Capitolo XXVII - La sollecitudine dell'abate per gli scomunicati
1. L'abate deve prendersi cura dei colpevoli con la massima sollecitudine, perché "non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati". 2. Perciò deve agire come un medico sapiente, inviando in qualità di amici fidati dei monaci anziani e prudenti 3. che quasi inavvertitamente confortino il fratello vacillante e lo spingano a un'umile riparazione, incoraggiandolo perché "non sia sommerso da eccessiva tristezza",...
Capitolo XXXI - Il cellerario del monastero
... 6. Non rattristi i fratelli e, 7. se qualcuno di loro avanzasse pretese assurde, non lo mortifichi sprezzantemente, ma sappia respingere la richiesta inopportuna con ragionevolezza e umiltà.
... 13. Soprattutto sia umile e se non può concedere quanto gli è stato richiesto, dia almeno una risposta caritatevole, 14. perché sta scritto: "Una buona parola vale più del migliore dei doni".
... 18. Nelle ore fissate si distribuisca quanto si deve dare e si chieda quello che si deve chiedere, 19. perchè nessuno si turbi o si rattristi nella casa di Dio.Capitolo XXXV - Il servizio della cucina
1. I fratelli si servano a vicenda e nessuno sia dispensato dal servizio della cucina, se non per malattia o per un impegno di maggiore importanza, 2. perché così si acquista un merito più grande e si accresce la carità. 3. Ma i più deboli siano provveduti di un aiuto, in modo da non dover compiere questo servizio con tristezza;...
Tratto
dal libro "Le istituzioni cenobitiche"
di Giovanni Cassiano.
Edizioni Scritti monastici -
Monaci Benedettini di Praglia
LIBRO NONO
LO SPIRITO DELLA TRISTEZZA
1. I DANNI DELLA TRISTEZZA
Nel quinto combattimento dobbiamo reprimere le tendenze della tristezza: è un vizio che morde e divora. Se questa passione, in momenti alterni e con i suoi attacchi d'ogni giorno, variamente distribuiti secondo circostanze impreviste e diverse, riuscirà a prendere il dominio della nostra anima, ci separerà un po' alla volta dalla visione della contemplazione divina fino a deprimere interamente la stessa anima dopo averla distolta da tutta la sua condizione di purezza: non permetterà più di dedicarsi alle preghiere con l'abituale alacrità del cuore e nemmeno di applicarsi, come rimedio, alla lettura delle sacre Scritture. Questo vizio impedisce di essere tranquilli e miti con i propri fratelli e rende impazienti e aspri di fronte a tutti gli uffici dovuti ai vari lavori e alla religione. Perduta così ogni facoltà di buone decisioni e compromessa la stabilità dell'anima, quella passione rende il monaco come disorientato ed ebbro, lo infiacchisce e lo affonda in una penosa disperazione.
2. OCCORRE GUARIRE L'ANIMO DALLA TRISTEZZA
Se dunque noi aspiriamo ad affrontare decisamente e secondo le regole la lotta spirituale con impegno non minore delle battaglie precedenti, è necessario, da parte nostra, aver cura anche di questo male. Infatti, «come la tignola danneggia i vestiti e come il verme danneggia il legno, cosi la tristezza dell'uomo nuoce al suo cuore» (Pr 25, 20). Lo Spirito divino ha dunque espresso con sufficiente evidenza e proprietà la virulenza di questo vizio dannoso e pernicioso.
3. GLI INSEGNAMENTI DELLA SCRITTURA
l. E di fatto un vestito roso dalla tignola non avrà più alcun prezzo e non potrà servire ad alcun uso; così pure un legno, corroso dai vermi, non potrà essere destinato a ornare una casa anche modesta, ma soltanto a essere bruciato. Tale si rende anche l'anima corrosa dai morsi della tristezza: ella non è più adatta a indossare la veste pontificale che secondo il vaticinio del santo profeta Davide riceve abitualmente l'unguento dello Spirito Santo che discende dal cielo, prima sulla barba di Aronne e poi sulle frange del suo vestito. t scritto infatti: «Come l'unguento sul capo che scende sulla barba di Aronne e poi sul lembo del suo vestito» (Sal 132 [133], 2).
