Regola di san Benedetto

Capitolo XLIX - La quaresima dei monaci: 1. Anche se è vero che la vita del monaco deve avere sempre un carattere quaresimale, 2. visto che questa virtù è soltanto di pochi, insistiamo particolarmente perché almeno durante la Quaresima ognuno vigili con gran fervore sulla purezza della propria vita, 3. profittando di quei santi giorni per cancellare tutte le negligenze degli altri periodi dell'anno... 5. Perciò durante la Quaresima aggiungiamo un supplemento al dovere ordinario del nostro servizio, come, per es., preghiere particolari, astinenza nel mangiare o nel bere, 6. in modo che ognuno di noi possa di propria iniziativa offrire a Dio "con la gioia dello Spirito Santo" qualche cosa di più di quanto deve già per la sua professione di fede; 7. si privi cioè di un po' di cibo, di vino o di sonno, mortifichi la propria inclinazione alle chiacchiere e allo scherzo e attenda la santa Pasqua con l'animo fremente di gioioso desiderio.


 

CON MARIA IN CAMMINO

VERSO LA SANTA PASQUA

Anna Maria Canopi, O.S.B.

 Estratto da "Nel «» di Maria. Una lettura spirituale della Regola di Benedetto", di , Ed. Paoline 2017


 

Regola di san Benedetto, Capitolo 49

In questi santi giorni, ciascuno spontaneamente,

 nella gioia dello Spirito Santo, offra a Dio

qualcosa di più e così attenda la santa Pasqua

 nella gioia del più intenso desiderio spirituale.

(RB, cap. 49,vv. 3.6-7)

 

In questo capitolo, che è in certo modo rappresentativo dell’intera vita monastica, la silenziosa presenza di Maria è quanto mai forte. La sua esistenza terrena, infatti, fu tutta segnata dalla profezia di Simeone: « Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione - e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 2,34-35). Nelle nostre quotidiane fatiche o quando accade qualche evento più doloroso dobbiamo imparare a riconoscere quella « spada » che trafigge il cuore, ma per una ferita di salvezza.

San Benedetto, dicendoci che tutta la vita dovrebbe essere improntata all’austerità quaresimale, ci ricorda il valore sacrificale della sofferenza e il valore di offerta della vita cristiana. Grande però è la fragilità umana e siamo inclini a disperderci, ad abbassare il livello dell’impegno. Ecco, allora, la necessità - e la grazia - di tempi più forti, per «riprendersi in mano» e vivere con più intensità la nostra vocazione - qualunque essa sia - camminando con più lena verso la meta, non solo della Pasqua liturgica, ma della pasqua eterna.

San Benedetto riconosce, dunque, alla Quaresima una particolare importanza per la vita spirituale del monaco. Ne tiene conto nel determinare l’orario della comunità e dispone le attività in modo tale che in questo periodo ci sia una maggiore possibilità di attendere alla lectio divina, allo studio, alla preghiera, ossia al lavoro interiore (cfr. cap. 48).

Già questo ci fa comprendere che vivere bene la Quaresima non significa vivere con tristezza e volto scuro, ma in purità di cuore, in compunzione ed espiazione, quale cammino verso la pasqua della vita eterna, verso la pienezza della felicità, verso la gioia.

Possiamo dunque chiederci in che cosa consiste per noi tale ascesi «ordinaria». Vi sono numerosi aspetti ascetici, sentiti diversamente da ciascuno a seconda delle proprie abitudini e della propria indole. A uno il Signore chiederà di sopportare il freddo, all’altro di sopportare il caldo, all’altro ancora una malattia o una particolare fragilità fisica o psicologica... Ognuno ha i propri punti deboli, le proprie ferite, o fatiche... Ciascuno deve convincersi che così com’è può quotidianamente partecipare ai «patimenti di Cristo» (Col 1,24), come dice san Benedetto nel Prologo; può fare di ogni aspetto sacrificale, penoso della sua esistenza quotidiana la partecipazione al mistero di Cristo; e questo per i fratelli, per la Chiesa, per l’intera umanità. Ecco di nuovo la dimensione mariana!

Fondamentalmente ciò che conferisce alla vita monastica - e più generalmente alla vita cristiana, là dove sia autenticamente vissuta - una impronta di austerità quaresimale è l’essere sempre in stato di esodo da noi stessi per armonizzarci con gli altri; superare gli egoismi e l’isolamento per vivere insieme.

Conoscendo la debolezza umana e la difficoltà che i più incontrano nel mantenere sempre vivo il fervore e lo zelo nella ricerca del meglio, san Benedetto esorta a riprendere vigore almeno nel periodo dell’anno che immediatamente prepara alla solenne celebrazione del mistero pasquale.

Dopo aver detto quale deve essere la disposizione d’animo con cui affrontare il cammino quaresimale, delinea qualche aspetto dell’osservanza e indica gli «esercizi» interiori ed esteriori ai quali il monaco in questo periodo dovrebbe dedicarsi con particolare cura e intensità.

Alle pratiche comunitarie è bene aggiungere pratiche individuali, spontanee, il cui frutto spirituale torna a vantaggio di tutta la comunità, della Chiesa e dell’intera famiglia umana: «Ciascuno spontaneamente, nella gioia dello Spirito Santo, offra a Dio qualcosa di più della misura che gli è imposta... e così attenda la santa Pasqua nella gioia del più intenso desiderio spirituale» (Cap. 49, vv. 6-7) [1].

