STATUTI E COSTITUZIONI
DELL’ORDINE EQUESTRE DEI CAVALIERI TEMPLARI
A cura di Mario Moiraghi, dal sito scriptorium.it
"Approfondimento sull'origine della Regola"
Inizia il prologo della Regola dei Poveri Commilitoni di Cristo, e del
Tempio di Salomone.
Il nostro discorso è diretto anzitutto a tutti coloro che rifiutano di seguire
le proprie aspirazioni e desiderano combattere, con purezza d’animo, per il vero
e sommo Re, sì che preferiscono, con intensissimo fervore, indossare la
splendida armatura dell’obbedienza, e perseguono questo obiettivo con tenacia.
Vi esortiamo dunque, voi che sinora avete professato la milizia secolare, nella
quale non fu Cristo la causa prima, ma l’avete scelta per solo interesse umano,
perché’ vi affrettiate a raccogliervi con grande amore nell’unità di quelli che
Dio scelse dalla massa dei perduti e riunì, con la grazia della sua
sollecitudine, alla difesa della Santa Chiesa.
Per prima cosa poi, chiunque tu sia, o soldato di Cristo, scegliendo la tua
santa compagnia, bisogna che tu assuma un impegno puro, un’attenzione ed una
salda perseveranza che da Dio è riconosciuta tanto degna, santa ed elevata; in
tal modo, se in maniera pura e costante si agirà fra coloro che aderiscono a
questa missione, di donare le proprie anime a Cristo, meritiate di partecipare a
ciò che il destino vi ha riservato. In esso infatti riprese vigore e rinacque
quell’ordine militare che, disprezzato lo zelo della giustizia, non difendeva
più i poveri e le chiese, compito che le era proprio: ma combatteva per rubare,
depredare, uccidere. È con noi[1]
che si agisce con rettitudine, noi a cui il Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo,
dalla Città Santa, indirizzò i suoi amici verso i confini della Francia e della
Burgundia, che per la nostra salvezza, e la propagazione della vera fede, non
smettono di offrire le proprie anime come ostia gradita a Dio.
Noi quindi, con ogni gratitudine e fraterna pietà, e con le preghiere del
Maestro Ugo, nel cui cuore la sopraddetta milizia ebbe inizio, mentre lo Spirito
Santo ci sollecitava da diversi luoghi della provincia oltremontana, nelle feste
di sant’Ilario, nell’anno 1128 dalla nascita di Cristo, nel nono anno dalla
nascita della precitata milizia, a Troyes, guidati da Dio, ci radunammo in un
sol luogo, e ricevemmo il dono di sentire dalla bocca del citato Maestro Ugone,
la regola e le usanze, capitolo per capitolo, dell’Ordine Equestre, e
compatibilmente con l’esiguità del nostro sapere, approvammo quello che ci
sembrava buono e utile.
Rimettemmo al giudizio e alla discrezione del Capitolo, per decisione comune,
tutto ciò che ci appariva dissonante e tutto quello che nel presente Concilio
non è degno di essere affidato alla memoria e tenuto in considerazione[2],
non per leggerezza, ma sulla base della preveggenza esperta e la discrezione del
nostro venerabile Padre Onorio e per la feconda azione del nobile Patriarca di
Gerusalemme Stefano e per necessità, non essendo all’oscuro né della religione
orientale, né dei Poveri Commilitoni di Cristo.
L’enorme numero dei Padri religiosi, che si riunirono in quel Concilio per
monito divino, sulla base della limpida autorevolezza del nostro intento,
dispone: non dobbiamo passare oltre in silenzio[3],
poiché’ loro hanno esaminato e formulato un vero giudizio ed io, Giovanni di
Michele, ho meritato di essere, per grazia divina, l’umile scriba del presente
testo, per ordine del Concilio e del venerabile Abate di Chiaravalle a cui tutto
questo era stato affidato e dovuto[4].
Nomi dei Padri presenti nel Concilio
Fra i primi invero fu presente Matteo di Albano vescovo, legato di Santa Romana
Chiesa; poi Rinaldo arcivescovo di Reims: terzo Enrico arcivescovo di Sens; poi
i loro Coepiscopi Ranchedo vescovo di Chartres, Gosseno vescovo dei Soissons, il
vescovo di Parigi, il vescovo di Troyes, il presule di Orleans, il vescovo di
Auxerre, il vescovo di Meaux, il vescovo di Chalon, il vescovo di Laon, il
vescovo di Beauvais, l’abate di Vezelay, che dopo non molto fu eletto
arcivescovo di Lione e legato di S.R.E. il Abate di Citeaux, l’Abate di
Pontigny, l’Abate di Trois-Fontaines, l’Abate di S. Dionigi di Reims, l’Abate di
S. Stefano di
Digione, l’Abate Molesmes sopra nominato, non mancò l’Abate Bernardo di
Chiaravalle, alla cui opinione i sopraddetti assentivano apertamente.
Vi furono poi il Maestro Alberto Kemensis[5]
e il Maestro Fulcherio e parecchi altri che sarebbe lungo elencare. Il resto in
verità sembra a noi non idoneo a persone non istruite, che siano posti in mezzo
come testimoni gli amanti della verità: il conte Teobaldo, il conte di Nevers, e
Andrea di Baudement, con intensissima attenzione: nel Concilio presenziavano
sottolineando ciò che era buono, disapprovando quello che a loro sembrava
inopportuno.
Non mancò in realtà lo stesso Maestro della milizia Ugone, e portò con sé alcuni
dei suoi fratelli. E cioè frate Goffredo, Fr. Rorallo, Fr. Goffredo Bisol, Fr.
Pagano di Monte Desiderio, Arcibaldo di Monte Amano. Lo stesso Maestro Ugo, con
questi suoi discepoli, rivendicò la nascita, le modalità e le norme dell’umile
inizio del suo Ordine Militare, che ha origine da colui che dice
Ego principium, qui et loquor vobis
[6], rammentando i fatti ai sopra
nominati padri in base alla sua memoria.[7]
Piacque dunque al Concilio, che questo progetto qui diligentemente esaminato,
con cura e considerazione delle Sacre Scritture, munito anche della cautela del
Papa romano e del Patriarca di Gerusalemme e dell’assenso del Capitolo e dei
Poveri Soldati del Tempio, che è in Gerusalemme, venisse messo per iscritto, per
non cadere nell’oblio ed essere conservato indissolubilmente, affinché seguendo
un retto cammino, quelli che esercitano la milizia e la vogliono esercitare
meritino di arrivare degnamente al loro Creatore, la dolcezza del quale tanto
supera il miele che paragonato a quello è amarissimo come l’assenzio, per tutti
i secoli dei secoli.[8]
Amen.
Regola dei Poveri Soldati del Tempio nella Città Santa.
QUALE UFFICIO DIVINO ASCOLTINO.
Capitolo I
Voi quindi, che rinunciate ai vostri piaceri (Regola di san Benedetto, RsB prol.
3), e gli altri, che con voi militano ai confini per il Sommo Re, per la
salvezza delle anime, con cavalli ed armi, cercate di seguire i Mattutini ed
ogni intero Ufficio Divino, in conformità alla legge canonica e alla
consuetudine dei Dottori[9]
regolari della Città Santa, con sentimento pio e puro.
