Il Padre Nostro, una sintesi di tutto il Vangelo
Estratto da “Tertulliano - La preghiera”
A cura di Pier Angelo Gramaglia
Edizioni Paoline 1984
(Il testo originale contiene molte note esplicative)
(Testo estratto dal sito clarisseremite.xoom.it)
1. Gesù Cristo, il Signore nostro, colui che è lo spirito di Dio, la parola di
Dio e la ragione di Dio, anzi la parola della ragione, la ragione della parola e
lo spirito dell'una e dell'altra (cf Gv 1, 1; Rom I,4), ha fissato per i nuovi
discepoli del nuovo Testamento un nuovo modello di preghiera (cf Lc 11,1).
Bisognava infatti che anche in quest'ambito negli otri nuovi fosse tenuto in
serbo del vino nuovo, che il pezzo di stoffa nuovo fosse cucito su un vestito
nuovo (cf Mt 9, 16-17; Mc 2, 21- 22; Lc 5, 36-39).
Del resto quel che c'era prima o venne mutato, come la circoncisione, oppure
venne integrato, come il resto della legge, oppure si realizzò, come la
profezia, oppure raggiunse il suo compimento, come appunto la fede (cf Mt 5,
17).
2. La nuova grazia di Dio ha rinnovato tutto, trasponendo tutto da un piano
carnale ad un piano spirituale, tramite l'apporto del Vangelo che porta a
compimento tutto quanto c'era prima di vecchio; nel Vangelo il Signore nostro
Gesù Cristo ha dimostrato di essere lo spirito di Dio, la parola di Dio e la
ragione di Dio; si dimostrò spirito di Dio con quel che seppe fare, parola di
Dio per quel che insegnò e ragione di Dio per essere venuto.
Ecco perché la preghiera stabilita da Cristo ingloba strutturalmente tre
dimensioni: è fatta di spirito per cui ha tanta efficacia, di parola che ne
costituisce le espressioni e di ragione per cui è utile.
3. Anche Giovanni aveva insegnato ai suoi discepoli a rivolgersi a Dio in
preghiera (cf Lc 11, 1), ma tutta la vita di Giovanni aveva solo funzione di
propedeutica a Cristo, fino a che, con la crescita di questi, tutto il servizio
compiuto dal precursore assieme allo stesso Spirito si trasferisse presso il
Signore (cf Mt 11, 13; Lc 16, 16); d'altronde proprio Giovanni preannunciava che
lui doveva diminuire mentre Cristo doveva crescere (Gv 3, 30).
E non ci viene riferito in quali termini Giovanni aveva insegnato a rivolgersi a
Dio in preghiera appunto perché ciò che era terreno aveva ceduto il posto a
quanto è celeste. Disse Gesù: Chi viene dalla terra parla di cose terrene ma
chi è venuto dal cielo parla di ciò che ha visto (cf Gv 3, 31- 32). E Cristo
Signore ha forse qualcosa che non sia celeste?
Tali sono anche le sue istruzioni sulla preghiera.
4. Riflettiamo perciò, o benedetti, sulla sapienza celeste di Cristo,
innanzitutto per quanto concerne il precetto di rivolgersi a Dio in preghiera
nel segreto (cf Mt 6, 6); con esso egli stimolava la fede dell'uomo a credere
con fiducia che lo sguardo e l'ascolto di Dio onnipotente siano presenti, anche
quando si è soli a casa e si sta appartati, e nello stesso tempo esigeva quella
riservatezza della fede che spinge l'uomo, fiducioso che Dio ovunque veda e
ascolti, a offrire a lui solo i propri sentimenti religiosi.
5. Pure nel precetto successivo (cf Mt 6, 7) potrebbe esprimersi una sapienza
che riguarda parimenti la fede e la riservatezza della fede, qualora si sia
convinti che non ci si deve presentare davanti al Signore con una valanga di
parole, essendo sicuri che lui provvede ai suoi di sua iniziativa.
6. Tuttavia l'esigenza di essere brevi nella preghiera, e siamo così arrivati a
quello che potrebbe essere il terzo stadio di sapienza, è sorretta dal contenuto
e dalla semantica di parole grandi e beate; il testo evangelico tanto è conciso
nella sua formulazione quanto è estensibile nel suo significato. E infatti non
comprende soltanto le esigenze caratteristiche della preghiera, vale a dire
l'atteggiamento di venerazione nei riguardi di Dio oppure le richieste espresse
dall'uomo, ma include pure quasi l'intera parola del Signore, una panoramica
completa della dottrina di Cristo, sicché nella preghiera del Padre nostro
è davvero condensata una sintesi di tutto il Vangelo.
