CIPRIANO DI CARTAGINE

LA PREGHIERA DEL SIGNORE

Estratto da: "L'ora dell'ascolto" a cura dell'Unione Monastica Italiana per la Liturgia, UMIL, Edizioni Piemme 1997; "Preghiere dei primi Cristiani" di Adalberto Hamman, Ed. Vita e Pensiero, 1962; "Cipriano Trattati" di Antonella Cerretini, Ed. Città Nuova, 2004.    Link a "vita e opere di San Cipriano"

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Chi diede la vita, insegnò anche a pregare

 1. I precetti del Vangelo, fratelli carissimi, sono certo insegnamenti divini, fondamenti su cui si edifica la speranza, sostegni che rafforzano la fede, alimenti che ristorano il cuore, timoni che dirigono il cammino, aiuti per ottenere la salvezza. Istruiscono le menti docili dei credenti qui in terra e li conducono al regno dei cieli.

 Dio volle che molte cose fossero dette e ascoltate per mezzo dei profeti, suoi servi. Ma immensamente più sublimi sono le realtà che comunica attraverso il suo Figlio. Più incomparabili le cose, che la parola di Dio, pur già presente nei profeti, proclama ora con la propria voce, e cioè non più comandando che gli si prepari la via, ma venendo egli stesso, aprendoci e mostrandoci il cammino da seguire. Così mentre prima eravamo erranti, sconsiderati e ciechi nelle tenebre della morte, ora, illuminati dalla luce della grazia, possiamo battere la via della vita con la guida e l'aiuto del Signore.

2. Egli fra gli altri salutari suoi ammonimenti e divini precetti, con i quali venne in aiuto al suo popolo per la salvezza, diede anche la norma della preghiera, ci suggerì e insegnò quel che dovevamo domandare. Colui che ha dato la vita, ha insegnato anche a pregare, con la stessa benevolenza con la quale s'è degnato di dare e fornire tutto il resto; e ciò perché parlando noi al Padre con la supplica e l'orazione che il Figlio insegnò, fossimo più facilmente ascoltati.

Aveva già predetto che sarebbe venuta l'ora in cui i veri adoratori avrebbero adorato il Padre in spirito e verità (Cfr. Gv 4,23),  ed egli adempì la promessa perché noi, ricevendo dalla sua santificazione lo spirito e la verità, adorassimo veramente e spiritualmente in grazia del suo dono. Quale orazione infatti può essere più spirituale di quella che ci è stata data da Cristo, dal quale ci è stato mandato anche lo Spirito Santo?

Quale preghiera al Padre può essere più vera di quella che è stata proferita dalla bocca del Figlio, che è verità? Pregare diversamente da quello che egli ci ha insegnato non sarebbe soltanto ignoranza ma anche colpa, avendo egli stesso affermato: Respingete il comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione! (Cfr. Mc 7, 8).

 3. Preghiamo, dunque, fratelli, come Dio, nostro Maestro, ci ha insegnato. È preghiera amica e familiare pregare Dio con le sue parole, far salire ai suoi orecchi la preghiera di Cristo.

Riconosca il Padre le parole del Figlio suo quando preghiamo; egli che abita dentro il nostro cuore, sia anche nella nostra voce. E poiché è nostro avvocato presso il Padre (1 Gv 2,1), usiamo le parole del nostro avvocato, quando, come peccatori, supplichiamo per i nostri peccati. Se egli ha detto che qualunque cosa chiederemo al Padre nel suo nome ci sarà data (Gv 16,23), impetreremo più efficacemente quel che domandiamo in nome di Cristo, se lo domanderemo con la sua preghiera.

 

La preghiera prorompa da un cuore umile

4. Da coloro che pregano, le parole e la preghiera siano fatte in modo da racchiudere in sé silenzio e timore. Pensiamo di trovarci al cospetto di Dio. Occorre essere graditi agli occhi divini sia con la posizione del corpo, sia con il tono della voce. Infatti come è da monelli fare fracasso con schiamazzi, così al contrario è confacente a chi è ben educato pregare con riserbo e raccoglimento. Del resto, il Signore ci ha comandato e insegnato a pregare in segreto, in luoghi appartati e lontani, nelle stesse abitazioni. È infatti proprio della fede sapere che Dio è presente ovunque, che ascolta e vede tutti, e che con la pienezza della sua maestà penetra anche nei luoghi nascosti e segreti, come sta scritto: Io sono il Dio che sta vicino, e non il Dio che è lontano. Se l’uomo si sarà nascosto in luoghi segreti, forse per questo io non lo vedrò? Forse che io non riempio il cielo e la terra? (Cfr. Ger 23, 23-24). E ancora: In ogni luogo gli occhi del Signore osservano attentamente i buoni e i cattivi (Cfr. Pr 15, 3).

E allorché ci raduniamo con i fratelli e celebriamo con il sacerdote di Dio i divini misteri dobbiamo rammentarci del rispetto e della buona educazione: non sventolare da ogni parte le nostre preghiere con voci disordinate, né pronunziare con rumorosa loquacità una supplica che deve essere affidata a Dio in umile e devoto contegno. Dio non è uno che ascolta la voce, ma il cuore. Non è necessario gridare per richiamare l’attenzione di Dio, perché egli vede i nostri pensieri. Lo dimostra molto bene quando dice: «Perché mai pensate cose malvage nel vostro cuore?» (Mt 9, 4). E in altro luogo dice: «E tutte le chiese sapranno che io sono colui che scruta gli affetti e i pensieri» (Ap 2, 23).

5. Per questo nel primo libro dei Re, Anna, che conteneva in sé la figura della Chiesa, custodiva e conservava quelle cose che chiedeva a Dio, non domandandole a gran voce, ma sommessamente e con discrezione, anzi, nel segreto stesso del cuore. Parlava con preghiera nascosta, ma con fede manifesta. Parlava non con la voce ma con il cuore, poiché sapeva che così Dio ascolta. Ottenne efficacemente ciò che chiese, perché domandò con fiducia. Lo afferma chiaramente la divina Scrittura: Pregava in cuor suo e muoveva soltanto le sue labbra, ma la voce non si udiva, e l’ascoltò il Signore (Cfr. 1 Sam 1, 13). Allo stesso modo leggiamo nei salmi: Parlate nei vostri cuori, e pentitevi sul vostro giaciglio (Cfr. Sal 4, 5). Per mezzo dello stesso Geremia lo Spirito Santo consiglia e insegna dicendo: Tu, o Signore, devi essere adorato nella coscienza (Cfr. Bar 6, 5).