Ciò compete soprattutto a voi, o venerabili fratelli, anche perché, disprezzata
la luce della presente vita e dileggiato il tormento dei vostri corpi, avete
promesso per amore di Dio di disprezzare in eterno il mondo impazzito. Ripieni e
saziati di cibo divino, eruditi e rinsaldati dagli insegnamenti di Dio, dopo la
consumazione del mistero divino nessuno tema di fronte alla battaglia, ma sia
pronto per la corona del martirio.
CHE COSA DIRANNO SE NON AVRANNO POTUTO ASCOLTARE LE PREGHIERE
DOMENICALI.
Capitolo II
Del resto, se qualche fratello è per caso lontano, in attività nella Cristianità
Orientale, il che non dubitiamo che si verifichi assai spesso, e per tale
lontananza non avrà ascoltato il Servizio Divino, lo esortiamo a dire al posto
del mattutino tredici Preghiere Domenicali[10],
e per le singole ore sette, ma per i Vespri nove, e lo affermiamo unanimemente
con voce chiara. Costoro infatti, così occupati in una attività benefica, non
possono accorrere all’Ufficio Divino nell’ora convenuta (RsB 50, 1), ma, anche
se Ciò accade, non devono trascurare le ore canoniche (RsB 50, 4), considerato
l’impegno assunto (RsB, 8 e succ.).
Che cosa si deve fare per i padri defunti.
Capitolo III
Quando su uno dei fratelli professi incombe la morte (che non risparmia
nessuno), cosa che è impossibile evitare: comandiamo ai Cappellani e ai Chierici
che a termine servono con voi con carità il Sommo Sacerdote, di offrire a Cristo
l’Ufficio dovuto e una Messa solenne per la sua anima.
I fratelli presenti poi e quelli che vegliano nella notte in preghiere per la
salvezza del fratello defunto, recitino cento Orazioni Domenicali, sino al
settimo giorno, per il fratello defunto: da quel giorno in cui sarà annunziata
la scomparsa della morte ai loro fratelli sino al giorno detto in precedenza, il
numero cento abbia con fraterna attenzione il totale compimento.
Preghiamo dunque con divina e misericordiosissima carità e comandiamo con
autorità pastorale, che ogni giorno venga dato ad un povero quello che è
necessario al sostentamento alla sua vita in cibo e in bevanda, nella misura in
cui era dato al fratello e che ciò sia protratto sino al quarantesimo giorno.
Proibiamo assolutamente tutte le altre offerte, che in morte dei fratelli o
nella solennità della Pasqua e nelle altre solennità la povertà spontanea dei
Poveri Commilitoni di Cristo soleva rendere liberamente al Signore.
I Cappellani abbiano solo il vitto e l’abito.
Capitolo IV.
Ordiniamo di dare, con vigile attenzione, al comune Capitolo nel suo insieme
tutte le altre oblazioni e tutti i generi di elemosine che, in qualsiasi modo,
vengano fatte ai Cappellani, o ad altri che restano a tempo. I servitori della
Chiesa abbiano pertanto il vitto e l’abito secondo l’autorità, e non presumano
di avere di più, se i Maestri non li avranno dati spontaneamente e per carità.
In caso di morte dei Militi che servono a termine.
Capitolo V.
Nella casa di Dio e del tempio di Salomone vi sono infatti Militi
[11] che stanno
misericordiosamente con noi a tempo determinato. Vi preghiamo, vi scongiuriamo e
alla fine vi ordiniamo dunque con somma pietà, che, se l’Infinita Potenza avrà
condotto uno di loro all’ultimo giorno, per il bene della sua anima, un povero
abbia sostentamento per sette giorni, con amore divino e fraterna pietà.
Che nessun fratello professo faccia offerta.
Capitolo VI.
Stabiliamo, come è stato detto in precedenza, che nessuno dei fratelli professi
presuma di fare altra offerta, ma di giorno e di notte con cuore puro resti
saldo nella sua professione: per cercar di gareggiare in questo col più sapiente
dei profeti.
Calicem salutaris accipiam, et in morte mea mortem Domini imitabor
(Sal 116, 13)
[12].
Perché come Cristo dono per me l’anima sua, così anche io sono pronto a donare
la mia per i fratelli: ecco l’offerta giusta; ecco la vittima vivente e gradita
a Dio.
CIRCA LO STARE TROPPO IN PIEDI.
Capitolo VII.
Ciò che in verità ai nostri orecchi un sicurissimo testimone rivelò, che voi
ascoltate l’Ufficio Divino stando in piedi troppo e rimanendovi senza limite,
non ve lo abbiamo insegnato e anzi lo disapproviamo: ma, terminato il Salmo, al
Venite exultemus Domino ecc. e all’Invitatorio,
e all’Inno noi ordiniamo che tutti sediate (RsB 9,5), tanto i forti quanto i
deboli, per evitare esempi sbagliati.
Invero, a voi che siete seduti, ordiniamo di stare in piedi una volta terminato
un qualsiasi salmo, nella recita del
Gloria Patri ecc. inchinandovi verso l’altare per rispetto alla
Santa Trinità (RsB 9,7) e così anche nella lettura del Vangelo e al
Te Deum laudamus (RsB 11,9) e per tutte le Lodi, fino al
compimento del
Benedicamus Domino e di rispettare le stesse regole nella recita
del Mattutino della Santa Maria.
CIRCA LA REFEZIONE DEL CONVENTO.
Capitolo VIII.
Decidiamo che voi riceviate il cibo in comunità, in un certo unico edificio,
meglio definito Refettorio, e quando avrete bisogno di qualcosa, se non
conoscete il linguaggio dei segni, chiediate con garbo e con riservatezza. Se in
ogni caso si devono chiedere le cose che vi sono necessarie (RsB 38,6), fatelo
con ogni delicatezza e con il rispetto (RsB 6,7) dovuto alla mensa, come dice
l’Apostolo:
Panem tuum cum silentio manduca
[13]
(2 Tess 3,12) e il Salmista vi deve incoraggiare dicendo:
Posui ore meo custodiam
[14];
(Sal 39, 2; RsB 6,1), cioè
apud me deliberavi, ut non derelinquerem
[15]
e, cioè
con la lingua (RsB 6,1),, cioè
custodivi os meum, ne male loquerer.
[16].
LA LETTURA.
Capitolo IX.
Durante il pranzo e la cena sempre venga letta una santa Lettura (RsB 38,1). Se
amiamo il Signore dobbiamo desiderare intensamente le sue parole salutari e i
suoi insegnamenti. Il lettore poi delle Letture vi inviti al silenzio.
DELL’USO DELLA CARNE.
Capitolo X.
Ogni settimana, se non quando verrà il giorno di Natale o Pasqua o la festa
della Santa Maria o quella di Ognissanti, vi basti l’uso della carne tre volte
(RsB 36 e 9, 4), perché l’uso giornaliero di carne è inteso come una grave
corruzione dei corpi. Se invero tale digiuno avverrà nel giorno di martedì
[17], che l’uso delle carni sia
proibito, nel giorno successivo ve ne sia data in abbondanza. Poi nel giorno di
Domenica, sembra giusto e adatto senza dubbio che si distribuiscano due piatti
di carne in onore della Risurrezione a tutti i Militi professi, ed anche ai
Cappellani,: Gli altri armati in verità, e i clienti, si accontentino contenti
di uno solo e rendano grazie.
Come debbano mangiare i Militi.
Capitolo XI.
