REGULA PAUPERUM COMMILITONUM

Christi Templique Salomonici

STATUTI E COSTITUZIONI

DELL’ORDINE EQUESTRE DEI CAVALIERI TEMPLARI

Estratto dal sito scriptorium.it

A cura di Mario Moiraghi, dal sito scriptorium.it

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"Approfondimento sull'origine della Regola"

"Testo italiano completo di note"

Incipit prologus Regulæ Pauperum Commilitonum Christi, Templique Salomonis.

 

Omnibus in primis sermo noster dirigitur, quicumque proprias voluntates sequi contemnunt, et summo ac vero Regi militare animi puritate cupiunt, ut obedientiæ armaturam præclaram assumere, intensissima cura implendo præoptent, et perseverando impleant. Hortamur itaque, qui usque nunc militiam sæcularem, in qua Christus non fuit causa, sed solo humano favore amplexati estis: quatenus horum unitati, quos Dominus ex massa perditionis elegit, et ad defensionem S.. Ecclesiӕ gratuita pietate composuit, vos sociandos perhumaniter, festinetis.

 

Ante omnia autem, quicumque es ò Christi miles, tam sanctam conversationem eligens, te, professionem tuam oportet puram adhibere, diligentiam, ac firmam perseverantiam, quæ à Deo tam digna, sancta, et sublimis esse dignoscitur ; ut si purè, et perseveranter obseruetur inter militantes, qui pro Christo animas suas dederunt, sortem obtinere mereberis.

In ipsa namque refloruit, et revixit ordo militaris, qui despecto iustitiae zelo, non pauperes aut Ecclesias defensare, quod suum erat : sed rapere, spoliare, interficere contendebant. Benè igitur nobiscum agitur, quibus Dominus, et Salvator noster Iesus Christus amicos suos à civitate Sancta in confinium Franciae, ac Burgundiae direxit, qui pro nostra salute, veræque fidei propagatione, non cessant, animas suas hostiam Deo placentem offerre.

 

Nos ergo cum omni gratulatione, ac fraterna pietate precibusque Magistri Hugonis, in que prædicta militia sumpsit exordium, cùm Spiritu Sancto intimante  ex diversis ultramontanæ provinciæ mansionibus, in solemnitates S. Hilarij, anno 1128. ab incarnato Dei filio, ab inchoatione praedictæ militiæ nono, ad Trecas, Deo Duce, in unum convenimus, et modum, et observantiam Ordinis Equestris per singula Capitula, ex  ore ipsius praedicti Magisteri Hugonis audire meruimus, ac iuxta notitiam exiguitatis nostræ scientiæ, quod nobis videbatur bonum, et utile, collaudavimus.

 

Verum enim verò, quod nobis videbatur absurdum, omneque, quod in praesenti Concilio nequit esse nobis memorabiliter relatum, ac computatum, non lenitate, sed consulta providentia, et discrezione venerabilis Patris nostri Honorij, ac incliti Patriarchæ Gerosolimitani Stephani fertilitate, ac necessitate, non ignari Orientalis Religionis, necnon pauperum Commilitonum Christi, consilio communis Capituli unanimiter commendavimus.

 

Sana autem prorsus licet nostri dictaminis auctoritate permaximus numerus religiosorum Patrum qui in illo Concilio Divina admonitione convenerunt, commendat : non debemus silenter transire, quibus videntibus, et veras sententias proferentibus, ego Ioannes Michaelensis, prӕsentis paginӕ, iussu Concilij ac venerabilis Abbatis Claravalensis, cui creditum ac debitum hoc erat, humilis scriba esse Divina gratia merui.

 

Inizia il prologo della Regola dei Poveri Commilitoni di Cristo, e del Tempio di Salomone.

 

Il nostro discorso è diretto anzitutto a tutti coloro che rifiutano di seguire le proprie aspirazioni e desiderano combattere, con purezza d’animo, per il vero e sommo Re, sì che preferiscono, con intensissimo fervore, indossare la splendida armatura dell’obbedienza, e perseguono questo obiettivo con tenacia.

Vi esortiamo dunque, voi che sinora avete professato la milizia secolare, nella quale non fu Cristo la causa prima, ma l’avete scelta per solo interesse umano, perché’ vi affrettiate a raccogliervi con grande amore nell’unità di quelli che Dio scelse dalla massa dei perduti e riunì, con la grazia della sua sollecitudine, alla difesa della Santa Chiesa.

Per prima cosa poi, chiunque tu sia, o soldato di Cristo, scegliendo la tua santa compagnia, bisogna che tu assuma un impegno puro, un’attenzione ed una salda perseveranza che da Dio è riconosciuta tanto degna, santa ed elevata; in tal modo, se in maniera pura e costante si agirà fra coloro che aderiscono a questa missione, di donare le proprie anime a Cristo, meritiate di partecipare a ciò che il destino vi ha riservato. In esso infatti riprese vigore e rinacque quell’ordine militare che, disprezzato lo zelo della giustizia, non difendeva più i poveri e le chiese, compito che le era proprio: ma combatteva per rubare, depredare, uccidere. È con noi che si agisce con rettitudine, noi a cui il Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, dalla Città Santa, indirizzò i suoi amici verso i confini della Francia e della Burgundia, che per la nostra salvezza, e la propagazione della vera fede, non smettono di offrire le proprie anime come ostia gradita a Dio.

Noi quindi, con ogni gratitudine e fraterna pietà, e con le preghiere del Maestro Ugo, nel cui cuore la sopraddetta milizia ebbe inizio, mentre lo Spirito Santo ci sollecitava da diversi luoghi della provincia oltremontana, nelle feste di sant’Ilario, nell’anno 1128 dalla nascita di Cristo, nel nono anno dalla nascita della precitata milizia, a Troyes, guidati da Dio, ci radunammo in un sol luogo, e ricevemmo il dono di sentire dalla bocca del citato Maestro Ugone, la regola e le usanze, capitolo per capitolo, dell’Ordine Equestre, e compatibilmente con l’esiguità del nostro sapere, approvammo quello che ci sembrava buono e utile.

Rimettemmo al giudizio e alla discrezione del Capitolo, per decisione comune, tutto ciò che ci appariva dissonante e tutto quello che nel presente Concilio non è degno di essere affidato alla memoria e tenuto in considerazione, non per leggerezza, ma sulla base della preveggenza esperta e la discrezione del nostro venerabile Padre Onorio e per la feconda azione del nobile Patriarca di Gerusalemme Stefano e per necessità, non essendo all’oscuro né della religione orientale, né dei Poveri Commilitoni di Cristo.

L’enorme numero dei Padri religiosi, che si riunirono in quel Concilio per monito divino, sulla base della limpida autorevolezza del nostro intento, dispone: non dobbiamo passare oltre in silenzio, poiché’ loro hanno esaminato e formulato un vero giudizio ed io, Giovanni di Michele, ho meritato di essere, per grazia divina, l’umile scriba del presente testo, per ordine del Concilio e del venerabile Abate di Chiaravalle a cui tutto questo era stato affidato e dovuto.

 

Nomina Patrum Residentium in Concilio.

 Primis quidam resedit Matheus Albanensis Episcopus S. R. E. Legatus; deinde Raynaldus Archiepiscopus Remensis: tertius Henricus Archiepiscopus Senovensis; deinde Coepiscopi eorum Ranchedus Carnotensis Episcopus, Gossenus Suessonum Episcopus, Episcopus Parisiensis, Episcopus Trecensis, Prӕsul Aurelianensis, Episcopus Antisiodorensis, Episcopus Meldensis, Episcopus Catalaunensis, Episcopus Laudunensis, Episcopus Belaucensis, Abbas Vezelacensis, qui non multò post factus est Lugdunensis Archiepiscopus, ac S. R. E. Legatus, Abbas Cisterciensis, Abbas Pontimacensis, Abbas Trium Fontium, Abbas S. Dionisij de Remis, Abbas S. Stephani de Divione, Abbas Molesmij supra nominatus, Abbas Bernardus Claravalensis non defuit, cuius sententiam prӕscripti libera voce collaudabant.

Fuerunt autem Magister Albertus Kemensis, et Magister Fulgerius, ac complures alij, quos longum esset enumerare. Cӕterum verò de non litteratis idoneum nobis videtur, ut testes amatores veritatis adducantur in medium: Comes Theobaldus, Comesque Nivernensis, ac Andreas de Bandimento, intentissima cura, quod erat optimum, servantes ; quod eis videbatur absurdum, vituperantes, in Concilio sic assistebant.

Ipse verò Magister militiæ Hugo nomine reverà non desuit, et quosdam de fratribus suis secum habuit. Verbi gratia Fratrem Godefridum, Fr. Rorallum, Fr. Gaufridum Bisol, Fr. Paganum de Monte Desiderij, Archembaudum de Monte Amano.

Iste verò Magister Hugo cum istis discipulis modum, et observantiam exiguæ inchoationis sui Militaris Ordinis, qui ab illo, qui dicit : Ego principium, qui et loquor vobis, sumpsit exordium: iuxta memoriæ suæ notitiam supra nominatis Patribus intimans. Placuit itaque Concilio, ut consilium ibi lima, et consideratione divinarum Scripturarum diligenter examinatum ; tamen cum providentia Papæ Romani, ac Patriarchæ Gerosolimitani, necnon Capituli assensu, et Pauperum Commilitonum Templi, quod est in Ierusalem, scripto, commendaretur, ne oblivioni traderetur, et inenodabiliter servaretur; ut recto cursu, ad suum conditorem, cuius dulcedo tam mel superat, ut ei comparatum velut absynthiam sit amarissimum, pervenire dignè mereantur : prӕstante, cui militant, et militare queant, per infinita seculorum secula. Amen.

Nomi dei Padri presenti nel Concilio

Fra i primi invero fu presente Matteo di Albano vescovo, legato di Santa Romana Chiesa; poi Rinaldo arcivescovo di Reims: terzo Enrico arcivescovo di Sens; poi i loro Coepiscopi Ranchedo vescovo di Chartres, Gosseno vescovo dei Soissons, il vescovo di Parigi, il vescovo di Troyes, il presule di Orleans, il vescovo di Auxerre, il vescovo di Meaux, il vescovo di Chalon, il vescovo di Laon, il vescovo di Beauvais, l’abate di Vezelay, che dopo non molto fu eletto arcivescovo di Lione e legato di S.R.E. il Abate di Citeaux, l’Abate di Pontigny, l’Abate di Trois-Fontaines, l’Abate di S. Dionigi di Reims, l’Abate di S. Stefano di Digione, l’Abate Molesmes sopra nominato, non mancò l’Abate Bernardo di Chiaravalle, alla cui opinione i sopraddetti assentivano apertamente.

Vi furono poi il Maestro Alberto Kemensis e il Maestro Fulcherio e parecchi altri che sarebbe lungo elencare. Il resto in verità sembra a noi non idoneo a persone non istruite, che siano posti in mezzo come testimoni gli amanti della verità: il conte Teobaldo, il conte di Nevers, e Andrea di Baudement, con intensissima attenzione: nel Concilio presenziavano sottolineando ciò che era buono, disapprovando quello che a loro sembrava inopportuno.

Non mancò in realtà lo stesso Maestro della milizia Ugone, e portò con sé alcuni dei suoi fratelli. E cioè frate Goffredo, Fr. Rorallo, Fr. Goffredo Bisol, Fr. Pagano di Monte Desiderio, Arcibaldo di Monte Amano. Lo stesso Maestro Ugo, con questi suoi discepoli, rivendicò la nascita, le modalità e le norme dell’umile inizio del suo Ordine Militare, che ha origine da colui che dice Ego principium, qui et loquor vobis, rammentando i fatti ai sopra nominati padri in base alla sua memoria. Piacque dunque al Concilio, che questo progetto qui diligentemente esaminato, con cura e considerazione delle Sacre Scritture, munito anche della cautela del Papa romano e del Patriarca di Gerusalemme e dell’assenso del Capitolo e dei Poveri Soldati del Tempio, che è in Gerusalemme, venisse messo per iscritto, per non cadere nell’oblio ed essere conservato indissolubilmente, affinché seguendo un retto cammino, quelli che esercitano la milizia e la vogliono esercitare meritino di arrivare degnamente al loro Creatore, la dolcezza del quale tanto supera il miele che paragonato a quello è amarissimo come l’assenzio, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Regula Pauperum Commilitonum Templi in Sancta Civitate.