6. Pertanto, fratelli dilettissimi, chi prega non ignori in quale modo il pubblicano abbia pregato assieme al fariseo nel tempio. Non teneva gli occhi alzati al cielo con impudenza, non sollevava smodatamente le mani, ma picchiandosi il petto e condannando i peccati racchiusi nel suo intimo, implorava l’aiuto della divina misericordia. E mentre il fariseo si compiaceva di se stesso, fu piuttosto il pubblicano che meritò di essere giustificato, perché pregava nel modo giusto, perché non aveva riposto la speranza di salvezza nella fiducia della sua innocenza, dal momento che nessuno è innocente. Pregava dopo aver confessato umilmente i suoi peccati. E così colui che perdona agli umili ascoltò la sua preghiera. Nel suo Vangelo il Signore osserva e dice: «Due uomini scesero al Tempio per pregare, uno era un fariseo, l’altro un pubblicano. Dopo che il fariseo si mise in piedi davanti a Dio, pregava con tali parole, fra sé e sé: Dio, ti ringrazio, perché non sono come gli altri uomini ingiusti, rapinatori, adulteri, come anche questo pubblicano. Io digiuno due volte al sabato, do la decima di tutti i beni che possiedo. Ma il pubblicano stava in piedi lontano e non osava sollevare gli occhi al cielo ma si batteva il petto, dicendo: Dio, sii propizio a me peccatore. In verità io vi dico: costui tornò a casa sua giustificato più che quel fariseo, perché chi si innalza sarà umiliato e chi si umilia sarà innalzato» (Lc 18, 10-14).

7. Fratelli carissimi, apprendendo questo dalla lettura del Vangelo, dopo che abbiamo imparato in che modo dobbiamo avvicinarci alla preghiera, apprendiamo anche con quali parole dobbiamo pregare, poiché l’insegna il Signore. Dice: «Pregate così: Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, in cielo e sulla terra, dà a noi oggi il pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti, così come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori e non permettere che noi siamo indotti in tentazione, ma liberaci dal male» (Mt 6, 9-13).

 

La nostra preghiera deve essere pubblica e universale

8. Innanzitutto il dottore della pace e maestro dell’unità non volle che la preghiera fosse esclusivamente individuale e privata, cioè egoistica, come quando uno prega soltanto per sé. Non diciamo «Padre mio, che sei nei cieli», né: «Dammi oggi il mio pane», né ciascuno chiede che sia rimesso soltanto il suo debito, o implora per sé solo di non essere indotto in tentazione o di essere liberato dal male. Per noi la preghiera è pubblica e universale, e quando preghiamo, non imploriamo per uno solo, ma per tutto il popolo, poiché tutto il popolo forma una cosa sola.

Il Dio della pace e maestro della concordia, che ha insegnato l’unità, volle che ciascuno pregasse per tutti, così come egli portò tutti nella persona di uno solo.

Osservarono questa legge della preghiera i tre fanciulli rinchiusi nella fornace di fuoco, quando si accordarono all’unisono nella preghiera e furono unanimi nell’accordo dello spirito. Lo afferma la divina Scrittura. Dicendoci che hanno pregato uniti, ci dà un modello da seguire, perché facciamo così anche noi. Allora, dice, quei tre a una sola voce cantavano un inno e benedicevano Dio (Cfr. Dn 3, 51). Parlavano come a una sola voce, e Cristo non aveva ancora insegnato loro a pregare.

Proprio perché pregavano così, le loro parole furono efficaci ed esaudite: la preghiera ispirata alla pace, semplice e interiore si guadagna la benevolenza di Dio. Troviamo scritto che gli apostoli pregavano così assieme ai discepoli dopo l’ascensione del Signore. «Erano», si dice, «tutti assidui e concordi nella preghiera insieme con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù, e con i fratelli di lui» (At 1, 14). Erano assidui e concordi nella preghiera, manifestando, sia con l’assiduità della loro preghiera sia con la concordia, che Dio, il quale fa abitare unanimi (Cfr. Sal 67, 7) nella casa, non ammette nella divina ed eterna dimora se non coloro che pregano in fusione di cuori.

 

Diciamo Padre perché siamo diventati suoi figli

9. Come sono numerose e grandi le ricchezze della preghiera del Signore! Sono riunite in poche parole ma di una densità spirituale inesauribile, al punto che niente di tutto ciò che deve costituire la nostra preghiera manca in questo riassunto della dottrina celeste. È detto: Pregate così: Padre nostro che sei nei cieli.

L’uomo nuovo, che è rinato e reso a Dio per la grazia, dica anzitutto: Padre, perché è diventato figlio. È venuto in casa sua e i suoi non l’hanno ricevuto. Ma a tutti coloro che l’hanno ricevuto, egli ha dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome (Gv 1, 12). Colui che ha creduto nel suo nome ed è diventato figlio di Dio deve cominciare col rendere grazie e professare che è figlio di Dio. E quando chiama Padre il Dio dei cieli, con questo attesta che rinunzia al padre terreno e carnale della sua prima nascita per riconoscere un solo Padre che è nei cieli. È scritto infatti: Quelli che dicono al padre e alla madre « non ti conosco », e non riconoscono i loro figli, questi hanno osservato la tua parola e custodito la tua alleanza (Dt 33, 9).

Anche il Signore ci ordina nel Vangelo di non chiamare nessuno sulla terra « padre », poiché abbiamo un solo Padre che è nei cieli (Cfr. Mt 23,9). Al discepolo che ricorda il padre morto, risponde: Lascia che i morti seppelliscano i morti {Mt 8, 22). Il discepolo parlava di un padre morto, mentre il Padre dei credenti è vivo.

 

Dio è Padre di coloro che credono e sono rinati per opera sua

10. Fratelli amatissimi, non basta prendere coscienza che noi invochiamo il Padre che è nei cieli. Aggiungiamo: Padre nostro, cioè padre di quelli che credono, di quelli che sono stati da lui santificati e sono rinati per la grazia spirituale: quelli hanno cominciato ad essere figli di Dio.

Questa parola è una bestemmia e una critica per gli Ebrei. Costoro nella loro infedeltà hanno disprezzato il Cristo che fu loro annunziato dai profeti e inviato anzitutto per loro; e per giunta lo hanno crudelmente condannato a morte. Non possono chiamare più Dio loro Padre perché il Signore ribatté per loro confusione: Voi avete il diavolo per padre e i desideri di vostro padre volete compiere. Egli era omicida fin dal principio e non ha perseverato nella verità perché non ha verità in sé (Gv 8, 44).

E per mezzo del profeta Isaia, Dio grida indignato:

Ho nutrito dei figli e li ho allevati,
e si sono rivoltati contro di me.
Il bue conosce il suo padrone,
e l’asino la stalla del suo signore;
ma Israele non mi conosce.
E il mio popolo non ha intelligenza.
Guai alla nazione peccatrice, al popolo
carico di iniquità,
alla razza dei malvagi, ai figli corrotti.
Hanno abbandonato il Signore, hanno disprezzato
il Santo d’Israele. (Is 1, 2-4).