Generalmente è opportuno che mangino a due a due perché l’uno possa aiutare
l’altro; affinché la durezza della vita o la casuale astinenza non si insinui in
ogni pranzo. Indichiamo anche giustamente, che ciascun soldato o fratello abbia
una misura uguale ed equivalente di vino per sé.
CHE GLI ALTRI GIORNI BASTINO DUE O TRE PORTATE DI LEGUMI.
Capitolo XII.
Negli altri giorni, invero il lunedì, il giovedì e anche di sabato, noi pensiamo
siano sufficiente per tutti due o tre portate di legumi o di altro cibo, e per
così dire, una minestra cotta, e ordiniamo che così si faccia, perché’ se
qualcuno non si sarà cibato dell’uno possa rifarsi con l’altro. (RsB 39, 1-2)
QUALE CIBO SIA NECESSARIO PREDISPORRE PER IL VENERDÌ’.
Capitolo XIII.
Raccomandiamo in ogni occasione collettiva di pranzo, per il venerdì (RsB 41),
un cibo quaresimale, per rispetto della Passione, escluso per debolezza gli
infermi, una volta sola al giorno, dalla festa di Tutti i Santi sino a Pasqua
(escluso il giorno del Natale del Signore, o la festa di Maria o degli
apostoli), In ogni altro tempo in verità, se non sarà avvenuto un digiuno
generale, si pranzi due volte al giorno.
Dopo il pasto sempre si rendano grazie.
Capitolo XIV.
Dopo il pranzo, o la cena, sempre in Chiesa, se è vicina o se così non è nel
luogo stesso, prescriviamo di ringraziare con animo umile il nostro Dispensatore
che è Cristo, rigorosamente secondo le convenienze. Ai servi e ai poveri devono
distribuire i pezzi di pane avanzati (quelli interi andranno conservati) con
fraterna carità e si ordina loro di farlo.
Perché una decima del pane sia sempre data all’Elemosiniere.
Capitolo XV.
È lecito che il premio della povertà, che è il regno dei Cieli, sia concesso
senza alcun dubbio ai poveri, a voi tuttavia chiediamo di dare ogni giorno la
decima di tutto il pane all’Elemosiniere.
PERCHÉ LA CENA SIA A DISCREZIONE DEL MAESTRO
Capitolo XVI
Quando il sole lascia la regione orientale e scende verso le regioni del freddo,
sentito il segnale, come è consuetudine di ciascuna regione, bisogna che voi vi
avviate a Compieta, ma prima preferiamo che ci sia una colazione. Lasciamo
questa all’arbitrio e alla decisione del Maestro, sì che quando vorrà,
dell’acqua, e, quando comanderà più misericordiosamente, si riceva vino diluito.
Bisogna che questo però non conduca ad una eccessiva sazietà, ma sia fatto con
parsimonia,
quia vinum facit apostatare sapientes
[18] (Eccl. 19, 2; RsB 40, 6-7)
PERCHÉ TERMINATA COMPIETA SI FACCIA SILENZIO.
Capitolo XVII.
E così, terminata Compieta, è opportuno andare a letto. A quelli che escono da
Compieta non sia data nessuna licenza di parlare in pubblico (RsB 42, 8), se non
per un’urgenza assoluta: se deve parlare col proprio scudiero lo faccia a voce
bassa. Può capitare che, a voi che uscite da compieta in tale intervallo,
insieme a una certa parte dei fratelli occorra parlare, col Maestro, o con chi
regge la casa dopo il Maestro, quando vi incalzi un’assoluta necessità, intorno
ad un impegno militare, o circa la situazione della vostra casa, perché il
giorno non vi sembra bastare per questo: vi ordiniamo che questo avvenga così e
poiché’ è stato scritto
Mors et vita in manibus lingua
[19]
(Prov 18, 21)., nel colloquio assolutamente proibiamo ogni scurrilità e le
parole inutili e quelle che muovono al riso (RsB 6, 8); e a voi che andate ai
vostri giacigli, se qualcuno ha detto qualche cosa di sciocco, ordiniamo di
recitare con umiltà e devozione sincera la Preghiera del Signore.
PERCHÉ QUELLI STANCHI NON SI ALZINO PER IL MATTUTINO.
Capitolo XVIII.
Non vogliamo che i Militi affaticati si alzino come è richiesto a voi per il
Mattutino, ma, con il consenso del Maestro o di colui a cui fu dato incarico dal
Maestro, che riposino e così cantino le tredici orazioni stabilite, affinché il
pensiero si accordi alla loro voce (RsB, 19, 7), come dice il profeta:
Psallite Domino sapienter
[20]
(Sal 47, 8); e quello:
In conspectu Angelorumpsallam tibi
[21] (Sal 138, 1; RsB 19, 4-5): noi tutti
approviamo. Questo poi deve sempre essere a discrezione del Maestro.
PERCHÉ VI SIA COMUNITÀ DI VITTO FRA I FRATELLI.
Capitolo XIX.
Si legge nella pagina divina:
Dividebatur singulis, prout cuique opus erat
[22] (At 4, 35) : non lo diciamo per
l’accettazione delle persone ma per il dovere di tenere in considerazione le
debolezze. Perché invero chi meno ha bisogno ringrazi Dio e non sia rattristato
chi invero umilmente ha bisogno per malattia, non sia oggetto di compassione, e
così tutti i membri saranno in pace. (RsB 34, 1-5) Questo poi proibiamo: a
nessuno sia lecito seguire una astinenza smodata, ma tutti mantengano
decisamente un tenore di vita comune.
DEL TIPO E DELLA QUALITÀ DELL’ABITO.
Capitolo XX.
Disponiamo che gli abiti siano sempre di uno stesso colore, ovvero che siano
bianchi o neri, o come si dice, di bigello. A tutti i Militi professi concediamo
abiti bianchi in inverno, e anche d’estate se è possibile, perché coloro che
hanno rinunciato ad una vita oscura, attraverso il colore chiaro e bianco
riconoscano di essersi riconciliati col loro creatore. Perché bianco, se non per
pura castità?. La castità è fermezza della mente, salute del corpo: se infatti
ciascun Milite non si sarà mantenuto puro, non potrà raggiungere la pace eterna,
né vedere Dio, come testimonia l’apostolo Paolo:
Pacem sectamini cum omnibus, et castimoniam, sine qua nemo videbit Dominum
[23] (Ebr. 12, 14). Ma perché l’abito
deve mancare di ogni arroganza e di ogni elemento superfluo, ordiniamo a tutti
di possedere solo ciò che serve per potere, in modo semplice, vestirsi e
svestirsi e mettersi i calzari e toglierseli.
L’addetto a questo compito eviti con grande attenzione di dare ai fratelli una
tonaca troppo lunga, o troppo corta, ma sia proporzionata a quelli che la
portano (RsB 55,8), secondo la dimensione di ciascuno. Coloro che ricevono
indumenti nuovi sempre restituiscano subito quelli vecchi, da riporre in una
camera, o dove il fratello responsabile ha stabilito, a favore degli scudieri,
dei collaboratori e talvolta per i poveri. (RsB 55,9)
Che i servi non abbiano abiti bianchi cioè le tonache.
Capitolo XXI.
