà sottoposto
all’assemblea; chi invece avrà detto: Stupido, sarà sottoposto alla pena del
fuoco (Mt 5,22). Ci sono casi in
cui tuttavia si trova aiuto da ciò che segue:
Se offri il tuo dono all’altare, e li ti fosti ricordato che tuo fratello ha
qualcosa contro di te, lascia il tuo dono davanti all’altare e va prima a
riconciliarti con il tuo fratello, e soltanto allora vieni e offri il tuo
dono (Mt 5,23-24). Come se si
dicesse: non diffondere nel cuore la tacita preghiera, se non prima di
indurre alla bontà della clemenza il fratello offeso chiedendo perdono.
Infatti il nostro dono è la nostra preghiera, e il vero altare è il nostro
cuore. Chi al contrario si sarà dedicato a fare questo, quante volte l'ira
tra i due sarà stata accesa senza motivo, non si scaglierà in alcun modo
contro la predetta dannazione. Ma ci sono molti che non perdonano gli errori
a coloro che chiedo grazia per sé. Contro questi giunge quella frase del
Signore, che dice:
Se non avrete perdonato agli uomini i loro peccati, il Padre vostro celeste
non rimetterà a voi i vostri peccati (Mt 6,15).
Sono parecchi, dici, gli sbagli che commette, e più frequentemente mi
danneggia. A queste affermazioni non io, ma il Signore risponde. Infatti
avendo Pietro detto a lui:
Mio fratello ha peccato contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a
sette? E quello a lui:
Non ti dico, dice, fino a sette, ma fino a settanta volte sette (Mt
18,21-22). Quanti sono invece
quelli che ammettono tardi i propri errori, quanti in verità quelli che si
abbandonano più velocemente a Dio, e talvolta accade che essendoci
l’opportunità di vendicare i torti del Signore, vendichino adirati i propri.
Cos’altro si deve dire riguardo a quelli che, a causa del furore della
cecità, arrivano a lanciare parole di maledizione, se non ciò che ha
detto l’Apostolo:
I maldicenti non risiederanno nel regno di Dio?
(1 Cor 6,10).
A questo proposito Giacomo mentre maledice ha detto esagerando:
Nessun uomo può domare la lingua, male senza posa, piena di veleno
mortifero. Benediciamo con essa il Signore e il Padre, e sempre con quella
malediciamo gli uomini che sono stati fatti a somiglianza di Dio; dalla
stessa bocca esce la benedizione e la maledizione. Non è necessario,
fratelli miei, che sia così. Forse che la sorgente fa sgorgare acqua dolce e
amara dalla stessa apertura?
(Gc 3,8-11). Riguardo a questa questione è detto ancora altrove:
La morte e la vita sono in potere della
lingua”
(Pr 18,21).
10. La protervia dice: “Forse che agli stolti,
ai privi di senso e ai bruti si devono offrire parole dolci, mentre
commettono errori, e non piuttosto parole durissime, come si addice a tali
uomini? Ma la clemenza risponde: “Nei confronti di questi si deve seguire
non la tua convinzione, ma l’insegnamento dell’Apostolo, che richiama a
questa frase il caro discepolo dicendo:
Non riprendere un uomo anziano, ma esortalo come un padre, i giovani come
fratelli, le donne anziane come madri, quelle giovani come sorelle, in tutta
onestà (1 Tm 5,1-2). E ancora:
Il servo del Signore, dice, non deve litigare, ma deve essere benevolo con
tutti, un maestro paziente, correggendo con moderazione coloro che oppongono
resistenza (2 Tm 2,24-25). E
ancora:
Denuncia, esorta, rimprovera con ogni pazienza e dottrina (2 Tm 4,2).
Ragione per cui è evidente che il male della protervia danneggia
maggiormente i sudditi che i prelati. Capita più frequentemente infatti che
disprezzino il rimprovero offerto con moderazione e con la dolcezza della
carità, e che scaglino dardi di discussione contro le parole di umiltà. Onde
è stato scritto:
Colui che riprende il derisore, si fa da solo un’offesa (Pr 9,7).
E al contrario riguardo a colui che migliora per mezzo del rimprovero è
detto:
Riprendi il saggio, e quello ti amerà” (Pr 9,8).
11. L’orgoglio dice: “Hai Dio come testimone nei cieli, non preoccuparti di
quello che gli uomini sospettano su di te in terra”. Ma l’umile
giustificazione risponde: “Non si deve dare motivo di sparlare, non
l’occasione di mormorare, ma se ci sono cose da migliorare, si devono
manifestare, o se ci sono cose che sono senza dubbio difettose, si devono
respingere con umile dichiarazione, poiché anche l’Apostolo avvisa di non
dare alcuna occasione al diavolo di essere maledetto (Cfr. 1 Tm 5,14).
Poiché è stato maledetto anche tra coloro che, dichiarandosi di fede
cristiana, si sdraiavano nel tempio pagano per mangiare. E sebbene
assumessero cibi quasi innocui derivati da vittime sacrificali, considerando
l’immagine di nessun valore, tuttavia tramite questo attiravano le coscienze
deboli dei fratelli ai riti scellerati dei simulacri (Cfr. 1 Cor 8,7-11).