 

Qualiter Divinum Officium audiant.

Caput I.

 

Vos quidam proprijs voluptatibus abrenuntiantes, atque alij pro animarum salute vobiscum ad terminum cum equis, et armis summo Regi militantes, matutinas, et omne servicium integrum, secundum canonicam institutionem, ac regularium Doctorum Sanctæ civitatis consuetudinem pio ac puro affectu audire universaliter studeatis. Idcircò vobis, venerabiles fratres, maximè debetur, et quia præsentis vitæ luce despecta, contemptoque vestrorum corporum cruciatu, sævientem mundum pro Dei amore vilescere perenniter promisistis; Divino cibo referti, ac satiati, et Dominicis præceptis eruditi, et firmati, post mysterij Divini consummationem nullus pavescat ad pugnam, sed paratus sit ad coronam.

 

Quod, Orationes Dominicas si audire nequierint, dicent.

Caput II.

 

Caeterum si aliquis frater negotio Orientalis Christianitatis fortè remotus, quod sæpius evenisse, non dubitamus, et pro tali absentia, Dei servitium non audierit, pro matutinis tredecim orationes Dominicas, ac pro singulis horis septem, sed pro Vesperis novem dicere collaudamus, ac libera voce unanimiter affirmamus. Isti etenim, in salutifero labore ita directi, non possunt accurrere hora competenti ad Divinum Officium ; sed si fieri potest, horæ constitutæ non prætereant ante institutum debitum.

 

Quid agendum pro patribus defunctis.

Caput III.

 

Quando verò quilibet fratrum remanentium, morti (quae nulli parcit) impendet, quod est impossibile auferri, Capellanis ac Clericis vobiscum ad terminum caritativè summo Sacerdoti servientibus, creditum Officium, et Missam solemniter pro eius anima, Cristo animi puritate iubemus offerre. Fratres autem ibi adstantes, et in orationibus pro fratris defuncti salute pernoctantes, centum orationes Dominicas, usque ad diem septimum, pro fratre defuncto persolvant : ab illo die quo eis obitus fratres denuntiatus fuerit, usque ad prædictum diem, centenarius numerus perfectionis integritatem cum fraterna observatione habeat.

Adhuc nempè divina ac misericordissima caritate deprecamur, adque Pastorali auctoritate iubemus; ut quotidie, sicuti fratri in vicibus dabatur; et debetur, ita quod est necessarium substentationi huius vitæ in cibo, et potu tantum, cuidam pauperi, ad quadragesimum diem impendatur. Omnes enim alias oblationes (quas in morte fratrum, et in Paschali solemnitate, cӕterisque solemnitatibus, Domino Pauperum Commilitonum Christi spontanea paupertas indiscretè reddere consueverat) omninò prohibemus.

Regola dei Poveri Soldati del Tempio nella Città Santa.

QUALE UFFICIO DIVINO ASCOLTINO.

Capitolo I

Voi quindi, che rinunciate ai vostri piaceri (Regola di san Benedetto, RsB prol. 3), e gli altri, che con voi militano ai confini per il Sommo Re, per la salvezza delle anime, con cavalli ed armi, cercate di seguire i Mattutini ed ogni intero Ufficio Divino, in conformità alla legge canonica e alla consuetudine dei Dottori regolari della Città Santa, con sentimento pio e puro.

Ciò compete soprattutto a voi, o venerabili fratelli, anche perché, disprezzata la luce della presente vita e dileggiato il tormento dei vostri corpi, avete promesso per amore di Dio di disprezzare in eterno il mondo impazzito. Ripieni e saziati di cibo divino, eruditi e rinsaldati dagli insegnamenti di Dio, dopo la consumazione del mistero divino nessuno tema di fronte alla battaglia, ma sia pronto per la corona del martirio.

CHE COSA DIRANNO SE NON AVRANNO POTUTO ASCOLTARE LE PREGHIERE DOMENICALI.

Capitolo II

Del resto, se qualche fratello è per caso lontano, in attività nella Cristianità Orientale, il che non dubitiamo che si verifichi assai spesso, e per tale lontananza non avrà ascoltato il Servizio Divino, lo esortiamo a dire al posto del mattutino tredici Preghiere Domenicali, e per le singole ore sette, ma per i Vespri nove, e lo affermiamo unanimemente con voce chiara. Costoro infatti, così occupati in una attività benefica, non possono accorrere all’Ufficio Divino nell’ora convenuta (RsB 50, 1), ma, anche se Ciò accade, non devono trascurare le ore canoniche (RsB 50, 4), considerato l’impegno assunto (RsB, 8 e succ.).

Che cosa si deve fare per i padri defunti.

Capitolo III

Quando su uno dei fratelli professi incombe la morte (che non risparmia nessuno), cosa che è impossibile evitare: comandiamo ai Cappellani e ai Chierici che a termine servono con voi con carità il Sommo Sacerdote, di offrire a Cristo l’Ufficio dovuto e una Messa solenne per la sua anima.

I fratelli presenti poi e quelli che vegliano nella notte in preghiere per la salvezza del fratello defunto, recitino cento Orazioni Domenicali, sino al settimo giorno, per il fratello defunto: da quel giorno in cui sarà annunziata la scomparsa della morte ai loro fratelli sino al giorno detto in precedenza, il numero cento abbia con fraterna attenzione il totale compimento.

Preghiamo dunque con divina e misericordiosissima carità e comandiamo con autorità pastorale, che ogni giorno venga dato ad un povero quello che è necessario al sostentamento alla sua vita in cibo e in bevanda, nella misura in cui era dato al fratello e che ciò sia protratto sino al quarantesimo giorno.

Proibiamo assolutamente tutte le altre offerte, che in morte dei fratelli o nella solennità della Pasqua e nelle altre solennità la povertà spontanea dei Poveri Commilitoni di Cristo soleva rendere liberamente al Signore.

Capellani victum, et vestitum tantùm habeant.

Caput IV.

 

Alias verò oblationes, et omnia elemosynarum genera, quoquo modo fiant Capellanis, vel alijs ad tempus manentibus, unitati communis Capituli reddere pervigili cura praecipimus. Servitores itaque Ecclesiæ victum, et vestitum secundùm auctoritatem tantùm habeant, et nihil amplius habere præsumant; nisi magistri sponte caratativè dederint.

 

De Militibus defunctis, qui sunt ad terminum.

Caput V.

 

Sunt namque Milites in domo Dei, Templique Salomonis ad terminum misericorditer nobiscum degentes ; unde ineffabili miseratione vos rogamus, deprecamur, et ad ultimum obnixè iubemus, ut interim tremenda potestas ad ultimum diem aliquem perduxerit, divino amore, ac fraterna pietate septem dies substentationis pro anima eius quidam pauper habeat.

 

 

Ut nullus Frater remanens oblationem faciat.

Caput VI.

 

Decrevimus, ut supernè dictum est, quod nullus fratrum remanentium aliam oblationem agere præsumat, sed die noctuque mundo corde in sua professione maneat; ut sapientissimo prophetarum in hoc equipollere valeat. Calicem salutaris accipiam, et in morte mea mortem Domini imitabor. Quia sicut Christus pro me animam suam posuit, ita et ego pro fratribus animam ponere sum paratus: ecce competentem oblationem, ecce hostiam viventem, Deoque placentem.

I

I Cappellani abbiano solo il vitto e l’abito.

Capitolo IV.

Ordiniamo di dare, con vigile attenzione, al comune Capitolo nel suo insieme tutte le altre oblazioni e tutti i generi di elemosine che, in qualsiasi modo, vengano fatte ai Cappellani, o ad altri che restano a tempo. I servitori della Chiesa abbiano pertanto il vitto e l’abito secondo l’autorità, e non presumano di avere di più, se i Maestri non li avranno dati spontaneamente e per carità.

In caso di morte dei Militi che servono a termine.

Capitolo V.

Nella casa di Dio e del tempio di Salomone vi sono infatti Militi che stanno misericordiosamente con noi a tempo determinato. Vi preghiamo, vi scongiuriamo e alla fine vi ordiniamo dunque con somma pietà, che, se l’Infinita Potenza avrà condotto uno di loro all’ultimo giorno, per il bene della sua anima, un povero abbia sostentamento per sette giorni, con amore divino e fraterna pietà.

Che nessun fratello professo faccia offerta.

Capitolo VI.

Stabiliamo, come è stato detto in precedenza, che nessuno dei fratelli professi presuma di fare altra offerta, ma di giorno e di notte con cuore puro resti saldo nella sua professione: per cercar di gareggiare in questo col più sapiente dei profeti. Calicem salutaris accipiam, et in morte mea mortem Domini imitabor (Sal 116, 13). Perché come Cristo dono per me l’anima sua, così anche io sono pronto a donare la mia per i fratelli: ecco l’offerta giusta; ecco la vittima vivente e gradita a Dio.

De immoderata statione.

Caput VII.

 

Quod autem auribus nostris verissimus testis insonuit, videlicet immoderata statione, et sine mensura stando, Divinum Officium vos audire ; ita fieri non praecipimus, imò vituperamus: sed finito Psalmo, et venite exultemus Domino et c. cum Invitatorio, et Hymno omnes sedere tam fortes, quàm debiles propter scandalum evitandum nos iubemus. Vobis verò residentibus unoquoque Psalmo finito, in recitatione Gloria Patri &c. se sedibus vestris ad Altare supplicando ob reverentiam Sanctae Trinitatis; Sic etiam in recitatione Evangelij, et ad Te Deum laudamus &c. et per totas Laudes donec finito Benedicamus Domino, stare adscribimus, et eandem regulam in Matutinis Sanctae Mariae tenere iubemus.

 

De refectione Conventus.

Caput VIII.

 

In uno quidem Palatio, sed meliùs dicitur Refectorio, communiter vos cibum accipere credimus, ubi quando aliquid necessarium fuerit, pro signorum ignorantia, leniter ac privatim quærere oportet. Si omni tempore, quæ vobis necessaria sunt, quærenda sunt, cum omni humanitate, et subiectione reverentiæ potiùs ad mensam, cùm Apostolus dicat: Panem tuum cum silentio manduca: et Psalmista vos animare debet, dicens: Posui ore meo custodiam; idest, apud me deliberavi, ut non derelinquerem; idest, lingua; idest custodivi os meum, ne malè loquerer.

 

De Lectione.

Caput IX.

 

In prandio, et cœna semper sit sancta Lectio recitata. Si Dominum diligimus, salutifera eius verba atque praecepta, intentissima aure desiderare debemus; lector autem Lectionum, vos indicat silentium.

 

CIRCA LO STARE TROPPO IN PIEDI.

Capitolo VII.

Ciò che in verità ai nostri orecchi un sicurissimo testimone rivelò, che voi ascoltate l’Ufficio Divino stando in piedi troppo e rimanendovi senza limite, non ve lo abbiamo insegnato e anzi lo disapproviamo: ma, terminato il Salmo, al Venite exultemus Domino ecc. e all’Invitatorio, e all’Inno noi ordiniamo che tutti sediate (RsB 9,5), tanto i forti quanto i deboli, per evitare esempi sbagliati.

Invero, a voi che siete seduti, ordiniamo di stare in piedi una volta terminato un qualsiasi salmo, nella recita del Gloria Patri ecc. inchinandovi verso l’altare per rispetto alla Santa Trinità (RsB 9,7) e così anche nella lettura del Vangelo e al Te Deum laudamus (RsB 11,9) e per tutte le Lodi, fino al compimento del Benedicamus Domino e di rispettare le stesse regole nella recita del Mattutino della Santa Maria.

CIRCA LA REFEZIONE DEL CONVENTO.

Capitolo VIII.