Siamo molto contrari a ciò che avveniva un tempo nella casa di Dio e dei suoi
Militi del Tempio, senza discrezione e controllo del capitolo generale, e
prescriviamo che sia eliminato radicalmente come se fosse un vizio peculiare. Un
tempo infatti i servi e gli scudieri avevano degli abiti bianchi e da questo
derivavano danni gravi. Sorsero infatti, nelle regioni ultramontane, degli
pseudo fratelli, anche coniugati, e altri che affermavano di essere templari,
pur essendo del mondo. Questi fecero tante offese e arrecarono tanti danni
all’ordine militare e, perdendo ogni ritegno, causarono moltissimi scandali
anche gli altri collaboratori professi. Usino quindi abiti neri, ma se non si
possono trovarne di tale colore, usino quelli che si possono reperire nella zona
di residenza, o, comunque ciò che di più umile può essere equiparato a un solo
colore, ovvero il bigello (RsB 55,7).
Che solo i Militi professi abbiano abiti bianchi.
Capitolo XXII.
A nessuno quindi è stato concesso di portare le clamidi bianche o i pallii
bianchi, se non ai nominati Militi di Cristo.
Che si usino le pelli degli agnelli.
Capitolo XXIII.
Stabiliamo di comune accordo che nessun fratello professo abbia pelli, durante
l’inverno, o pellicce o qualsiasi cosa serva all’uso del corpo, anche come
coperte, se non di agnello o di ariete.
Siano divisi fra gli scudieri gli indumenti vecchi.
Capitolo XXIV.
Il Procuratore o il distributore di indumenti, con ogni attenzione, distribuisca
sempre quelli vecchi, con lealtà e giustizia, agli scudieri e ai collaboratori
ed eventualmente ai poveri.
Chi vuole le cose migliori ottenga le peggiori.
Capitolo XXV.
Se qualche fratello professo, perché lo reputa doveroso o per superbia, avrà
desiderato possedere le cose belle e di ottima qualità, per tale presunzione,
senza dubbio meriterà le più vili.
Quale quantità o qualità di abiti serva.
Capitolo XXVI.
Occorre rispettare la quantità e la larghezza degli abiti, secondo la grandezza
dei corpi: il dispensatore di abiti sia attento in questo.
IL DISTRIBUTORE DI INDUMENTI OSSERVI IN PRIMO LUOGO LA GIUSTIZIA.
Capitolo XXVII.
Il procuratore consideri con pari attenzione fraterna la lunghezza, come è stato
detto prima, perché l’occhio dei pettegoli o dei critici non si permetta di fare
osservazioni, e mediti umilmente su quanto Dio retribuirà tutti i
soprannominati. (RsB 55, 21-22).
Sull’inutilità dei capelli
Capitolo XXVIII.
È necessario che tutti i fratelli professi abbiano i capelli tagliati davanti e
dietro così regolarmente da potersi definire ordinati; e sia la medesima regola
osservata con rigore nella barba e nei baffi, perché’ non si manifesti
trascuratezza o motivo di ridicolo.
Delle punte e dei lacci.
Capitolo XXIX.
Per quanto riguarda punte[24]
e lacci la situazione è chiara e semplice: e, dal momento che tutti riconoscono
che questa è cosa deprecabile, la proibiamo. Non vogliamo affermare che non li
si usi, ma proprio che non li si possieda. Non permettiamo neppure agli altri
sergenti a tempo che abbiano punte, lacci e ogni eccesso di capigliatura ed una
lunghezza smisurata delle vesti, ma lo proibiamo decisamente. A coloro infatti
che servono il sommo Creatore si addice, all’interno, la purezza e, all’esterno,
lo stretto necessario, come testimonia colui che dice:
Estote mundi, Is. 1, 16),
quia ego mundus sum. (Gb 33, 9).[25].
Il numero dei cavalli e degli scudieri.
Capitolo XXX.
A ciascuno dei vostri Militi sia lecito avere tre cavalli, perché la casa di Dio
e l’estrema povertà del Tempio di Salomone non permette di averne in maggior
numero, se non col permesso del Maestro.
NESSUNO DEGLI SCUDIERI ABBIA UN SERVO GRATIS.
Capitolo XXXI.
Per la stessa ragione concediamo un solo scudiero a ciascun milite, ma poiché
quell’scudiero, a qualche milite, è concesso per grazia e per benevolenza, non
gli sia lecito frustarlo o percuoterlo per una qualunque colpa. (RsB 70).
Quali cose siano concesse a coloro che prestano servizio temporaneamente.
Capitolo XXXII.
Per tutti i Militi che, con sincera disposizione, desiderano servire Gesù Cristo
temporaneamente, comandiamo di comprare cavalli adatti a tale uso quotidiano ed
armi e tutto quello che sarà necessario. Inoltre, in verità, da entrambe le
parti si abbia cura nel conservare tali beni e giudichiamo anche utile che ai
cavalli sia attribuito un valore in denaro. Si registri quindi un prezzo per
scritto, perché non cada nell’oblio. E tutto quello che è proprio del soldato e
dei cavalli o sarà necessario allo scudiero, agli accessori e ai ferri dei
cavalli, secondo la ricchezza della casa
[26], sia comprato dalla casa stessa,
con fraterna carità. Se poi nel frattempo un milite, per qualche evento
particolare, avrà perduto i suoi cavalli nel corso del suo servizio militare, il
Maestro e la autonomia della casa esigono che se ne comprino degli altri.
Arrivato il tempo del rimpatrio, lo stesso soldato conceda per amore divino la
metà del prezzo e riceva l’altra metà, se gli è gradito, della comunità dei
fratelli.
CHE NESSUNO AGISCA SECONDO LA PROPRIA VOLONTÀ.
Capitolo XXXIII.
Ciò conviene ai Militi, che non hanno nulla più a cuore di Cristo, che
mantengano incessantemente l’obbedienza al Maestro, per coerenza con il servizio
al quale hanno fatto professione, come promisero, sia per la gloria della somma
beatitudine, che per timore dell’inferno. Devono mantenerla in modo tale che,
non appena qualcosa sia stata ordinata loro dal Maestro, o da quello a cui il
Maestro ha dato mandato, non conoscano indugio nell’eseguirlo, senza esitazioni,
e come se fosse ordinato da Dio. In merito a Ciò si dice in verità:
Ob auditu auris obediuit mihi
[27] (Sal 18, 45; RsB 5, 2-5)
Se è lecito andare per la città senza ordine del Maestro.
Capitolo XXXIV.
Ordiniamo dunque con fermezza ai Militi che hanno abbandonato il proprio volere
e agli altri che servono a termine che non ardiscano di andare nella città senza
il permesso del Maestro, o di colui a cui sia stato affidato questo potere,
salvo che durante la notte al Sepolcro e alle stazioni di guardia che sono
contenute entro le mura della Città Santa.
Se è lecito passeggiare in solitudine.
Capitolo XXXV.
Coloro che si spostano non devono mettersi in cammino senza un custode, ovvero
un milite o un fratello professo, né di giorno né di notte. Una volta che essi
si sia stati accolti nell’esercito, nessun soldato o scudiero o servo si rechi
negli alloggi di altri Militi, per vedere o parlare con qualcuno, senza ordine,
come è stato detto prima. Sosteniamo, a ragione, che in una casa come la nostra,
regolata da Dio, nessuno può agire o riposare secondo il proprio volere, ma si
muova secondo l’ordine del Maestro: per imitare il detto divino, ove si afferma:
Non veni facere voluntatem meam, sed eius qui me misit
[28] (Lc 2, 49)
Che nessuno chieda espressamente ciò che gli sarà necessario.
Capitolo XXXVI.
