Il Concilio di Troyes, la Regola e le aggiunte

di Enzo Valentini

Estratto da “Storia segreta dei templari”, Newton Compton Editori 2014

 

Nel gennaio 1129, nella città di Troyes, in Champagne, si tenne un importante concilio durante il quale, tra altri argomenti, venne approvata la Regola dell’Ordine del Tempio, ispirata da Bernardo di Chiaravalle, e non da lui redatta, come spesso viene erroneamente affermato; anche perché, in questo caso, i templari certamente se ne sarebbero vantati.

Questo corpus normativo, che integrato dai retrais e dagli égards raggiungerà i 686 articoli dai 76 di partenza, può essere considerato a tutti gli effetti una vera e propria novità nel campo legislativo medievale. D’altra parte è la stessa materia da disciplinare che è una novità: regolare la vita di monaci e cavalieri, di uomini di pace e uomini di guerra.

I suoi estensori riescono a sviluppare una Regola in grado di mediare le anime contrapposte dei templari: da una parte placano l’ardore e lo sfoggio della forza di ogni combattente, con l’abitudine alla preghiera e alla modestia, tipica di ogni monaco; dall’altra attenuano l’ascetismo dei religiosi, limitando i digiuni che avrebbero indebolito il combattente, sostituendoli con l’astensione dalle carni. Così, nella regola di un Ordine monastico, si parla per la prima volta di armature, elmi, spade, cavalli, strategie di combattimento, mentre in un codice militare trovano spazio i tempi per la preghiera, per l’assistenza ai deboli, l’amore per il prossimo.

La Regola primitiva, allegata agli atti del concilio, viene detta anche “Regola latina” perché redatta in quella lingua dal chierico Jehan Michel; a questa fece seguito, tra il 1128 e 1130, una seconda stesura in latino a cura del Patriarca di Gerusalemme, Stefano di Chartres. Intorno agli anni 1138-1140, forse su sollecitazione del secondo maestro Robert de Craon, la Regola fu tradotta in francese per i cavalieri illetterati: coloro cioè che, pur sapendo leggere e scrivere la propria lingua volgare, non conoscevano il latino, lingua ufficiale della Chiesa.

Con il passare del tempo e lo sviluppo dell’Ordine del Tempio, successivamente si rese necessario integrare i due testi originali con una serie di nuovi articoli: quindi, verso il 1165, sotto il magistero di Bertrand de Blanquefort, vennero scritti i cosiddetti retraits, ossia gli usi stabiliti dalla consuetudine senza essere stati ancora ufficializzati; vengono poi gli égards, databili tra il 1257 e il 1267, un insieme di norme giurisprudenziali che prevedevano, ad esempio, le punizioni da comminare ai cavalieri che cadevano in errori più o meno gravi.

Se ne ricava che ciò che noi chiamiamo Regola è un insieme di norme, scritte da più mani, in tempi diversi, con prescrizioni spesso in contrasto o superflue. Per una facilità di consultazione era organizzata in più settori: la Regola primitiva, o latina, (artt. 1-76); gli statuti gerarchici (artt. 77-197); l’elezione del maestro (artt. 198-223); le punizioni (artt. 224-278); la vita conventuale dei fratelli (artt. 279-385); i capitoli ordinari (artt. 386-415); ancora sulle punizioni (artt. 416-543); dettagli sulle punizioni (artt. 544-656); la ricezione nell’Ordine (artt. 657-686).

La preponderanza degli articoli riguardanti le punizioni non deve far pensare che nell’Ordine vigesse un clima di despotismo; si tratta invece, come accennato sopra, di articoli che spesso si ripetono o si annullano, essendo stati scritti in varie epoche, senza una successiva revisione generale. Inoltre, molti di essi non contengono una norma vera e propria, piuttosto sono citazioni di episodi realmente avvenuti, che servono per illustrare la fattispecie della mancanza e della punizione collegata, come meglio specificato nell’articolo 638:

 

Abbiamo scritto gli esempi summenzionati per due ragioni: in primo luogo affinché i fratelli che li ascoltano vogliano eseguire gli ordini che vengono loro impartiti o trasmessi, poiché dall’inosservanza degli ordini ha origine gran parte delle sventure che si abbattono sui fratelli. - Infatti coloro che non eseguono gli ordini e non rispettano i divieti, e così facendo diventano causa di danno, mettono a repentaglio il loro abito. - L’altra ragione è che, esaminando le mancanze dei fratelli, si impara a giudicarli meglio, senza eccedere nelle punizioni, e a meglio amministrare la giustizia della casa.