Per biasimarli, i cristiani dicono pregando: Padre nostro; infatti egli ha cominciato a diventare nostro e ha cessato di essere quello degli Ebrei, che l’hanno abbandonato. Il popolo prevaricatore non può essere figlio; ma quelli ai quali furono rimessi i peccati, meritano questo titolo e ricevono la promessa dell’eternità, secondo la parola del Signore: Colui che commette il peccato è schiavo del peccato. Lo schiavo non resta sempre nella casa, ma il figlio vi resta in eterno (Cfr. Gv 8,34-35).

 

Se Dio è Padre dobbiamo comportarci da figli

11. Quanto è grande la misericordia del Signore, quanto è grande il suo favore e la sua bontà, per farci pregare così in presenza di Dio fino a chiamarlo Padre! E come il Cristo è Figlio di Dio, così anche noi siamo chiamati figli. Nessuno di noi avrebbe mai osato adoperare questa parola nella preghiera: bisognava che il Signore stesso ci incoraggiasse.

Ma bisogna che ci ricordiamo, o fratelli carissimi, quando chiamiamo Dio nostro Padre, che dobbiamo comportarci da figli di Dio. Se ci compiacciamo in Dio, nostro Padre, anche lui deve potersi compiacere di noi. Dobbiamo essere come i templi di Dio in cui gli uomini possano incontrare la sua presenza. La nostra condotta non deve tradire lo Spirito; abbiamo cominciato a diventare celesti e spirituali, dobbiamo pensare ad operare tutto ciò che è celeste e spirituale.

Lo stesso Signore Iddio ha detto: Onorerò quelli che mi onorano, ma quelli che mi disprezzano saranno disprezzati (1 Sam 2, 30). L’Apostolo dice nella sua lettera: Non appartenete più a voi. Siete stati comprati a gran prezzo. Glorificate e portate Dio nel vostro corpo (1 Cor 6, 19).

 

Preghiamo perché la santità resti in noi

12. E dopo diciamo: Sia santificato il tuo Nome. Non che auguriamo a Dio che sia santificato dalle nostre preghiere, ma gli chiediamo che il suo nome sia santificato in noi. Chi potrebbe santificare Dio, dato che è lui che santifica? Ma ispirandoci a quelle parole: Siate santi perché io sono santo (Lv 20, 26), chiediamo che santificati dal battesimo noi perseveriamo in quello che abbiamo cominciato ad essere. E questo, lo chiediamo ogni giorno. È necessario santificarci ogni giorno, perché ogni giorno cadiamo; dobbiamo purificare i nostri peccati con una santificazione continuamente rinnovellata. Gli aspetti di questa santità, che dobbiamo alla condiscendenza divina, sono espressi da quel testo dell’Apostolo: Né impudichi, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né infami, né ladri, né avari, nemmeno ebbri, calunniatori o scrocconi entreranno nel regno di Dio. E questo voi siete; ma siete stati purificati, ma siete stati giustificati, ma siete stati santificati per il Nome del Signore Gesù Cristo e per lo Spirito del nostro Dio (1 Cor 6, 9-11).

Egli ci dichiara dunque santificati per il nome di nostro Signore Gesù Cristo e per lo Spirito del nostro Dio. Ricorriamo dunque alla preghiera affinché resti in noi tale santità. Ricordiamoci che il nostro Signore e Giudice ha ordinato all’uomo che aveva appena guarito e reso alla vita, di non peccare più, perché non gli capitasse peggio ancora (Giovanni V, 14); per questo domandiamo continuamente, preghiamo giorno e notte, onde poter conservare col soccorso di Dio, la santità e la vita che dobbiamo alla sua grazia divina.

 

Domandiamo che venga il Regno promesso da Dio

13. La preghiera prosegue: Venga il regno tuo. Chiediamo che per noi sia reso presente il regno, come desideravamo che fosse santificato in noi il suo nome. Può Dio non regnare? Quando potrebbe incominciare quel che è sempre esistito e che non può finire? Preghiamo per l’avvento del regno promesso, acquisito a noi col sangue e la passione del Cristo. Prima eravamo schiavi; chiediamo di regnare, sotto la sovranità del Cristo. Egli stesso ce l’ha promesso, quando diceva: Venite, o benedetti di mio Padre, prendete possesso del regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo (Mt 25, 34).

Può darsi anche, fratelli diletti, che il regno di Dio significhi il Cristo in persona, lui che invochiamo ogni giorno con le nostre preghiere e di cui vorremmo affrettare l’avvento con la nostra attesa. Siccome è la nostra resurrezione — perché in lui risuscitiamo — egli può anche essere il regno di Dio, perché in lui regneremo.

A buon diritto domandiamo il regno di Dio, cioè il regno del cielo, che comprende anche il regno della terra. Ma colui che ha disprezzato il secolo è al disopra dei suoi onori e dei suoi regni. Per questo colui che si è dato a Dio e al Cristo non aspira ai regni della terra, ma a quelli del cielo.

Abbiamo continuamente bisogno di pregare, per non perdere il regno del cielo, come capitò agli Ebrei, ai quali fu dapprima promesso e invece essi lo perdettero, secondo quanto dice il Signore: Molti verranno dall'oriente e dall’occidente a prendere posto nel banchetto con Abramo, Isacco e Giacobbe, mentre i figli del regno saranno gettati nelle tenebre di fuori. Là ci sarà pianto e stridore di denti (Mt 8, 11).

Egli mostra con ciò che gli Ebrei erano i figli del regno fino a quando restarono figli di Dio. Quando cessò la paternità di Dio, cessò pure il regno. Per questo, noi cristiani, che nella nostra preghiera abbiamo chiamato Dio, nostro Padre, preghiamo anche perché il suo regno venga in noi.

 

Preghiamo perché la sua volontà sia fatta in noi

14. Aggiungiamo: Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra. Non che Dio faccia quello che vuole, ma che noi possiamo fare quello che egli vuole. Chi può impedire a Dio di fare ciò che vuole? Ma siamo contrariati dal demonio, che ci impedisce di obbedire in ogni cosa, interiormente ed esteriormente, alla volontà di Dio. Per questo chiediamo che la sua volontà si compia in noi; ma perché essa si compia, è necessario il suo aiuto. Nessuno è forte per le proprie risorse, ma la sua forza è nella bontà e nella misericordia di Dio.

Il Signore stesso manifesta la debolezza che aveva assunta, quando dice: Padre, se è possibile, si allontani da me questo calice (Mt 26, 39). E per provare ai suoi discepoli che non faceva la propria volontà, ma quella di Dio, aggiunge: Però non si compia la mia, ma la tua volontà (Lc 22, 24). In un altro passo precisa: Sono disceso dal cielo per fare non la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato (Gv 6, 38).

