Regola di S. Benedetto

Capitolo VII - L'umiltà

1. La sacra Scrittura si rivolge a noi, fratelli, proclamando a gran voce: "Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato". 2. Così dicendo, ci fa intendere che ogni esaltazione è una forma di superbia, 3. dalla quale il profeta mostra di volersi guardare quando dice: "Signore, non si è esaltato il mio cuore, né si è innalzato il mio sguardo, non sono andato dietro a cose troppo grandi o troppo alte per me". 4. E allora? "Se non ho nutrito sentimenti di umiltà, se il mio cuore si è insuperbito, tu mi tratterai come un bimbo svezzato dalla propria madre"...

10 Dunque il primo grado dell'umiltà è quello in cui, rimanendo sempre nel santo timor di Dio, si fugge decisamente la leggerezza e la dissipazione, 11 si tengono costantemente presenti i divini comandamenti ... 12 In altre parole, mentre si astiene costantemente dai peccati e dai vizi dei pensieri, della lingua, delle mani, dei piedi e della volontà propria, come pure dai desideri della carne, 13 l'uomo deve prendere coscienza che Dio lo osserva a ogni istante dal cielo e che, dovunque egli si trovi, le sue azioni non sfuggono mai allo sguardo divino e sono di continuo riferite dagli angeli...

67 Una volta ascesi tutti questi gradi dell'umiltà, il monaco giungerà subito a quella carità, che quando è perfetta, scaccia il timore; 68 per mezzo di essa comincerà allora a custodire senza alcuno sforzo e quasi naturalmente, grazie all'abitudine, tutto quello che prima osservava con una certa paura; 69 in altre parole non più per timore dell'inferno, ma per amore di Cristo, per la stessa buona abitudine e per il gusto della virtù.


 

 

Capitolo III

Seguendo Gesù mite

e umile di cuore

Anna Maria Canopi O.S.B.

Estratto da “Gesù Cristo nostra vita” – Edizioni Nerbini 2019

 

1. Umiltà: un dono da chiedere

al Signore ogni giorno

 

La Regola ci fa prendere coscienza della necessità di cercare Dio e di amare l’umiltà, di chiedere sempre al Signore il dono di una mente e di un cuore umile, che coglie le occasioni per umiliarsi e lasciarsi umiliare. Non dimentichiamo mai che non c’è nessun’altra causa di caduta all’infuori di questa: qualsiasi peccato nasce dall’orgoglio, dalla superbia e dalla presunzione. Per sradicare da noi il peccato, dobbiamo cercare di vincere l’orgoglio senza mai stancarci di seguire l’unica vera via che la sacra Scrittura ci esorta a intraprendere: «Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio» (Mi 6,8).

Dobbiamo accettare docilmente le umiliazioni che provengono dagli altri e da Dio, perché è sempre il Signore che le permette, ed esse si rivelano salutari. Se infatti non facciamo l’esperienza dei nostri limiti, delle nostre povertà e debolezze, continuiamo a sentirci ancora «qualcuno»; è quindi provvidenziale che tocchiamo il nostro limite creaturale, di persone che non sono per nulla e in nulla perfette. Allora comprendiamo che la nostra vera completezza e compiutezza è nel Signore, e accettiamo dalle sue stesse mani tutte le occasioni per umiliarci, dicendo con il salmista: «Bene per me se sono stato umiliato, perché impari i tuoi decreti» (Sal 118,71) e ad essere sottomesso. Mettiamoci quindi bene in mente che non possiamo camminare dietro al Signore senza almeno il desiderio ardente dell’umiltà e un impegno instancabile nel cercare di conseguirla, perché lì risiede la chiave della santità.

Dobbiamo chiedere al Signore il dono di questa virtù fondamentale per poter arrivare «tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,13). Senza umiltà non c’è capacità di conoscenza, non si conosce né se stessi né Dio e allora si vive nella stoltezza. Se questo è l’itinerario per ogni cristiano, lo è tanto più per il monaco che è chiamato a vivere in modo radicale l’insegnamento del vangelo e a diventare icona di Cristo. Dobbiamo perciò impegnarci seriamente riconoscendo che il Signore, attraverso queste fatiche - la fatica di dire «no» a se stessi e «sì» al Signore - ci vuole condurre a una conversione profonda e a trasfigurare tanti nostri aspetti ancora troppo umani per trasformarci sempre più in lui.