Comandiamo che si introduca, in modo particolare, anche questa consuetudine e
che la si tenga in somma considerazione, a causa del vizio di continuare a
chiedere. Nessun fratello professo, dunque deve richiedere espressamente e in
modo specifico un cavallo o di cavalcare o le armi. Perché, se in verità il suo
stato di malessere o la debolezza dei suoi cavalli, o la pesantezza delle sue
armi è riconosciuta tale da essere, nell’avanzare, un danno per tutti, venga di
fronte al Maestro o a colui che ne ha l’incarico dopo il Maestro, e gli dimostri
la ragione con limpida e autentica sincerità. In questo modo, infatti, la cosa
sarà affidata alla valutazione del Maestro, o dopo di lui, del Procuratore.
Briglie e speroni.
Capitolo XXXVII.
Non vogliamo assolutamente che oro e argento, che sono manifestazione di
ricchezza, appaiano nelle briglie e nei pettorali, né negli speroni o nella
selleria., né sia lecito acquistarli ad alcun fratello professo. Se poi queste
attrezzature saranno state donate usate, per generosità, si tratti l’oro o
l’argento in modo tale che il colore brillante o la decorazione agli altri non
appaia come superbia. Se saranno donati nuovi il Maestro faccia di tali oggetti
ciò che avrà voluto.
Non sia posta una copertura sulle aste e sugli scudi.
Capitolo XXXVIII.
Non si tenga poi copertura sugli scudi e sulle aste e i foderi sulle lance,
perché questo non è utile, anzi a tutti noi appare come un danno.
La libertà del Maestro.
Capitolo XXXIX.
È lecito al Maestro dare cavalli o armi a qualcuno o qualsivoglia cosa a
chiunque.
La borsa e il sacco.
Capitolo XL.
Non siano concessi sacco e borsa con chiusura[29]:
devono essere accessibili, in modo tale da non contenere cose non concesse dal
Maestro, o a colui al quale sono affidati, dopo di lui, gli affari della casa.
In questo presente capitolo non sono compresi i Procuratori e coloro che si
trovano nelle diverse Province, nè si ravvisa lo stesso Maestro.
LA TRASMISSIONE DELLE LETTERE.
Capitolo XLI.
Non è lecito a nessuno (RsB 54, 1) dei fratelli ricevere o dare scritti di
propri parenti né di qualsiasi persona, né fra confratelli, senza il consenso
del Maestro o del Procuratore. Dopo che il fratello avrà avuto il permesso,
siano lette, se egli lo riterrà, in presenza del Maestro. Se poi qualcosa gli
sia stato indirizzato dai genitori, non presuma di prenderlo (RsB 54,2) prima
che gli sia stata data indicazione dal Maestro. In questo capitolo non sono
contemplati il Maestro né i Procuratori della casa.
LA CONFESSIONE DELLE PROPRIE COLPE.
Capitolo XLII.
Poiché si sa che ogni parola superflua genera peccato (Mt 12, 36), come dovranno
esprimersi quelli che rivelano le proprie colpe davanti al giudice designato? Lo
rivela con sicurezza il profeta[30].
Se talvolta si deve astenersi dalle buone espressioni per il silenzio in sé,
quanto più ci si deve tenere lontani dalle cattive parole, per l’espiazione del
peccato[31]
(Br 6,2). Vietiamo e ci esprimiamo con forza dunque contro il fatto che qualche
fratello professo, abbia il coraggio di far esplicita menzione con un
confratello, o con qualche altro, delle stoltezze, per essere chiari, che ha
compiuto in modo grave nel mondo, durante il periodo della milizia, anche per il
diletto della carne di donne disgraziate, o su simile argomento. Se per caso
qualcuno abbia udito qualcuno che riferisce tali cose, lo faccia tacere, o
quanto prima[32]
potrà se ne vada con il piede veloce dell’obbedienza (RsB 5,8) e non offra
l’orecchio del cuore ad un venditore di favole.
La questua e la raccolta.
Capitolo XLIII.
Se qualche cosa, in verità, sarà stata data a qualche fratello gratis, non
richiesta, la dia al Maestro o al Vivandiere. Se poi l’altro suo amico o parente
non avrà voluto dare, se non per il suo uso personale, non lo prenda, se non ha
il permesso dal suo Maestro. E non si rammarichi, quello a cui era stata
destinata la cosa, se viene data ad un altro: anzi sappia per certo che se per
questo si lascia prendere dall’ira agisce contro Dio. Nella predetta regola non
sono contemplati gli Amministratori, ai quali è concesso in modo particolare
questo compito e ai quali sono concessi borsa e sacco [chiusi].
Delle sacche per il cibo dei cavalli.
Capitolo XLIV.
È importante per tutti questo precetto, da noi stabilito, al quale non si
consente di fare eccezione. Nessun fratello pensi di fare sacche per il cibo dei
cavalli fatte principalmente di lino o di lana; non se ne deve possedere alcuna,
se non di tela di sacco.
Nessuno osi cambiare o richiedere.
Capitolo XLV.
Occorre ancora che nessuno cerchi di cambiare le sue cose, fratello con
fratello, senza il permesso del suo Maestro, o pretendere qualcosa, se non da
fratello a fratello, ma sia una cosa piccola, di poco conto, non importante.
Che nessuno catturi un uccello con un altro uccello e non stia con QUALCUNO CHE
LO FA.
Capitolo XLVI.
Riteniamo giusto che nessuno catturi un uccello con un uccello: non conviene
infatti alla condotta religiosa partecipare a divertimenti mondani, (RsB
4,55-57) ma ascoltare con gioia i precetti del Signore, dedicarsi frequentemente
alla preghiera, confessare ogni giorno a Dio i propri peccati con lacrime o
gemiti. Nessun fratello professo creda di poter andare, a questo scopo, con chi
fa tali cose, con uno sparviero, o con un altro uccello.
Nessuno colpisca con l’arco e la balestra.
Capitolo XLVII.
Poiché conviene alla vita religiosa andare in semplicità ed umiltà, senza
risate, e non pronunziare molte parole, ma solo ragionevoli e specialmente non
con voce urlata, (RsB 7,60), ordiniamo e imponiamo ad ogni fratello professo di
non avere l’audacia di tirare d’arco o di balestra nella selva, né che stia con
chi agisce così, se non per proteggerlo da un pagano malintenzionato: né osi
urlare con un cane o schiamazzare, né pungolare il suo cavallo per il desiderio
di catturare la fiera.
Il leone sia sempre colpito.
Capitolo XLVIII.
È certo infatti come a voi è stato sempre raccomandato) ed è doveroso, che
mettiate la vostra anima al servizio dei vostri fratelli e cancelliate dalla
terra gli infedeli che minacciano sempre il Figlio della Vergine. Questo ve lo
raccomandiamo per quanto riguarda Leone, perché esso si aggira cercando qualcuno
da divorare
[33] (1 Pt 5,8), e il suo artiglio è contro
tutti, ma le mani di tutti devono essere contro di lui
[34] (Gen 16,12).
Ascoltate il giudizio relativo ad ogni cosa chiesta su di voi.
Capitolo XLIX.
Sappiamo che i persecutori della Santa Chiesa sono moltissimi e si affannano a
tormentare crudelmente quelli che non amano la lite. Questa è l’opinione del
Concilio, che si dedichi sempre serena attenzione, in modo tale che, se qualcuno
nelle zone sante dell’Oriente o in qualsiasi altro luogo avrà fatto un’inchiesta
su di voi, vi prescriviamo, per amore della fede e della verità, che ascoltiate
chi giudica e vi ordiniamo di fare senza esitazione quello che sarà ritenuto
giusto.