12. La malinconia dice: “Cos’hai
di cui gioire, quando sopporti così tanti danni dal prossimo? Valuta con
questo dolore, ci si deve occupare di tutti coloro che esercitano contro di
te il fiele dell’asprezza?” (Gregorio
Magno,
Moralia in Iob,
L. 31, cap. 45,5). Ma la gioia spirituale risponde: “Ho saputo che la
malinconia è duplice, anzi ho saputo che esistono due tipi di malinconia:
una che naturalmente porta alla salvezza, l’altra che invece conduce alla
rovina; una che induce al pentimento, l’altra che porta alla disperazione.
Tu senza dubbio ti riconosci appartenere ad una tra quelle, ma ti dedichi
certamente a quella che conduce alla morte. Non si deve dunque portare
tristezza nelle cose che consigli, ma al contrario bisogna soprattutto
gioire di quelle cose che ancora non capisci, poiché anche colui che dona la
gioia perenne ha detto:
Quando gli uomini vi perseguiteranno, e mentendo diranno contro di voi ogni
male a causa del mio nome, gioite in quel giorno ed esultate; ecco infatti
la vostra ricompensa è grande nel Regno dei cieli (Mt 5,11-12).
Ricorda che gli apostoli della nostra
religione
si allontanavano gioiosi dallo sguardo del Tribunale, poiché erano stati
considerati degni di sopportare oltraggio in nome di Gesù (At 5,41).
Non ci deve perciò essere nessun momento di afflizione quando così tanta
letizia si avvicina”.
13. La pigrizia o l’inerzia dice: “Se ti dedichi
sempre alla lettura con impegno continuo, incorri nell’oscurità degli occhi;
se versi lacrime incessantemente, perdi anche gli occhi stessi; se compi la
registrazione dei salmi con prolungate veglie notturne, ti procuri
l’infermità mentale; se stanchi te stesso con una fatica quotidiana, quando
ti elevi all’opera spirituale?”. Ma l’esercizio delle virtù risponde: “Per
portare a termine queste cose, che periodo di tempo tanto lungo di prefiggi?
Sai forse se vivrai domani? O piuttosto sai anche se in questa vita vivrai
anche una sola ora? O forse ti sei dimenticato ciò che il Salvatore dice nel
Vangelo:
Rimanete svegli, poiché non sapete né il giorno né l’ora? (Mt 25,13)
Per cui eliminate l’inerzia del corpo e ricordate sempre che si contendono
il regno dei cieli non quelli senza entusiasmo, non le persone languide, non
gli oziosi, ma gli impetuosi e coloro che agiscono con vigore”.
14. La sregolata vita errante dice: “Se credi
che Dio sia ovunque, perché perseveri in maniera particolare in un solo
luogo, in cui sono commesse così tante azioni malvagie, e piuttosto non vai
altrove?”. Ma la ferma stabilità risponde: “Se è così come dici, che
dichiari che Dio è ovunque, allora non devi abbandonare codesto luogo che
desideri fuggire, poiché anche in questo stesso luogo c’è Dio. Ma, dici,
cerco un luogo migliore, trovo un luogo migliore. Ma rispondo: Forse che
conosci un luogo migliore, o ne trovi anche uno, come quello che il diavolo
e l’uomo hanno perso? Ricordati perciò che il primo angelo è caduto dal
cielo, e il primo uomo cacciato dal paradiso è giunto alla miseria di questo
secolo (Cfr. Gen 3,25). Attento che Lot è stato riconosciuto, nelle pratica
di azioni malvagie, santo tra i Sodomiti, in verità peccò con le figlie
completamente ubriaco, mentre era intorpidito sul monte con indifferenza
(Cfr. Gen 19,30-36) È chiaro che questa noia della vita errante può prendere
un altro aspetto ancora, pur di darsi da fare per coinvolgere negli affari
terreni o per occupare con cose da nulla certe persone che pure restano in
un luogo solo, distogliendole dalle cose spirituali, operando il contrario
dell’apostolo che dice:
Nessun militante di Dio si impegna in attività mondane, affinché piaccia a
colui a cui era gradito, (2 Tm 2,4)
e ancora:
Pregate senza discontinuità, ringraziate per ogni cosa” (1 Ts 5,17-18).
15. La disperazione dice: “Quanti crimini e di che natura hai commesso,
quanto gravi, quanti numerosi errori, e non hai ancora cambiato vita in
meglio, non hai ancora migliorato il tuo comportamento. Ecco infatti, come
vedi, sei sempre obbligato a questa cattiva consuetudine. Tenti di
ribellarti, ma ricadi oppresso dai pesi dei peccati. Perciò cosa bisogna
fare, quando dal passato incombe una certa dannazione, nessuna correzione
viene in aiuto dal presente, se non che non bisogna trascurare i piaceri
delle cose temporali, mentre non possono essere raggiunti i godimenti del
tempo futuro?”.