Decidiamo che voi riceviate il cibo in comunità, in un certo unico edificio, meglio definito Refettorio, e quando avrete bisogno di qualcosa, se non conoscete il linguaggio dei segni, chiediate con garbo e con riservatezza. Se in ogni caso si devono chiedere le cose che vi sono necessarie (RsB 38,6), fatelo con ogni delicatezza e con il rispetto (RsB 6,7) dovuto alla mensa, come dice l’Apostolo: Panem tuum cum silentio manduca (2 Tess 3,12) e il Salmista vi deve incoraggiare dicendo: Posui ore meo custodiam; (Sal 39, 2; RsB 6,1), cioè apud me deliberavi, ut non derelinquerem e, cioè con la lingua (RsB 6,1),, cioè custodivi os meum, ne male loquerer.

LA LETTURA.

Capitolo IX.

Durante il pranzo e la cena sempre venga letta una santa Lettura (RsB 38,1). Se amiamo il Signore dobbiamo desiderare intensamente le sue parole salutari e i suoi insegnamenti. Il lettore poi delle Letture vi inviti al silenzio.

Dè Carnis refectione.

Caput X.

 

In hebdomada namque, nisi Natalis dies Domini, vel Pascha, vel festum Sanctae Mariae, aut omnium Sanctorum evenerit, vobis ter refectio Carnis sufficiat; quia assueta Carnis comestio, intelligitur honorosa corruptio corporum. Si verò in die martis tale ieiunium evenerit, ut esus carnium retrahatur, in crastino abundanter vobis impendatur. Die autem Dominico, omnibus militibus remanentibus, necnon Capellanis, duo sercula in honorem S. Resurrectionis impendi bonum, et idoneum indubitanter videtur: Alij autem videlicet Armigeri,  et clientes, uno contenti, cum gratiarum actione permaneant.

 

Qualiter manducare milites habeant.

Caput XI.

 

Duos, et duos manducare generaliter oportet, ut sollerter unus de altero provideat; ne asperitas vitæ, vel furtiva abstinentia in omni prandio intermisceatur. Hoc autem iustè indicamus, ut unusquisque miles, aut frater equalem, et equipolentem vini mensuram pro se solus habeat.

 

Ut alijs diebus duo, aut tria liguminum fercula sufficiant.

Caput XII.

 

Alijs diebus, videlicet secunda, et quarta feria, necnon, et Sabbato duo aut tria leguminum, aut aliorum ciborum fercula; aut ut ita dicam, cocta pulmentaria, omnibus sufficere credimus, et ita teneri iubemus; ut fortè qui ex uno non potuerit edere, ex alio reficiatur.

 

DELL’USO DELLA CARNE.

Capitolo X.

Ogni settimana, se non quando verrà il giorno di Natale o Pasqua o la festa della Santa Maria o quella di Ognissanti, vi basti l’uso della carne tre volte (RsB 36 e 9, 4), perché l’uso giornaliero di carne è inteso come una grave corruzione dei corpi. Se invero tale digiuno avverrà nel giorno di martedì, che l’uso delle carni sia proibito, nel giorno successivo ve ne sia data in abbondanza. Poi nel giorno di Domenica, sembra giusto e adatto senza dubbio che si distribuiscano due piatti di carne in onore della Risurrezione a tutti i Militi professi, ed anche ai Cappellani,: Gli altri armati in verità, e i clienti, si accontentino contenti di uno solo e rendano grazie.

Come debbano mangiare i Militi.

Capitolo XI.

Generalmente è opportuno che mangino a due a due perché l’uno possa aiutare l’altro; affinché la durezza della vita o la casuale astinenza non si insinui in ogni pranzo. Indichiamo anche giustamente, che ciascun soldato o fratello abbia una misura uguale ed equivalente di vino per sé.

CHE GLI ALTRI GIORNI BASTINO DUE O TRE PORTATE DI LEGUMI.

Capitolo XII.

Negli altri giorni, invero il lunedì, il giovedì e anche di sabato, noi pensiamo siano sufficiente per tutti due o tre portate di legumi o di altro cibo, e per così dire, una minestra cotta, e ordiniamo che così si faccia, perché’ se qualcuno non si sarà cibato dell’uno possa rifarsi con l’altro. (RsB 39, 1-2)

Quo cibo sexta feria reficere oportet.

Caput XIII.

 

Sexta autem feria cibum quadragesimalem, ob reverentiam Passionis, omni congregationi, remote infirmorum imbecillitate, semel sufficere, à festo omnium Sanctorum usque in Pascha (nisi Natalis dies Domini, vel festum S. Mariae, aut Apostolorum evenerit) collaudamus, Alio verò tempore, nisi generale ieiunium evenerit, bis reficiatur.

 

Post refectionem semper gratias referant.

Caput XIV.

 

Post prandium verò, et cœnam, semper in Ecclesia, si propè est, vel si ita non est, in eodem loco, summo Procuratori nostro, qui est Christus, gratias, ut decet, cum humiliatio corde referre strictè præcipimus. Famulis aut pauperibus fragmenta (panibus tamen integris reservatis) distribuere fraterna caritate debent, et iubentur.

 

Ut decimus Panis semper Elemosynario detur.

Caput XV.

 

Licèt paupertatis præmium, quod est regnum Cœlorum, pauperibus proculdubiò debeatur, vobis tamen, quod Christiana Fides de illis indubitanter fatetur, decimum totius panis quotidie Elemosynario vestro dare iubemus.

 

QUALE CIBO SIA NECESSARIO PREDISPORRE PER IL VENERDÌ’.

Capitolo XIII.

Raccomandiamo in ogni occasione collettiva di pranzo, per il venerdì (RsB 41), un cibo quaresimale, per rispetto della Passione, escluso per debolezza gli infermi, una volta sola al giorno, dalla festa di Tutti i Santi sino a Pasqua (escluso il giorno del Natale del Signore, o la festa di Maria o degli apostoli), In ogni altro tempo in verità, se non sarà avvenuto un digiuno generale, si pranzi due volte al giorno.

Dopo il pasto sempre si rendano grazie.

Capitolo XIV.

Dopo il pranzo, o la cena, sempre in Chiesa, se è vicina o se così non è nel luogo stesso, prescriviamo di ringraziare con animo umile il nostro Dispensatore che è Cristo, rigorosamente secondo le convenienze. Ai servi e ai poveri devono distribuire i pezzi di pane avanzati (quelli interi andranno conservati) con fraterna carità e si ordina loro di farlo.

Perché una decima del pane sia sempre data all’Elemosiniere.

Capitolo XV.

È lecito che il premio della povertà, che è il regno dei Cieli, sia concesso senza alcun dubbio ai poveri, a voi tuttavia chiediamo di dare ogni giorno la decima di tutto il pane all’Elemosiniere.

Ut Collatio sit in arbitrio Magistri.

Caput XVI.

 

Cum verò Sol Orientalem regionem deserit, et ad Hibernam descendit, audito signo, ut est eiusdem regionis consuetudo, omnes ad Completas oportet incedere vos; ac priùs generalem collationem sumere peroptamus. Hanc autem collationem in dispositione, et arbitrio Magistri ponimus; ut quando voluerit de aqua, et quando iubebit misericorditer ex vino temperato competenter recipiatur. Verùm hoc non ad nimiam satietatem oportet fieri, sed parciùs, quia apostatare etiam sapientes videmus.

 

Ut finitis Completis silèntium teneatur.

Caput XVII.

 

Finitis itaque Completis ad stratum ire oportet: Fratribus igitur à Completorijs exeuntibus nulla sit denuò licentia data loqui in publico, nisi necessitate cogente: Armigero autem suo, quæ dicturus est, leniter dicat. Est verò forsitam, ut in tali intervallo vobis de Completorijs exeuntibus, maxima necessitate cogente, de militari negotio, ut de statu domus vestræ, quia dies ad hoc vobis sufficere non creditur, cum quadam fratrum parte, Magistrum, vel illum, cui domus dominium post Magistrum est debitum, oporteat loqui: hoc autem ita fieri iubemus, et ideò quia scriptum est; Mors et vita in manibus linguæ: In illo colloquio scurrilitatem, et verba otiosa ac risum moventia, omninò prohibemus; et vobis ad lectulos euntibus Dominicam Orationem, si aliquis quid stultum est locutus, cum humilitate, et puritatis devotione dicere iubemus.

 

Ut fatigati ad Matutinas non surgant.

Caput XVIII.

 

Fatigatos nempè milites non ita, ut vobis est manifestum, surgere ad Matutinas conlaudamus, sed assensu Magistri, vel illius, cui creditum fuerit a Magistro, eos quiescere, et tredecim orationes constitutas sic cantare, ut mens ipsorum voci concordet, iuxta illud Prophetæ: Psallite Domino sapienter; et illud: In conspectu Angelorum psallam tibi: nos unanimes collaudamus: Hoc autem in arbitrio Magistri semper consistere debet.

 

PERCHÉ LA CENA SIA A DISCREZIONE DEL MAESTRO

Capitolo XVI

Quando il sole lascia la regione orientale e scende verso le regioni del freddo, sentito il segnale, come è consuetudine di ciascuna regione, bisogna che voi vi avviate a Compieta, ma prima preferiamo che ci sia una colazione. Lasciamo questa all’arbitrio e alla decisione del Maestro, sì che quando vorrà, dell’acqua, e, quando comanderà più misericordiosamente, si riceva vino diluito. Bisogna che questo però non conduca ad una eccessiva sazietà, ma sia fatto con parsimonia, quia vinum facit apostatare sapientes (Eccl. 19, 2; RsB 40, 6-7)

PERCHÉ TERMINATA COMPIETA SI FACCIA SILENZIO.

Capitolo XVII.

E così, terminata Compieta, è opportuno andare a letto. A quelli che escono da Compieta non sia data nessuna licenza di parlare in pubblico (RsB 42, 8), se non per un’urgenza assoluta: se deve parlare col proprio scudiero lo faccia a voce bassa. Può capitare che, a voi che uscite da compieta in tale intervallo, insieme a una certa parte dei fratelli occorra parlare, col Maestro, o con chi regge la casa dopo il Maestro, quando vi incalzi un’assoluta necessità, intorno ad un impegno militare, o circa la situazione della vostra casa, perché il giorno non vi sembra bastare per questo: vi ordiniamo che questo avvenga così e poiché’ è stato scritto Mors et vita in manibus lingua  (Prov 18, 21)., nel colloquio assolutamente proibiamo ogni scurrilità e le parole inutili e quelle che muovono al riso (RsB 6, 8); e a voi che andate ai vostri giacigli, se qualcuno ha detto qualche cosa di sciocco, ordiniamo di recitare con umiltà e devozione sincera la Preghiera del Signore.

PERCHÉ QUELLI STANCHI NON SI ALZINO PER IL MATTUTINO.

Capitolo XVIII.

Non vogliamo che i Militi affaticati si alzino come è richiesto a voi per il Mattutino, ma, con il consenso del Maestro o di colui a cui fu dato incarico dal Maestro, che riposino e così cantino le tredici orazioni stabilite, affinché il pensiero si accordi alla loro voce (RsB, 19, 7), come dice il profeta: Psallite Domino sapienter   (Sal 47, 8); e quello: In conspectu Angelorumpsallam tibi (Sal 138, 1; RsB 19, 4-5): noi tutti approviamo. Questo poi deve sempre essere a discrezione del Maestro.

Ut communitas victus inter fratres servetur.

Caput XIX.

 

Legitur in divina pagina : Dividebatur singulis, prout cuique opus erat: ideò non dicimus ut sit personarum acceptio, sed infirmitatum debet esse consideratio. Ubi autem , qui minus indiget, agat Deo gratias, et non contristetur Qui verò indiget humiliter pro infirmitate, non extollatur pro misericordia, et ita omnia membra erunt in pace. Hoc autem prohibemus, ut nulli immoderatam abstinentiam amplecti liceat, sed communem vitam instanter teneant.

 

 

De qualitate, et modo vestimenti.

Caput XX.