Che questa regola sia mantenuta in tutte le situazioni.
Capitolo L.
Vi ordiniamo con fermezza questa stessa regola sia ragionevolmente conservata
anche quando vi è stato tolto ingiustamente tutto.
È lecito ai Militi professi avere terra e uomini.
Capitolo LI.
Questo nuovo tipo di pratica religiosa ha preso inizio da voi, nei luoghi santi,
per opera della divina Provvidenza, così almeno crediamo, per unire la milizia
alla religione e perché così la religione proceda armata attraverso la milizia e
ferisca il nemico senza colpa[35].
A buon diritto riteniamo giusto dunque, quando siete chiamati Militi templari,
che voi stessi per un insigne merito e in uno speciale dono di bontà abbiate la
terra e gli uomini e possediate contadini e giustamente pretendiate da loro e
che debba essere versato a voi particolarmente il debito stabilito.[36]
PERCHÉ QUELLI CHE STANNO MALE RICEVANO UN’ATTENZIONE MOLTO ACCURATA.
Capitolo LII.
Si deve avere una cura attenta, oltre ogni limite, per i fratelli che stanno
male (RsB 36,1) e si deve accudirli come se fossero Cristo, come riconobbe quel
passo evangelico
Infirmus fui, et visitasti me
[37] (Mt 25,36)).
Essi infatti devono essere sopportati con attenzione e pazienza perché su di
loro si acquisisca una sicura ricompensa eterna.
Si diano ai malati le cose necessarie.
Capitolo LIII.
Prescriviamo a coloro che curano i malati che diano loro, con ogni attenzione e
cura, tutte le cose che sono necessarie a sostenere i diversi stati di malattia,
con cura e diligenza, in base alle possibilità della Casa: intendiamo parlare di
carne, volatili e tutte le altre cose, fino a che saranno riportati in salute.
Perché non ci si provochi vicendevolmente all’ira.
Capitolo LIV.
Occorre avere non poca attenzione a non provocarsi reciprocamente all’ira,
perché l’altissima dolcezza della vita comune e della divina fratellanza ha
messo insieme
tanto i poveri quanto i potenti.
Come devono essere considerati i fratelli sposati.
Capitolo LV.
Permettiamo di tenere con voi i fratelli sposati con questo criterio: poiché
chiedano il beneficio e la partecipazione alla vostra fraternità, dopo la loro
morte concedano sia la propria ricchezza, che Ciò di cui si sono ulteriormente
arricchiti, ai beni del capitolo e frattanto vivano una vita austera, cercando
di far bene ai fratelli, ma non indossino la veste candida e la clamide bianca[38].
Se poi il marito morirà prima, lasci la sua parte ai confratelli e la sposa
abbia il sostentamento dell’altra metà. Consideriamo infatti ingiusto che quelli
in questa condizione vivano in un’unica casa, coi fratelli che hanno promesso
castità a Dio.
Che le sorelle non vivano più con i maschi.
Capitolo LVI.
È pericoloso che le sorelle vivano ancora nello stesso ambiente, perché da
sempre l’antico nemico allontana molti dal retto cammino del Paradiso con la
frequentazione femminile. E così carissimi fratelli, perché il fiore della
purezza appaia sempre fra voi, non è lecito, d’ora in poi, mettere in pratica
questa consuetudine.[39]
CHE I FRATELLI TEMPLARI NON FREQUENTINO UNO SCOMUNICATO.
Capitolo LVII.
Da questo devono guardarsi e questo devono temere i fratelli: nessuno creda di
potersi unire con chi è notoriamente scomunicato (RsB 26,1) e di frequentarlo
pubblicamente, in qualsiasi modo, o di impadronirsi dei suoi beni; per non
incorrere in un’analoga scomunica!
Se poi è stato solo interdetto, non sarà illecito ricevere la sua roba per
carità.
COME VENGONO ACCOLTI I MILITI SECOLARI.
Capitolo LVIII.
Se qualche milite dalla massa della perdizione (RsB 60,1) o qualche altro uomo
del secolo, volendo rinunciare al mondo, vuole scegliere la vostra comunità e la
vostra vita, non si dia immediato consenso: ma come è detto in Paolo
Probate spiritus, si ex Deo sunt (1 Gv 4,1), si conceda l’ingresso
in questa forma (RsB 58,1-3). Si legga la Regola in sua presenza (RsB 58,9) e se
avrà ottemperato con cura ai precetti della Regola esposta, allora, se piacerà
al Maestro e ai suoi fratelli accoglierlo, convocati i fratelli, riveli a tutti
il suo desiderio ed esponga la sua richiesta a tutti con pienezza di spirito. In
seguito, il termine dell’approvazione dipenda totalmente dalla decisione e dalla
valutazione del Maestro, in base all’onestà della vita del richiedente.
COME NON TUTTI I FRATELLI DEVONO ESSERE CHIAMATI AL CONCILIO SEGRETO.
Capitolo LIX.
Non dobbiamo convocare sempre tutti i fratelli al Concilio (RsB 3,3), ma solo
quelli che il Maestro, con saggezza, riconoscere come idonei ed adatti. Quando
poi vorrà trattare di cose di maggiore importanza, come cedere una terra della
comunità, o discutere dell’Ordine stesso o accogliere un fratello, allora il
Maestro, se a lui piace, può convocare tutta la congregazione (RsB 3,1): sentita
la decisione del capitolo comune, si faccia quello che il Maestro avrà ritenuto
più valido e utile (RsB 3,2).
PERCHÉ DEBBANO PREGARE IN SILENZIO.
Capitolo LX.
Per decisione comune esortiamo tutti i fratelli a pregare, secondo quanto
richiede il desiderio dell’animo o del corpo, stando in piedi o seduti, ma con
la massima devozione (RsB 52,4), semplicemente, ed in silenzio, perché l’uno non
disturbi l’altro.
Come ricevere la professione di fede dei sergenti.
Capitolo LXI.
Abbiamo infatti saputo che numerosi sergenti e scudieri, da diverse province,
con cuore infiammato per la salvezza delle anime, hanno deciso di rimanere nella
vostra dimora per un tempo determinato. È utile allora che consideriate la loro
lealtà: perché non capiti per caso che l’antico nemico faccia loro compiere
qualcosa di nascosto o immorale, o li distolga violentemente dal loro buon
proposito, durante il sevizio Divino.
PERCHÉ I FANCIULLI, FINCHÈ SONO PICCOLI, NON VENGANO ACCOLTI FRA I
FRATELLI DEL TEMPIO.
Capitolo LXII.
Sebbene la regola dei Santi Padri permetta di avere dei fanciulli nella
congregazione (RsB 32), noi vi esortiamo a non farvi carico di ciò.
Chi avrà deciso di introdurre un figlio o un parente nell’Ordine militare, in
modo corretto, lo nutra sino agli anni nei quali la sua mano armata possa
virilmente cancellare i nemici di Cristo dalla Terra Santa. Poi, secondo la
regola, il padre o i genitori lo portino in mezzo ai fratelli o rendano nota a
tutti la sua richiesta (RsB 59,1): è meglio non consacrarlo da fanciullo
piuttosto che, fatto uomo, allontanarlo in modo clamoroso.