Se il Figlio si è preoccupato di fare la volontà del Padre, con quanta maggior ragione deve il servo affrettarsi a fare la volontà del Signore, come ci esorta Giovanni nella sua epistola, quando dice: Non amate né il mondo né quel che è nel mondo. Se qualcuno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui. Nulla di quanto esiste nel mondo, infatti — concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi, orgoglio del secolo — nulla di ciò viene dal Padre, ma viene dal mondo. Ora il mondo passerà con la sua concupiscenza, ma colui che fa la volontà di Dio vive in eterno, perché Dio vive in eterno. (1 Gv 2, 15-17).

Quelli che vogliono vivere in eterno debbono dunque fare la volontà di Dio che è eterno.

 

La volontà di Dio è quella che il Cristo ha fatto e insegnato

15. La volontà di Dio è quella che il Cristo ha fatto e insegnato. L’umiltà nel portamento, la solidità della fede, la modestia nelle parole, la giustizia negli atti, la misericordia nelle opere, la disciplina nei costumi; non fare il male, sopportare il male che ci fanno, conservare la pace con i fratelli, amare Dio con tutto il cuore, amarlo perché Padre, e temerlo perché Dio; non preferire nulla al Cristo, perché egli ci ha preferiti a tutto, aderire immancabilmente alla sua carità, tenerci sotto la croce con coraggio e fiducia; quando si tratta di dare battaglia per il suo nome o per il suo amore, essere costanti nelle parole, per dar prova di fede nelle difficoltà, onde sostenere la lotta; e di pazienza nella morte, onde ottenere la corona. Ecco quel che significa volere essere coerede del Cristo, adempire il precetto di Dio, fare la volontà di Dio.

 

Preghiamo che la volontà di Dio si faccia sulla terra come in cielo, cioè nello spirito e nel corpo

16. Domandiamo che la volontà di Dio si faccia in cielo come sulla terra, perché l’uno e l’altra contribuiscono al compimento della nostra salvezza. Il corpo è della terra, lo spirito del cielo; noi siamo dunque cielo e terra. E preghiamo che nell’uno e nell’altra, cioè nel nostro corpo come nella nostra anima, si compia la volontà di Dio.

Ora c’è conflitto tra la carne e lo spirito e collisione quotidiana tra i due che cozzano tra di loro. Non facciamo quel che vogliamo: lo spirito cerca quel che è del cielo e di Dio, la carne quel che è della terra e del secolo. Per questo domandiamo con insistenza che l’aiuto di Dio li metta d’accordo, che la volontà di Dio si compia nello spirito e nella carne e che sia salva l’anima che Dio ha fatto rinascere.

È quel che san Paolo ci afferma chiaramente: I desideri della carne sono contrari a quelli dello spirito, e quelli dello spirito contrari a quelli della carne; tra di loro c’è opposizione, sicché voi non fate quel che volete. Si sa quel che produce la carne: adulteri, fornicazioni, impurità, libertinaggio, idolatria, sortilegi, omicidi, inimicizie, discordia, gelosia, collera, intrighi, dissensi, fazioni, invidia, ubriachezze, orge, e altre cose simili. Vi avverto, come ho già fatto: coloro che vi si abbandonano non parteciperanno al regno di Dio. Quel che riguarda lo spirito, invece, è carità, gioia, pace, longanimità, bontà, fede, mansuetudine, temperanza, castità (Gal 5, 17-23).

Per questo tutti i giorni, anzi in ogni istante, chiediamo nelle nostre preghiere che la volontà di Dio si faccia in cielo come in terra, perché la volontà di Dio è che le cose della terra cedano il passo alle cose del cielo, che vinca la parte dello spirito e di Dio.

 

Altra spiegazione della stessa domanda

17. Fratelli diletti, queste parole possono ancora significare altro: voi sapete che il Signore ci esorta ad amare i nostri nemici e a pregare per quelli che ci perseguitano. Dobbiamo dunque pregare perché quelli che sono ancora della terra e non del cielo compiano anch’essi questa volontà di Dio alla quale il Cristo si è sottomesso perfettamente per la salvezza dell’umanità.

Il Cristo chiama i suoi discepoli non più terra, ma sale della terra (Cfr. Mt 5,13); e l’Apostolo dice che il primo uomo è tratto dal fango della terra, il secondo dal cielo; dobbiamo somigliare al nostro Padre del cielo che fa levare il sole sui buoni e sui cattivi, che concede la pioggia ai giusti e agli ingiusti (Cfr. Mt 5,45); per questo motivo il Cristo ci fa pregare per la salvezza di tutti gli uomini.

In cielo, cioè in noi, con la fede, si fa la volontà di Dio e noi diventiamo celesti; così pure sulla terra, cioè nei non credenti, chiediamo che si compia la volontà di Dio; che coloro i quali per la loro prima nascita sono ancora terrestri, diventino celesti nascendo dall’acqua e dallo Spirito.

 

Chiediamo il nostro pane quotidiano, cioè il Cristo, per non perdere né la sua grazia né il suo corpo

18. In seguito chiediamo: Dacci il nostro pane quotidiano. Queste parole possono intendersi in senso spirituale e in senso letterale: le due interpretazioni, nel disegno provvidenziale, debbono contribuire alla nostra salvezza.

Il nostro pane di vita è il Cristo, e questo pane non è di tutti, ma è nostro. Come diciamo Padre nostro, perché egli è il Padre di coloro che hanno la fede, così chiamiamo il Cristo pane nostro, perché è il pane di quelli che costituiscono il suo corpo. Per ottenere questo pane, preghiamo tutti i giorni: non vorremmo essere costretti ad astenerci dalla comunione a causa di una colpa più grave, dato che siamo nel Cristo e riceviamo tutti i giorni l’eucarestia, come il nutrimento della nostra salvezza. Sarebbe come privarci del pane del cielo, separarci dal Corpo del Cristo, secondo il suo avvertimento: Io sono il pane vivente sceso dal cielo; se qualcuno mangia di questo pane, vivrà in eterno; e il pane che darò è la mia carne per la vita del mondo (Gv 6, 51).

Egli dice: Colui che mangia di questo pane vivrà in eterno, per affermare che vivono coloro che tendono la mano verso il suo corpo e ricevono l’eucarestia nella comunione; bisogna chiedere con timore che coloro che si separano volontariamente dal Corpo del Cristo, non si allontanino dalla salvezza. Il Signore ci ha messi in guardia: Se non mangiate la carne del Figlio dell’Uomo, e non bevete il suo Sangue, non avrete la vita in voi (Gv 6, 53).