San Bernardo ci propone a questo riguardo un esempio molto significativo: «Per dare un esempio concreto, è come quando, dovendo passare per una porta il cui architrave è troppo basso, tu puoi abbassarti quanto vuoi senza farti male; ma se ti alzerai sia pure dello spessore di un dito al di sopra dell’altezza della porta, ci sbatterai contro e ti romperai la testa». (Discorso sul Cantico dei Cantici, 37, 5-7 passim.) Quante volte ci rompiamo la testa! Proviamo a pensare a quanti turbamenti, sofferenze, angustie, malcontenti, a quanti stati d’animo non sereni e non pacifici derivano proprio dal fatto che sbattiamo contro l’architrave della superbia. Cerchiamo quindi di umiliarci, di abbassarci, di non alzare troppo la testa, di stare in mezzo agli altri nella semplicità e nell’umiltà, senza voler prevalere ma cercando sempre di essere in comunione, in atteggiamento di servizio.

L’umiltà è veramente la madre delle virtù; senza umiltà non c’è neppure la carità perché manca la capacità di amare; c’è soltanto l’egoismo, che è un amore disordinato anche per se stessi. Vogliamo infatti veramente bene a noi stessi quando siamo disposti a riconoscere Dio e i fratelli e a servirli con amore. Proprio per questo san Paolo ci invita a non voler essere superiori agli altri, ma anzi a metterci al di sotto dei nostri fratelli: «Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri» (Fil 2, 3-4).

Il principio della sapienza consiste nel riconoscere Dio quale Dio e nel vedere gli altri come fratelli, perché in loro c’è la presenza di Dio. Ogni giorno ci troviamo davanti alla necessità di una scelta tra l’essere veramente sapienti secondo la sapienza che viene dall’alto e la possibilità invece di essere stolti. Dobbiamo sempre prendere decisioni ispirate all’umiltà, perché nella nostra natura vi sono forze che ci spingono ad alzarci al di sopra dell’architrave.

Ci è quindi suggerito di essere molto saggi, per non trovarci nella condizione di non riconoscere né noi stessi né gli altri e quindi neppure Dio, che in Cristo si è umiliato, si è fatto uno di noi, ha patito ed è morto sulla croce - che era la condanna peggiore e più umiliante di quel tempo - per rendere noi capaci di vincere l’orgoglio e di resistere al maligno che sempre cerca di farci cadere.

Abbiamo sempre bisogno di convertirci ritenendoci bisognosi di conversione; quest’ultima ci prepara a ricevere da Dio il dono dell’umiltà, imitando il Signore Gesù, mite e umile di cuore. Se teniamo sempre lo sguardo rivolto a questa icona, sentiamo che dentro di noi si spuntano le spade che d’istinto rivolgiamo contro gli altri, e il nostro cuore diventa capace di amare. E quando c’è l’amore non manca più nulla, perché c’è tutto quello che può giovare e può dare la gioia di vivere nonostante le fatiche dell’esistenza umana. Dove c’è l’amore, infatti, c’è anche la capacità di comunicare la gioia, mentre dove manca l’umiltà e non c’è l’amore, la vita è sempre in qualche modo disperata. Inoltre, quando si incomincia ad essere umili non si vedono più tanti difetti negli altri, perché si è attenti a vedere i propri e si è impegnati nel lasciarsi correggere per migliorare se stessi. In noi cresce così sempre di più un cuore umile e buono che cerca di aiutare gli altri senza accusarli, senza mormorare o biasimare, anzi, che soffre con gli altri prendendo su di sé le loro debolezze, che si fa carico dei loro difetti e sa stare loro vicino con umile amore.

Non sprechiamo quindi le nostre forze per tentare da soli di essere virtuosi, di comportarci in modo lodevole; chiediamo invece momento per momento l’aiuto del Signore e la sua grazia per camminare umilmente alla sua presenza e compiere sempre la sua volontà. Allora non siamo più in ascolto del tumulto dei nostri pensieri, delle nostre parole interiori e dei nostri ragionamenti tortuosi, ma ci nutriamo della sua Parola che ci guida, e camminiamo alla presenza del Signore continuando o ricominciando ogni giorno il cammino, che è sempre anche un percorso di conversione da noi stessi a Dio, nella verità e nell’umiltà, nella pace e nell’amore. In questo modo possiamo raggiungere la mèta della salvezza e della vera santità.