I VECCHI SIANO SEMPRE VENERATI.
Capitolo LXIII.
Occorre sostenere e onorare con sollecitudine i vecchi, in considerazione della
debolezza delle loro forze: e nondimeno siano considerati con attenzione in
quelle cose che sono necessarie al corpo, fatta sempre salva l’autorità della
regola (RsB 37).
DEI FRATELLI CHE PARTONO PER LE VARIE PROVINCE.
Capitolo LXIV.
I fratelli che si dirigono nelle varie Province (RsB 1,10) cerchino di osservare
la Regola, per quanto le forze lo permettano, nel cibo e nelle bevande, e per le
altre cose, e vivano in maniera irreprensibile, sì che
ab his, qui foris sunt, bonum testimonium habeant (1 Tim 3,7) .
Non tradiscano la loro professione religiosa né con parole né con azioni, ma
offrano, a tutti coloro con cui si accompagnano, un esempio di saggezza e di
comportamento corretto e di amabilità. Goda di un’ottima fama colui presso il
quale hanno deciso di essere ospitati, e se è possibile che la casa dell’ospite
in quella notte [non] sia priva di luce, bisogna evitare che un nemico nascosto
compia un attacco approfittando della situazione. Non appena avranno sentito che
Militi non scomunicati si radunano in un certo luogo là si rechino, lo diciamo
non tanto in considerazione del vantaggio fisico, quanto per la salvezza delle
loro anime. Per quanto riguarda quei fratelli che si sono diretti oltremare per
condividere il viaggio, disponiamo che essi possano essere accolti nell’Ordine,
nel caso in cui avessero deciso di unirsi alla nostra missione, a queste
condizioni: ci si presenti congiuntamente al Vescovo di quella determinata
provincia e il presule ascolti la volontà del richiedente. Sentita la richiesta,
il fratello mandi il richiedente dal Maestro e dai fratelli che sono nel tempio
che si trova in Gerusalemme. E se la vita di costui è onesta e degna di
partecipare, sia accolto con misericordia, se Ciò sembra bene al Maestro e ai
fratelli. E nel frattempo, se gli eventi lo richiedessero, si condividano con
lui la grazia e la fraternità dei Poveri Compagni di Cristo, nel lavoro e nella
fatica, come se si fosse già uno dei fratelli.
Il vitto sia distribuito in maniera uguale per tutti.
Capitolo LXV.
Stabiliamo anche che sia fatto e ragionevolmente assicurato quanto segue: che a
tutti i fratelli professi il vitto sia distribuito in modo uguale, secondo la
disponibilità locale; non tanto in base dei principi di accoglienza, quanto in
considerazione dello stato di debolezza.
I templari abbiano le decime.
Capitolo LXVI.
A parte le altre fonti di ricchezza, riteniamo che voi siate soggetti ad una
povertà liberamente scelta, per cui abbiamo dimostrato che, come comunità, vi
spettano giustamente le decime
[40]. Se il Vescovo a cui per diritto è
concessa la decima, la avrà voluta concedere a voi per amore di carità, con
l’assenso del capitolo, vi dovrà dare quelle decime che spettano alla Chiesa. Se
poi un laico trattiene illecitamente la decima del suo patrimonio e, colto da
rimorso, deciderà di darle a voi, lo può fare col solo consenso di chi se ne sta
occupando, senza il consenso del capitolo.
COLPE LIEVI E GRAVI.
Capitolo LXVII.
Se qualche fratello parlando o combattendo o in altre occasioni avrà commesso un
lieve peccato, riveli al Maestro, dando spontanea soddisfazione al suo errore.
Circa i peccati lievi, se non sono abituali, riceva una penitenza leggera. Se
poi, in assenza di una sua confessione, una colpa venga conosciuta attraverso
un’altra persona, sia sottoposto a un provvedimento e ad una penitenza più
grande e più evidente (RsB 46,1-4). Se il delitto sarà grave (RsB 44), sia
separato dai fratelli, non sieda a mensa con loro, ma mangi solo e si sottoponga
in tutto al giudizio e alle decisioni del Maestro, perché sia salvo il giorno
del giudizio.
PER QUALE COLPA UN FRATELLO NON SIA PIÙ RACCOLTO NELLA COMUNITÀ.
Capitolo LXVIII.
Bisogna assicurare anzitutto che nessun fratello, influente o umile, forte o
debole, volendosi esaltare ed insuperbire, e difendere la sua colpa, rifiuti la
disciplina; ma se non avrà voluto correggersi, gli sia dia una punizione più
rigida (RsB 28, 1-2). Se poi, attraverso pie esortazioni e avendo pregato per
lui (RsB Cap. 27) non avrà voluto correggersi ma si sarà insuperbito sempre di
più, allora secondo l’Apostolo sia allontanato dal gregge dei buoni.
Auferte malum ex vobis (1 Cor 5,13), poiché è necessario che dalla
società dei fratelli fedeli ogni pecora moribonda sia allontanata. Del resto è
il Maestro che deve tenere in mano un bastone e una verga. Il bastone con cui
sostenere le forze fiacche degli altri, la verga poi con cui colpire con zelo di
rettitudine i vizi di quelli che peccano; cerchi di fare Ciò con il consiglio
del Patriarca e la considerazione spirituale, come dice il beato Massimo,
aut solutior lenitas cohibentiam peccantis, aut immoderata severitas à lapsu non
revocet delinquentem
[41].
Come dalla solennità di Pasqua sino alla festa di tutti i Santi
si debba
prendere una camicia di lino soltanto.
Capitolo LXIX.
Frattanto, poiché giudichiamo con misericordia l’eccessiva calura della regione
orientale, dalla festa di Pasqua sino a quella di Tutti i Santi, sia concessa, a
chi la vuole usare, una sola camicia di lino, non perché dovuta, ma per pura
generosità. In altri periodi poi abbia genericamente tutte camicie di lana.
QUANTI E QUALI PANNI SIANO NECESSARI NEL LETTO.
Capitolo LXX.
Disponiamo, con comune decisione, che il dormitorio abbia singoli letti, se non
per una estrema necessità o un evento straordinario. Ciascuno riceva la
biancheria da letto, distribuita dal Maestro con moderazione.
(RsB 22, 1-2; 55) Crediamo che un materasso, un guanciale e una coperta siano
sufficienti per ciascuno. In mancanza di ciò potrà avere una stuoia e, in ogni
tempo, gli sarà lecito usufruire di una copertura di lino o tessuto felpato. Per
quanto riguarda gli indumenti dormano sempre con le camicie e sempre con la
cintura. (RsB 22, 5). E così, ai fratelli che dormono sino al mattino non manchi
mai la luce (RsB 22, 4)
[42].
SI DEVE EVITARE LA MALDICENZA.
Capitolo LXXI.
Vi esortiamo ad evitare, per ammonizione divina, le rivalità invidiose, il
rancore, il pettegolezzo, la maldicenza, le denigrazioni e di metterle in fuga
come una pestilenza. Ciascuno si dia dunque da fare con animo attento, di non
incolpare o di riprendere pubblicamente il proprio fratello, ma rifletta dentro
di sè secondo la volontà dell’Apostolo
[43],
ne sis criminator, ne susurro in populo
[44].