Chiediamo dunque tutti i giorni di ricevere il nostro pane, cioè il Cristo, per restare e vivere nel Cristo, e non allontanarci dalla sua grazia e dal suo corpo.

 

Dobbiamo chiedere il cibo ogni giorno e non sollecitare a lunga scadenza

19. Possiamo anche intendere questa domanda nel modo seguente: abbiamo rinunziato al secolo; per grazia della fede abbiamo respinto le sue ricchezze e le sue seduzioni; chiediamo semplicemente il cibo, poiché il Signore ci ha detto: Chiunque non rinunzia a tutto quanto possiede, non può essere mio discepolo (Lc 14, 33). Colui che incomincia ad essere il discepolo del Cristo, e rinunzia a tutto, secondo la parola del Maestro, deve chiedere il cibo del giorno, e non preoccuparsi a lunga scadenza. Il Signore ha detto ancora: Non inquietatevi dunque per il domani; il domani porta con sé il suo affanno. Ad ogni giorno basta la sua pena (Mt 6, 34).

Il discepolo chiede dunque con ragione il cibo del giorno, poiché gli si proibisce di occuparsi del domani. Non è giusto che coloro che chiedono che venga presto il regno di Dio, cerchino di prolungare il loro soggiorno in questo secolo. L’Apostolo ce ne avverte per formare, fortificare e rafforzare la nostra fede e la nostra speranza. Non abbiamo portato nulla — egli dice — in questo mondo, così come non possiamo portar via nulla. Perciò quando abbiamo il cibo e il vestito, dobbiamo essere soddisfatti. Quanto a coloro che vogliono arricchirsi, cadono nella tentazione, nella trappola, in molte concupiscenze funeste che sommergono gli uomini nella rovina e nella perdizione. L’amore del denaro è la radice di tutti i mali; quelli che vi si sono abbandonati hanno fatto naufragio nella loro fede e hanno inflitto a se stessi numerosi tormenti (1 Tm 6, 7-10).

 

Il Cristo ci insegna che le ricchezze sono più che disprezzabili: sono pericolose

20. Il Cristo c’insegna che le ricchezze sono più che disprezzabili: sono pericolose, racchiudono la radice di tutti i mali perché le loro apparenze seducenti e ingannatrici inducono in errore la mente umana. Alla stoltezza del ricco che si compiaceva delle ricchezze di questo secolo e si inorgogliva per i raccolti sovrabbondanti, Dio replicava: Insensato, questa notte ti si chiederà l’anima. E chi avrà quel che tu hai ammassato? (Lc 12, 20).

L’insensato si gloriava dei raccolti, mentre doveva morire quella notte stessa. Pensava all’abbondanza dei viveri ed era stato abbandonato dalla vita. Il Signore afferma, invece, che è perfetto chi vende tutto quanto possiede, lo distribuisce ai poveri e si costituisce un tesoro in cielo.

Aggiunge inoltre, che possiamo seguire le sue orme e imitare la sua Passione gloriosa se ci renderemo liberi e se ci disimpegneremo da tutte le preoccupazioni degli affari domestici; se, rinunziando ai nostri beni, li offriamo a Dio come segno della nostra oblazione (Cfr. Mt 19,21). Per disporci a ciò, il Signore c’insegna le leggi della preghiera.

 

Non manca nulla a chi possiede Dio, se egli non viene meno a Dio

21. Il pane quotidiano non può mancare al giusto, poiché è scritto: Il Signore non permette che il giusto soffra di fame (Pr 10, 3). E altrove: Ero giovane e ora sono vecchio: non ho visto il giusto abbandonato né la sua discendenza cercare il pane (Sal 36, 25).

Per questo il Signore promette: Non state a preoccuparvi e a dire: Che mangeremo, che berremo, o con che cosa ci vestiremo? Di tutto ciò si preoccupano i pagani. Il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, e avrete tutto ciò in più (Mt 6, 31-33).

A coloro che cercano il regno e la giustizia di Dio, egli promette di dare tutto in aggiunta. Tutto, infatti, appartiene a Dio; a colui che possiede Dio non manca nulla, se egli stesso non viene meno a Dio. Così Daniele, rinchiuso per ordine del re nella fossa dei leoni, ricevette il pasto da Dio, e l’uomo di Dio si nutrì in mezzo alle bestie feroci affamate che lo risparmiavano (Cfr. Dn 14,30). Nello stesso modo Elia è sostentato durante il viaggio e durante la persecuzione, quando, nella solitudine, corvi e uccelli lo servono e gli portano il cibo (Cfr. 1 Re 17,6). O crudeltà detestabile della malizia umana: gli animali feroci hanno riguardo, gli uccelli portano il cibo, ma gli uomini preparano insidie ed esercitano la loro crudeltà!

 

Dopo il cibo, chiediamo il perdono del peccato, affinché nessuno si faccia illusione sulla sua innocenza

22. Dopo ciò preghiamo per i nostri peccati: E rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Dopo il sostentamento chiediamo il perdono del peccato. Colui che è nutrito da Dio deve vivere in Dio e preoccuparsi non solo della vita presente e temporale, ma anche di quella eterna. Egli può accedervi se i peccati gli sono rimessi. Il Signore li chiama debiti, secondo la parola del Vangelo: Io ti ho rimesso tutto il tuo debito, perché tu mi hai supplicato (Mt 17, 32).

Quanto è necessario, saggio e salutare, che il Signore ci ricordi che siamo peccatori, invitandoci a pregare per i nostri peccati! Così ricorrendo all’indulgenza di Dio, ci rendiamo conto dello stato della nostra coscienza. Affinché nessuno si compiaccia in sé come se fosse innocente e si perda per questa iattanza, gli si ricorda che egli pecca ogni giorno, chiedendogli di pregare ogni giorno per i suoi peccati.

Anche Giovanni ci avverte nella sua epistola: Se pretendiamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi. Ma se riconosciamo i nostri peccati, è fedele e giusto il Signore che ci perdonerà i nostri peccati (1 Gv 1, 8-9). Nella sua epistola egli unisce le due cose: dobbiamo pregare per i nostri peccati e in questa preghiera implorare il perdono. Afferma che il Signore è fedele nel perdonare i peccati, secondo la sua promessa. Perché colui che c’insegna a pregare per i nostri debiti e per i nostri peccati, promette in pari tempo una misericordia paterna e il perdono.

 

In quale misura i peccati ci sono rimessi

23. Il Signore precisa le condizioni del suo perdono: vuole che rimettiamo i debiti ai nostri debitori, come noi chiediamo che ci siano rimessi i nostri. Non possiamo chiedere la remissione dei nostri peccati, se non agiamo nello stesso modo nei riguardi dei nostri debitori. Egli dice altrove: La misura con cui misurate servirà per misurarvi (Mt 7, 2).

