Capitolo XXXVII - I vecchi e i ragazzi:
1.
Benché la stessa natura umana sia portata alla compassione per queste due età, dei vecchi, cioè, e dei ragazzi, bisogna che se ne interessi anche l'autorità della Regola. 2. Si tenga sempre conto della loro fragilità e, per quanto riguarda i cibi, non siano affatto obbligati all'austerità della Regola, 3. Ma, con amorevole indulgenza, si conceda loro un anticipo sulle ore fissate per i pasti.
Leggere, scrivere, ascoltare, vedere
Enzo Bianchi
Estratto da “La vita e i giorni – Sulla vecchiaia” – Ed. Il Mulino 2018
Già gli antichi leggevano la vecchiaia come occasione per praticare l’otium,
quell’ozio che appare tanto difficile finché perdura la condizione del
lavoratore, dell’occupato in una professione. Nell’anzianità giunge «il tempo di
avere tempo» per una vita dedicata a molti interessi, personalissimi e
specifici, per i quali in precedenza sembrava impossibile trovare occasioni
opportune e spazio nella giornata. Abbiamo già considerato il dedicarsi alla
casa, al giardino, all’orto e alla cucina. Vorrei ora prendere in esame la
possibilità di dedicarsi a ciò che nutre e favorisce la vita intima: il leggere,
lo scrivere, il vedere con sapienza film o programmi televisivi, l’ascoltare
musica nel silenzio della casa non più abitata da bambini o ragazzi. In questi
casi l’otium non è vuoto, non è uno stato di passività ma una condizione per
vivere gratuitamente e nella quiete molti interessi a lungo tempo trascurati.
Rembrandt, pittore esperto dell’invecchiamento, dello sguardo dei vecchi perduto
nel vuoto o rivolto al passato, ha saputo rendere l’atto della lettura come una
caratteristica dell’anzianità. Colui che è ritratto – sia l’apostolo Paolo o
Pietro, sia l’evangelista Matteo – ha davanti a sé il libro, ma alza lo sguardo
per pensare, per contemplare ciò che ha letto, in una sorta di ri-creazione
fatta dallo spirito di ciò che si è letto, mentre gli occhi riposano. Anch’io
ormai mi sorprendo con in mano il libro aperto e con gli occhi alzati quasi nel
vuoto, lasciando che il libro mi ispiri pensieri e cammini, sicché mi sembra che
ciò che sta scritto nel libro cresca con me che lo leggo. Questo è il momento
più importante nella lettura: momento di rivelazione perché il libro, mentre lo
si legge, fa apparire altri mondi, fa conoscere altre vite che mai avremmo
conosciuto, maestri che mai avremmo incontrato.
Un monaco è esercitato alla lettura fin dall’inizio del cammino monastico. Ogni
giorno, possibilmente ante lucem, prima dell’alba, apre il Libro, il
libro per eccellenza, quello delle sante Scritture, e legge, legge… Chiama
questa attività lectio divina, lettura delle cose di Dio, perché
l’operazione che ripete ogni mattina e poi altre volte nella giornata è quella
di leggere il testo, di meditarlo cercandone il messaggio, di lasciarsene
ispirare nella preghiera fino ad assumere lo stesso sguardo di Dio sul mondo,
sugli eventi, sulle persone e su se stesso. Tutti i monaci d’Oriente e
d’Occidente sanno che questa è l’operazione fondamentale della loro giornata, da
cui trarre nutrimento per la fede e ispirazione per la vita che, come un duro
mestiere, anch’essi conducono nella precarietà, nella fragilità e nella
comunione con gli altri. Togliete a un monaco la lectio divina, e non
resterà in lui più nulla di monachesimo cristiano!