II
1. Si comincia con una testimonianza su Dio e con un valore acquisito nella
fede, quando diciamo: Padre che sei nei cieli (cf Mt 6, 9). Infatti
preghiamo Dio e nello stesso tempo esprimiamo il valore della fede perché per
merito di questa possiamo usare tali parole. Sta scritto: A quanti credettero
in lui, ha dato potere di essere chiamati figli di Dio (cf Gv 1, 12 e I
Gv3,1).
2. A dire il vero il Signore ci ha proclamato soventissimo che Dio è Padre, anzi
ha addirittura ordinato di non chiamare « padre » nessun altro sulla terra, solo
quello che abbiamo nei cieli (cf Mt 23, 9). E pertanto, rivolgendoci a lui con
questa preghiera, mettiamo anche in pratica un precetto evangelico.
3. Beati coloro che riconoscono il Padre! Ecco ciò che viene rinfacciato ad
Israele, ecco ciò che lo Spirito asserisce chiamando a testimoni il cielo e la
terra: Ho generato dei figli ma essi non mi hanno riconosciuto (Is 1,2).
4. Quando poi lo chiamiamo « Padre », noi implichiamo anche l'appellativo di
Dio. Il termine «Padre » nella sua semantica indica tenerezza e autorità.
5. Inoltre nel Padre noi invochiamo il Figlio. Dice infatti: Io e il Padre
siamo una cosa sola (Gv 10, 30).
6. E non tralasciamo neppure la madre, cioè la Chiesa, perché nel Figlio e nel
Padre è riconoscibile la madre; da lei infatti il nome del Padre e del Figlio è
autorevolmente garantito.
7. Con un solo termine a largo significato o con una sola parola noi nello
stesso tempo onoriamo Dio assieme a quelli che sono con lui, siamo memori di un
precetto evangelico e denunciamo coloro che si sono dimenticati del Padre.
III
1. Il nome di Dio come Padre non era stato manifestato a nessuno. Anche Mosè,
che pur aveva chiesto a Dio come si chiamasse, aveva sentito un nome diverso (cf
Esodo 3, 13-14). A noi invece è stato rivelato nel Figlio (cf Mt 11, 27). E
infatti il nome di Padre non è stato rivelato prima della venuta del Figlio.
Disse: Sono venuto nel nome del Padre (Gv 5, 43). Poi ancora: Padre,
glorifica il tuo nome (Gv 12, 28). E ancor più esplicitamente: Ho fatto
conoscere il tuo nome agli uomini (Gv 17, 6).
2. E noi chiediamo appunto che esso venga santificato, non certo perché si
confaccia a degli uomini fare qualche bell'augurio a Dio, come se ci fosse
qualcun altro a cui chiedere per lui qualche favore, oppure perché Dio starebbe
male senza i nostri auguri.
Indubbiamente sarebbe conveniente che Dio venisse benedetto da ogni uomo
dappertutto e in ogni momento perché ci si dovrebbe ricordare sempre dei suoi
benefici; ebbene anche questa richiesta espressa nella preghiera ha lo stesso
significato di una benedizione di Dio.
3. Del resto quando mai il nome di Dio non è santo e non è santificato in se
stesso, dal momento che è proprio lui da sé che santifica gli altri? Le schiere
di angeli che gli stanno intorno non cessano di dirgli: Santo, santo, santo
(Is 6, 3; Apoc 4, 8). Allo stesso modo quindi anche noi, destinati a vivere con
gli angeli se l'avremo meritato, già di qua impariamo quella parola celeste
rivolta a Dio e quell'omaggio con cui lo venereremo nello splendore futuro.
4. Questo per quanto concerne la gloria di Dio. Per il resto, cioè per quanto
riguarda la nostra richiesta espressa con la preghiera: Sia santificato il
tuo nome (Mt 6, 9), noi chiediamo in realtà che venga santificato in noi,
che pur esistiamo in lui, e nello stesso tempo anche negli altri che non sono
ancora stati raggiunti dalla grazia di Dio. E così, pregando per tutti, noi
osserviamo anche un altro precetto evangelico, quello che ci ordina di pregare
pure per i nostri nemici (cf Mt 5, 44). E infatti omettiamo di precisare la
nostra richiesta; non diciamo: Sia santificato in noi, vale a dire chiediamo che
venga santificato in tutti.