Il servo al quale il padrone aveva rimesso tutti i debiti, ma che non volle agire nello stesso modo riguardo a un suo compagno (Cfr. Mt 18,34), è gettato in prigione. Non ha voluto perdonare al suo compagno, e perde il perdono già avuto dal padrone. Nei suoi precetti, il Cristo inculca questa verità con vigore severo. Quando siete in piedi per pregare, perdonate se avete qualcosa contro qualcuno, affinché il Padre vostro che è in cielo vi rimetta pure i vostri peccati. Se non perdonate, il Padre vostro che è in cielo, non vi perdonerà neanche le vostre offese (Mc 11, 25-26).

Non avrai dunque nessuna scusa nel giorno del giudizio, quando sarai giudicato secondo il tuo comportamento: subirai quel che hai fatto subire. Dio ci prescrive di conservare la pace e la concordia nella sua casa, e di vivere secondo le leggi della nuova nascita; divenuti figli di Dio dobbiamo salvaguardare la pace di Dio. All’unità dello Spirito deve corrispondere l’unità delle anime e dei cuori. Dio non accetta il sacrificio dei fautori di discordia, li respinge dall’altare affinché si riconcilino prima con i loro fratelli (Cfr. Mt 5,24): Dio vuole essere propiziato con preghiere di pace. La più bella oblazione per Dio è la nostra pace, la nostra concordia, l’unità, nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, di tutto il popolo fedele.

 

Dio accetta solo la preghiera dei pacifici

24. Nei primi sacrifici, offerti da Abele e da Caino, Dio non considerava le offerte, ma i cuori: i doni erano graditi se lo erano i cuori (Cfr. Gen 9,5). Il pacifico e giusto Abele, che offre il suo sacrificio con animo puro insegna agli altri che bisogna presentarsi, quando si offre il proprio dono, col timore di Dio, col cuore semplice, col senso della giustizia, con la concordia e la pace. Offrendo con tali disposizioni il sacrificio a Dio, ha meritato di divenire egli stesso un’offerta preziosa e di dare la prima testimonianza del martirio. Ha annunziato con la gloria del suo sangue la passione del Signore, perché possedeva in sé la giustizia e la pace del Signore. Tali esseri ottengono la corona, tali esseri giudicheranno col Cristo, nel giorno del giudizio.

I dissidenti, invece, che non vivono in pace con i loro fratelli, sono condannati dall’Apostolo e dal Vangelo; anche se si facessero uccidere per il nome di Cristo resterebbero lo stesso colpevoli della discordia seminata tra i fratelli; perché è scritto: Chi odia il proprio fratello è omicida; ora l’omicida non ha accesso nel regno dei cieli e non vive con Dio (1 Gv 3, 1). Chi preferisce imitare Giuda piuttosto che il Cristo, non può essere col Cristo. Quanto è grande questo misfatto, che neanche il battesimo del sangue può cancellare! Quanto grave dev’essere questo capo di accusa che il martirio non può espiare!

 

L'avversario non può nulla contro di noi senza il permesso preventivo di Dio

25. Il Signore insiste su un’altra intenzione: Non sopportare che noi siamo indotti in tentazione. Da queste parole risulta che l’avversario non può nulla contro di noi senza il permesso preventivo di Dio.

Per questo dobbiamo volgere a Dio tutto il timore, la pietà e l’attenzione, perché nelle tentazioni il potere del maligno dipende dal potere di Dio. Il che prova la Scrittura, quando dice: Nabucodonosor, re di Babilonia, venne a Gerusalemme e l’assediò, e il Signore la consegnò nelle sue mani (2 Re 24, 11). Al Maligno è concesso il potere contro di noi, in ragione dei nostri peccati, secondo la Scrittura:

Chi ha abbandonato Giobbe al saccheggio
e Israele ai saccheggiatori?
Non è forse il Signore?
Essi hanno peccato contro di lui,
non hanno voluto camminare nelle sue vie
e non hanno ascoltato la sua legge.
Per questo ha riversato su Israele l’ardore della sua collera.
(Is 42, 24)

E a proposito di Salomone che peccava e si allontanava dalle vie del Signore è detto: E il Signore suscitò Satana contro di lui (Cfr. 2 Re 12).

 

Il potere gli è concesso sia per nostro castigo, sia per nostra gloria. Questa domanda ci rivela la nostra debolezza

26. Dio può dare il potere al demonio in due modi: per nostro castigo, se abbiamo peccato; per nostra glorificazione, se accettiamo la prova. Vediamo che questo fu il caso di Giobbe. Ecco, tutto quanto gli appartiene io te lo consegno; solo non portare la mano su di lui (Gb 12, 1).

Nel Vangelo il Signore dice, al momento della Passione: Non avresti su di me nessun potere se non ti fosse stato dato dall’alto (Cfr. Gv 19,11). Quando dunque preghiamo per non entrare in tentazione, ci ricordiamo della nostra debolezza, affinché nessuno si consideri con compiacenza, nessuno si inorgoglisca con insolenza, nessuno si attribuisca la gloria della sua fedeltà o della sua passione, allorché il Signore stesso ci insegna l’umiltà quando dice: Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è ardente, ma la carne è debole (Marco XIV, 38). Se anzitutto facciamo professione d’umiltà, se attribuiamo a Dio tutto quello che chiediamo con timore e riverenza, possiamo essere sicuri che la sua bontà ce lo concederà.

 

L'ultima domanda riguarda tutto quello che il nemico trama contro di noi

27. Dopo tutto ciò, la preghiera finisce con una conclusione che raccoglie brevemente tutte le domande. Alla fine diciamo: ma liberaci dal male.

Comprendiamo in ciò quel che il nemico può macchinare in questo mondo contro di noi, ma siamo sicuri di avere un potente appoggio, se Dio ci libera, se concede il suo aiuto a coloro che l'implorano. Quando dunque diciamo: Liberaci dal male, non ci resta più nulla da chiedere: abbiamo domandato la protezione di Dio contro il male. Fatta questa preghiera, siamo fortificati contro tutte le macchinazioni del demonio e del mondo. Chi può temere il mondo, se Dio è, in questo mondo, il suo protettore?

 

Bisogna pregare non soltanto con le parole, ma anche con i fatti

28. Quale meraviglia, fratelli dilettissimi, se il «Padre nostro» è la preghiera che ci ha insegnato Dio? Egli col suo insegnamento ha compendiato ogni nostra preghiera in queste parole di salvezza.

Questo era già stato predetto tramite il profeta Isaia, quando pieno di Spirito Santo aveva parlato della maestà e della misericordia di Dio e della parola che tutto contiene e tutto riassume in chiave di salvezza. Il profeta aveva anche affermato che Dio si sarebbe rivolto a tutta la terra con piccole frasi pregnanti (Cfr. Is 10,22).