 

2. Umili per amare con cuore libero Dio

 e i fratelli

Il Signore desidera plasmare in noi un cuore umile e puro, perché questa è la condizione indispensabile per poter accogliere la fede, la speranza e la carità. La virtù dell’umiltà è un dono dello Spirito Santo, e consiste prima di tutto nella verità, nel riconoscere quello che si è nello stupore e nella gratitudine di essere comunque amati dal Signore. Siamo un niente, ma al Signore siamo cari, ai suoi occhi preziosi. Con l’umiltà non perdiamo niente, anzi siamo nella giusta prospettiva di chi, riconoscendosi amato da Dio e consapevole di avere ricevuto tutto, è semplicemente grato, senza nessuna pretesa di valere di più.

È proprio da questa «orgogliosa pretesa» che ha avuto origine il grande peccato iniziale della storia dell’umanità: «Il giorno in cui voi ne mangiaste — del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino — si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio» (Gen 3,5), così insinua l’astuto serpente per sviare i nostri progenitori, ed essi si lasciano tentare, disobbedendo a Dio per cercare di diventare come lui o forse persino più di lui.

Anche Lucifero, divenuto poi il tentatore di tutti gli uomini, voleva essere come Dio, e il suo orgoglio lo fece precipitare. A prima vista essere umili non dovrebbe essere difficile; basterebbe riconoscere quello che si è e che ogni bene viene dal Signore. Se siamo uniti a lui nulla ci manca. La nostra grandezza è lui, la nostra forza è lui, la nostra gioia è lui, la nostra gloria è lui. È quindi necessario conservare l’orientamento giusto, guardare a colui che ci ha creati, ci ha redenti e ci chiama alla gloria e alla gioia del suo Regno eterno.

Dobbiamo tuttavia riconoscere che la virtù dell’umiltà è straniera sulla terra; difficilmente troviamo uomini veramente umili, che siano consapevolmente e lietamente tali, e questa considerazione - se vogliamo essere sinceri - vale anche per ciascuno di noi. C’è non di rado una forma di frustrazione per cui si pensa di valere poco o niente e ci si sente incapaci, ma con dispiacere, con mortificazione, addirittura con invidia per gli altri. E questa non è umiltà; l’umiltà è quella che ci rende lieti alla presenza del Signore, riconoscendo che lui è tutto e che noi siamo quel niente che lui ha amato e che ama, e che vuole ricolmare di sé, della sua gioia e della sua gloria.

L’umiltà non è un frutto dei nostri sforzi, è una grazia che il Signore concede a coloro che si affidano a lui, che accettano la sua pedagogia, le sue vie e che non dispongono di sé. In caso contrario, potrebbe nascere in noi un sottile orgoglio, tale da condurci a pensare che siamo riusciti a diventare umili. E questa sarebbe proprio la contraddizione più grande, perché equivarrebbe ad essere diventati presuntuosi e superbi all’ennesima potenza.

In realtà si diventa umili non perché ci si propone di compiere gesti o atti particolari, ma perché si accetta di essere quello che si è secondo la volontà di Dio, accogliendo tutto quello che egli dispone per noi. Per intraprendere con convinzione questo cammino è quindi indispensabile consegnarsi nelle mani di Dio e nelle mani dei fratelli e accettare tutte le situazioni che mettono allo scoperto le nostre povertà e le nostre miserie, il nostro peccato e le nostre incapacità. Ci si riconosce per quello che si è, ma si confida nel Signore nella consapevolezza che quando siamo deboli e sappiamo di esserlo, quando ci riconosciamo sinceramente meschini, incapaci e indegni, il Signore ci fa la grazia di vederci così perché gli consentiamo di operare le meraviglie della sua grazia. Se lasciamo che Dio agisca liberamente in noi senza rivendicare alcun diritto, saremo certamente da lui rinnovati, purificati e rafforzati. L’ascesi del cristiano — e a maggior ragione quella del monaco — consiste infatti nel consegnarsi nelle mani di Dio attraverso tutte le situazioni che ci umiliano e ci purificano. Dobbiamo invece riconoscere che tanti nostri scoraggiamenti, tante nostre crisi, inquietudini e impazienze provengono da un’esperienza frustrante, da uno sforzo che credevamo di poter fare ottenendo dal Signore la ricompensa di un buon frutto e di una buona riuscita. Il nostro orgoglio vuole ancora ergersi a timoniere della nostra piccola barca e vuole guidarla con percorsi che non sono quelli indicati e tracciati dal Signore. Spesso, infatti, siamo ancora uomini di poca fede: dubitiamo perché confidiamo in noi stessi, e pretendiamo che il Signore si metta al nostro servizio per realizzare i nostri progetti, le nostre idee e le nostre convinzioni.