(Lev 19, 16). Quando poi avrà saputo con chiarezza che un fratello ha commesso
qualche peccato, lo rimproveri da solo in segreto, con serenità e fraterna
pietà, secondo l’insegnamento divino (RsB 23,2). E se non presterà ascolto,
subentri un altro fratello: ma se avrà disprezzato le parole di entrambi, allora
sia portato in pubblico, davanti a tutti (RsB 23,3). Sono infatti persone di
grande cecità quelle che si sottraggono agli altri e sono molto infelici quelli
che non si astengono dal rancore, poiché saranno travolti dall’antica malvagità
del perverso Nemico.
Si fuggano i baci di tutte le donne.
Capitolo LXXII.
Crediamo che sia pericoloso per ogni religioso, essere troppo attratti dal volto
delle donne e perciò un frate non si azzardi a baciare né una vedova, né una
vergine, né la madre, la sorella, un’amica o qualsiasi altra donna. La milizia
di Cristo fugga quindi i baci femminili per i quali gli uomini spesso sogliono
correre pericoli, perché con un animo puro ed una vita salda possa perennemente
presentarsi al cospetto di Dio.
FINE
[45]
Si conclude così la regola degli antichi cavalieri templari, dei quali considera
le nostre origini equestri, rese note in latino e in gallico.
[1]
La frase tende a convincere gli uditori dell’opportunità che si offre ai
Templari, nel lasciarsi attrarre dall’ambito franco.
[2]
Qualcosa fu dunque nascosto e taciuto, per non rivelare con chiarezza
problemi e situazioni di crisi dell’Ordine.
[3]
L’Ordine è ormai cosa nota e non può restare nell’umile ombra del
servizio al prossimo.
[4]
Si ribadisce, al di là delle perplessità ufficiali di alcuni storici, il
ruolo determinante di san Bernardo.
[5]
Probabile inesattezza grafica: leggasi Remensis.
[6]
Variante
Ego principium, qui eloquor vobis Gv 8,25.
[7]
Risulta difficoltosa la traduzione del passo,
Iste vero Magister Hugo cum istis discipulis modum, et observantiam
exiguae inchoationis sui Militaris Ordinis, qui ab illo, qui dicit : EGO
PRINCIPIUM, QUI ET LOQUOR VOBIS, sumpsit exordium: iuxta memoriae suae
notitiam supra nominatis Patribus intimans
dove l’accusativo di
modum et observantiam
non risulta retto da un verbo, se non il
sumpsit,
peraltro connesso ad
exordium.
[8]
Si veda l’analoga considerazione al punto precedente.
[9]
Il testo si attiene ad un duplice riferimento: la Regola di san
Benedetto, che può essere considerata la regola monastica madre di tutte
le altre, e, in modo più specifico, alle regole praticate negli ambiti
monastici della Città Santa in quei tempi.
[10]
Varie traduzioni interpretano le Orationes Dominicae come Paternoster.
In realtà l’espressione “Orationes Dominicae” viene usata sia nel titolo
che nel testo. Sembra improbabile che nel titolo abbia significato di
Ufficio Divino complessivo e poi, nel testo, assuma quello di “Padre
Nostro”. Uso perciò l’espressione Preghiere Domenicali senza altri
chiarimenti, lasciando ad altra sede una migliore definizione,
suggerendo invece di confrontare con la Regola di san Benedetto, capo
VIII e successivi, con i relativi termini utilizzati.
[11]
II testo latino chiama Milites,
Militi, gli appartenenti all’apparato militare. Le varie traduzioni
disponibili usano la parola cavaliere o soldato. In realtà cavaliere
contiene un significato diverso e soldato lascia trasparire la sua
etimologia (assoldato) e la sua valenza guerresca. Per questo motivo si
userà la parola italiana milite.
[12]
“Io riceverò il calice della salvezza e imiterò la morte di Dio nella
mia morte”.
[13]
“Mangia
il tuo pane in silenzio”.
[14]
“Ho
posto una sentinella alla mia bocca”.
[15]
“Ho
deciso di non peccar”.
[16]
“Tenni
la mia bocca chiusa per non parlare male”.
[17]
In die martis: forse in un
giorno di combattimento?
[18]
Il detto è attribuito a Salomone: “il vino conduce all’apostasia anche i
sapienti”.
[19]
“La morte e la vita sono nelle mani della lingua”.
[20]
“Cantate con sapienza al Signore”.
[21]
“Al cospetto degli angeli io ti suonerò la cetra”.
[22]
“Si divideva fra tutti secondo la necessità di ciascuno”.
[23]
“Cercate la pace con tutti e la castità, senza la quale nessuno vedrà
Dio”.
[24]
Si intende, probabilmente, scarpe appuntite o, più generalmente,
borchie.
[25]
“Siate puri, perché io sono puro”.
[26]
Intendesi la residenza o mansione o altro insediamento a cui è assegnato
il milite temporaneo.
[27]
“Mi ubbidiscono come le loro orecchie ascoltano”.
[28]
“Non sono venuto per fare la mia volontà, ma quella di colui che mi ha
mandato”.
[29]
II termine mala non è usato
in latino classico. Le traduzioni correnti (vedere J. V. Molle - I
Templari: la Regola e li Statuti dell’Ordine - Ed. Ecig - 1994) usano
termini affini a baule. Si rammenti che la parola latina richiama il
concetto di mascella, ovvero, probabilmente, di ciò che si chiude con
snodo a cerniera.
[30]
Obmutui et silui
a bonis" (Sal 39, 3).
[31]
Il testo latino, al quale si fa riferimento, è errato: scrive
peccato anziché’
peccati.
[32]
Il testo latino riporta un improbabile
quantocius.
[33]
“ipse circuit
quarens quem devoret”.
[34]
“manus eius
contra omnes omniumque manus contra eum”.
[35]
E’ chiara la connessione con il
De laude novae Militiae.
[36]
Difficile conciliare questa affermazione, che appare posteriore, con il
voto di povertà. È solo possibile supporre che il diritto di possedere
terre e uomini si riferisca all’Ordine nel suo complesso, anche in
presenza di un’espressione, vos
ipsos, che sembra riferirsi alla singola persona.
[37]
“Sono stato ammalato e mi avete assistito”.
[38]
Questa norma provoca una certa sorpresa ed appare difficilmente
conciliabile con la precedente norma Cap. XX e successivi sul colore
delle vesti, che parlava di castità, virtù non necessariamente connessa
con il celibato né con l’astinenza dai rapporti sessuali leciti. Il
Capitolo presente rivela la sua introduzione successiva.
[39]
Era dunque consuetudine.
[40]
La duplice possibilità’ di essere esentati dal pagare le decime
all’autorità ecclesiastica e, anzi, di riceverle sarà definita dalle due
bolle, Milites Templi, del
1144 e Militia Dei, del 1145,
che consentono formalmente Ciò che, in questa regola, era lasciato alla
discrezione delle autorità religiose locali.
[41]
“O la leggerezza più lieve non tolga la saldezza di colui che pecca o la
smoderata severità non distolga dall’errore chi pecca” (S. Maximi ep.
Taurinensis Homil. 107).
[42]
“Candela iugiter in eadem cella
ardeat usque ad mane” (RsB 22, 4).
[43]
In realtà si riferisce a Mosè.
[44]
“Perché non vi sia chi vi accusi, neppure con un sussurro fra la gente”.
[45]
Fine, secondo la versione Mennenio, ma con postilla, qui di seguito
riportata, secondo la versione della
Sacrorum Conciliorum Collectio.
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