 

Vestimenta autem unius coloris semper iubemus, verbi gratia: Alba, vel nigra, vel ut dicam bucella. Omnibus autem militibus professis in hyeme, et si in æstate, si fieri potest, alba vestimenta concedimus; ut qui tenebrosam vitam postposuerint, per liquidam, et albam suo conditori se reconciliari agnoscant. Quid albedo? Nisi integra castitas. Castitas, securitas mentis, sanitas corporis est, nisi enim unusquisque miles castus perseveraverit, ad perpetuam requiem venire, et Deum videre non poterit, testante Paulo Apostolo: Pacem sectamini cum omnibus, et castimoniam, sine qua nemo videbit Dominum. Sed quia huiusmodi indumentum arrogantiæ, ac superfluitatis æstimatione carere debet, talia habere omnibus iubemus, ut solus leniter per se vestire, et exuere, ac calciare, et discalciare valeat. Procurator huius ministerij pervigili cura hoc vitare præsumat, ne nimis longa, aut nimis curta, sed mensurata ipsis utentibus, secundùm unuscuiusque quantitatem, suis fratribus tribuat. Accipientes itaque nova, vetera semper redant in præsenti, reponenda in camera, vel ubi frater, cuius est ministerium decreverit, propter armigeros, et clientes, et quandoque pro pauperibus.

 

Quod Famuli alba vestimenta, idest, pallia non habeant.

Caput XXI.

 

Hoc nempè, quod erat in Domo Dei, ac suorum militium Templi, sine discretione ac consilio communis capituli obnixè contradicimus, et funditus quasi quoddam vitium peculiare amputare præcipimus. Habebant enim olim famuli, et armigeri alba vestimenta, unde veniebant damna importabilia. Surrexerunt namque in ultramontanis partibus quidam pseudofratres, et coniugati, et alij dicentes, se esse de Templo, cum sint de mundo. Hi nempè tantas contumelias, totque damna militari ordini adquisierunt, et clientes remanentes plurima scandala oriri, inde superbiendo, fecerunt. Habeant igitur assiduè nigra, sed si talia non possunt invenire, habeant, quali inveniri possunt in illa Provincia, qua degunt ; aut quod vilius unius coloris comparari potest, videlicet bucella.

 

PERCHÉ VI SIA COMUNITÀ DI VITTO FRA I FRATELLI.

Capitolo XIX.

Si legge nella pagina divina: Dividebatur singulis, prout cuique opus erat (At 4, 35) : non lo diciamo per l’accettazione delle persone ma per il dovere di tenere in considerazione le debolezze. Perché invero chi meno ha bisogno ringrazi Dio e non sia rattristato chi invero umilmente ha bisogno per malattia, non sia oggetto di compassione, e così tutti i membri saranno in pace. (RsB 34, 1-5) Questo poi proibiamo: a nessuno sia lecito seguire una astinenza smodata, ma tutti mantengano decisamente un tenore di vita comune.

DEL TIPO E DELLA QUALITÀ DELL’ABITO.

Capitolo XX.

Disponiamo che gli abiti siano sempre di uno stesso colore, ovvero che siano bianchi o neri, o come si dice, di bigello. A tutti i Militi professi concediamo abiti bianchi in inverno, e anche d’estate se è possibile, perché coloro che hanno rinunciato ad una vita oscura, attraverso il colore chiaro e bianco riconoscano di essersi riconciliati col loro creatore. Perché bianco, se non per pura castità?. La castità è fermezza della mente, salute del corpo: se infatti ciascun Milite non si sarà mantenuto puro, non potrà raggiungere la pace eterna, né vedere Dio, come testimonia l’apostolo Paolo: Pacem sectamini cum omnibus, et castimoniam, sine qua nemo videbit Dominum (Ebr. 12, 14). Ma perché l’abito deve mancare di ogni arroganza e di ogni elemento superfluo, ordiniamo a tutti di possedere solo ciò che serve per potere, in modo semplice, vestirsi e svestirsi e mettersi i calzari e toglierseli.

L’addetto a questo compito eviti con grande attenzione di dare ai fratelli una tonaca troppo lunga, o troppo corta, ma sia proporzionata a quelli che la portano (RsB 55,8), secondo la dimensione di ciascuno. Coloro che ricevono indumenti nuovi sempre restituiscano subito quelli vecchi, da riporre in una camera, o dove il fratello responsabile ha stabilito, a favore degli scudieri, dei collaboratori e talvolta per i poveri. (RsB 55,9)

Che i servi non abbiano abiti bianchi cioè le tonache.

Capitolo XXI.

Siamo molto contrari a ciò che avveniva un tempo nella casa di Dio e dei suoi Militi del Tempio, senza discrezione e controllo del capitolo generale, e prescriviamo che sia eliminato radicalmente come se fosse un vizio peculiare. Un tempo infatti i servi e gli scudieri avevano degli abiti bianchi e da questo derivavano danni gravi. Sorsero infatti, nelle regioni ultramontane, degli pseudo fratelli, anche coniugati, e altri che affermavano di essere templari, pur essendo del mondo. Questi fecero tante offese e arrecarono tanti danni all’ordine militare e, perdendo ogni ritegno, causarono moltissimi scandali anche gli altri collaboratori professi. Usino quindi abiti neri, ma se non si possono trovarne di tale colore, usino quelli che si possono reperire nella zona di residenza, o, comunque ciò che di più umile può essere equiparato a un solo colore, ovvero il bigello (RsB 55,7).

Quod Milites remanentes tantùm Alba habeant.

Caput XXII.

 

Nulli ergo concessum est candidas Clamides deferre, aut alba Pallia Habere, nisi nominatis Militibus Christi.

 

Ut Pellibus Agnorum utantur.

Caput XXIII.

 

Decrevimus communi consilio, ut nullus Frater remanens per hyemen pelles, aut pelliciam, vel aliquid tale quod ad usum corporis pertineat, etiamque coopertorium, nisi agnorum, vel arietum habeant.

 

Ut vetusta Armigeris dividantur.

Caput XXIV.

 

Procuratur vel dator pannorum, omni observantia, veteres, semper Armigeris, et clientibus, et quandoque pauperibus fideliter, æqualiterque erogare intendat.

 

 

Cupiens optima, deteriora habeat.

Caput XXV.

 

Si aliquis frater remanens ex debito, aut ex motu superbia pulcra vel optima habere voluerit, ex tali præsumptione proculdubiò vilissima merebitur.

 

Ut quantitas, et qualitas vestimentorum servetur.

Caput XXVI.

 

Quantitatem, secundùm corporum magnitudinem, largitatemque vestimentorum observare oportet : dator pannorum sit in hoc curiosus.

 

Ut dator pannorum in primis æqualitatem servet.

Caput XXVII

 

Longitudinem, ut superiùs dictum est cum æquali mensura, ne vel susurronum, vel criminatorum oculus aliquid notare præsumat procuratur fraterno intuitu consideret; et omnibus supradictis Dei retributionem humiliter cogitet.

 

De superfluitate Capillorum.

Caput XXVIII.

 

Omnes fratres remanentes principaliter ita tonsos habere capillos oportet, ut regulariter ante, et retro, et ordinatè considerare possint ; et in barba, et in grennis eadem regula indeclinabiliter observetur, ne superfluitas aut facetiæ vitium denotetur.

 

Che solo i Militi professi abbiano abiti bianchi.

Capitolo XXII.

A nessuno quindi è stato concesso di portare le clamidi bianche o i pallii bianchi, se non ai nominati Militi di Cristo.

Che si usino le pelli degli agnelli.

Capitolo XXIII.

Stabiliamo di comune accordo che nessun fratello professo abbia pelli, durante l’inverno, o pellicce o qualsiasi cosa serva all’uso del corpo, anche come coperte, se non di agnello o di ariete.

Siano divisi fra gli scudieri gli indumenti vecchi.

Capitolo XXIV.

Il Procuratore o il distributore di indumenti, con ogni attenzione, distribuisca sempre quelli vecchi, con lealtà e giustizia, agli scudieri e ai collaboratori ed eventualmente ai poveri.

Chi vuole le cose migliori ottenga le peggiori.

Capitolo XXV.

Se qualche fratello professo, perché lo reputa doveroso o per superbia, avrà desiderato possedere le cose belle e di ottima qualità, per tale presunzione, senza dubbio meriterà le più vili.

Quale quantità o qualità di abiti serva.

Capitolo XXVI.

Occorre rispettare la quantità e la larghezza degli abiti, secondo la grandezza dei corpi: il dispensatore di abiti sia attento in questo.

IL DISTRIBUTORE DI INDUMENTI OSSERVI IN PRIMO LUOGO LA GIUSTIZIA.

Capitolo XXVII.

Il procuratore consideri con pari attenzione fraterna la lunghezza, come è stato detto prima, perché l’occhio dei pettegoli o dei critici non si permetta di fare osservazioni, e mediti umilmente su quanto Dio retribuirà tutti i soprannominati. (RsB 55, 21-22).

Sull’inutilità dei capelli

Capitolo XXVIII.

È necessario che tutti i fratelli professi abbiano i capelli tagliati davanti e dietro così regolarmente da potersi definire ordinati; e sia la medesima regola osservata con rigore nella barba e nei baffi, perché’ non si manifesti trascuratezza o motivo di ridicolo.

De rostris, et laqueis.

Caput XXIX.

 

De rostris, et laqueis manifestum est, et gentile : et cùm abominable hoc omnibus agnoscatur, prohibemus, et contradicimus, ut aliquis ea non habeat, imò prorsus careat. Alijs autem ad tempus famulantibus, rostra, et laquea, et capillorum superfluitatem, et vestium immoderatam longitudinem habere non permittimus, sed omninò contradicimus. Servientibus enim summo Conditori, munditia interiùs, exteriusque valde necessaria : eo ipso attestante qui ait : Estote mundi, quia ego mundus sum.

 

De numero Equorum, et Armigerorum.

Caput XXX.

 

Unicuique vestrorum militum, tres equos licet habere, quia domus Dei, Templique Salomonis eximia paupertas amplius non permittit in præsentiarum augere, nisi cum Magistra licentia.

 

Nullus Armigerum gratis servientem seriat.

Caput XXXI.

 

Solum autem armigerum singulis militibus eadem causa concedimus : sed si gratis, et cariativè ille armiger cuiquam militi fuerit, non licet eidem eum verberare, nec etiam qualibet culpa percutere.

 

Qualiter ad tempus remanentes recipiantur.

Caput XXXII.

 

Omnibus militibus servire Iesu Christo, animi puritate in eadem Domo ad terminum cupientibus, equos in tali negotio cottidiano idoneos, et arma, et quidquid eis necessarium fuerit, emere fideliter iubemus. Deinde verò ex utraque parte æqualiter servate bonum, et utile appretiari equos iudicavimus. Habeatur itaque prætium in scripto, ne tradatur oblivioni; Et quidquid militi vel equis eius, aut armigero erit necessarium, adiunctis, et ferris equorum secundùm facultatem domus, ex eadem domo, fraterna caritate impendatur. Si verò interim equos suos miles aliquo eventu in hoc servitio amiserit, Magister, et facultas Domus hoc exigit, alios administret. Adveniente autem termino repatriandi, medietatem prætij ipse miles Divino amore concedat, alteram ex communi fratrum, si ei placet, recipiat.

Delle punte e dei lacci.

Capitolo XXIX.

Per quanto riguarda punte e lacci la situazione è chiara e semplice: e, dal momento che tutti riconoscono che questa è cosa deprecabile, la proibiamo. Non vogliamo affermare che non li si usi, ma proprio che non li si possieda. Non permettiamo neppure agli altri sergenti a tempo che abbiano punte, lacci e ogni eccesso di capigliatura ed una lunghezza smisurata delle vesti, ma lo proibiamo decisamente. A coloro infatti che servono il sommo Creatore si addice, all’interno, la purezza e, all’esterno, lo stretto necessario, come testimonia colui che dice: Estote mundi, Is. 1, 16), quia ego mundus sum. (Gb 33, 9).

Il numero dei cavalli e degli scudieri.

Capitolo XXX.

A ciascuno dei vostri Militi sia lecito avere tre cavalli, perché la casa di Dio e l’estrema povertà del Tempio di Salomone non permette di averne in maggior numero, se non col permesso del Maestro.

NESSUNO DEGLI SCUDIERI ABBIA UN SERVO GRATIS.

Capitolo XXXI.