Ma la fiducia della speranza risponde: “Se si
parla di crimini e delitti, ecco Davide, colpevole allo stesso modo di
adulterio e omicidio, dalla misericordia del Signore è definito salvo dagli
abissi dell'inferno (Cfr. 2 Sam 12-13). Ecco Manasse, il più empio, il più
ignobile e il più spregevole di tutti i peccatori, anche il più seducente e
perverso, è ritornato in vita dalla morte per fare penitenza (Cfr. 2 Cr
33,12-13). Ecco Maria Maddalena, macchiata dagli innumerevoli squallori
delle fornicazioni, mentre corre affannata alla sorgente di pietà, e bagna
con le lacrime le vesti del signore, mentre pulisce i capelli, sfiorandoli e
anche baciandoli con passione, e li unge con l’olio profumato, ha meritato
di essere purificata (Cfr. Lc 7,37-47). Ecco Pietro legato alle catene della
sua negazione, ha sciolto i nodi della sua mancanza di fede con lacrime
amarissime (Cfr. Lc 22,62). Ecco il bandito colpevole allo stesso tempo di
rivolta e dello spargimento del sangue fraterno, è passato dalla croce al
paradiso in un solo momento e per una sola parola di confessione (Cfr. Lc
23,40-43). Ecco Saulo persecutore della Chiesa di Dio, che uccide molti a
causa del nome di Gesù, e, così come ho detto, mentre macchia tutto se
stesso con il sangue dei martiri, dopo essere stato fatto apostolo, è stato
mutato in
Vas electionis (Cfr. At 9,1-20).
Perciò quando precedono esempi così numerosi e così importanti, i discorsi
negativi offrano un momento di disperazione, poiché è stato anche scritto:
In qualunque luogo e giorno il peccatore piangerà pentito, sarà salvo (Cfr.
Ez 18,21). E ancora:
Non voglio la morte dell’empio, dice il Signore (Ez 33,11).
In verità riguardo al comportamento non ancora mutato in meglio, cos’altro
potrei rispondere se non che ciò che ognuno non ha fatto ieri, lo faccia
oggi finché gli è ancora concesso di vivere? E non rinvii di giorno in
giorno, finché non sa se avrà anche un solo giorno per correggersi, e
resistendo alla perversa abitudine, dica sempre mattina e sera per gli
uomini graditi in cielo:
Ho iniziato ora, questo è il mutamento della destra dell’Altissimo”
(Sal 76(75),11).
16. La cupidigia dice: “Sei
senza dubbio senza colpa, per il fatto che desideri avere alcune cose,
poiché non cerchi di aumentare te stesso, ma hai paura di averne bisogno, e
ciò che un altro conserva male, tu stesso lo valuti meglio”
(Gregorio Magno,
Moralia in Iob,
L. 31, cap. 45,5). Ma il disprezzo del mondo risponde: “Queste cose presso
gli uomini profani sono amministrate non senza pericoli e danni, poiché
quanto più chiunque inizia ad avere, tanto più desidera avere, e accade che
non abbia alcuna moderazione nel desiderare, mentre si affretta a dedicarsi
agli innumerevoli affanni del suo tempo. Come infatti dice la Scrittura:
L ’avaro non è saziato dal denaro (Qo 5,9).
Paolo indica proprio quanto questa sia da maledire (tenere lontano) dicendo:
E l’avarizia, che è schiavitù degli idoli (Col 3,5; Ef 5,5).
Quanto sia dannosa lo dice lui stesso mentre spiega:
Coloro che vogliono diventare ricchi, cadono in tentazione e nella trappola
del diavolo, e in molti e nocivi desideri, che fanno sprofondare gli uomini
nella rovina e nella perdizione (1 Tm 6,9).
Quanto si debba tenere lontana lo fa sapere un certo sapiente dicendo:
Nulla è più scellerato dell’avaro (Qo 10,9).
Quanto sia nociva lo rivela Giacomo dicendo:
Agite ora, ricchi, piangete mentre ululate tra i lamenti che vi sono giunti.
Le vostre ricchezze sono state rese putredine, i vostri vestiti sono stati
mangiati dalle tarme, il vostro oro e argento sono arrugginiti, e la loro
ruggine sarà una testimonianza contro di voi e mangerà le vostre carni come
il fuoco (Gc 5,1-3). Ma il nostro
Redentore non ha voluto ignorare quanto il male della cupidigia sia nocivo.
Dice infatti:
Difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno dei cieli (Mt
19,23). E ancora:
È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, piuttosto che un
ricco entri nel regno dei cieli (Mt 19,24).
Se dunque la pratica della cupidigia è così pericolosa per gli uomini
profani, quanto è più pericolosa soprattutto per quelli che hanno già smesso
di essere profani nell’aspetto esteriore e nel comportamento. Soprattutto a
questi sono indirizzate le parole del redentore, con le quali possa essere
distrutto il vizio dell’avarizia:
Non vogliate, dice,
essere preoccupati per cosa mangerete, o per cosa berrete, o con cosa saremo
coperti. Di tutte queste cose si preoccupano infatti i pagani. Aspirate
invece in primo luogo al regno di Dio e alla sua giustizia, e tutte queste
cose vi saranno date in aggiunta (Mt 6,31-33).
Oh che pensiero magnifico, che pensiero senza preoccupazioni, che pensiero
da accogliere. Nessuno in questa vita è così tranquillo come lo è colui che,
non desiderando possedere nulla fuorché Cristo, è stimato avere, in base a
questa promessa, tutte quelle cose che sono necessarie. Come diceva Paolo,
povero ricchissimo:
Così come non abbiamo nulla, e invece abbiamo ogni cosa (2 Cor 6,10).
Comunque tutte cose non superflue, ma tanto necessarie, come lo conferma e
lo dice lui stesso:
Poiché abbiamo cibo e di che vestirci, siamo contenti di questo (1 Tm 6,8).
Dici per esempio: per questo
motivo gli uomini santi e devoti devono averne di più, affinché siano
distribuite meglio ai poveri di Cristo da loro stessi piuttosto che dalla
popolazione.