E, in effetti, quando la Parola di Dio, cioè nostro Signore Gesù Cristo, venne a tutti gli uomini, e quando, radunati insieme i dotti e gli ignoranti, ebbe divulgato a ogni sesso e a ogni età i precetti di salvezza, fece un grande compendio dei suoi precetti, perché la memoria dei discepoli non si affaticasse nella dottrina celeste, ma imparasse subito ciò che era necessario alla semplice fede.

Così, insegnando che cosa sia la vita eterna, racchiuse con grande e divina brevità il mistero della vita, dicendo: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico e vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17, 3).

Similmente, volendo stralciare dall’insieme della legge e dei profeti i precetti principali e fondamentali, disse: Ascolta, Israele: il Signore tuo Dio è l’unico Dio; e ancora: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua forza (Cfr. Dt 6,4-5).

Questo è il primo precetto, e il secondo è simile a questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso (Mc 12, 29-31). In questi due precetti è racchiusa tutta la legge e i profeti (Mt 22, 40). E di nuovo: Tutti quei beni che volete che gli uomini facciano a voi, fateli anche voi a loro. Questa è infatti la legge e i profeti (cfr. Mt 7, 12).

29.Dio ci ha insegnato a pregare non soltanto a parole, ma anche con i fatti, pregando e supplicando egli stesso frequentemente e dimostrando con la testimonianza del suo esempio che cosa dobbiamo fare anche noi, come sta scritto: Egli poi si ritirò in luoghi deserti e pregò (cfr. Lc 5, 16); e ancora: Salì sul monte a pregare, e passò la notte nella preghiera a Dio (cfr. Lc 6, 12). Se pregava Lui, che era senza peccato, quanto è più necessario che noi peccatori preghiamo, e se Lui vegliando ininterrottamente per tutta la notte pregava con orazioni continue, quanto più frequentemente noi dobbiamo vegliare e pregare tutta la notte!

 30. Certo il Signore pregava e intercedeva non per sé – che cosa infatti deve domandare per sé un innocente? – ma per i nostri peccati. Lo dichiara egli stesso quando dice rivolto a Pietro: «Ecco, satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede» (Lc 22, 31-32).

E dopo questo supplica il Padre per tutti, dicendo: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola» (Gv 17, 20-21).

Grande fu la bontà di Dio per la nostra salvezza, grande la sua misericordia! Egli non si accontentò di redimerci col suo sangue, ma in più volle ancora pregare per noi. E guardate quale fu il suo desiderio mentre pregava: che come il Padre e il Figlio sono una cosa sola; così anche noi rimaniamo nella stessa unità.

Anche da ciò si può comprendere quanto sbagli che spezza l'unità e la pace, mentre il Signore ha pregato appunto per questo, volendo che il suo popolo avesse la vita, ben sapendo che la discordia non può pervenire al regno di Dio.

31. Quando dunque siamo in orazione, fratelli dilettissimi, dobbiamo vigilare ed immergerci con tutto il cuore nella preghiera. Si allontani ogni pensiero carnale e mondano, e null’altro pensi il nostro animo se non ciò che è oggetto della sua preghiera. Per questo, prima del Padre nostro il sacerdote prepara con un’introduzione le menti dei fratelli dicendo: “In alto i cuori”, in modo che rispondendo l’assemblea “Sono rivolti al Signore”, sia chiaro che a null’altro si deve pensare se non al Signore.

 Si chiuda il cuore all’avversario e si apra soltanto a Dio, né si sopporti che il nemico di Dio vi entri durante il tempo della preghiera. Egli infatti frequentemente coglie di sorpresa, penetra e con astuzia sottile distoglie da Dio le nostre preghiere, affinché una cosa abbiamo nel cuore e un’altra nella voce, mentre con pura intenzione non il suono della voce deve pregare il Signore, ma l’animo e l’affetto.

Quale leggerezza lasciarti distrarre e prendere da pensieri futili e profani mentre preghi il Signore, quasi vi sia altra cosa più importante a cui porre attenzione, del fatto che stai parlando con Dio! Come puoi chiedere di essere ascoltato da Dio, se tu stesso non ti ascolti? Vuoi che il Signore si ricordi di te quando preghi, mentre tu stesso non sei memore di te?

 Questo non significa davvero guardarsi dal maligno; questo è, mentre preghi, offendere la maestà divina con la negligenza nella preghiera; questo è vegliare con gli occhi e dormire col cuore, mentre il cristiano, anche quando dorme, deve tenere il cuore vigilante. Così come è scritto da colei che rappresenta la Chiesa, che parla nel Cantico dei Cantici: "Io dormo, ma il mio cuore veglia" (Ct 5,2). Perciò con preoccupazione e sollecitudine l'Apostolo ci esorta, dicendo: "Perseverate nella preghiera e vegliate" (Col 4,2), insegnando chiaramente e mostrando che possono ottenere da Dio quello che chiedono coloro che Dio vede essere vigilanti durante la preghiera.

 

Buona cosa è la preghiera con il digiuno e l'elemosina

32. Coloro che pregano non vadano a Dio senza frutti e con sole preghiere. La richiesta è inefficace quando si prega Dio con sterile orazione. Infatti, come ogni albero che non produce frutto è reciso e gettato nel fuoco (Cfr. Mt 7, 19), così anche un discorso senza frutto non può essere degno di Dio, poiché non è fecondo di opere. Per questo la divina Scrittura ci istruisce dicendo: «Buona cosa è la preghiera con il digiuno e l’elemosina» (Tb 12,8). Colui infatti che nel giorno del giudizio darà il premio per le opere e per le elemosine, anche oggi ascolta benignamente chi va all'orazione accompagnato dalle opere buone. Appunto perché pregava in tal modo il centurione Cornelio meritò di essere ascoltato: egli «faceva molte elemosine al popolo e pregava sempre Dio» (At 10,2).