Per la stessa ragione concediamo un solo scudiero a ciascun milite, ma poiché quell’scudiero, a qualche milite, è concesso per grazia e per benevolenza, non gli sia lecito frustarlo o percuoterlo per una qualunque colpa. (RsB 70).

Quali cose siano concesse a coloro che prestano servizio temporaneamente.

Capitolo XXXII.

Per tutti i Militi che, con sincera disposizione, desiderano servire Gesù Cristo temporaneamente, comandiamo di comprare cavalli adatti a tale uso quotidiano ed armi e tutto quello che sarà necessario. Inoltre, in verità, da entrambe le parti si abbia cura nel conservare tali beni e giudichiamo anche utile che ai cavalli sia attribuito un valore in denaro. Si registri quindi un prezzo per scritto, perché non cada nell’oblio. E tutto quello che è proprio del soldato e dei cavalli o sarà necessario allo scudiero, agli accessori e ai ferri dei cavalli, secondo la ricchezza della casa, sia comprato dalla casa stessa, con fraterna carità. Se poi nel frattempo un milite, per qualche evento particolare, avrà perduto i suoi cavalli nel corso del suo servizio militare, il Maestro e la autonomia della casa esigono che se ne comprino degli altri. Arrivato il tempo del rimpatrio, lo stesso soldato conceda per amore divino la metà del prezzo e riceva l’altra metà, se gli è gradito, della comunità dei fratelli.

Quod nullus iuxta propriam voluntatem incedat.

Caput XXXIII.

 

Convenit his nempè militibus, qui nihil sibi Christo carius existimant, propter servitium, secundùm quod professi sunt, et propter gloriam summæ beatitudinis, vel metum gehennæ, ut obedientiam indesinenter Magistro teneant. Tenenda est itaque, ut mox ubi aliquid imperatum à Magistro fuerit, vel ab illo, cui Magister mandatum dederit, sine mora ac si divinitùs imperetur, moram pati nesciant in faciendo. De talibus enim epsa veritas dicit: Ob auditu auris obediuit mihi.

 

Si licet ire per Villam sine iussu Magistri.

Caput XXXIV.

 

Ergo hos tales milites propriam voluntatem relinquentes, et alios ad terminum servientes deprecamur, et firmiter eis iubemus; ut sine Magistri licentia, vel cui creditum hoc fuerit, in Villam ire non præsumant, præterquam noctu ad sepulcrum, et ad stationes, quæ intra muros Sanctæ Civitatis continentur.

 

Si licet eum ambulare solum.

Caput XXXV.

 

Hi verò ita ambulantes non sine custode, idest milite, aut fratre remanente, nec in die, nec in nocte iter inchoare audeant. In exercitu namque, postquam hospitati fuerint, nullus miles, armiger, aut famulus per atria aliorum militum, causa videndi, vel cum aliquo loquendi, sine iussu, ut dictum est superiùs, incedat. Itaque consilio obfirmamus, ut in tali domo ordinata à Deo, quod nullus secundùm proprietatem militet, aut quiescat : sed secundùm Magistri Imperium totus incumbat ; ut illam Domini sententiam imitari valeat ; qua dicit : Non veni facere voluntatem meam, sed eius qui me misit.

 

Ut nullus nominatim quod ei necessarium erit, quærat.

Caput XXXVI.

 

Hanc propriè consuetudinem inter cætera adscribere iubemus, et cum omni consideratione, ob vitium quærendi teneri præcipimus. Nullus igitur frater remanens, assignanter, et nominatim equum, aut equitaturam, vel arma quærere debet. Quomodo ergo ? Si verò eius infirmitas aut equorum suorum debilitas, vel armorum suorum gravitas, talis esse agnoscitur, ut sic incedere, sit damnum commune, veniat coram Magistro, vel cui est debitum ministerium post Magistrum, et causam vera fide, et pura ei demonstret : Inde namque in dispositione Magistri vel post eum, Procuratoris, res se habeat.

CHE NESSUNO AGISCA SECONDO LA PROPRIA VOLONTÀ.

Capitolo XXXIII.

Ciò conviene ai Militi, che non hanno nulla più a cuore di Cristo, che mantengano incessantemente l’obbedienza al Maestro, per coerenza con il servizio al quale hanno fatto professione, come promisero, sia per la gloria della somma beatitudine, che per timore dell’inferno. Devono mantenerla in modo tale che, non appena qualcosa sia stata ordinata loro dal Maestro, o da quello a cui il Maestro ha dato mandato, non conoscano indugio nell’eseguirlo, senza esitazioni, e come se fosse ordinato da Dio. In merito a Ciò si dice in verità: Ob auditu auris obediuit mihi (Sal 18, 45; RsB 5, 2-5)

Se è lecito andare per la città senza ordine del Maestro.

Capitolo XXXIV.

Ordiniamo dunque con fermezza ai Militi che hanno abbandonato il proprio volere e agli altri che servono a termine che non ardiscano di andare nella città senza il permesso del Maestro, o di colui a cui sia stato affidato questo potere, salvo che durante la notte al Sepolcro e alle stazioni di guardia che sono contenute entro le mura della Città Santa.

Se è lecito passeggiare in solitudine.

Capitolo XXXV.

Coloro che si spostano non devono mettersi in cammino senza un custode, ovvero un milite o un fratello professo, né di giorno né di notte. Una volta che essi si sia stati accolti nell’esercito, nessun soldato o scudiero o servo si rechi negli alloggi di altri Militi, per vedere o parlare con qualcuno, senza ordine, come è stato detto prima. Sosteniamo, a ragione, che in una casa come la nostra, regolata da Dio, nessuno può agire o riposare secondo il proprio volere, ma si muova secondo l’ordine del Maestro: per imitare il detto divino, ove si afferma: Non veni facere voluntatem meam, sed eius qui me misit (Lc 2, 49)

Che nessuno chieda espressamente ciò che gli sarà necessario.

Capitolo XXXVI.

Comandiamo che si introduca, in modo particolare, anche questa consuetudine e che la si tenga in somma considerazione, a causa del vizio di continuare a chiedere. Nessun fratello professo, dunque deve richiedere espressamente e in modo specifico un cavallo o di cavalcare o le armi. Perché, se in verità il suo stato di malessere o la debolezza dei suoi cavalli, o la pesantezza delle sue armi è riconosciuta tale da essere, nell’avanzare, un danno per tutti, venga di fronte al Maestro o a colui che ne ha l’incarico dopo il Maestro, e gli dimostri la ragione con limpida e autentica sincerità. In questo modo, infatti, la cosa sarà affidata alla valutazione del Maestro, o dopo di lui, del Procuratore.

De frenis, et Calcaribus.

Caput XXXVII.

 

Nolumus ut omninò aurum vel argentum, quæ sunt divitiæ peculiares, in frenis aut pectoralibus, nec calcaribus, vel in strenis unquam appareat, nec alicui fratri remanenti emere liceat. Si verò caratatiuè talia vetera instrumenta data fuerint, aurum vel argentum taliter coletur; ne splendidus color vel decor, cæteris arogantia videatur. Si nova data fuerint, magister de talibus, quod voluerit faciat.

 

Tegimen in Hastis, et Clypeis non habeatur.

Caput XXXVIII.

 

Tegimen autem in clypeis, et hastis, et furelis in lanceis non habeatur; quia hoc non proficuum, imò damnum nobis omnibus intelligitur.

 

De licentia Magistri.

Caput XXXIX.

 

Licet Magistro cuique dare equos, vel arma, vel quamlibet rem cuilibet dare.

 

De Mala, et Sacco.

Caput XL.

 

Saculus et Mala, cum firmatura non concedentur : sic exponentur, ne habeant, absque Magistri licentia, vel cui creduntur domus post eum negotia. In hoc præsenti capitulo, Procuratores, et per diversas Provincias degentes non continentur, nec ipse Magister intelligitur.

 

De Legatione litterarum.

Caput XLI.

 

Nullatenus cuiquam fratrum litteras liceat, à parentibus suis, neque à quoquam hominum, nec sibi invicem accipere vel dare sine iussu Magistri, vel Procuratoris. Postquam licentiam frater habuerit, in præsentia Magistri, si ei placet, legantur. Si verò, et à parentibus ei quidquam directum fuerit, non præsumat suscipere illud, nisi priùs indicatum fuerit Magistro. In hoc autem capitulo Magister, et Domus Procuratores non continentur.

 

De fabulatione propriarum culparum.

Caput XLII.

 

Cum omne verbum otiosum generare agnoscatur peccatum, quid ipsi iactantes de proprijs culpis ante districtum iudicem dicturi sunt ? Ostendit certè propheta ; si à bonis eloquijs propter taciturnitatem, debet interdum taceri, quantò magis à malis verbis, propter pœnam peccati debet cessari. Vetamus igitur, et audaciter contradicimus, ne aliquis frater remanens, ut melius dicam stultitias, quas in seculo in militari negozio, tam enormiter egit, et carnis delectatione miserimarum mulierum, cum fratre suo, vel alio aliquo, vel de alio commemorare audeat. Et si fortè talia referentem quemlibet audierit, obmutescere faciat, vel quantocius poterit citò pede obedientiæ inde discedat, et fabularum venditori aurem cordis non præbeat.

Briglie e speroni.

Capitolo XXXVII.

Non vogliamo assolutamente che oro e argento, che sono manifestazione di ricchezza, appaiano nelle briglie e nei pettorali, né negli speroni o nella selleria., né sia lecito acquistarli ad alcun fratello professo. Se poi queste attrezzature saranno state donate usate, per generosità, si tratti l’oro o l’argento in modo tale che il colore brillante o la decorazione agli altri non appaia come superbia. Se saranno donati nuovi il Maestro faccia di tali oggetti ciò che avrà voluto.

Non sia posta una copertura sulle aste e sugli scudi.

Capitolo XXXVIII.

Non si tenga poi copertura sugli scudi e sulle aste e i foderi sulle lance, perché questo non è utile, anzi a tutti noi appare come un danno.

La libertà del Maestro.

Capitolo XXXIX.

È lecito al Maestro dare cavalli o armi a qualcuno o qualsivoglia cosa a chiunque.

La borsa e il sacco.

Capitolo XL.

Non siano concessi sacco e borsa con chiusura: devono essere accessibili, in modo tale da non contenere cose non concesse dal Maestro, o a colui al quale sono affidati, dopo di lui, gli affari della casa. In questo presente capitolo non sono compresi i Procuratori e coloro che si trovano nelle diverse Province, nè si ravvisa lo stesso Maestro.

LA TRASMISSIONE DELLE LETTERE.

Capitolo XLI.

Non è lecito a nessuno (RsB 54, 1) dei fratelli ricevere o dare scritti di propri parenti né di qualsiasi persona, né fra confratelli, senza il consenso del Maestro o del Procuratore. Dopo che il fratello avrà avuto il permesso, siano lette, se egli lo riterrà, in presenza del Maestro. Se poi qualcosa gli sia stato indirizzato dai genitori, non presuma di prenderlo (RsB 54,2) prima che gli sia stata data indicazione dal Maestro. In questo capitolo non sono contemplati il Maestro né i Procuratori della casa.

LA CONFESSIONE DELLE PROPRIE COLPE.

Capitolo XLII.

Poiché si sa che ogni parola superflua genera peccato (Mt 12, 36), come dovranno esprimersi quelli che rivelano le proprie colpe davanti al giudice designato? Lo rivela con sicurezza il profeta. Se talvolta si deve astenersi dalle buone espressioni per il silenzio in sé, quanto più ci si deve tenere lontani dalle cattive parole, per l’espiazione del peccato (Br 6,2). Vietiamo e ci esprimiamo con forza dunque contro il fatto che qualche fratello professo, abbia il coraggio di far esplicita menzione con un confratello, o con qualche altro, delle stoltezze, per essere chiari, che ha compiuto in modo grave nel mondo, durante il periodo della milizia, anche per il diletto della carne di donne disgraziate, o su simile argomento. Se per caso qualcuno abbia udito qualcuno che riferisce tali cose, lo faccia tacere, o quanto prima potrà se ne vada con il piede veloce dell’obbedienza (RsB 5,8) e non offra l’orecchio del cuore ad un venditore di favole.