E io sono d’accordo, ma ai prelati, non invece
ai subordinati. I quali soprattutto dissuade quell’esempio della moglie di
Lot, la quale mentre usciva da Sodoma guardò indietro e spirò mutata in una
statua di sale (Cfr. Gen 19,26). Onde anche Cristo fa sapere che ci si deve
guardare da una cosa di tal genere dicendo:
Nessuno che mette mano all’aratro e poi si guarda indietro, è adatto al
regno dei cieli (Lc 9,62). Da qui
Pietro ha detto:
Era meglio per quelli non conoscere la via della giustizia piuttosto che,
dopo averla conosciuta, voltare le spalle al santo comandamento che era
stato loro trasmesso da lui. Si è verificato infatti per loro il proverbio:
il cane è ritornato al suo vomito, e: la scrofa pulita è tornata nel pantano
del fango (2 Pt 2,21-22). Per cui
senza dubbio il male dell’avarizia non si arresta mai, se non quando si
pensa al giorno della morte senza dimenticanza, quando l’uomo è considerato
quale sarà dopo poco nel sepolcro. Questo certamente rimaneva meglio
impresso nella memoria di colui che diceva:
L’uomo è putredine, e il figlio dell’uomo un verme (Gb 25,6).
Questo non aveva dimenticato colui che diceva:
In tutte le tue opere ricordati della tua fine, e non peccherai mai (Sir
7,36). A cosa dunque, chiedo, a
cosa dunque gioveranno le ricchezze custodite? Ascolta questo:
Sono uscito nudo dal ventre di mia madre, nudo ritornerò lì (Gb 1,21).
Ascolta questo:
Non abbiamo portato nulla in questo mondo, e non possiamo portar fuori
niente” (1 Tm 6,7).
17. L’indurimento dice: Se concedi le cose che possiedi a coloro che ne sono
privi, come alimenti i sudditi se non con scarsezza? Ma la misericordia
risponde: se avrai ricordato la regola dell’Apostolo in questo modo, sarai
in grado di portare a termine entrambe le cose. Per questo infatti proprio
lui (Paolo) ha detto ai Corinzi:
Se la volontà è stata resa manifesta, essa viene accolta in base a ciò che
uno ha, non secondo quello che non possiede. Infatti non perché ci sia
sollievo per gli altri, e invece tribolazione per voi, ma da un senso di
uguaglianza. La vostra abbondanza nel tempo presente rimedi all’indigenza di
quelli, affinché anche la loro abbondanza sia supplemento alla vostra
indigenza, affinché ci sia uguaglianza, così come è stato scritto: Colui che
ebbe molto non abbondò, e colui che ebbe poco non ebbe di meno
(2 Cor 8,12-15; Es 16,18).
Per questo un certo uomo giusto ammonisce il figlio prediletto dicendo:
Se avrai avuto molto, distribuiscilo abbondantemente, se invece avrai
raccolto poco,
concedi proprio questo poco volentieri (Tb 4,8).
Anche per questo la Verità incarnata dice:
In verità quanto al resto, datelo in elemosina, ed ecco ogni cosa per voi
sarà monda (Lc 11,41).
Ascolta con animo saldo ciò che è detto dall’eterna misericordia:
Il giudizio,
dice,
di colui che non avrà usato misericordia sarà senza misericordia (Gc 2,13).
In risposta a ciò per mezzo del Profeta ha ammonito dicendo:
Spezza il tuo pane per coloro che hanno fame, e fai entrare nella tua casa i
bisognosi e i vagabondi. Quando vedi uno nudo, coprilo, e non distogliere lo
sguardo dalla tua carne (Is 58,7).
Ricorda cosa è capitato al ricco porporato, il quale non è stato condannato
perché voleva cose altrui, ma perché non concedeva le sue ricchezze al
povero bisognoso, e collocato nell’inferno è arrivato a chiedere il minimo,
lui che ha negato le cose minime (Cfr. Lc 16,20-24). Il giudice del cielo
dirà qualcosa anche a coloro che sono posti a sinistra:
Andate,
dice,
al fuoco eterno che è stato preparato per il diavolo e i suoi angeli,
infatti avevo fame e non mi avete dato da mangiare (Mt 25,41-42),
e tutte le altre cose che sono passate in rassegna in modo spaventoso.
18. Il furto e la frode, per quanto abbiano un
determinato ordine nel parlare, tuttavia ciò che dicono è la stessa cosa. Il
furto infatti dice: “Se non sottrai le cose altrui, non sei in grado da solo
di essere ricco e di avere il necessario”. La frode dice: “Se consacri a Dio
tutte quelle cose che il prelato ti affida da mantenere integre, e non pensi
a quel poco da conservare, come provvedi ai tuoi interessi, o come puoi
essere gradito agli amici e ai compagni d’armi?”. Ma l’onestà risponde ad
entrambi: “È meglio essere povero e bisognoso, e non piacere a nessuno per
forza, piuttosto che danneggiare qualcuno con il furto e con la frode. Chi
infatti sottrae ingiustamente le cose altrui in qualunque modo, si chiude da
solo l’accesso al regno celeste. Onde l’egregio Predicatore ha redarguito
alcuni dicendo:
C’è completamente dell’errore in voi, poiché avete azioni giudiziarie tra di
voi. Perché non subite piuttosto l’offesa? Perché non sopportate piuttosto
di essere frodati? Ma voi avete commesso l’ingiustizia e avete frodato, e
questo lo avete fatto ai vostri fratelli. O forse non sapete che gli
ingiusti non risiederanno nel regno di Dio?.