Se rimaniamo in balìa della nostra volontà propria e delle nostre passioni, del nostro spirito di indipendenza e di ricerca di noi stessi, anche se camuffato in mille modi, noi siamo simili a una navicella che si trova in alto mare, sbattuta da tutti i flutti, e mentre ci ostiniamo a tenere a bada il timone veniamo travolti. Solo se riconosciamo il Signore, che sempre ci chiama, e cerchiamo di avvicinarci a lui, veniamo salvati dai nostri turbamenti e dalle nostre tempeste. Sempre più quindi dobbiamo consegnarci al Signore, perché il nostro cuore sia permeato della sua umiltà, che è espressione di fede e di obbedienza d’amore.

Proviamo a esaminarci bene per vedere se in tutto quello che siamo chiamati a fare giorno per giorno sappiamo renderci disponibili con umiltà e gioia. Può trattarsi di qualunque lavoro o servizio che ci viene assegnato: pulire gli ambienti del monastero, lavare i piatti o cucinare, stirare o cucire, ricamare o tessere, o qualsiasi altra azione materiale o anche intellettuale. Quello che conta è che qualunque cosa siamo chiamati a fare, siamo disposti a compierla con questo spirito, con la consapevolezza che apparteniamo al Signore e alla comunità, e che dobbiamo quindi essere docili strumenti nella mano del Signore e di chi ci guida nel suo nome.

Ogni piccolo servizio è una testimonianza dell’amore di Dio per gli uomini, perciò possiamo essere certi che anche spazzando un corridoio o una scala, o facendo qualunque altro lavoro ci venga assegnato, raggiungiamo i nostri fratelli e contribuiamo, misteriosamente ma realmente, alla nostra purificazione e anche a quella dell’intera umanità.

Questa libertà dall’attaccamento a noi stessi e alle cose che facciamo ci consente anche di essere lieti, perché qualsiasi incombenza ci venga affidata la consideriamo bella e utile, in quanto è la cosa più importante che il Signore ci chiede di fare in quel momento. Siamo così lieti, umili e - proprio perché umili - grandi agli occhi di Dio, perché gli umili hanno il cuore libero per amare il Signore e i fratelli e sono contenti di qualsiasi cosa. Ci si può anche trovare in condizione di non poter lavorare o di non poter fare determinate cose... ma anche in questo caso possiamo essere contenti, cercando di effonderci in preghiera e di fare bene quel poco che possiamo fare e che ci viene chiesto, in modo che in tutto e sempre venga glorificato Dio (cf. RB 57,9).

 

3. Un cammino permanente di umiltà

per obbedire a Dio e ai fratelli

La vera battaglia che dobbiamo combattere senza tregua è quella contro il nostro «io», che è accentratore e dominatore, sempre pronto a trovare ragioni per impedirci di sottometterci, perché in noi è ancora presente il fomite di quella ribellione che ha opposto Lucifero a Dio. Pertanto, proprio perché ci ama, Dio ci fa passare attraverso le tribolazioni e le umiliazioni per liberarci da noi stessi e dall’orgoglio, per santificarci e unirci a lui. Spesso, però, quando abbiamo qualche difficoltà, non sappiamo riconoscere che quella è l’ora della grazia e resistiamo a Dio; invece di umiliarci davanti a lui, ci ribelliamo. Anche quando pensiamo di non saper accettare i fratelli, le situazioni o le circostanze, in realtà — poiché c’è Dio dietro a quelle persone e situazioni, dietro quel fratello o quella sorella - è sempre e solo a lui che noi ci opponiamo, manifestando la nostra natura orgogliosa.