La Quaresima del monaco, contrassegnata dall’ascesi e dalla gravità dello spirito meditativo, deve tuttavia essere animata dalla gioia e dalla carità, frutti dello Spirito Santo. È chiaro infatti che l’ascesi è in vista della mistica; l’aspetto penitenziale della vita monastica non è mai separabile dal suo fine. Non avrebbe senso praticare l’ascesi per l’ascesi, la penitenza per la penitenza, la privazione solo per la privazione...Tutto assume valore e significato dallo scopo per cui si fa, e lo scopo è sempre un bene più grande: la gioia del Signore, la partecipazione alla sua Pasqua, che è liberazione dal peccato e dalla morte.

Con gioia spirituale, dunque, il monaco offrirà spontaneamente qualcosa di più di quanto la Regola già gli chiede. La sua offerta, però, dovrà portare il sigillo dell’obbedienza. San Benedetto dispone che ciascuno sottoponga all’abate il proprio «programma » quaresimale per avere il permesso di attuarlo. Rimettersi, anche per questo spontaneo impegno, al giudizio discrezionale dell’abate può costituire già da sé un non facile esercizio ascetico di distacco, di spogliazione, di sincera umiltà.

L’abate prega sull’ascesi che il monaco si propone di fare e benedicendola gliela fa in certo modo diventare un sacrificio di soave odore, come le oblate che sono messe sull’altare e il sacerdote trasforma nel corpo e nel sangue di Cristo. Se uno si sottopone a questo discernimento diventa lui stesso un sacrificio a Dio, perché offre non soltanto qualcosa, ma se stesso, la propria volontà, il proprio intimo sentimento.

Tutto va compiuto con retta intenzione, con vera generosità; allora è culto in spirito e verità, ed esprime amore al Signore e ai fratelli. Solo l’abate ha il discernimento di vedere se il monaco cerca veramente il Signore; nell’ascesi, infatti, si insinua facilmente la tentazione dell’orgoglio che spinge alla ricerca di sé facendo sciupare le proprie energie, mettendole nel sacco del maligno anziché nel tesoro del regno dei cieli...

Gli aspetti ascetici che l’obbedienza può talvolta comportare fanno veramente crescere il monaco e sono di grande sostegno anche per gli altri. Come dice il Salmo 125 (126), dove si semina nel pianto, si raccoglie nella gioia: si raccoglie il frutto pasquale, che è pace e amore. Salendo la Via crucis con Maria, stando con lei presso la croce, proprio nel dolore si conosce anche la gioia della fecondità materna di una vita offerta.


 

[1] Questo testo di Enzo Bianchi è stato aggiunto dal redattore del sito.

 

ANDARE OLTRE LA MISURA INDICATA

Super mensuram.

Regola di san Benedetto, Cap. 49,6

Estratto da: "Al termine del giorno" di Enzo Bianchi - Ed. Qiqajon 2017

Fratelli e sorelle,

torniamo alla Regola, al capitolo 49, dove Benedetto norma la Quaresima. A un certo punto egli dà un consiglio, fa un’esortazione che resta sempre valida e che è molto importante nella vita di un monaco. Dice Benedetto: “Ciascuno offra a Dio qualcosa al di sopra della misura che gli è stata indicata, ma lo faccia liberamente, nella libertà e nella gioia dello Spirito santo (cf. 1 Ts 1,6)” (unusquisque super mensuram sibi indictam aliquid propria voluntate cum gaudio sancti Spiritus offerat Deo: RB 49,6).

Voi sapete quanto a me sia cara, ma perché è precisazione cristiana, la condizione della libertà e dell’amore. Qui Benedetto parla della libertà e della gioia che viene dallo Spirito, ma è sempre nella stessa ottica, nella stessa dinamica spirituale. Questa esortazione che Benedetto fa mi sembra molto importante: fare qualcosa al di là della misura che uno si indica. Sì, noi dovremmo, proprio in vista di una più grande libertà interiore, proprio per non finire per essere degli obbedienti alla regola in uno spirito di schiavitù, mostrare a noi stessi che sappiamo alcune volte andare oltre la misura che ci è indicata.

Io sono convinto che questo andare oltre la misura indicata sia anche quello che ci permette di misurare quanto noi siamo capaci di una sequela nella libertà e quanto invece facciamo una sequela da schiavi, da servi magari obbedienti, ma che non oltrepassano mai la misura che è stata richiesta loro e quindi non sono capaci di quella soggettività, di quella libertà, di quell’amore che nasce dall’abbondanza del cuore. Per questo, sapere ogni tanto andare oltre la misura è davvero importante.

Non pensiamo subito alla misura di cui, lo possiamo capire, deve parlare la Regola di Benedetto - misura del cibo, misura delle bevande (cf. RB 39-40) pensiamo invece a quante cose, magari nascoste agli occhi degli altri, noi possiamo fare oltre misura... Ad esempio il non giudicare gli altri, e magari quando c’è un giudizio da dare, non darlo, tacere, per far abbondare una misura di misericordia, di comprensione. Questo sarebbe già molto importante in una vita comunitaria, in cui sovente la cosa che finisce per causare più sofferenza è il sentirsi giudicati. Andiamo oltre la misura delle regole, di quello che ci siamo imposti, mostriamo a noi stessi un’abbondanza del cuore e conosceremo la gioia dello Spirito santo.

Perciò, fratelli e sorelle, vigiliamo, perché il demonio troppe volte si traveste da angelo di luce (cf. 2 Cor 11,14) e ci chiede un’obbedienza che è quella degli schiavi. Resistiamogli forti nella fede e tu, Signore, abbi pietà di noi.

 


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4 aprile 2020        a cura di Alberto "da Cormano"     Grazie dei suggerimenti      alberto@ora-et-labora.net