E tra le altre cose ha aggiunto:
Non risiederanno del regno di Dio né i ladri né gli avari”
(1 Cor 6,7-9:10).
19. L’inganno e la menzogna dicono un’unica
cosa. Mentre l’inganno è prodotto dall’ingegno, la menzogna invece da una
semplice parola. L’inganno dunque, quando cerca di ingannare qualcuno non
concedendo (ciò che chiede), così che concediamo solo una cosa tra molte,
dice: “Quali scuse inventi nel chiedere proroghe? Non ho cose da poterti
dare”, e colui che le possiede nasconde soprattutto nell’animo o cosa
conserva per se, o cosa concede agli altri, se c’è questo desiderio. La
menzogna dice: “Non ho certamente ciò che chiedi”, naturalmente ingannando
chi chiede non con un artificioso ingegno come l’inganno, ma con una
semplice parola di negazione. Ma la verità risponde ad entrambe: “Non si
deve ingannare nessuno né con artificioso ingegno, né con una semplice
parola, poiché in qualsiasi modo si mente:
Una bocca che mente uccide l’anima. E per tutti i mentitori la loro parte
sarà nello stagno ardente di fuoco e di zolfo” (Sap 1,11; Ap 21,8).
20. L’ingordigia del ventre dice: “Dio
ha creato tutte le cose raffinate da mangiare, e chi rifiuta di essere
saziato dal cibo, a cos’altro si oppone se non ad un dono concesso?”
(Gregorio Magno,
Moralia in Iob,
L. 31, cap. 45,5). Ma la frugalità dei cibi risponde: “Solo una di queste
cose che dici è vera. Infatti affinché l’uomo non morisse di fame, Dio ha
creato tutte le cose prelibate da mangiare. Ma affinché non si oltrepassasse
la quantità del mangiare, ordinò la moderazione. E tra tutti gli altri suoi
mali Sodoma perì soprattutto per l’abbondanza di pane, con l’approvazione di
Dio, il quale parla a Gerusalemme per mezzo del profeta dicendo:
È questo il peccato della tua sorella Sodoma, l’abbondanza di pane (Ez
16,49). Per cui come il malato si
avvicina alla medicina, così ognuno deve fare mentre fruisce dei banchetti
sontuosi, evidentemente non cercando di raggiungere il godimento in quelle
cose, ma cercando di soddisfare il bisogno urgente. Per questo la Verità
incarnata ha detto attraverso il Vangelo.
State attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in ubriachezza ed
ebrietà (Lc 21,34). Quanto alla
voracità insaziabile dei Giudei l’Apostolo ha detto contro di essa:
Molti camminano, di questi vi dicevo spesso io, e invece ora ve lo dico
piangendo, come nemici della croce di Cristo; il Dio dei quali è il ventre,
e la loro gloria in ciò che li riempie di vergogna, loro che hanno il sapore
delle cose terrene (Fil 3,18-19).
E poi:
Il cibo è per il ventre, e il ventre è per le vivande. Dio invece
distruggerà questo e quello (1 Cor 6,13).
Vince invece pienamente questo vizio colui che
nel prendere dai banchetti non solo si attiene alla frugalità, affinché
certamente l’appetito comandi sempre il pasto, ma disprezza anche vivande
più accurate e insieme più gradevoli, ad eccezione di una malattia del corpo
e in caso di accoglienza di ospiti”.
21. La gioia eccessiva dice: “Dentro cosa
nascondi la gioia dell’animo? Felice di farla uscire in pubblico, dì
qualcosa pubblicamente di cui possiate gioire sia tu che gli amici; rendili
lieti con la tua gioia”. Ma la tristezza moderata risponde: “Da dove ti
viene così tanta gioia? Forse che hai già vinto il diavolo? Forse che hai
già sfuggito le pene dell’inferno? Forse sei già tornato in patria
dall’esilio? Forse hai già ricevuto la garanzia della tua salvezza? O forse
è caduto nell’oblio ciò che il Signore ha detto:
Il mondo gioirà, ma voi sarete tristi, ma la vostra tristezza sarà
trasformata in gioia? (Gv 16,20) O
forse è svanito dalla memoria ciò che sempre il Signore ha detto in un altro
luogo:
Guai a voi che ora ridete, perché piangerete e vi lamenterete (Lc 6,26),
e ciò che si dice per mezzo di
Salomone:
Il riso sarà unito al dolore, e il lamento prenderà il posto della gioia?
(Pr 14,13) E di contro attraverso il Vangelo:
Beati coloro che piangono, poiché saranno consolati (Mt 5,4),
e ancora per mezzo di Salomone:
L’uomo non sa forse se è degno dell’amore o dell’odio, mentre ogni cosa si
mantiene incerta nel futuro? (Qo 9,1-2).
Reprimi perciò la gioia inutile, perché non ti sei ancora lasciato alle
spalle la miseria della pena. Non è forse vero che presso tutti è giudicato
pazzo colui che, imprigionato, tenta di rallegrarsi dell’oscurità del
carcere?”.