Ogni forma di vita cristiana comporta l’obbedienza a Dio e implica anche l’obbedienza nelle situazioni concrete in cui ciascuno di noi vive. Nella famiglia monastica l’obbedienza è il contrassegno principale dell’umiltà, secondo quanto afferma san Benedetto: «Il primo grado dell’umiltà è l’obbedienza immediata. Essa è propria di coloro che ritengono di non avere assolutamente nulla più caro di Cristo» (RB 5, 1-2), ed è quindi il contrassegno principale del monaco, il quale dovrebbe proprio essere l’uomo che, mettendosi in stato di conversione permanente, conserva sempre un atteggiamento profondo e sincero di umiltà; è questa a rendergli possibile la sottomissione a Dio, a coloro che glielo rappresentano e ai fratelli.

Lungo la nostra esistenza quotidiana dovremmo sempre riuscire a pensare che quanto accade attorno a noi — che dipende da noi stessi, dalle nostre debolezze e fragilità, oppure da varie situazioni e circostanze - fa parte di un progetto provvidenziale di Dio; se ci lasciamo plasmare e modellare dalla sua mano sapiente, possiamo renderci conto del niente che siamo, e accettare di stare umilmente al nostro posto accogliendo tutto con gratitudine.

Di fronte a situazioni che risvegliano il mio orgoglio, il quale andrebbe subito all’attacco, devo lasciarmi disarmare e giungere alla consapevolezza che nulla mi è dovuto e che pertanto non posso pretendere nulla né da Dio, né dagli uomini; devo solo desiderare con sincerità di potermi mettere al servizio di tutti. Se impariamo ad ammirare, apprezzare e stimare gli altri, allora cominciamo veramente a diventare umili, e questa è la vera grandezza. Un uomo, infatti, è grande non quando si sente tale e crede di avere chissà quali doni o qualità, ma quando sa riconoscere le qualità degli altri. E nella misura in cui questo accade, anche noi diventiamo per gli altri motivo di ammirazione, perché il saper apprezzare gli altri è indice di una bella qualità, quella di saper mettere davvero il Signore al primo posto. Infatti, se sappiamo vedere il Signore negli altri è perché egli si trova in noi, ci dà il suo sguardo e la sua luce; perciò nella sua luce vediamo la luce.

Allora possiamo anche accettare serenamente di perdere tutto, perché abbiamo compreso quale è il vero guadagno. È esattamente quanto constatava san Paolo, che reputava tutto come «spazzatura» dopo avere incontrato Gesù Cristo. Egli non poteva più stare senza di lui, a tal punto ne era stato avvinto e affascinato: «Queste cose, che per me erano guadagni — scrive l’apostolo - io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui [...] dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (Fil 3, 7-9.13-14).

Non si può vivere la comunione vera senza l’umiltà che ci fa veramente uscire da noi stessi e ci spinge a donarci, ad avere fiducia, ad affidarci ai nostri fratelli senza paura o diffidenza. Dobbiamo quindi pregare gli uni per gli altri chiedendo di poter vivere nell’obbedienza, sottomessi a tutti, e innanzitutto all’abate e alla Regola, poiché non essere sottoposti alla Regola e all’abate significa non essere sottomessi al Signore stesso. San Benedetto ci dice, infatti, che bisogna assolutamente combattere la superbia, che è il prodotto dell’unica amara radice che il maligno ha annidato in noi e che si manifesta con l’amor proprio, l’orgoglio e tutti i derivati: la gelosia, la mormorazione, il biasimo. Il monaco, pertanto, non deve assolutamente lasciare crescere i vizi, le resistenze, le ribellioni e le ostinazioni, ma appena queste cattive erbacce spuntano deve fare di tutto per sradicarle accettando anche di lasciarsi aiutare, perché da solo non ci riuscirebbe: «Tentato dal maligno, il diavolo, subito lo respinge lontano dallo sguardo del suo cuore insieme con le sue suggestioni, lo riduce al nulla» (RB Prol 28). Mentre si cerca di non cedere alle istigazioni del maligno, che ci spinge a lasciare libero spazio alla natura e all’impulsività, occorre però anche essere attenti agli altri per sostenerli con la preghiera e la carità, evitando di dare cattivo esempio, anzi cercando di essere per tutti di edificazione. Riflettiamo su queste cose per evitare di cadere facilmente in difetti di relazione che lungo il cammino rischiano di ingrandirsi sempre di più.