2. Ma quest'anima non potrà neppure prendere parte all'edificazione e all'ornamento di quel tempio spirituale, del quale Paolo, sapiente architetto, pose le fondamenta, dicendo: «Voi siete il tempio di Dio, e lo Spirito di Dio abita in voi» (1 Cor 3, 16). E nel Cantico dei Cantici la sposa indica di quale legno quel tempio deve essere costruito: «Le travi sono i cipressi, e le pareti delle nostre case sono i cedri» (Ct 1, 16; LXX). Per questo vengono scelti, per l'edificazione del tempio di Dio, quelle specie di tronchi d'albero che emettono buoni odori e non sono soggetti alla putrefazione, e non subiscono né la corrosione dei tempo né l'opera roditrice dei vermi.
4. LE CAUSE DELLA TRISTEZZA
Alcune volte la tristezza è solitamente generata per colpa della collera già da prima generatasi, oppure a causa di qualche voglia non soddisfatta o di qualche guadagno non raggiunto, quando insomma qualcuno si vede venire a mancare di uno o di un altro di questi beni già prima assai desiderato. Talvolta invece, pur non intervenendo nessuna delle cause facili a farci cadere in quello stato dannoso, ci sentiamo improvvisamente sorpresi da tanta afflizione per istigazione del nostro malizioso nemico da non potere accogliere con la consueta affabilità l'arrivo delle persone a noi più care e necessarie: è proprio allora che noi riteniamo importuno e inutile quanto da esse ci viene riferito in una pur convenevole conversazione, ed è in quelle occasioni che da noi vengono date delle risposte per nulla gradite, poiché ogni rifugio del nostro animo è invaso dal fiele dell'amarezza.
5. LE CAUSE DELLA TRISTEZZA DERIVANO SOLTANTO DA NOI
E cosi si dimostra con estrema evidenza che non sempre gli stimoli delle nostre reazioni sono provocati in noi per colpa degli altri, ma per colpa nostra. Siamo noi stessi a portare dentro di noi i motivi dei nostri dispiaceri e le radici dei nostri vizi, e questi, non appena la pioggia delle tentazioni si riversa sulla nostra anima, germinano e producono i loro frutti.
6. LE CADUTE SONO LA CONSEGUENZA DI LUNGA NEGLIGENZA
Nessuno infatti può essere indotto a commettere una colpa solo perché spinto dal vizio di un altro, a meno che egli non ritenga già riposta nel suo cuore la materia della sua caduta. Cosi pure non bisogna credere che uno si sia lasciato sedurre all'improvviso solo perché, intravista la bellezza d'una donna, si è fatto trascinare nel fondo di una vituperevole concupiscenza; è vero invece che quegli impulsi morbosi, occulti prima e profondamente radicati, sono affiorati alla superficie proprio allora in occasione di quella vista.
7. LA CONVIVENZA CON GLI ALTRI CI RENDE PIU’ PAZIENTI
Iddio perciò, creatore dell'universo, ben sapendo più d'ogni altro il segreto di curare le sue creature e conoscendo che non negli altri, ma in noi stessi s'affondano le radici e le cause delle nostre colpe, non ci domanda di abbandonare la convivenza con i nostri fratelli e di evitare coloro che riteniamo siano stati da noi offesi oppure abbiano essi stessi disgustato noi; al contrario, Egli vuole che cerchiamo di cattivarceli, ben sapendo che la perfezione dell'anima non si acquista tanto col separarci dagli uomini, quanto piuttosto con l'esercizio della pazienza. Ed è vero che la pazienza saldamente posseduta, come può, da una parte, mantenerci sereni perfino con quelli che ricusano la pace (cf. Sal 119 [120], 7), cosi pure, se essa non è stata assicurata, potrà, al contrario, provocare continuamente la discordia anche con quelli che sono già perfetti e migliori di noi. In realtà non potranno mancare nella vita comune occasioni di turbamento, al punto da farci perfino proporre di abbandonare coloro, con i quali abbiamo a convivere, ma con questo non eviteremo le vere cause della tristezza che ci avranno indotto a separarci dai primi compagni; semplicemente, le muteremo!
8. LA PAZIENZA RENDE FACILE LA VITA IN COMUNE
Pertanto dobbiamo procurare di emendare sollecitamente i nostri difetti e di correggere le nostre abitudini. E allora, se i nostri vizi saranno corretti, la nostra vita s'accorderà in maniera molto facile non soltanto con gli uomini, ma anche con gli animali e con le bestie selvatiche, secondo quanto risulta dal libro di Giobbe: «Le bestie selvatiche saranno in pace con te» (Gb 5, 23; LXX). Non avremo più da temere motivi d'offesa provenienti dal di fuori, e non potranno sorprenderci provocazioni dall'ambiente esterno, se in noi stessi non saranno accolte e innestate le loro radici. Infatti esiste «una grande pace per quelli che amano il tuo nome; non c'è per loro occasione d'inciampo» (Sal 118 [119], 165).