22. La moltitudine di parole dice: “Non sarà
ritenuto colpevole quello che dice certamente parecchie cose, ma dice cose
giuste, ma quello che è provato che dice almeno poche cose, ma dice cose
cattive”. Ma il silenzio distinto risponde: È vero ciò che dici; ma mentre
molte cose giuste sembrano essere dette, spesso capita che un discorso
iniziato dai buoni, venga reso perverso in qualcosa. La sacra Scrittura che
dice proprio questo, che:
Nella moltitudine di parole non manca la colpa (Pr 10,19).
D’altra parte forse tra le innumerevoli parole (alcune) sono volte in
infamanti. Tuttavia potrebbero forse essere evitate quelle parole inutili e
vane di cui il pensiero in futuro dovrà rispondere? Si deve osservare perciò
una certa misura nel parlare, e talvolta bisogna evitare proprio quelle
parole adatte, come si legge aver fatto il beato Salmista. Dice infatti:
Mi
sono umiliato e ho taciuto anche su cose buone
(Sal 38(37),3;
Regola Benedetto
VI,1).
23. L’impurità dice: Non è grave l’adulterio
senza l’accoppiamento di maschio e femmina, o essere disonorati dalle
proprie mani, o dalle mani di un altro”. Ma la purezza della carne risponde:
“Non così ha detto l’Apostolo. Cosa ha detto dunque?
Gli immondi, ha detto,
non erediteranno il regno di Dio” (1 Cor 6,10).
24. La lussuria dice: “Perché
non ti estendi con misura nel tuo piacere, in quanto non sai cosa ti
succederà? Non devi sciupare il tempo caro ai bisogni, poiché non sai quanto
più rapidamente passerà. Se infatti Dio non volesse che l’uomo si congiunga
nel piacere dell’accoppiamento, non avrebbe creato l’uomo e la donna nello
stesso momento all’origine del genere umano”
(Gregorio Magno,
Moralia in Iob,
L. 31, cap. 45,5). Ma la castità illibata risponde: “Non voglio che tu finga
di non conoscere cosa riceverai dopo questa vita. Se infatti avrai vissuto
in maniera pia e casta, gioirai senza fine; se tuttavia avrai vissuto in
maniera empia e lussuriosa, giacerai sotto i fuochi eterni. Perciò ora devi
vivere in maniera più casta possibile, perché dici che non sai quanto più
rapidamente il tempo caro passerà. Dichiari che Dio abbia creato all’origine
del genere umano l’uomo e la donna per questo, perché debbano unire se
stessi con amplessi reciproci, senza dubbio lo dici giustamente. Ma poiché
il permesso di sposarsi è concesso ad alcuni, cioè coloro che non hanno
professato in alcun modo la verginità e la castità vedovile, al contrario
non è concesso ad altri, cioè coloro che decisero di rimanere vergini e
sobri; attento che la fornicazione in verità non è perdonata a nessuno senza
punizione. Oppure pensi che sia da disprezzare ciò che l’Apostolo dice a
coloro che vacillano:
Fuggite la fornicazione, fratelli. Qualunque altro peccato l’uomo
commetterà, è fuori dal corpo; colui che invece commette fornicazione, pecca
contro il proprio corpo? (1 Cor 6,18)
Perciò se pensi che si debba fare un po’ caso a questo, ascolta cosa
piangerai e di cosa ti lamenterai poi nell’eternità:
Né gli adulteri, né i fornicatori, né gli amanti degli uomini erediteranno
il regno di Dio (1 Cor 6,9-10). O
quanto è piccola l’ora dell’accoppiamento, grazie alla quale è persa la vita
futura. Chiedo, quale vantaggio porta al corpo, oppure quale guadagno
concede, cosa conduce tanto rapidamente l’anima all’inferno?”.
25. La fornicazione spirituale dice: “Forse che
fa qualcosa da condannare quello che acconsente al desiderio nel cuore, e
non passa all’azione del piacere desiderato?”. Ma la purezza del cuore
risponde: “Sbaglia completamente chi non custodisce la castità dell’anima.
Ragione per cui anche l’autore della sobrietà dice nel Vangelo:
Chi guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel
suo cuore (Mt 5,28). Di contro a
questo è detto per mezzo del beato Giobbe:
Avevo fatto un patto con i miei occhi di non fissare neppure una vergine.
Che parte infatti mi assegna Dio la sopra, e quale eredità l’Onnipotente
dalle altezze celesti? (Gb
31,1-2). Se infatti il pensiero di un consenso perverso non fosse sgradito
al nostro creatore, non avrebbe in alcun modo detto per mezzo di Isaia:
Allontanate la malvagità dei vostri pensieri dai
miei
occhi (Is 1,16), e nel Vangelo non
avrebbe detto ai Farisei:
Perché pensate cose malvagie nei vostri cuori?
(Mt 9,4). E tanto meno avrebbe detto l’apostolo Paolo:
Dei pensieri loro che li accusano a loro volta o anche li difendono, nel
giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini secondo il mio vangelo”
(Rm 2, 15-16).
26. L’ amore del tempo presente dice: “Cosa può
essere più bello, cosa più onesto, cosa più grazioso, o cosa più dilettevole
che quello che vediamo nella vita quotidianamente? Oh quanto è ammirabile la
volta del cielo durante un vento piacevole, durante la luce del sole, al
crescere e al calar della luna, al variare delle stelle e al loro corso.