De quæstu, et acceptione.

Caput XLIII.

 

Verum enim verò, si aliqua res sine quæstu cuilibet fratri data gratis fuerit, deferat Magistro, vel Dapifero; si verò alter suus amicus vel parens dare nisi ad opus suum noluerit, hoc prorsus non recipiat, donec licentiam à Magistro suo habeat. At cui res data fuerit, non pigeat illum, si alteri datur: imò pro certo sciat, quia si inde irascitur, contra Deum agit. In hac autem prædicta regula Ministratores non continentur, quibus specialiter hoc ministerium debetur, et conceditur de mala, et sacco.

 

De manducarijs Equorum.

Caput XLIV.

 

Utilis res est cunctis hoc præceptum à nobis constitutum, ut indeclinabiliter amodo teneatur. Nullus autem frater facere præsumat  manducaria linea vel lanea; idcircò principaliter facta, nec habeat ulla, excepto persinello.

 

Ut cambiare, vel quærere nullus audeat.

Caput XLV.

 

Nunc aliud restat, ut ullus præsumat cambiare sua, frater cum fratre, sine licentia Magistri, et aliquid quærere, nisi frater fratri, et sit res parva, vilis, non magna.

 

Ut nullus Avem cum Ave capiat, nec cum capiente incedat.

Caput XLVI.

 

Quod nullus Avem cum Ave accipere audeat nos communiter iudicamus: Non convenit enim religioni sic cum mundanis delectationibus inhærere, sed Domini præcepta libenter audire, orationi frequenter incumbere, mala sua cum lacrymis vel gemitu quotidie in oratione Deo confiteri. Cum homine quidem talia operante, cum accipite, vel alia ave, nullus frater remanens hac principali causa ire præsumat.

 

Ut nullus arcu, vel balistra percutiat.

Caput XLVII

 

Cum omnem religionem ire deceat simpliciter, et sine risu humiliter, et non multa verba, sed rationabilia loqui, et non sic clamosa in voce specialiter, iniungimus, et præcipimus omni fratri professo, ne in bosco, cum arcu aut balistra iaculari audeat, nec cum illo qui hoc fecerit ideò pergat, nisi gratia eum custiodiendi à perfido gentili: nec cum cane sit ausus clamare nec garrulare, nec equum suum, cupiditate accipiendi feram, pungat.

 

Ut Leo semper feriatur.

Caput XLVIII

 

Nam est certum, quod vobis specialiter creditum est, et debitum pro fratribus vestris animam ponere, atque incredulos, qui semper virginis filio minitantur, de terra delere. De Leone vos hoc dedimus, quia ipse circuit, quærens quem devoret, et manus eius contra omnes, omniumque manus contra eum.

 

La questua e la raccolta.

Capitolo XLIII.

Se qualche cosa, in verità, sarà stata data a qualche fratello gratis, non richiesta, la dia al Maestro o al Vivandiere. Se poi l’altro suo amico o parente non avrà voluto dare, se non per il suo uso personale, non lo prenda, se non ha il permesso dal suo Maestro. E non si rammarichi, quello a cui era stata destinata la cosa, se viene data ad un altro: anzi sappia per certo che se per questo si lascia prendere dall’ira agisce contro Dio. Nella predetta regola non sono contemplati gli Amministratori, ai quali è concesso in modo particolare questo compito e ai quali sono concessi borsa e sacco [chiusi].

Delle sacche per il cibo dei cavalli.

Capitolo XLIV.

È importante per tutti questo precetto, da noi stabilito, al quale non si consente di fare eccezione. Nessun fratello pensi di fare sacche per il cibo dei cavalli fatte principalmente di lino o di lana; non se ne deve possedere alcuna, se non di tela di sacco.

Nessuno osi cambiare o richiedere.

Capitolo XLV.

Occorre ancora che nessuno cerchi di cambiare le sue cose, fratello con fratello, senza il permesso del suo Maestro, o pretendere qualcosa, se non da fratello a fratello, ma sia una cosa piccola, di poco conto, non importante.

Che nessuno catturi un uccello con un altro uccello e non stia con QUALCUNO CHE LO FA.

Capitolo XLVI.

Riteniamo giusto che nessuno catturi un uccello con un uccello: non conviene infatti alla condotta religiosa partecipare a divertimenti mondani, (RsB 4,55-57) ma ascoltare con gioia i precetti del Signore, dedicarsi frequentemente alla preghiera, confessare ogni giorno a Dio i propri peccati con lacrime o gemiti. Nessun fratello professo creda di poter andare, a questo scopo, con chi fa tali cose, con uno sparviero, o con un altro uccello.

Nessuno colpisca con l’arco e la balestra.

Capitolo XLVII.

Poiché conviene alla vita religiosa andare in semplicità ed umiltà, senza risate, e non pronunziare molte parole, ma solo ragionevoli e specialmente non con voce urlata, (RsB 7,60), ordiniamo e imponiamo ad ogni fratello professo di non avere l’audacia di tirare d’arco o di balestra nella selva, né che stia con chi agisce così, se non per proteggerlo da un pagano malintenzionato: né osi urlare con un cane o schiamazzare, né pungolare il suo cavallo per il desiderio di catturare la fiera.

Il leone sia sempre colpito.

Capitolo XLVIII.

È certo infatti come a voi è stato sempre raccomandato) ed è doveroso, che mettiate la vostra anima al servizio dei vostri fratelli e cancelliate dalla terra gli infedeli che minacciano sempre il Figlio della Vergine. Questo ve lo raccomandiamo per quanto riguarda Leone, perché esso si aggira cercando qualcuno da divorare (1 Pt 5,8), e il suo artiglio è contro tutti, ma le mani di tutti devono essere contro di lui (Gen 16,12).

De omni re super vos quæsita, iudicium audite.

Caput XLIX.

 

Nouimus quidem persecutores Sanctæ Eclesiæ innumerabiles esse, et hos qui contentionem non amant incessanter, crudeliùsque inquietare festinant. In hoc igitur Concillij sententia, serena consideratione pendeat, ut si aliquis in partibus Orientalis religionis, in quocumque alio loco super vos rem aliquam quæsierit, vobis per fideles, et veri amatores iudices audire iudicium, præcipimus; et quod iustum fuerit indeclinabiliter vobis facere præcipimus.

 

Ut hæc Regula in omnibus teneatur.

Caput L.

 

Haec eadem Regula in omnibus rebus, vobis immeritò ablatis, perhumaniter iubemus, ut teneatur.

 

Quod licet omnibus Militibus professis terram, et homines habere.

Caput LI.

 

Divina, ut credimus, providentia à vobis in sanctis locis sumpsit initium, hoc genus novum religionis; ut videlicet religionis militiam admisceretis, et sic religio per militiam armata procedat, et hostem sine culpa feriat. Iure igitur iudicamus, cum milites Templi dicamini, vos ipsos ob insigne meritum, et speciale probitatis donum, terram, et homines habere, et agrícolas possidere, et iustè eos rogare, et institutum debitum vobis specialiter debetur impendi.

 

Ut malè habentibus cura pervigil habeatur.

Caput LII.

 

Malè habentibus fratribus supra omnia adhibenda est cura pervigil, et quasi Christo eis serviatur, ut illud Evangelium (Infirmus fui, et visitasti me) memoriter tenetur. Hi etenim diligenter, hac patienter portandi sunt, quia de talibus superna retributio indubitanter adquiritur.

 

Ut infirmis necesaria semper dentur.

Caput LIII.

 

Procuratoribus verò infirmantium omni observantia, atque pervigili cura præcipimus ut quæcumque substentationi diversarum infirmitatum sunt necessaria, fideliter ac diligenter iuxta Domuum facultatem eis administrent, verbi gratia Carnem, et volatilia, et cætera, donec sanitati reddantur.

 

Ut alter alterum ad iram non provocet.

Caput LIV.

 

Præcavendum nempè non modicum est, ne aliquis aliquem commovere ad iram præsumat, quia propinquitatis, et  Divinæ fraternitatis tam pauperes, quam potentes, summa clementia æqualiter astrixit.

 

Ascoltate il giudizio relativo ad ogni cosa chiesta su di voi.

Capitolo XLIX.

Sappiamo che i persecutori della Santa Chiesa sono moltissimi e si affannano a tormentare crudelmente quelli che non amano la lite. Questa è l’opinione del Concilio, che si dedichi sempre serena attenzione, in modo tale che, se qualcuno nelle zone sante dell’Oriente o in qualsiasi altro luogo avrà fatto un’inchiesta su di voi, vi prescriviamo, per amore della fede e della verità, che ascoltiate chi giudica e vi ordiniamo di fare senza esitazione quello che sarà ritenuto giusto.

Che questa regola sia mantenuta in tutte le situazioni.

Capitolo L.

Vi ordiniamo con fermezza questa stessa regola sia ragionevolmente conservata anche quando vi è stato tolto ingiustamente tutto.

È lecito ai Militi professi avere terra e uomini.

Capitolo LI.

Questo nuovo tipo di pratica religiosa ha preso inizio da voi, nei luoghi santi, per opera della divina Provvidenza, così almeno crediamo, per unire la milizia alla religione e perché così la religione proceda armata attraverso la milizia e ferisca il nemico senza colpa. A buon diritto riteniamo giusto dunque, quando siete chiamati Militi templari, che voi stessi per un insigne merito e in uno speciale dono di bontà abbiate la terra e gli uomini e possediate contadini e giustamente pretendiate da loro e che debba essere versato a voi particolarmente il debito stabilito.

PERCHÉ QUELLI CHE STANNO MALE RICEVANO UN’ATTENZIONE MOLTO ACCURATA.

Capitolo LII.

Si deve avere una cura attenta, oltre ogni limite, per i fratelli che stanno male (RsB 36,1) e si deve accudirli come se fossero Cristo, come riconobbe quel passo evangelico Infirmus fui, et visitasti me (Mt 25,36)).

Essi infatti devono essere sopportati con attenzione e pazienza perché su di loro si acquisisca una sicura ricompensa eterna.

 

Si diano ai malati le cose necessarie.

Capitolo LIII.

Prescriviamo a coloro che curano i malati che diano loro, con ogni attenzione e cura, tutte le cose che sono necessarie a sostenere i diversi stati di malattia, con cura e diligenza, in base alle possibilità della Casa: intendiamo parlare di carne, volatili e tutte le altre cose, fino a che saranno riportati in salute.

Perché non ci si provochi vicendevolmente all’ira.

Capitolo LIV.

Occorre avere non poca attenzione a non provocarsi reciprocamente all’ira, perché l’altissima dolcezza della vita comune e della divina fratellanza ha messo insieme tanto i poveri quanto i potenti.

Quomodo fratres coniugati habeantur.

Caput LV.

 

Fratres autem coniugatos hoc modò habere vobis præmittimus: ut si fraternitatis vestra beneficium, et participationem petunt, uterque suæ substantiæ portionem, et quidquid amplius adquisiverint, unitate communis Capituli post mortem concedant; et interim honestam vitam exerceant, et bonum agere fratribus studeant, sed veste candida, et Clamyde alba non incedant. Si verò maritus ante obierit, partem suam fratribus relinquat, et coniux de altera vitæ substentamentum habeat. Hos enim iniustum consideramus, ut cum fratribus Deo castitatem promittentibus, fratres huiusmodi in una eadem domo maneant.

 

Ut ampliùs sorores non coadunentur maribus.

Caput LVI.

 

Sorores quidem ampliùs periculosum est coadunare, quia antiquus hostis fœmineo consortio complures expulit à recto tramite Paradisi. Itaque, fratres carissimi, ut integritatis flos inter vos semper appareat, hac consuetudine amodò uti non liceat.

 

Ut fratres Templi cum excommunicato non participent.

Caput LVII.

 

Hoc fratres valdè cavendum, atque timendum est, ne aliquis ex Christi militibus homini excommunicato nominatim, ac publicè aliquo modo se iungere, aut res suas accipere præsumat; ne anathema maranatha similiter fiat. Si verò interdictus tantùm fuerit cum eo participationem habere, rem suam caritativè accipere non immeritò licebit.

 

Qualiter milites seculares recipiantur.