Ciascuno di noi può ora farsi queste domande: sono davvero un monaco impegnato, con tutta lealtà e serietà, a vivere la vita cenobitica e a obbedire con amore e con gioia a una Regola e a un abate? Acconsento con semplicità a condividere tutto con i fratelli, sentendomi sostenuto da loro e cercando a mia volta di sostenere gli altri nel combattimento quotidiano? Accetto di essere richiamato, verificato, corretto? Accetto con umiltà e con gratitudine di essere aiutato a cambiare, a migliorare, a convertirmi seriamente?

 

4. Umili per vivere nel dono di sé

e nella gratitudine

Per imparare ad ammirare, ascoltare e apprezzare gli altri non dobbiamo lasciarci condizionare dai nostri istinti, dalle nostre inclinazioni, dalle nostre simpatie o antipatie, attrazioni o repulsioni, ma dobbiamo invece essere consapevoli di avere ricevuto lo Spirito Santo per amare con lo stesso amore con cui Dio ci ama. Dobbiamo quindi saper andare al di là di tutti quelli che sono i condizionamenti umani e amarci nel Signore superando ogni possibile ostacolo. Ciò che è davvero indispensabile è che conserviamo la disposizione di dare noi stessi per gli altri, perché amiamo davvero il nostro prossimo non quando pretendiamo che anche gli altri ci vogliano bene, ci aiutino, ci facciano del bene, ma quando siamo gratuiti e ci impegniamo noi per primi ad amare gli altri. Ciascuno deve quindi prendersi sollecita cura del suo prossimo e non pretendere che gli altri corrispondano alla pari.

Proviamo con sincerità a esaminarci per verificare se stiamo percorrendo un cammino di maturazione spirituale e umana; chiediamoci se facilmente ci rattristiamo quando ci pare che non si abbia sufficiente premura nei nostri confronti, oppure se anziché preoccuparci di noi stessi siamo attenti e solleciti nel non rattristare gli altri. Siamone certi: la gioia vera e pura la troviamo solo se facciamo della nostra vita un servizio e un dono per il nostro prossimo; al contrario, se viviamo solo per noi stessi, rischiamo di morire soffocati in un’angusta prigione che ci siamo noi stessi costruiti. L’amore è vero quando è davvero oblativo, quando è dono, quando ci spinge a metterci al servizio dei nostri fratelli e a farci umili, donandoci senza pretese e sentendoci grati di tutto quello che riceviamo.

Quando si inizia a percorrere il cammino dell’umiltà, ci si accorge sempre di più non tanto di quello che si dà - anzi ci sembra sempre di dare poco - ma di tutto quello che si riceve. Diventiamo allora riconoscenti, e sulle nostre labbra fiorisce sempre la parola «grazie!»; un grazie profondo, sincero, perché ci sembra di non avere mai ringraziato a sufficienza Dio e i fratelli. Se questi atteggiamenti non fanno ancora parte della nostra vita, questo significa che siamo ancora chiusi dentro la nostra prigione e abbiamo bisogno di essere liberati, per uscire sempre di più da noi stessi fino a trovarci totalmente in lui, nell’amore.

 

5. In umiltà e carità al servizio gli uni

degli altri

Umiltà significa soprattutto avere confidenza nel Signore e in lui solo, sentendosi come il povero che si mette sotto il suo sguardo, perché sa che il Signore si china proprio su coloro che non contano, li guarda con amore e li solleva. Nei nostri rapporti tante volte ci sono tensioni o mancanza di rispetto e di carità, perché siamo dominati dall’amor proprio, dall’orgoglio, dall’egoismo e non siamo impegnati a lasciarci modellare da Dio, a lasciarci plasmare il cuore dallo Spirito Santo per essere permeati di umiltà e di carità.