Quanto è piacevole la terra nei fiori dei boschi, nel sapore gradevole dei
frutti, nella piacevolezza di prati e ruscelli, negli steli rigogliosi delle
messi, nelle foglie delle viti e nei tralci pieni di grappoli d’uva,
nell’ombra delle foreste e nei passaggi agevoli, nelle corse dei cavalli e
dei cani, nei salti di cervi e capre selvatiche, nel volo dei falchi, nelle
penne e nei colli di pavoni, colombe e tortore, nei muri dipinti e nei
soffitti a cassettoni delle case, nei canti squillanti degli strumenti
musicali e di tutte le melodie, negli sguardi pieni di fascino delle donne,
nelle loro sopracciglia e nei loro capelli , nelle ginocchia e negli occhi,
nella gola e nelle labbra, nel naso e nelle mani, nei monili ornati con oro
e gemme preziose aggiunti esternamente, e se ci sono in qualche modo altre
cose che il senso non considera”. Ma l’amore della patria celeste risponde:
“Se ti procurano così tanto piacere quelle cose che sono in terra, perché
non dovrebbero procurare maggiormente piacere quelle cose che si trovano in
cielo? Se la prigione è così bella, di che natura è la patria, la città e la
casa? Se sono di tal genere le abitazioni in cui abitano gli stranieri, come
possono essere quelle in cui risiedono i figli di Dio? Se i mortali e gli
infelici sono stati ricompensati in tal modo in questa vita, in che modo
sono stati arricchiti gli immortali e i beati in quella vita? Per cui si
dilegui l’amore del tempo presente, nel quale nessuno è nato così, come se
non dovesse morire, e subentri l’amore del tempo futuro, nel quale tutti
sono vivificati a tal punto che non muoiano uno dopo l’altro, nel quale
nessuna avversità porta turbamento, nessuna necessità angustia, nessun
cruccio porta inquietudine, ma regna la gioia perpetua. Se chiedi, cosa ci
sia lì, dove tanta felicità e di tal genere persiste, non può essere detto
altro se non che, qualsiasi cosa di buono esiste si trova lì, e qualsiasi
cosa malvagia esiste, non vi si trova per nulla. Perciò, domandi, quello è
buono? Perché me lo chiedi? Dal Profeta e dall’Apostolo è stato definito:
Quelle cose, dicono,
che non ha visto l’occhio, e l’orecchio non ha sentito, e non sono salite
nel cuore dell’uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano.
(Is 64,4; 1 Cor 2,9) A questa felicità aspirava Davide ammassato tra le
molte ricchezze del secolo quando diceva:
Cosa mi resta in cielo, e cosa ho voluto in terra a parte te?”
(Sal 73(72),25). Mentre era circondato da molti banchetti regali diceva:
Sarò saziato quando la tua gloria sarà rivelata. (Sal 17(16),15)
E poi:
La mia anima ha desiderato la presenza di Dio, quando verrò e mi mostrerò
davanti al volto di Dio? (Sal 42(41),2: Volg.)
E ancora:
Ah, povero me, perché il mio esilio è stato prolungato? (Sal 120(119),5:
Volg.) E da qui Paolo:
Desidero essere liberato ed essere con Cristo, che è cosa di gran lunga
migliore” (Fil 1,23).
Passate così in rassegna queste cose, per quanto io ne abbia tralasciate
molte, tuttavia, come mi sembra, ho fatto vedere gli accampamenti più
resistenti del nostro nemico contro i quali non smettono di combattere
coloro che vivono piamente in Cristo Gesù.
Ma non contento di questi si rivolge ad altri argomenti, mentre ad alcuni
durante le notti annuncia più frequentemente delle (false) verità, per
trascinarli di quando in quando verso la menzogna, mentre sveglia coloro che
dormono prima del tempo e dell’ora prestabiliti, per affondarli con un sonno
pesantissimo durante il tempo delle veglie notturne, quando turba i cantanti
dei salmi e coloro che pregano con sibili, strida, latrati differenti e voci
confuse, persino con pietre lanciate e sterco, per renderli sciocchi
trattenendoli anche quelli in ogni modo dall’opera spirituale. Tu invece,
uomo di Dio, dedicati con ardore attento a ciò che dico, e dimostra fede
mentre narro cose ancor più mirabili.
27. Ho da poco conosciuto dal racconto di un tale ciò che dico. Un certo
uomo religioso e vestito con l’abito monacale, ora nel nostro tempo è stato
turbato da una nuova tentazione dell’antico nemico, tanto che proprio lo
spirito maligno ha contaminato così tanto le parti dei suoi abiti, oltre a
lui anche quelle collocate nella stanza chiusa a chiave, con un’immonda
sozzura, che era tanto orrenda, ripugnante e nociva, che una parte delle
vesti che aveva toccato, in seguito non era stata ritenuta adatta ad alcun
uso, sebbene fosse stata pulita. Essendo stato io interrogato riguardo a
questo, sul perché Dio avesse dato allo scaltro serpente un tale potere su
di lui, ho risposto: “Affinché mostrasse pubblicamente l’impurità del suo
cuore, poiché mai l’avrebbe mostrata nell’aspetto all’esterno se non fosse
stata corrotta completamente quella interiore, naturalmente o con la
mancanza di fede o la blasfemia, o almeno con una gloria vana e fittizia.