IV
1. In conformità a questo modello noi soggiungiamo: Sia fatta la tua volontà
nei cieli e sulla terra (Mt 6, 10), non certo perché, opponendosi qualcuno a
che sia fatta la volontà di Dio, noi ci mettiamo a pregare per augurargli di
riuscire a spuntarla con la sua volontà; in realtà chiediamo che la sua volontà
si realizzi in tutti.
Se poi vogliamo applicare una interpretazione allegorica con riferimento alle
categorie di carne e di spirito, allora il cielo e la terra siamo noi.
2. Tuttavia, anche se dobbiamo interpretare il testo nel suo significato più
ovvio, identico resta il senso della nostra richiesta; noi chiediamo infatti che
sia fatta in noi sulla terra la volontà di Dio, affinché possa quindi
realizzarsi anche nei cieli. E che altro vuole Dio se non che camminiamo in
conformità alla sua dottrina? Noi chiediamo quindi che egli ci fornisca i
contenuti del suo volere e la possibilità di attuarli, per essere salvati sia
nei cieli che sulla terra, perché la finalità ultima della sua volontà è proprio
la salvezza di quanti egli ha adottato.
3. È anche volontà di Dio quella di cui il Signore si è messo a disposizione
mentre predicava, operava e sopportava la passione (cf Gv 4, 34; 5, 30). Dal
momento che egli stesso dichiarò di fare non la sua ma la volontà del Padre (cf
Gv 6, 38), non c'è dubbio che quanto faceva era appunto la volontà del Padre; e
a ciò che Cristo faceva veniamo ora stimolati, perché ci serva da modello, in
modo che anche noi predichiamo, operiamo e sopportiamo fino alla morte. Ma per
poter attuare tutto ciò, abbiamo bisogno della volontà di Dio.
4. E così, dicendo: Sia fatta la tua volontà, ci facciamo per lo meno un
buon augurio, dal momento che nella volontà di Dio non c'è nulla di male, anche
se diversamente qualche castigo viene inflitto secondo i meriti di ciascuno.
5. Anzi, con queste parole ci sproniamo in anticipo a sopportare la sofferenza.
Anche il Signore, allorché nell'imminenza della passione volle mostrare appunto
nella sua carne che la carne è debole, disse: Padre, allontana questo calice,
ma poi si ricordò: Tuttavia non la mia, bensì la tua volontà sia fatta
(Lc 22, 42; Mc 14, 36; Mt 26, 39).
Ebbene, era proprio lui la volontà e il potere del Padre; eppure, per mostrare
come si debba sopportare una sofferenza meritata, si consegnò alla volontà del
Padre.
V
1. Pure l'invocazione: Venga il tuo regno (Mt 6,10) presuppone
riferimenti analoghi a quelli impliciti nel: Sia fatta la tua volontà,
vale a dire si intende: su noi.
Perché quando mai Dio non regna, se è in mano sua il cuore di tutti i re
(cf Prov 21, 1)? Quando ci auguriamo qualcosa, qualunque essa sia, è a lui che
rivolgiamo i nostri desideri, a lui attribuiamo quanto da lui ci aspettiamo.
Pertanto se la imminente realizzazione del regno del Signore si basa sulla
volontà di Dio e sulla nostra attesa, come è possibile che alcuni chiedano
qualche dilazione per il mondo, dal momento che il regno di Dio, di cui nella
preghiera chiediamo la venuta, implica per forza la fine del mondo, alla quale
tende?
Desideriamo ben anticipare al più presto il nostro regno e non certo prolungare
ancor più il nostro periodo di schiavitù.
2. Quand’anche nel testo della preghiera non fosse stato stabilito in
antecedenza che dobbiamo chiedere la venuta del regno, una tale richiesta
l’avremmo espressa spontaneamente, bramosi come siamo di correre ad abbracciare
la nostra speranza.
3. Le anime dei martiri sotto l’altare gridano al Signore rimproverandolo:
Fino a quando, Signore, non vendicherai il nostro sangue sopra gli abitanti
della terra (Apoc 6, 9-10)? E senza dubbio la vendetta dei martiri si
realizza a partire dalla fine del mondo.
4. E pertanto venga il più presto possibile, o Signore, il tuo regno; esso è il
desiderio dei Cristiani, sarà lo sbigottimento e la vergogna dei pagani ma la
gioia degli angeli; a causa di questo regno siamo vessati (cf 2 Tess 1,5), anzi
piuttosto ad esso dobbiamo la nostra preghiera.