 

Il testo della Regola inizia con un lungo prologo, scritto dal chierico Jehan Michel, in cui si elencano i personaggi presenti al concilio, alcuni dei quali di grande rilievo: il vescovo Matteo d’Albano, legato della Chiesa di Roma, gli arcivescovi di Sens e di Reims, altri vescovi, nonché gli abati dei monasteri di Vézelay, di Saint Denis a Reims, di Saint Etienne a Digione e di Molesmes. Tra i laici spiccano le figure di Guglielmo II, conte di Nevers, Auxerre e Tonnerre, e di Thibaud IV il Grande, conte di Blois, Chartres e Brie, divenuto conte di Champagne quando lo zio Ugo, signore di Hugues di Payns, aveva raggiunto la Terrasanta per diventare cavaliere del Tempio.

Quasi a sottolineare la futura collaborazione tra l’Ordine templare e quello cistercense, quest’ultimo è rappresentato dagli abati Stefano Harding di Citeaux, Ugo di Pontigny, Guido di Trois Fontaines e, naturalmente, Bernardo di Chiaravalle.

In ultimo è citato Hugues de Payns, intervenuto con alcuni dei suoi confratelli: Rolando, Goffredo, Goffredo Bisot, Pagano di Montdidier e Archambaud de Saint-Amand.

Seguono poi un ammonimento e una esortazione diretta ai cavalieri laici:

 

Voi che avete fin qui condotto la vita dei cavalieri secolari, che non ha la propria causa in Cristo e che avete abbracciato solo a vostro vantaggio, [vi esortiamo] a seguire coloro che Dio, per grazia della sua compassione, ha tratto dalla massa dei dannati e, nella sua grande pietà, ha destinato alla difesa della Santa Chiesa, e vi chiediamo di unirvi a loro, subito e per sempre (art. 1).

 

Nell’articolo successivo, in cui si pone l’accento sul senso di giustizia che deve motivare le azioni di ogni cavaliere, viene ringraziato Dio per questa nuova cavalleria che viene dalla Terrasanta:

 

I cavalieri avevano preso a disdegnare l’amore per la giustizia che dovrebbe ispirare la loro azione e non adempivano il proprio dovere, che consiste nel difendere i poveri, le vedove, gli orfani e le chiese; invece erano dediti al saccheggio, al furto e all’assassinio. Ma Dio opera il bene attraverso di noi e attraverso il nostro salvatore Gesù Cristo e ha voluto inviare i suoi amici dalla Città Santa di Gerusalemme alle terre di Francia e Borgogna; sia benvenuto il loro sacrificio, poiché, per la nostra salvezza e la diffusione della vera fede, essi continuano a donare a Dio le loro anime (art. 2).

 

In questo passo continua la contrapposizione tra “cavalleria secolare” e “cavalleria di Dio”, motore del De laude di Bernardo, anzi qui i templari vengono addirittura chiamati “amici di Dio”.

I sette articoli seguenti costituiscono la relazione del Concilio, mentre i successivi, dal 9 al 16, trattano i doveri essenziali dei templari, molto simili a quelli dei monaci cistercensi.

Gli articoli dal 17 al 23 descrivono l’abbigliamento dei templari, dato importante per quanto riguarda le simbologie nell’Ordine del Tempio. Il colore bianco è destinato ai cavalieri, che in seguito si fregeranno di una croce rossa sulla spalla, mentre il nero è per i sergenti.

Il bianco e il nero simboleggiano anche la contrapposizione tra cielo e terra, tra il bene e il male, tra l’oro e il piombo alchemico, un dualismo ricorrente nel Medioevo ben presente anche nello stendardo templare, il baussant:

 

Essi marciano preceduti da una bandiera nera e bianca, che chiamano baussant perché sono pieni di candore per gli amici del Cristo, neri e terribili verso i suoi nemici.

 

Gli articoli dal 24 al 30, che trattano dei pasti, evidenziano il carattere cenobitico dell’Ordine, disponendo che i templari debbano consumare la loro razione quotidiana in comune, in silenzio e in due per ogni scodella. Quest’ultima prescrizione serviva anche, come ben specificato, per controllare che nessuno dei due osservasse troppo il digiuno o l’astinenza dalla carne, più di quello che era stabilito.