È però vero che il monaco, più in generale, legge. I monaci hanno sempre letto
opere della sapienza greca e latina non cristiana e si deve soprattutto a loro
se i filosofi greci e gli scrittori latini sono stati tramandati e sono ancora
letti da noi. Sicché io leggo, e leggo molto. Da vecchio le mie letture spaziano
con libertà: meno libri di ricerca biblica o teologica e più libri offerti dalla
letteratura. Non è un caso che, diventando anziano, abbia voluto radunare in uno
scaffale i libri della collana «Medusa» di Mondadori. Cominciai a leggere quei
libri da ragazzo e da allora ogni suo libro, con l’indimenticabile e
inconfondibile cornice verde, mi giungeva a casa come un dono da parte di chi mi
amava e mi educava. Ho conservato quei libri e li ho sempre portati con me,
finché quella collana è cessata. Ma ora sono lì, con il loro dorso verde, e vado
a quello scaffale con riverenza, come a un’arca, a un tabernacolo: prendo in
mano un libro di Graham Greene, di Jack Kerouac, di Thomas Mann, di James Joyce,
di Hermann Hesse o di altri autori, e lo pongo sul comodino o sul tavolino
vicino alla poltrona, come segno di un appuntamento che non dovrò disertare.
E mentre si conoscono mondi sconosciuti, leggendo si conoscono le proprie
profondità sconosciute. Mi ripeteva un’amica anziana: «Io leggo per sentire
battere il cuore del mondo!». «Per i vecchi», mi diceva sorridendo un’altra
anziana che non poteva più andare a Lourdes come faceva da giovane, «la lettura
è un pellegrinaggio». Ed è vero, perché ogni libro può rappresentare una fontana
a cui andare quali assetati di conoscere e di sapere, uscendo così dal nostro
piccolo mondo.
I libri sono un bagaglio essenziale per la vecchiaia, in particolare i libri che
abbiamo letto da giovani ma che desideriamo rileggere con uno sguardo diverso,
avendo accumulato lungo la vita altre chiavi di interpretazione: sono una
consolazione, ci fanno viaggiare quando ormai è diventato difficile spostarci,
rinnovano in noi sentimenti e ce li fanno rivivere in una dinamica dialogica che
richiede di tacere, leggendo, per lasciar parlare il libro, per poi risuscitare
ciò che è scritto fino a riviverlo in noi. Tante volte, alla fine della lettura,
rivolgo allo scrittore una parola che scaturisce dal cuore, per dirgli grazie di
avermi aiutato a capire, a costruirmi, per avermi confortato e consentito di
scendere nelle mie profondità. Allo scrittore va allora la mia riconoscenza e la
mia gratitudine, perché senza di lui sarei stato più povero. Per un vecchio
leggere può anche essere un’operazione faticosa e il libro stesso appare davvero
un volume che pesa e stanca le mani che lo sostengono. Ma io provo tanta gioia
nel tenere in mano un libro, nell’aprirlo, nel sostenerlo, per poterlo leggere
in poltrona o a letto: è una fatica fatta con convinzione e piacere, necessaria
per dialogare, soprattutto quando il dialogo, nei giorni dell’anzianità, si fa
più raro.
La lettura poi spesso si arricchisce di un commento che la accompagna e la
prolunga. Si parla con gli amici del libro letto, lo si interpreta in modi
diversi, e così si può dire che «il libro cresce con chi lo ha letto»; lo si
degusta interiormente, condividendo il suo messaggio in uno scambio di cordiale
ospitalità intellettuale. Dalla solitudine a due, lettore e libro, alla
condivisione tra amici.
Vi sono però anziani non abituati a leggere, i quali trovano nella televisione
una possibilità di tralasciare molti pensieri che li ossessionano e di riempire
alcuni spazi della giornata. Non bisogna demonizzare questo strumento, che per
molti è come i libri, fonte di conoscenza e di ascolto del battito del cuore del
mondo. Per i vecchi la televisione è una possibilità e, se non finisce per
inchiodarli sulla poltrona o per intontirli con rumori e informazioni molteplici
e svianti, può donare loro ore di serenità. Tanti vecchi mi confidano che amano
vedere documentari sulla natura o di argomento storico. Altri invece confessano
di dover spegnere la televisione per non essere invasi dalla bruttezza o dalla
cattiveria che da essa viene diffusa. I vecchi sono più vulnerabili, fragili, e
spesso, di fronte a certe immagini crudeli o spaventose, girano la testa
dall’altra parte per non guardare. Per questo vi è chi preferisce ascoltare la
radio, in particolare le trasmissioni di approfondimento culturale che possono
essere seguite mentre si cucina o ci si dedica ad altre occupazioni domestiche.