Infatti il sangue corrotto dentro il cuore è sgorgato fuori attraverso le
vesti. Costui, poiché era stato collocato lontano, io naturalmente non lo
vidi, tuttavia, come credo, ho veramente scorto da lontano queste cose in
lui. Poiché se non è così, forse tuttavia il fatto è ritenuto senza
interesse? E forse per questo è stato mostrato, affinché quella sconcezza
conservasse in lui la purezza del cuore, e affinché l’abile nemico non la
macchiasse con la vergogna di una gloria vana, così come Paolo, per non
essere in fermento riguardo alla grandezza delle rivelazioni, acconsentì
agli stimoli della carne (Cfr. 2 Cor 12,7). Accada perciò qualsivoglia di
queste cose, o se certamente non fosse accaduto, forse che ciò che sto per
collocare alla fine non sarà vero? È del tutto vero, è vero ciò che dico,
non ci sarà esternamente quella sozzura dannosa per l’anima, se essa avrà
desiderato conservare la purezza dentro il cuore.
28. Tuttavia, come tu stesso ti sei preoccupato
di manifestare, sento alcuni, presso di voi dire che nessuno può essere
perfetto (può santificarsi) nella propria città natale, prendendo a prova di
ciò quello che il Signore ha detto:
Nessun profeta è stato accettato nella sua patria (Mt 13,57; Gv 4,44).
È necessario in primo luogo che questa frase sia smentita da una spiegazione
della verità, e che così precisamente sia dimostrato in che modo la frase
espressa debba essere intesa. Ascoltino dunque pazientemente coloro che
dicono queste cose, poiché mentre non esaminano con prudenza il senso delle
Sacre Scritture, condannano quasi tutti i santi. Se infatti è così come
dichiarano, dunque tutti coloro che dopo essere stati convertiti tra i
Romani vivono presso i Romani, convertiti tra i Greci vivono presso i Greci,
convertiti tra gli Italici vivono presso gli Italici, convertiti tra gli
Iberici vivono presso gli Iberici, convertiti tra i Germanici vivono presso
i Germanici, convertiti tra gli Aquitani vivono presso gli Aquitani,
convertiti tra i Britanni vivono presso i Britanni e convertiti tra gli
Angli vivono in maniera religiosa presso gli Angli non saranno santificati.
Ecco Paolo e Antonio tra i Tebani, sono diventati perfetti presso i Tebani,
ecco Ilarione tra i Palestinesi, è diventato perfetto presso i Palestinesi,
ecco Macario tra gli Egiziani, si è santificato presso gli Egiziani, ecco la
città di Ossirinco è giunta tutta a perfezione tra le proprie concittadine,
ecco in che modo ci presentiamo ai nostri vicini, Protasio e Gervasio nella
loro, cioè Milano, restando nella propria città e casa e praticando la vita
dei monaci per dieci anni, sono così giunti a perfezione che sono stati
eletti martiri. O forse la vostra sola provincia è stata esclusa da questa
regola, da avere monaci non dalla propria provincia ma solo da quelle
esterne? Perciò ci si deve dare maggiormente da fare, affinché dovunque ci
sia qualcuno che viva secondo le regole dei perfetti (santi) e non devii
dalla via della perfezione per le lusinghe dei genitori, non per quelle dei
vicini, non per quelle dei parenti. Così certamente secondo la frase del
Salvatore, sarà in grado si rinunciare alla madre e al padre, ai fratelli,
alle sorelle, alle mogli, ai figli, alle case, ai campi e a tutte le cose
che possiede (Cfr. Mt 19,29). Inoltre dico questo non perché io non stimi
con grande lode gli eredi che passano da un regno ad un altro, da un luogo
pubblico ad uno solitario, ma perché io mostri felici e perfetti (degni di
essere santificati) anche quelli che abbandonano la patria più per desiderio
che per cammino. Supplico perciò quelli, che negano che queste cose possano
accadere tra di voi, a riflettere con attento zelo, perché il Signore non ha
detto:
Nessun profeta si è santificato nella sua patria,
ma
Nessun profeta è stato accettato nella sua patria (Cfr. Mt 13,57; Gv 4,44).
Cos’altro si deve capire, se non
che ha detto «non accettato», «accolto in nessun modo», e che ha voluto
venisse compreso ciò aveva detto riguardo se stesso e gli antichi profeti,
che presso i Giudei privi di fede non erano stati accolti, ma più che altro
disprezzati, mentre Stefano diceva loro:
Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato, che annunciavano la
venuta del Giusto, del quale ora voi siete divenuti traditori e uccisori?
(At 7,52). Chi invece non vedrà
quanta sconsideratezza e quanta ostinazione ci sia, potrà questo qualcuno
attribuire a se stesso il nome di profeta? Tu perciò rimprovera tali persone
con sentimento di carità e cerca sempre di vivere secondo la regola dei
Padri, ma soprattutto del santo confessore Benedetto. Che non ti allontani
da quella verso qualche luogo, e che tu non vi aggiunga o tolga alcuna cosa.
Ha infatti tutto ciò che basta, e niente di meno. Le parole e gli ordini di
questa conducono i suoi seguaci alla reggia celeste.
Ecco, fratello carissimo, ho dettato e composto questo discorso per te, tra
tutte le mie altre attività, durante le ore notturne, sebbene con
un’eleganza grossolana. Questo discorso, poiché ho deciso di passare alla
forma epistolare, ho preferito piuttosto nominarlo «Libello sul conflitto
dei vizi e delle virtù». Nel quale, se troverai qualcosa di istruttivo,
dovrai leggerlo e trasmetterlo ad altri.
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13 marzo 2021 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net