Caput LVIII.

 

Si quis miles ex massa perditionis, vel alter secularis, sæculo volens renunciare, vestram communionem et vitam velit eligere, non ei statim assentiatur: sed iuxta illud Pauli: probare spiritus si ex Deo sunt et sic ei ingressus concedatur. Legatur igitur Regula in eius præsentia; et si ipse præceptis expositæ Regulæ diligenter obtemperaverit, tunc si Magistro, et fratribus eius recipere placuerit, convocatis fratribus, desiderium, et petitionem suam cunctis, animi puritate patefaciat. Deinde verò terminus probationis in consideratione, et providentia Magistri, secundùm honestatem vitæ petentis, omninò pendeat.

 

Ut omnes fratres ad secretum Concilium non vocentur.

Caput LIX.

 

Non semper omnes fratres ad Conclium convocare iubemus, sed quos idoneos, et consilio providos Magister cognoverit. Cum autem de maiouribus tractare voluerit, ut est dare communem terram, vel de ipso ordine disceptare, aut fratrem recipere, tunc omnem congregationem, si Magistro placet, convocare est competens: auditoque communis capituli consilio, quod melius, et utilius Magister consideraverit, illud agatur.

 

Come devono essere considerati i fratelli sposati.

Capitolo LV.

Permettiamo di tenere con voi i fratelli sposati con questo criterio: poiché chiedano il beneficio e la partecipazione alla vostra fraternità, dopo la loro morte concedano sia la propria ricchezza, che Ciò di cui si sono ulteriormente arricchiti, ai beni del capitolo e frattanto vivano una vita austera, cercando di far bene ai fratelli, ma non indossino la veste candida e la clamide bianca. Se poi il marito morirà prima, lasci la sua parte ai confratelli e la sposa abbia il sostentamento dell’altra metà. Consideriamo infatti ingiusto che quelli in questa condizione vivano in un’unica casa, coi fratelli che hanno promesso castità a Dio.

Che le sorelle non vivano più con i maschi.

Capitolo LVI.

È pericoloso che le sorelle vivano ancora nello stesso ambiente, perché da sempre l’antico nemico allontana molti dal retto cammino del Paradiso con la frequentazione femminile. E così carissimi fratelli, perché il fiore della purezza appaia sempre fra voi, non è lecito, d’ora in poi, mettere in pratica questa consuetudine.

CHE I FRATELLI TEMPLARI NON FREQUENTINO UNO SCOMUNICATO.

Capitolo LVII.

Da questo devono guardarsi e questo devono temere i fratelli: nessuno creda di potersi unire con chi è notoriamente scomunicato (RsB 26,1) e di frequentarlo pubblicamente, in qualsiasi modo, o di impadronirsi dei suoi beni; per non incorrere in un’analoga scomunica!

Se poi è stato solo interdetto, non sarà illecito ricevere la sua roba per carità.

COME VENGONO ACCOLTI I MILITI SECOLARI.

Capitolo LVIII.

Se qualche milite dalla massa della perdizione (RsB 60,1) o qualche altro uomo del secolo, volendo rinunciare al mondo, vuole scegliere la vostra comunità e la vostra vita, non si dia immediato consenso: ma come è detto in Paolo Probate spiritus, si ex Deo sunt (1 Gv 4,1), si conceda l’ingresso in questa forma (RsB 58,1-3). Si legga la Regola in sua presenza (RsB 58,9) e se avrà ottemperato con cura ai precetti della Regola esposta, allora, se piacerà al Maestro e ai suoi fratelli accoglierlo, convocati i fratelli, riveli a tutti il suo desiderio ed esponga la sua richiesta a tutti con pienezza di spirito. In seguito, il termine dell’approvazione dipenda totalmente dalla decisione e dalla valutazione del Maestro, in base all’onestà della vita del richiedente.

 

COME NON TUTTI I FRATELLI DEVONO ESSERE CHIAMATI AL CONCILIO SEGRETO.

Capitolo LIX.

Non dobbiamo convocare sempre tutti i fratelli al Concilio (RsB 3,3), ma solo quelli che il Maestro, con saggezza, riconoscere come idonei ed adatti. Quando poi vorrà trattare di cose di maggiore importanza, come cedere una terra della comunità, o discutere dell’Ordine stesso o accogliere un fratello, allora il Maestro, se a lui piace, può convocare tutta la congregazione (RsB 3,1): sentita la decisione del capitolo comune, si faccia quello che il Maestro avrà ritenuto più valido e utile (RsB 3,2).

Quod cum silentio orare debeant.

Caput LX.

 

Omnes fratres, prout animi, et corporis affectus postulaverit, stando vel sedendo, tamen summa cum reverentia, simpliciter, et non clamosé, ut unus alium non conturbet, orare communi consilio iubemus.

 

Ut Fidem servientium accipiant.

Caput LXI.

 

Agnovimus nempè complures ex diversis Provincijs tam clientes, quàm armigeros pro animarum salute animo ferventi, ad terminum cupientes in domo nostra mancipari. Utile est autem, ut fidem eorum accipiatis; ne fortè veternus hostis, in Dei servitio aliquid furtivè vel indecenter eis intimet, vel à bono proposito repentè exterminet.

 

Ut pueri, quandiù sunt parvi, non accipiantur inter fratres Templi.

Caput LXII.

 

Quamvis regula Sanctorum Patrum pueros in congregatione permittat habere, nos de talibus non collaudamus unquam vos onerare. Qui verò filium suum vel propinquum in militari Religione perhumaniter dare voluerit, usque ad annos, quibus viriliter armata manum possit inimicos Christi de Terra Sancta delere, eum nutriat. Dehinc, secundùm regulam, in medio fratrum, pater vel parentes eos statuant, et suam petitionem cunctis patefaciant: meliùs est enim in pueritia non vouere, quam posteaquam vir factus fuerit enormiter retrahere.

 

Ut senes semper venerentur.

Caput LXIII.

 

Senes autem pia consideratione, secundùm virium imbecillitatem, suportare, ac diligenter honorare oportet: Et nullatenus in his, quæ corporis sunt necessaria, districtè teneantur; tamen salva authoritate regulæ.

 

PERCHÉ DEBBANO PREGARE IN SILENZIO.

Capitolo LX.

Per decisione comune esortiamo tutti i fratelli a pregare, secondo quanto richiede il desiderio dell’animo o del corpo, stando in piedi o seduti, ma con la massima devozione (RsB 52,4), semplicemente, ed in silenzio, perché l’uno non disturbi l’altro.

Come ricevere la professione di fede dei sergenti.

Capitolo LXI.

Abbiamo infatti saputo che numerosi sergenti e scudieri, da diverse province, con cuore infiammato per la salvezza delle anime, hanno deciso di rimanere nella vostra dimora per un tempo determinato. È utile allora che consideriate la loro lealtà: perché non capiti per caso che l’antico nemico faccia loro compiere qualcosa di nascosto o immorale, o li distolga violentemente dal loro buon proposito, durante il sevizio Divino.

PERCHÉ I FANCIULLI, FINCHÈ SONO PICCOLI, NON VENGANO ACCOLTI FRA I FRATELLI DEL TEMPIO.

Capitolo LXII.

Sebbene la regola dei Santi Padri permetta di avere dei fanciulli nella congregazione (RsB 32), noi vi esortiamo a non farvi carico di ciò.

Chi avrà deciso di introdurre un figlio o un parente nell’Ordine militare, in modo corretto, lo nutra sino agli anni nei quali la sua mano armata possa virilmente cancellare i nemici di Cristo dalla Terra Santa. Poi, secondo la regola, il padre o i genitori lo portino in mezzo ai fratelli o rendano nota a tutti la sua richiesta (RsB 59,1): è meglio non consacrarlo da fanciullo piuttosto che, fatto uomo, allontanarlo in modo clamoroso.

I VECCHI SIANO SEMPRE VENERATI.

Capitolo LXIII.

Occorre sostenere e onorare con sollecitudine i vecchi, in considerazione della debolezza delle loro forze: e nondimeno siano considerati con attenzione in quelle cose che sono necessarie al corpo, fatta sempre salva l’autorità della regola (RsB 37).

De Fratribus, qui per diversas Provincias proficiscuntur.

Caput LXIV.

 

Fratres verò, qui per diversas Provincias diriguntur, regulam, in quantum vires expetunt, servare in cibo, et potu, et cæteris studeant, et irreprehensibiliter vivant; ut ab his qui foris sunt, bonum testimonium habeant. Religionis propositum nec verbo, nec actu polluant sed maximè omnibus, quibus se coniunxerint, sapientiæ, et honorum operum exemplum, et condimentum præbeant. Apud quem hospitari decreverint, fama optima sit decoratus; et si fieri potest, Domus hospitis in illa nocte careat lumine; ne tenebrosus hostis occasione aliqua, quod absit, inferat. Ubi autem milites non excommu nicatos congregare audierint, illuc pergere; non considerantes tam temporalem utilitatem, quàm externam animarum illorum salutem, dicimus. Illis autem fratribus in ultramarinis partibus spe subvectionis ita directis: hac conventione eos, qui militari ordine se iungere perhumaniter voluerint, recipere collaudamus: ut in præsentia Episcopi illius Provinciæ, uterque conveniat, et voluntatem petentis Præsul audiat. Audita itaque petitione, mittat eum frater ad Magistrum, et ad fratres, qui sunt in Templo, quod est in Ierusalem; et si vita eius est honesta, talique consortio digna, misericorditer suscipiatur, si Magistro, et fratribus bonum videtur. Si verò interim obierit, pro labore, et fatigatione, quasi uni ex fratribus totum beneficium, et fraternitas pauperum, et commilitonum Christi ei impendatur.

 

Ut victus æqualiter omnibus distribuatur.

Caput LXV.

 

Illud quoque congrui, et rationabiliter manutenendum censemus; ut omnibus fratribus remanentibus, victus secundùm loci facultatem, æqualiter tribuatur; non enim est utilis personarum acceptio, sed infirmitatum necessaria est consideratio.

 

DEI FRATELLI CHE PARTONO PER LE VARIE PROVINCE.

Capitolo LXIV.

I fratelli che si dirigono nelle varie Province (RsB 1,10) cerchino di osservare la Regola, per quanto le forze lo permettano, nel cibo e nelle bevande, e per le altre cose, e vivano in maniera irreprensibile, sì che ab his, qui foris sunt, bonum testimonium habeant (1 Tim 3,7) . Non tradiscano la loro professione religiosa né con parole né con azioni, ma offrano, a tutti coloro con cui si accompagnano, un esempio di saggezza e di comportamento corretto e di amabilità. Goda di un’ottima fama colui presso il quale hanno deciso di essere ospitati, e se è possibile che la casa dell’ospite in quella notte [non] sia priva di luce, bisogna evitare che un nemico nascosto compia un attacco approfittando della situazione. Non appena avranno sentito che Militi non scomunicati si radunano in un certo luogo là si rechino, lo diciamo non tanto in considerazione del vantaggio fisico, quanto per la salvezza delle loro anime. Per quanto riguarda quei fratelli che si sono diretti oltremare per condividere il viaggio, disponiamo che essi possano essere accolti nell’Ordine, nel caso in cui avessero deciso di unirsi alla nostra missione, a queste condizioni: ci si presenti congiuntamente al Vescovo di quella determinata provincia e il presule ascolti la volontà del richiedente. Sentita la richiesta, il fratello mandi il richiedente dal Maestro e dai fratelli che sono nel tempio che si trova in Gerusalemme. E se la vita di costui è onesta e degna di partecipare, sia accolto con misericordia, se Ciò sembra bene al Maestro e ai fratelli. E nel frattempo, se gli eventi lo richiedessero, si condividano con lui la grazia e la fraternità dei Poveri Compagni di Cristo, nel lavoro e nella fatica, come se si fosse già uno dei fratelli.

Il vitto sia distribuito in maniera uguale per tutti.

Capitolo LXV.

Stabiliamo anche che sia fatto e ragionevolmente assicurato quanto segue: che a tutti i fratelli professi il vitto sia distribuito in modo uguale, secondo la disponibilità locale; non tanto in base dei principi di accoglienza, quanto in considerazione dello stato di debolezza.