33. Velocemente salgono a Dio le preghiere che pongono di fronte al Signore i meriti delle nostre azioni. Allo stesso modo l’angelo Raffaele si manifestò a Tobia, che pregava sempre e che sempre faceva elemosine: «Sicuramente è cosa gloriosa rivelare e manifestare le opere di Dio. Infatti quando tu e Sara pregavate, io ho portato la testimonianza della vostra preghiera davanti alla gloria del Signore. Così come quando tu seppellivi con semplicità i morti; quando poi tu non hai esitato ad alzarti e a lasciare il tuo pranzo, ma sei uscito e hai sepolto quel morto, io sono stato mandato a tentarti; di nuovo però Dio mi ha mandato a curare te, Sara e tua nuora. Infatti io sono Raffaele, uno dei sette angeli giusti che stiamo davanti e conversiamo con la maestà di Dio» (Tb 12,11-15). Anche per mezzo di Isaia il Signore ci ammonisce e ci insegna un comportamento simile, dicendo: «Sciogli ogni nodo dell’ingiustizia, togli di mezzo l’oppressione che soffoca i deboli: lascia andare in pace quelli che hai maltrattato e spezza ogni documento ingiusto: spezza il tuo pane con l’affamato e conduci nella tua casa i bisognosi senza un tetto: se vedrai uno nudo, vestilo, ma non disprezzare i bisognosi appartenenti al tuo sangue. Allora la tua luce sorgerà come l’aurora e velocemente splenderanno i tuoi abiti e di fronte a te camminerà la giustizia e la gloria di Dio ti circonderà. Allora griderai e Dio ti esaudirà: mentre ancora tu parli, Egli dirà: ecco, sono qui» (Is 58,6-9). Il Signore promette di assistere, dice di ascoltare e di proteggere coloro che sciolgono dal loro cuore i nodi dell’ingiustizia, fanno elemosine secondo i suoi insegnamenti nei confronti dei loro fratelli; mentre ascoltano ciò che Dio comanda di fare, con questo comportamento meritano di essere ascoltati da Dio. Il beato apostolo Paolo, aiutato dai fratelli nell’urgenza della necessità, affermò che sono sacrifici graditi a Dio le opere buone che si compiono. Dice: «Sono stato saziato ricevendo da Epafrodito tutto ciò che è stato mandato da voi, profumo di soavi odori, sacrificio gradito e accetto a Dio» (Fil 4,18). Infatti chi ha compassione del povero fa un prestito a Dio e chi offre cibo ai più bisognosi fa un dono al Signore e compie un sacrificio a Dio in spirito, accompagnato da soavi profumi.

 

Dobbiamo perseverare tutta la giornata in preghiera

34. Abbiamo visto che i tre fanciulli, forti nella fede e vincitori nella prigionia, pregavano celebrando con Daniele l’ora terza, sesta e nona, e ciò per il mistero della Trinità che si sarebbe manifestato negli ultimi tempi. Infatti dall'ora prima fino alla terza noi troviamo tre ore; troviamo lo stesso numero da terza a sesta e da sesta a nona: la Trinità si manifesta così attraverso tre spazi regolari, composto ciascuno da tre ore.

Gli adoratori di Dio, avendo già prima determinato tali spazi spirituali di preghiera, si dedicavano ad essa secondo precise modalità e in tempi fissati. In seguito, la realtà manifestò chiaramente essere stato un segno che già prima i giusti pregassero così. Infatti nell’ora terza discese sui discepoli lo Spirito Santo, portando così a compimento la grazia promessa dal Signore. Così a Pietro, salito nella parte superiore della casa all’ora sesta, venne indicato da un segno e dalla voce ammonitrice di Dio di ammettere tutti alla grazia della salvezza, mentre prima egli dubitava se dovesse battezzare i pagani. Il Signore stesso all’ora sesta fu crocifisso e a nona lavò col suo sangue i nostri peccati, riportando vittoria con la sua passione, per poterci redimere e dare la vita.

35. Ma per noi, fratelli dilettissimi, oltre alle ore osservate anticamente, sono ora aumentati i tempi e i significati della preghiera. Infatti, dobbiamo pregare all’alba per celebrare con la preghiera mattutina la risurrezione del Signore. Ciò corrisponde a quello che una volta lo Spirito Santo indicava nei Salmi con queste parole: «Tu sei il mio re, il mio Signore, ed io innalzerò a te, o Signore, di mattino la preghiera: ascolterai la mia supplica; di mattino mi presenterò a te e ti contemplerò» (Sal 5,3-4). E di nuovo il Signore ci dice tramite il Profeta: all'alba si risvegliavano e mi dicevano: andiamo e torniamo al Signore nostro Dio" (Os 6,1).

È necessario pregare ancora al tramonto del sole, quando muore il giorno: infatti, poiché Cristo è il vero sole e il vero giorno, quando preghiamo al tramonto del sole chiedendo che sorga di nuovo su di noi la luce, in realtà imploriamo l’avvento di Cristo che ci porterà la grazia dell’eterna luce. Nei salmi Cristo è chiamato giorno dallo Spirito Santo. D’altra parte lo Spirito Santo nei Salmi afferma che Cristo è il giorno, dicendo; «La pietra che i costruttori hanno scartato, è diventata testata d’angolo. Questo è stato fatto dal Signore ed è mirabile ai nostri occhi. Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo in esso» (Sal 118, 22-24). Ugualmente, che lo si debba chiamare «sole», lo testimonia il profeta Malachia dicendo: «Ma per voi, che temete il nome del Signore, sorgerà il sole della giustizia; sotto le sue ali vi è la salvezza» (Ml 3, 20).

Ora, se nelle sacre Scritture Cristo è il vero sole e il vero giorno, non c’è nessuna ora in cui i cristiani non debbano adorare Dio. Di conseguenza noi che siamo in Cristo, vale a dire nel vero sole e nel vero giorno, dobbiamo perseverare tutta la giornata in preghiera. Quando poi subentra di nuovo la notte, nessun danno può venire agli oranti dalle tenebre notturne, dal momento che per i figli della luce anche la notte risplende come il giorno. Quando mai è senza luce chi ha la luce nel cuore? 0 quando mai non c’è sole e non c’è giorno, per colui il cui giorno e il cui sole è Cristo?

 

Vegliamo durante la notte, come se fossimo in pieno giorno

36. Noi che siamo in Cristo, vale a dire sempre nella luce, non cessiamo di pregare neppure di notte. Così la vedova Anna, pregando e vigilando senza interruzione, perseverava nel rendersi gradita a Dio, come sta scritto nel vangelo: «Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere» (Lc 2,37). Considerino questo, sia i pagani che ancora non sono stati illuminati, sia i giudei che privati della luce rimasero nelle tenebre: noi fratelli dilettissimi, che siamo sempre nella luce del Signore, che ricordiamo e custodiamo ciò che abbiamo cominciato a essere per la grazia ricevuta, noi consideriamo la notte come giorno.

Dobbiamo credere di camminare sempre nella luce, senza lasciarci ostacolare dalle tenebre da cui uscimmo: nessun danno venga alla preghiera dalle ore notturne, non pigra e ignava perdita di tempo. Spiritualmente ricreati e rige­nerati dalla misericordia di Dio, imitiamo ciò che saremo: destinati ad abitare in quel regno che non conosce il sopraggiungere della notte ma solo il giorno, vegliamo durante la notte come se fossimo in pieno giorno; destinati a pregare e rendere grazie a Dio, anche qui non cessiamo di pregare e ringraziare.

 


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18 marzo 2020                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net