Il vero modo di servire il Signore consiste nel non cercare mai di prevalere sui fratelli, ma anzi nel mettersi ai loro piedi, stando al loro servizio con umiltà, anche qualora accada che essi siano pretenziosi, sconsiderati e irragionevoli. Dobbiamo sempre chiedere la grazia di sentirci debitori, di non avere pretese nei confronti degli altri ma di saper essere sempre generosi. Mediante la carità dobbiamo essere disposti ogni giorno a metterci al servizio gli uni degli altri vivendo la legge regale che racchiude tutte le altre, e che è quella di amare. Nessuno può amare se non è umile; la condizione dell’amore vero è l’umiltà. Torniamo quindi sempre a questo fondamento prioritario, e poiché — dobbiamo riconoscerlo - non è facile adeguarsi ad esso, dobbiamo ogni giorno chiedere al Signore un cuore umile, docile alla sua Parola e ai suoi comandamenti; dobbiamo chiedere di essere guidati e condotti per mano sulla via della verità, dell’amore, e quindi sulla via della vera libertà e della gioia.

Consideriamoci dei veri poveri e impegniamoci a chiedere la grazia dell’umiltà, nella certezza che saremmo fuori strada, anzi, avremmo fatto un passo in avanti sulla strada della superbia, se pensassimo di essere riusciti con le nostre sole forze e i nostri buoni propositi a metterci in un vero atteggiamento di umiltà. Di fronte a parole o situazioni in cui abbiamo la sensazione di non essere sufficientemente apprezzati, spesso prevale subito in noi l’istinto di reagire e di difendere la nostra reputazione e le nostre idee, perché siamo sempre desiderosi di essere tenuti in considerazione dagli altri. Bisogna invece coltivare la semplicità di cuore di chi considera suo unico bene il Signore e quindi sa che nulla gli manca. Chiediamo al Signore di rendere umile il nostro cuore nella piena consapevolezza che non è possibile acquisire questa virtù se non attraverso le umiliazioni e le situazioni umilianti. Allora sperimenteremmo che il Signore stesso provvede a quelli che si donano con semplicità a lui con il cuore aperto e disponibile nei confronti di tutti.

Avanzando negli anni, dobbiamo sempre più maturare nella nostra identità di cristiani. Questo significa crescere nella fede, nell’umiltà, nella carità, nella benevolenza, nella pazienza, in tutte quelle virtù che ci rendono amabili e utili agli altri. E occorre che maturiamo così tanto da essere simili a frutti dolci e morbidi, affinché i nostri fratelli ci possano mangiare con gusto. È necessario quindi coltivare relazioni rispettose, piene di bontà, ponendo sempre la massima attenzione a non essere motivo di inciampo ma piuttosto di aiuto e sostegno per i nostri fratelli.

 

6. Imparare da Gesù il silenzio dell’umiltà

Per coltivare l’umiltà, dobbiamo imparare da Gesù il silenzio e la sottomissione. È egli stesso a dircelo: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita» (Mt 11, 29). Che cosa ha fatto Gesù? Lo hanno condannato — e chi più innocente di lui? — ed è rimasto in silenzio. Di fronte a un’esortazione o a una correzione proviamo a prendere questa risoluzione: «Quanto mi sta accadendo va bene per me, quindi accetto, imparo, riconosco che ho sbagliato e faccio buon uso di questo insegnamento». E se proprio non riesco a convincermi che ho sbagliato, accetto ugualmente il rimprovero pensando che Gesù, accusato, «taceva».

Se custodiamo il silenzio, la verità verrà alla luce, ma anche se ciò non accadesse, che importa? Quanto è avvenuto ci sarà comunque di giovamento, perché l’offerta di quel momento di sofferenza ci aiuterà ad essere più umili. La natura, quando è contrariata, istintivamente tende a ribellarsi, ma noi, anziché lasciarci dominare dagli istinti, dobbiamo fare prevalere la ragione e soprattutto lo spirito, tanto più che sappiamo con certezza che mai nulla viene fatto o viene detto contro di noi senza che possa avere un effetto positivo per la nostra santificazione, poiché Dio fa cooperare tutto al nostro bene. È saggio accettare e accogliere con fiducia la correzione, senza neppure domandarsi se veramente la meritiamo; così facendo, impariamo la mitezza, la pazienza e l’obbedienza.