VI
1. E con quale buon gusto la sapienza divina ha modellato le varie parti della
preghiera in modo che, dopo le realtà celesti, vale a dire dopo il nome di Dio,
la volontà di Dio e il regno di Dio, ci fosse posto anche per chiedere quanto
concerne i bisogni terrestri!
D'altra parte il Signore aveva già esplicitamente dichiarato: Cercate
dapprima il regno e allora vi saranno date in soprappiù pure queste cose (Mt
6, 33; Lc 12, 31).
2. Anche se dovremmo piuttosto intendere in senso spirituale il Dacci oggi il
nostro pane quotidiano (Mt 6, 11). È Cristo infatti il nostro pane, perché
Cristo è vita e anche il pane è vita; ha detto: Io sono il pane della vita
(Gv 6, 35), e poco prima: Pane è la parola del Dio vivente, che è venuto giù
dal cielo (cf Gv 6, 33).
Inoltre, siccome ha detto: Questo è il mio corpo (Mt 26, 26; Mc 14, 22;
Lc 22, 19), noi riteniamo che nel pane ci sia il suo corpo. Pertanto chiedendo a
Dio il pane quotidiano noi lo preghiamo di poter vivere sempre in Cristo e di
non essere mai separati dal suo corpo.
3. Però, se pur interpretassimo in senso carnale queste parole, esse non
potrebbero comunque perdere una dimensione religiosa in rapporto appunto al
carattere spirituale della nostra dottrina. Gesù infatti ordina di chiedere il
pane, cioè l'unica cosa necessaria ai suoi fedeli; di altri beni vanno alla
ricerca invece i pagani (cf Mt 6, 32-33). Gli stessi valori Gesù cerca di
inculcarli con esempi e di spiegarli con parabole, come quando dice: Forse
che un padre toglie il pane ai figli per buttarlo ai cani (cf Mt 15, 26; Mc
7, 27)? O ancora: Forse che ad un figlio che gli chiede del pane, darà una
pietra (Mt 7, 9; Lc 11,11)? Indica con chiarezza che cosa i figli si
attendano dal padre. E anche quel tale che bussava di notte chiedeva del pane
(cf. Lc 11, 5).
4. Giustamente poi ha aggiunto: Dacci oggi, perché prima aveva formulato questo
invito: Non affannatevi per il domani chiedendovi che cosa mangerete (cf Mt 6,
34). Ad un tale ideale ha applicato ancora la parabola di quell'uomo che dopo un
ottimo raccolto aveva progettato di costruire magazzini più grandi per passare
in tranquillità lunghi anni, mentre stava per morire proprio quella notte (Lc
12,16-21).
VII
1. Era logico che, dopo aver espresso la nostra venerazione di fronte alla
liberalità di Dio, supplicassimo pure la sua clemenza. A che serve infatti ciò
che mangiamo, dal momento che ai suoi occhi noi siamo davvero ritenuti né più né
meno come un toro destinato ad essere sacrificato?
Sapeva il Signore di essere lui solo senza peccato (cf Gv 8, 46; 2 Cor 5, 21).
Ecco perché ci insegna a chiedere che ci vengano rimessi i nostri debiti
(Mt 6, 12).
La richiesta di perdono altro non è che una confessione di aver peccato (exomologesis),
perché chi chiede perdono confessa appunto il suo peccato. E così anche la
conversione si dimostra gradita a Dio, perché Dio la preferisce alla morte del
peccatore (cf Ez 18, 21-23).
2. La Scrittura usa il termine « debito » come semantica figurata di « peccato »
nel senso di qualcosa che, allo stesso modo di un debito, deve essere soggetto
ad un processo giuridico con la richiesta formale del saldo da parte del
giudice; e non si può scampare alla giustizia che esige il pagamento del debito,
a meno che il debito venga condonato, come ad esempio nel caso del padrone che
condonò il debito a quel servo della parabola (cf Mt 18, 23-35). L'intera
parabola ci fornisce un esempio istruttivo che riguarda proprio questo tema.
Infatti l'episodio di quel servo che, dopo essere stato lasciato andare dal
padrone, non fa lo stesso con un suo debitore e non gli condona il debito,
sicché, denunciato presso il padrone, viene consegnato ad un aguzzino che gli
faccia scontare fino all'ultimo centesimo (cf Mt 5, 26; Lc 12, 59), cioè gli
faccia scontare anche il più piccolo peccato, ha lo stesso significato di quando
dichiariamo di condonare pure noi ai nostri debitori (cf Mt 6,12).