9. LA TRISTEZZA DI CAINO E DI GIUDA
Esiste pure un altro genere di tristezza anche più detestabile. Esso non conduce il colpevole a correggere la propria vita e a emendare i propri difetti, ma tende verso una disperazione rovinosa della propria anima. Essa non permise a Caino di pentirsi dopo l'uccisione del fratello (cf. Gen 4, 9-16), e a Giuda di cercare, dopo il suo tradimento, il rimedio della riparazione: egli invece si lasciò trascinare dalla sua disperazione fino a sospendersi a un laccio (cf. Mt 27, 5).
10. UNA SOLA E' LA TRISTEZZA UTILE
Perciò c'è un solo caso in cui dobbiamo ritenere utile per noi la tristezza, quando la vogliamo accogliere perché accesi dal pentimento dei nostri peccati, dal desiderio della perfezione e dalla previsione della beatitudine futura. t di questa tristezza che parla l'Apostolo: «La tristezza conforme ai voleri di Dio produce un pentimento che porta a salvezza sicura; invece la tristezza del mondo produce la morte» (2 Cor 7, 10).
11. COME DISTINGUERE LA TRISTEZZA UTILE DA QUELLA DANNOSA
La tristezza che «genera il pentimento che porta a salvezza sicura» (2 Cor 7, 10) è obbediente, affabile, umile, docile, soave e paziente, perché deriva dall'amore di Dio; per il desiderio della perfezione essa si sottopone senza tregua alla tolleranza d'ogni dolore del corpo e alla contrizione dello spirito e, in certo qual modo, essa, del tutto serena e animata dalla fiducia del proprio profitto, conserva tutta la dolcezza dell'affabilità e della generosità, mantenendo in se stessa tutti i frutti dello Spirito Santo, così enumerati dall'Apostolo: «I frutti dello Spirito sono la carità, la gioia, la pace, la longanimità, la benignità, la bontà, la fedeltà, la mitezza, la temperanza» (Gal 5, 22-23). Al contrario, la tristezza dei mondo è molto aspra, dura, piena di rancore, di sterili affanni e di gravosa disperazione. Colui che ne rimane vittima si vedrà distratto e distolto da ogni attività e dalla salutare compunzione del cuore, poiché la tristezza è irrazionale e mortifica non solo l'efficacia delle preghiere, ma rende pure vani tutti i frutti dello Spirito Santo, da noi in precedenza ricordati, quelli che la tristezza utile può produrre.
12. OGNI TRISTEZZA E' NOCIVA, SE NON PROVIENE DA DIO
Per queste ragioni ogni tristezza, se si eccettua quella che viene accolta per una salutare penitenza o per l'impegno della perfezione o per il desiderio dei beni futuri deve essere repressa, perché tutta propria del mondo e perché provocatrice di morte. Perciò è necessario estirparla radicalmente dal nostro cuore al modo stesso della fornicazione, dell'avarizia e della collera.
13. I RIMEDI PER VINCERE LA TRISTEZZA
Noi pertanto riusciremo a espellere da noi questa passione così dannosa solo se saremo in grado di sollevare il nostro spirito e mantenerlo continuamente occupato nella meditazione spirituale in previsione della speranza futura e della promessa beatitudine. In questo modo infatti saremo in grado di superare ogni genere di tristezza, quella che deriva in noi da un precedente atto di collera o per la perdita di un guadagno o per un danno a noi inferto; e cosi pure la tristezza generata in noi da un'ingiuria subita, oppure nata dentro di noi per qualche turbamento della mente sorto senza fondato motivo, o anche creatosi in noi per effetto d'una mortifera disperazione. Cosi, perseverando sereni e sicuri nella previsione dei beni futuri, senza lasciarci vincere dalle vicende del mondo presente quando esse ci sono avverse, e senza lasciarci lusingare quando esse tornano a nostro favore, potremo considerare le une e le altre come passeggere e destinate a cadere ben presto.
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21 giugno 2014 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net