Se siamo davvero disarmati, se cerchiamo veramente Dio, se siamo disposti a fare il bene degli altri, allora dobbiamo anche essere pronti ad aiutarci e a evitare di fare contese o di giudicare gli altri. Dove compaiono il giudizio o la critica, c’è certamente la presunzione, e allora regna sul trono il proprio «io» che in realtà è stato astutamente soggiogato dal padre della superbia e della menzogna. Su questo aspetto non è mai troppa la vigilanza, perché tutti i turbamenti hanno questa radice. Vivendo in comunità c’è però sempre la possibilità di essere aiutati a fare chiarezza in noi stessi per camminare umilmente alla presenza del Signore con l’aiuto di tutti. Mai quindi devo cercare di difendermi o di far valere le mie ragioni per ottenere qualche vantaggio, né con i gesti, né con le parole, né con gli scritti, e mai devo pensare che chi mi corregge o non mi concede quanto desidero sia ingiusto o non mi comprenda. Se noi abbiamo questo comportamento verso l’abate o verso la madre maestra, con i fratelli responsabili del laboratorio in cui lavoriamo, ecc., non possiamo riuscire a fare neppure un piccolo passo per diventare veri monaci. Siamo infatti ben barricati dentro il nostro «io», vediamo solo il nostro angusto punto di vista e facciamo la guerra contro i mulini a vento che abbiamo innalzato attorno a noi, poiché in monastero non c’è nessuno contro cui possa davvero accadere di dover fare la guerra.

Dobbiamo convincerci che l’uomo umile non solo è pacifico ma è anche pacificatore, e pertanto non si sente oppresso e calpestato da tutti, non pensa che attorno a lui vi siano dei nemici, perché vive nella comunione di amore, vive in pace con il Signore e conseguentemente anche con i fratelli. Se si è veramente in pace non si sospetta di nessuno, non si è continuamente malcontenti e agitati, non ci si preoccupa di sé, ma si vive sotto lo sguardo di Dio in modo degno e tale da rendersi utili agli altri. La salvezza non la si acquista con il volontarismo, sentendosi capaci di fare da sé, ma unicamente con l’aiuto di Dio, senza mai sentirsi superiori agli altri, ma in sincera comunione, tutti insieme concordi, rendendo grazie a Dio che ci ama e che ci dà ogni giorno la grazia di procedere nella sua via di salvezza. Bisogna camminare insieme, evitando di isolarsi o di credersi superiori o diversi dagli altri, guardandoli dall’alto in basso o solo da lontano. Occorre essere assidui nell’ascoltare e nel pregare insieme, nell’unione fraterna e nella carità, perché la legge della nuova alleanza è l’amore. Siamo stati redenti grazie all’immenso amore che Dio ha avuto per noi; dobbiamo quindi sostenerci e aiutarci a vicenda con la sua grazia, che ci ispira il bene, per giungere tutti insieme alla mèta finale dove il Padre ci attende. Ascoltare la voce di Gesù significa ascoltare tutto quello che il vangelo ci insegna e compierlo. Siamo quindi sempre davanti all’esigenza di essere cristiani non solo di nome, ma anche di fatto e di dimostrarlo nel nostro modo di comportarci, anzitutto nel nostro modo di pensare, perché quello che appare all’esterno è il riflesso di quanto è stato prima «confezionato» all’interno. La bocca, lo sguardo, tutto quello che è esterno viene dal cuore; bisogna quindi tenere il cuore purificato da pensieri e sentimenti non buoni e da tutto quello che istintivamente ci può mettere «contro» il nostro prossimo, e coltivare invece tutto quello che ci dispone ad essere «per» gli altri e «con» gli altri.

Il Signore guidi i nostri atti, i nostri pensieri e i nostri sentimenti per farci sempre seguire il cammino dell’umiltà che è l’unica via della santità; per giungervi non è possibile seguire un percorso diverso che passi attraverso l’orgoglio e la prepotenza, è sempre indispensabile rivestirsi di umiltà e di bontà verso tutti. Camminiamo perciò nella via del Signore che è Cristo stesso, guardiamo a lui, viviamo conformandoci a lui e così, nonostante le difficoltà della vita quotidiana, vivremo sempre nella serenità e nella fiducia, perché il Signore è sempre con noi.


 

Ndr: Nel testo originale seguono altri 3 sottocapitoli:

7. Conformarsi a Cristo nell'umiltà e nell'amore

8. Contenti di aver poco per poter ricevere Cristo

9. Con lo sguardo a Maria mite e umile icona della Chiesa

 


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3 ottobre 2024                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net