A ciascuno il suo piacere!
Per me e per molti altri che conosco, l’ascolto della musica resta un piacere
inesauribile. Verso sera, nella penombra (o se è estate stando sulla porta a
guardare le colline che verdeggiano sotto di me), si è meno stanchi ascoltando
musica vicino al camino acceso: una vera e propria grazia! Passo dalla musica
classica, a Eleni Karaindrou, ad Arvo Pärt, a Vangelis. A volte ritorno ai
cantanti-poeti della mia giovinezza, come Jacques Brel, Georges Moustaki, o alle
esecuzioni di Mina e Ornella Vanoni. Affiorano ricordi vivissimi delle
avventure, degli amori vissuti, delle amicizie condivise… Ascoltare un Adagio
di Mozart o le Variazioni Goldberg di Bach, anche eseguite da Keith
Jarrett, mi dà una grande pace. Talvolta, mentre ascolto, sorseggio un calice di
Barolo chinato in inverno o di brandy spagnolo in estate.
Non va infine dimenticato che anche scrivere è una pratica senile: sono molti i
vecchi che si sentono spinti a comporre autobiografie o memorie. Nell’anamnesi
che fanno della loro vita trovano eventi vissuti che possono essere trasmessi in
eredità ad altri, a possibili lettori. Aiuta in questo anche la «presbiopia
della memoria»: ci si dimentica di ciò che è accaduto negli ultimi giorni,
mentre riaffiorano con forza i ricordi della vita vissuta nell’infanzia,
giovinezza e maturità. A volte attraverso interviste, altre volte attraverso
confessioni scritte personalmente, si narra la propria vicenda e lo si fa con la
convinzione di avere qualcosa da comunicare, qualcosa che può essere utile ad
altri, qualcosa che non deve cadere nel dimenticatoio. Io stesso, giunto
all’anzianità, ho sentito il bisogno di scrivere Il pane di ieri [E.
Bianchi, Il pane di ieri, Torino, Einaudi, 2008] e Ogni cosa alla sua
stagione [E. Bianchi, Ogni cosa alla sua stagione, Torino, Einaudi, 2010.] ,
due libri dai titoli molto eloquenti, che prendono spunto dalla mia vita in
Monferrato, da persone che sono state per me grandi maestri (non piccoli maestri
come quelli noti!), dalla fatica del lavoro di poveri contadini che abitavano
quelle colline interamente coperte dalle vigne.
In questa scia, sto ora preparando un terzo libro, Nella natura delle cose,
nel quale vorrei tentare una sorta di De rerum natura, frutto del
pensare, del cercare, dell’osservare e del vivere come uomo che nella vita ha
sempre avuto tanto tempo per meditare. Alla mia vecchiaia si addice questo
impegno più di ogni altro: così rivivo la mia vita, entro in maggior
comunicazione con la terra e con tutta la natura, posso dialogare con gli amici
e con quanti desiderano ascoltarmi. Per me tutto è principalmente frutto
dell’ascolto di uomini e donne nel dolore e nella gioia, nella fatica e nella
pienezza della felicità, nella salute e nella malattia, nell’età che ognuno
percorre, dalla nascita alla morte. Un ascolto disciplinato, che non diventa
dissipazione, come mi ricorda Konstantinos Kavafis:
E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.
[K. Kavafis, Cinquantacinque poesie, Torino, Einaudi, 1968, p. 59.]
|
Ora, lege et labora |
San Benedetto |
Santa Regola |
Attualità di San Benedetto
|
Storia del Monachesimo |
A Diogneto |
Imitazione di Cristo |
Sacra Bibbia |
18 febbraio 2025
a cura di Alberto
"da Cormano"
alberto@ora-et-labora.net