3. D'altronde pure in un altro testo viene ripreso lo stesso tema del Padre
nostro, là dove dice: Condonate e vi sarà condonato (Lc 6, 37). Quando
poi Pietro chiese se avesse dovuto condonare per sette volte ad un suo fratello,
Gesù rispose: No, ma per settanta volte sette (Mt 18, 21). Intendeva
riformare e migliorare la legge, dal momento che nel libro della Genesi
si dichiara che Caino sarebbe stato vendicato sette volte ma Lamech settanta
volte sette (Gen 4, 15 e 24).
VIII
1. Per completare una preghiera così succinta aggiunse che dobbiamo supplicare
Dio non solo per il perdono dei peccati, ma anche per evitarli del tutto: Non
ci trascinare nella tentazione (Mt 6, 13; Lc 11,4), vale a dire: Non
tollerare che vi veniamo trascinati, naturalmente da colui che intende tentarci.
2. Ovviamente resti ben lontano da noi il pensiero che sia il Signore a
tentarci, come se non fosse al corrente della fede di ciascuno o si desse da
fare per buttar giù gli uomini.
3. Incapacità di conoscere e cattiveria sono roba del Diavolo. Perché il Signore
aveva ordinato ad Abramo di offrire in sacrificio il figlio non certo per
tentarne la fede, bensì per apprezzarla nel momento della prova (cf Gen 22,
1-18); voleva fare di Abramo un esempio che servisse al suo comandamento, che
avrebbe poco più tardi formulato, per cui nessuno dovrebbe tenere in conto i
suoi familiari più di Dio (cf Deut 13, 7-12 e Lc 14, 26; Mt 10, 37).
4. Tentato egli stesso dal Diavolo, smascherò pubblicamente colui che è davvero
l'artefice che dirige le fila dietro ogni tentazione.
5. Il passo è confermato da quanto avvenne in seguito allorché disse: Pregate
per non essere tentati (Mt 26, 41). E furono tentati fino ad abbandonare il
Signore proprio perché si erano dati più al sonno che alla preghiera (cf Mt 26,
36-46).
6. A ciò corrisponde la finale del Padre nostro, la quale spiega che cosa
voglia dire: Non ci portare nella tentazione (Mt 6, 13; Le 11, 4); vuoi
dire appunto: Ma portaci via dal Maligno (Mt 6, 13).
IX
1. Con una sintesi di poche parole quante dichiarazioni dei profeti, dei vangeli
e degli apostoli, quanti discorsi, parabole, esempi e precetti del Signore
vengono richiamati! E quanti doveri religiosi riusciamo a concretizzare in una
sola volta!
2. Si parla del Padre, ecco l'onore dovuto a Dio; poi si accenna al suo nome,
ecco una testimonianza della fede; quindi si richiama la volontà di Dio, gli
offriamo in dono il rispetto che gli dobbiamo; ricordiamo il regno e il nostro
pensiero rammenta la nostra speranza; nel pane gli domandiamo la vita;
chiedendogli perdono confessiamo i nostri debiti; sollecitando infine da lui
protezione dimostriamo di essere preoccupati per le tentazioni.
3. Ma perché meravigliarsi di ciò! Dio soltanto poteva insegnarci come
desiderava essere interpellato nella preghiera. È stato lui stesso a regolare
l'esperienza religiosa della preghiera che veniva animata dal suo Spirito già
allora quando usciva dalla bocca divina; ecco perché essa, in virtù di un
privilegio del tutto speciale, sale fino al ciclo per raccomandare al Padre ciò
che il Figlio ha insegnato.
X
Ma siccome il Signore, che prevede e si prende cura delle necessità degli
uomini, dopo aver consegnato l'istruzione che ci insegna a pregare, ha ancora
aggiunto a parte l'invito: Chiedete e riceverete (cfr Gv 16, 24; Mt 1, 7;
Lc 11, 9), evidentemente ci sono anche delle cose che dovrebbero essere chieste
secondo le situazioni in cui ognuno viene a trovarsi.
Prima però dobbiamo innalzare a Dio la preghiera normale prescrittaci dal
Signore, che funge quasi da fondamento a base di ulteriori nostri desideri.
L'invito comunque ci autorizza a formulare altre richieste da aggiungere dopo il
Padre nostro, naturalmente a condizione che ci ricordiamo dei precetti
evangelici; saremmo lontani dalle orecchie di Dio tanto quanto tenessimo lontani
da noi quei precetti.
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21 aprile 2024 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net