La vita conventuale viene regolata dagli articoli dal 31 al 44 che sottolineano la necessità del silenzio, dell’obbedienza al maestro, dell’aiuto reciproco tra confratelli, nonché l’obbligo della povertà individuale, povertà intesa non più nel senso francescano della parola, piuttosto come la privazione di oggetti, armi e abbigliamenti eccedenti la normale dotazione individuale di ogni templare.

Le mancanze verso queste o altre disposizioni vengono regolate dagli articoli dal 45 al 50, che trattano delle colpe. Anche qui ritorna lo spirito conventuale del Tempio, l’importanza della comunità: per colpe di una certa entità il colpevole sarà allontanato dalla compagnia degli altri confratelli e non berrà né mangerà con loro, oppure nei casi ancora più gravi, verrà espulso dall’Ordine: «sarà necessario che rimuoviate la pecora nera dal gregge dei fratelli fedeli» (art. 46).

Gli articoli che vanno fino al 69 trattano argomenti diversi senza seguire un ordine preciso: è proibito cacciare animali tranne il leone, che come scritto nella Genesi è la personificazione del demonio, oppure bastonare i propri scudieri qualunque cosa essi facciano; si raccomanda di rispettare e accudire i fratelli malati o più anziani. Altresì è permesso all’Ordine di possedere terre, uomini liberi e servi per poterle far fruttare e di partecipare ai guadagni ecclesiastici, come le decime saladine: una norma questa che sancisce la ricchezza collettiva di una originale comunità formata da individui poveri singolarmente.

Gli articoli 70 e 71 riguardano la presenza di donne all’interno del Tempio, di cui si parlerà più avanti, mentre gli ultimi articoli (dal 74 al 76) costituiscono una sorta di calendario templare, con l’elenco delle festività da osservare e i precetti relativi ai digiuni e all’astinenza dalle carni.

Questi primi settantasei articoli indicavano le linee di condotta che i templari avrebbero dovuto seguire e che forse qualche cavaliere disattese, dando così corpo a certe voci che diventeranno capi di imputazione durante il processo. Furono anche le cattive interpretazioni, più o meno intenzionali, di alcuni passi della Regola che diedero origine a quell’alone di mistero che mise Filippo il Bello nelle condizioni di imbastire un processo politico, mascherandolo da caccia all’eretico.

Certamente l’avversione nei riguardi delle donne, presente nella Regola, fu la base principale dell’accusa di sodomia, accusa aggravata anche dai baci “osceni e lascivi” che i templari si scambiavano durante la cerimonia di accettazione di un nuovo confratello. A proposito di baci, va detto che questi hanno la loro giustificazione se inquadrati nell’ottica esatta e non in quella distorta degli inquisitori: il “bacio della pace” dato sulla bocca è previsto dal cerimoniale di investitura di un vassallo da parte del suo signore.

Paradossalmente la Regola, che scandiva la vita dell’Ordine, ne decretò anche la morte: al momento dell’arresto saranno pochi i cavalieri che si ribelleranno impugnando le armi, che erano ben abituati a usare, contro i soldati dei sovrani europei, rispettando l’articolo che impediva loro di combattere contro altri cristiani. Sarebbe stato facile per Jacques de Molay ordinare una resistenza a oltranza e un esercito come quello del Tempio non avrebbe avuto problemi: i templari invece preferirono fuggire, almeno chi poté farlo. Chi non vi riuscì sopportò stoicamente le torture fisiche e psichiche pur di difendere l’onore proprio e del Tempio. Forse è stato meglio così: una reazione armata avrebbe certo salvato l’Ordine ma, al tempo stesso, lo avrebbe spogliato di quella gloria per la quale migliaia e migliaia di cavalieri erano morti in Terrasanta: «Non nobis Domine, non nobis, sed nomine tuo da gloriam», come ripetevano sempre i templari.

Della Regola sono andati perduti gli esemplari originali, ma si conoscono sei copie realizzate in latino, attualmente conservate alla Bibliothèque Municipale di Nîmes, alla British Library di Londra, alla Bibliothèque Nationale de France di Parigi, alla Stedelijke Openbare Bibliotheek di Bruges, alla Národní knihovna di Praga, alla Bayerische Staatsbibliotheck di Monaco di Baviera; a queste si aggiungono tre esemplari redatti in langue d’oïl presenti all’Accademia dei Lincei di Roma, alla Walters Art Gallery di Baltimora, alla Bibliothèque Nationale de France di Parigi.



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1 novembre 2021   a cura di Alberto "da Cormano"   Grazie dei suggerimenti   alberto@ora-et-labora.net