Ut milites Templi decimas habeant.

Caput LXVI.

 

Credimus namque, relictis affluentibus divitijs, vos spontaneæ paupertati esse subiectos, undè decimas vobis communi vita viventibus iustè habere, hoc modo demonstravimus. Si Episcopus Ecclesiæ, cui decima iure debetur, vobis caritativè eam dare voluerit; assensu illius capituli, de illis decimis, quas tunc Ecclesia possidere videtur, vobis tribuere debet. Si autem laicus quilibet adhuc illam ex patrimonio suo damnabiliter amplectitur, et seipsum in hoc valdè redarguens, vobis eamdem reliquerit, ad nutum eius qui præest tantùm, sine consensu capituli id agere potest.

 

De levibus, et gravibus culpis.

Caput LXVII.

 

Si aliquis frater loquendo, vel militando, vel aliter aliquid leve deliquerit, ipse ultrò delictum suum, satisfaciendo, Magistro ostendat. De levibus si consuetudinem non habeant, levem pœnitentiam habeat. Si verò eo tacente per aliquem alium culpa cognita fuerit, maiori, et evidentiori subiaceat disciplinæ, et emendationi. Si autem grave erit delictum, retrahatur à familiaritate fratrum; nec cum illis simul in eadem mensa edat; sed solus refectionem sumat, dispensationi, et iudicio Magistri totum imcumbat, ut salvus in iudicij die permaneat.

 

Qua culpa frater ampliùs non recipiatur.

Caput LXVIII.

 

Ante omnia providendum est; ne quis frater potens aut impotens: fortis aut debilis volens se exaltare, et paulatim superbire, ac culpam suam defendere, indisciplinatus remaneat; sed si emendare noluerit, ei districtior correptio accedat. Quod si pijs admonitionibus, fusis pro eo orationibus emendare noluerit, sed in superbia magis ac magis erexerit, tunc secundùm Apostolum, de pio eradicetur grege (Auferte malum ex vobis) necesse est ut à societate fratrum fidelium ovis moribunda removeatur. Cæterum Magister, qui baculum, et virgam manu tenere debet; baculum videlicet quo aliorum virium imbecillitates substentet: Virgam quoque, qua vitia delinquentium zelo rectitudinis feriat, consilio Patriarchæ, et spirituali consideratione id agere studeat, ne, ut ait B. Maximus, aut solutior lenitas cohibentiam peccantis, aut immoderata severitas à lapsu non revocet delinquentem.

I templari abbiano le decime.

Capitolo LXVI.

A parte le altre fonti di ricchezza, riteniamo che voi siate soggetti ad una povertà liberamente scelta, per cui abbiamo dimostrato che, come comunità, vi spettano giustamente le decime. Se il Vescovo a cui per diritto è concessa la decima, la avrà voluta concedere a voi per amore di carità, con l’assenso del capitolo, vi dovrà dare quelle decime che spettano alla Chiesa. Se poi un laico trattiene illecitamente la decima del suo patrimonio e, colto da rimorso, deciderà di darle a voi, lo può fare col solo consenso di chi se ne sta occupando, senza il consenso del capitolo.

COLPE LIEVI E GRAVI.

Capitolo LXVII.

Se qualche fratello parlando o combattendo o in altre occasioni avrà commesso un lieve peccato, riveli al Maestro, dando spontanea soddisfazione al suo errore. Circa i peccati lievi, se non sono abituali, riceva una penitenza leggera. Se poi, in assenza di una sua confessione, una colpa venga conosciuta attraverso un’altra persona, sia sottoposto a un provvedimento e ad una penitenza più grande e più evidente (RsB 46,1-4). Se il delitto sarà grave (RsB 44), sia separato dai fratelli, non sieda a mensa con loro, ma mangi solo e si sottoponga in tutto al giudizio e alle decisioni del Maestro, perché sia salvo il giorno del giudizio.

PER QUALE COLPA UN FRATELLO NON SIA PIÙ RACCOLTO NELLA COMUNITÀ.

Capitolo LXVIII.

Bisogna assicurare anzitutto che nessun fratello, influente o umile, forte o debole, volendosi esaltare ed insuperbire, e difendere la sua colpa, rifiuti la disciplina; ma se non avrà voluto correggersi, gli sia dia una punizione più rigida (RsB 28, 1-2). Se poi, attraverso pie esortazioni e avendo pregato per lui (RsB Cap. 27) non avrà voluto correggersi ma si sarà insuperbito sempre di più, allora secondo l’Apostolo sia allontanato dal gregge dei buoni. Auferte malum ex vobis (1 Cor 5,13), poiché è necessario che dalla società dei fratelli fedeli ogni pecora moribonda sia allontanata. Del resto è il Maestro che deve tenere in mano un bastone e una verga. Il bastone con cui sostenere le forze fiacche degli altri, la verga poi con cui colpire con zelo di rettitudine i vizi di quelli che peccano; cerchi di fare Ciò con il consiglio del Patriarca e la considerazione spirituale, come dice il beato Massimo, aut solutior lenitas cohibentiam peccantis, aut immoderata severitas à lapsu non revocet delinquentem.

Ut à Paschali solemnitate, usque ad festum omnium Sanctorum unam Camisiam lineam tantùm sumere habeat.

Caput LXIX.

 

Intereà, quòd nimium ardorem Orientalis regionis misericorditer consideramus, ut à Paschali festivitate usque ad omnium Sanctorum solemnitatem, unicuique una Camisia linea tantum, non ex debito, sed ex sola gratia detur, illi dico, qui ea uti voluerit; Alio autem tempore generaliter omnes Camisias laneas habeat.

 

Quot et quales panni in lecto sint necessarij.

Caput LXX.

 

Singulorum quidem non aliter per singulos lectos dormitorium esse, nisi maxima causa, vel necessitas evenerit, communi consilio collaudamus. Lectualia, vel lectisternia, moderata dispensatione Magistri unusquisque habeat. Credimus enim prorsus, saccum, culcitram, et coopertorium unicuique sufficere. Qui verò ex his uno carebit, carpitam habeat, et in omni tempore tegimine lineo, idest veluso frui benè licebit. Vestiti autem camisis dormiant, et femoralibus semper dormiant. Dormientibus itaque fratribus iugiter usque manè, nunquam desit lucerna.

 

De vitanda murmuratione.

Caput LXXI.

 

Æmulationes invidas, livorem, murmur, sussurationem, detractationes, divina admonitione vitare, et quasi quandam pestem fugare vobis præcipimus. Studeat itaque unusquisque vigilanti animo, ne fratrem suum clam culpet, aut repræhendat; sed illud Apostoli studiosé secum animadvertat (ne sis criminator, ne susurro in populo.) Cùm autem fratrem liquidè aliquid peccasse agnoverit, pacificè, et fraterna pietate, iuxta Domini præceptum inter se, et illum solum corripiat. Et si eum non audierit, alium fratrem adhibeat : sed si utrumque contempserit, in Conventu publicè obiurgetur coram omnibus. Magnæ enim cæcitatis sunt, qui alijs detrahunt; et nimiæ infelicitatis sunt, qui se à livore minimè custodiunt, undè in antiquam versuti hostis nequitiam demergentur.

 

Ut omnium mulierum fugiantur oscula.

Caput LXXII.

 

Periculosum esse credimus omni religioni, vultum mulierum nimis attendere, et ideò nec viduam, nec virginem, nec matrem, nec sororem, nec amitam, nec ullam aliam fœminam aliquis frater osculari præsumat. Fugiat ergò fœminea oscula Christi militia, per quæ solent homines sepè periclitari; ut pura conscientia, et secura vita in conspectu Domini perenniter valeat conversari.

 

FINIS

 

Come dalla solennità di Pasqua sino alla festa di tutti i Santi

si debba prendere una camicia di lino soltanto.

Capitolo LXIX.

Frattanto, poiché giudichiamo con misericordia l’eccessiva calura della regione orientale, dalla festa di Pasqua sino a quella di Tutti i Santi, sia concessa, a chi la vuole usare, una sola camicia di lino, non perché dovuta, ma per pura generosità. In altri periodi poi abbia genericamente tutte camicie di lana.

QUANTI E QUALI PANNI SIANO NECESSARI NEL LETTO.

Capitolo LXX.

Disponiamo, con comune decisione, che il dormitorio abbia singoli letti, se non per una estrema necessità o un evento straordinario. Ciascuno riceva la biancheria da letto, distribuita dal Maestro con moderazione.

(RsB 22, 1-2; 55) Crediamo che un materasso, un guanciale e una coperta siano sufficienti per ciascuno. In mancanza di ciò potrà avere una stuoia e, in ogni tempo, gli sarà lecito usufruire di una copertura di lino o tessuto felpato. Per quanto riguarda gli indumenti dormano sempre con le camicie e sempre con la cintura. (RsB 22, 5). E così, ai fratelli che dormono sino al mattino non manchi mai la luce (RsB 22, 4).

SI DEVE EVITARE LA MALDICENZA.

Capitolo LXXI.

Vi esortiamo ad evitare, per ammonizione divina, le rivalità invidiose, il rancore, il pettegolezzo, la maldicenza, le denigrazioni e di metterle in fuga come una pestilenza. Ciascuno si dia dunque da fare con animo attento, di non incolpare o di riprendere pubblicamente il proprio fratello, ma rifletta dentro di sè secondo la volontà dell’Apostolo, ne sis criminator, ne susurro in populo [44]. (Lev 19, 16). Quando poi avrà saputo con chiarezza che un fratello ha commesso qualche peccato, lo rimproveri da solo in segreto, con serenità e fraterna pietà, secondo l’insegnamento divino (RsB 23,2). E se non presterà ascolto, subentri un altro fratello: ma se avrà disprezzato le parole di entrambi, allora sia portato in pubblico, davanti a tutti (RsB 23,3). Sono infatti persone di grande cecità quelle che si sottraggono agli altri e sono molto infelici quelli che non si astengono dal rancore, poiché saranno travolti dall’antica malvagità del perverso Nemico.

Si fuggano i baci di tutte le donne.

Capitolo LXXII.

Crediamo che sia pericoloso per ogni religioso, essere troppo attratti dal volto delle donne e perciò un frate non si azzardi a baciare né una vedova, né una vergine, né la madre, la sorella, un’amica o qualsiasi altra donna. La milizia di Cristo fugga quindi i baci femminili per i quali gli uomini spesso sogliono correre pericoli, perché con un animo puro ed una vita salda possa perennemente presentarsi al cospetto di Dio.

FINE

Si conclude così la regola degli antichi cavalieri templari, dei quali considera le nostre origini equestri, rese note in latino e in gallico.

Note al testo latino 

La vita dell'Ordine del Tempio era regolata dai seguenti documenti:

- la Règle primitive, scritta in latino, approvata dal Concilio di Troyes nel 1128;

- la versione francese, con varianti, della Regola latina, scritta intorno al 1140;

- i Retraits, raccolta di usi e costumi dell'Ordine, redatta intorno al 1165;

- gli Status hiérarchiques, che trattano principalmente delle cerimonie, scritti intorno al 1240-1250;

- gli Egards relativi alla disciplina, scritti intorno al 1257-1267

 

Il presente testo è basato su due documenti:

• La Regula pauperum commilitonum Christi Templique Salomonis nella versione a stampa di Bernardo Giustinian del 1692, a sua volta tratta dalla prima versione a stampa della Regola, apparsa per opera di F. Mennenius (Mennens), Deliciae equestrium sive militarium ordinum, et eorundem origines, statuta, symbola et insignia, iconibus additis genuinis. Colonia, Kinckius, 1613.

• La Regula pauperum commilitonum Christi Templique Salomonici in Concilio Trecense , riportata nella versione a stampa della Sacrorum Conciliorum Collectio di J.D. Mansi nell’edizione del 1900.

 

Queste versioni si basano, a loro volta,  sui tre manoscritti, non originali, conservati a Roma, Parigi e Digione. Su questi stessi manoscritti si basa anche la versione di Henri de Curzon: La Règle du Temple, Parigi, 1886


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6 novembre 2021                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net