CAVALIERI DI CRISTO
di
Alain Demurger
Articolo tratto dalla rivista "MedioEvo"
n. 174 – luglio 2011
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Una raffigurazione dei Templari in un manoscritto del 1215 |
POTENTI E TEMUTI, FINIRANNO SUL ROGO. MA LA LORO
LEGGENDA ATTRAVERSERÀ INDENNE I SECOLI, COL SUO INQUETANTE CARICO DI
MISTERI.
PREGATE E COMBATTETE
Un manipolo di cavalieri, pronunciati i voti monastici, si arma in difesa dei luoghi santi. Nasce l’Ordine del Tempio. L'Ordine dei Tempio non è né una società segreta, né una setta esoterica; è, se così posso dire, un oggetto storico ben identificato, se non proprio ben conosciuto. È il primo ordine religioso-militare creato dalla cristianità occidentale, latina, e romana, nel Medioevo. Il Templare è, innanzitutto, un religioso che pronuncia i tre voti di obbedienza, povertà e castità. Come il monaco, vive secondo una regola; ma, a differenza di questi, che prega e medita all'ombra dei chiostri, il Templare combatte sul campo di battaglia per difendere Dio e la sua Chiesa. Questa novità, l'ordine religioso-militare, è il risultato delle esigenze della crociata e degli sconvolgimenti della società feudale occidentale intorno all'anno Mille, sotto il duplice effetto dello sviluppo del feudalesimo e dei movimento della riforma gregoriana. L'Ordine è nato senza clamore a Gerusalemme, nella Città Santa liberata dai Franchi alla fine della prima crociata (1095-1099). Gli Stati latini formatisi allora (Edessa, Antiochia, Tripoli e il regno di Gerusalemme) devono essere difesi, poiché i Musulmani di Damasco e di Aleppo si sono ben presto riorganizzati; ed è necessario anche proteggere i numerosi pellegrini occidentali che fanno visita al Santo Sepolcro. Bisogna dunque piazzare i propri uomini in questi Stati ed essere in grado di mobilitare rapidamente un'armata, giacché quella non è sufficiente.
LA GUERRA GIUSTA
Così, l'iniziativa di Ugo di Payns e del suo piccolo
gruppo di cavalieri (nove secondo la tradizione), nel 1120, è ben accolta
dal re di Gerusalemme, Baldovino II. Essi si propongono di formare una
milizia che viva secondo una regola religiosa e la cui missione sia di
proteggere, se necessario anche con le armi, i pellegrini lungo le strade,
ancora poco sicure, che conducono dai porti a Gerusalemme e al Giordano.
L’imperativo della difesa degli Stati latini obbligherà ben presto i
Templari a superare questa fase difensiva e a partecipare ai combattimenti.
Il re Baldovino posiziona Ugo di Payns e i suoi cavalieri nella moschea di
al-Aqsa, sulla spianata del distrutto tempio di Salomone. Il nuovo ordine
prenderà di qui il nome di "Milizia dei poveri cavalieri di Cristo del
Tempio di Salomone", che verrà abbreviato in Ordine del Tempio o Ordine dei
Templari. Un grande ricovero, che accoglieva i pellegrini cristiani nei
pressi dei Santo Sepolcro, fu la culla dell'Ordine dei Cavalieri di San
Giovanni dell'Ospitale, riconosciuto nel 1113 da Pasquale II. Puramente
caritativo all'inizio, questo si trasformerà, sul modello dei Templari, in
ordine religioso-militare. Eguaglierà il Tempio in potenza e i due ordini
verranno spesso associati, ma talvolta saranno anche in concorrenza o,
dirittura, in aperta rivalità. Dunque, entrando a far parte dell'Ordine del
Tempio, si potevano pronunciare i tre voti monastici di obbedienza, povertà
e castità, per poi andare a spargere sangue! È una novità, perfino una
mostruosità per alcuni. Per capirne il senso, bisogna considerare tre
fattori. In origine il cristianesimo era "pacifista", ma nel IV secolo esso
divenne la religione dell'Impero Romano e dovette affrontare il problema
della guerra. Sant'Agostino prima, Isidoro di Siviglia più tardi hanno così
definito un concetto di guerra compatibile con l'ideale cristiano: è giusta
ogni guerra decisa da un'autorità legittima e che miri alla difesa da un
aggressore, o a recuperare un bene di cui questi si sia appropriato. La
crociata è una guerra giusta perché è giusto riprendere Gerusalemme
all'Islam che l'ha fatta sua con la forza. Quelli che conducono questa
guerra santa diventano i nuovi soldati di Cristo. Dopo l'anno Mille, in
Occidente una potente classe di signori che unisce ricchezza fondiaria e
autorità domina una massa contadina, appropriandosi dei frutti del suo
lavoro con l'arbitrio. Per esercitare questa pressione, ma anche per lottare
tra loro, i signori ricorrono a specialisti dei combattimento a cavallo, i
cavalieri. Si tratta di uomini liberi che sviluppano, a poco a poco,
un'etica e una cultura che si impongono a tutta la classe dominante. Al
tempo stesso si delinea la teoria delle tre funzioni o dei tre ordini: la
società voluta da Dio è divisa in tre ordini gerarchici e solidali, quelli
che pregano, quelli che combattono, quelli che lavorano. Al movimento, che
ha preso il nome da papa Gregorio VII (1073-1085), si fa riferimento per la
lotta contro gli abusi del clero e la volontà di sottrarre la Chiesa
all'influenza dei potere laico; la riforma gregoriana, in realtà, va ben
oltre, e coinvolge l'insieme della società cristiana: ciascuno per quanto lo
riguarda deve agire secondo la volontà di Dio. La Chiesa accetta il
guerriero a condizione che egli si renda migliore e rinunci alla violenza
cieca, immotivata. Se la "Pace di Dio" già proteggeva i poveri, quelli che
non avevano i mezzi per difendersi, la "Tregua di Dio" proibisce ai
cavalieri di battersi in determinati giorni (domenica, feste religiose,
ecc.). Sotto pena di scomunica. Ma la Chiesa va anche più lontano: esortando
i cavalieri a partire per la crociata, per liberare la tomba di Cristo e
combattere gli infedeli, essa indirizza la violenza verso una giusta causa e
offre alla cavalleria una via di salvezza compatibile con il suo genere di
vita. Poiché la crociata ha come fine la presa di Gerusalemme e dei luoghi
santi è giusto, come dicevamo, difenderli: la creazione dei Templari, ordine
religioso-militare, risponde a questo obiettivo. Questa novità non fu
accettata da tutti, e perfino in seno al nuovo Ordine dei Tempio ci furono
dubbi sul valore di un impegno di tal genere. Ugo di Payns venne allora a
cercare in Occidente la legittimazione della sua iniziativa. Il papato la
approvò; un concilio riunito a Troyes nel gennaio dei 1129 convalidò la rego
la del nuovo Ordine. E San Bernardo di Chiaravalle, la più alta autorità
spirituale della cristianità, presente a Troyes, redasse, su richiesta dei
Templari, il suo Elogio della nuova milizia, per esaltare la missione di
questi nuovi cavalieri di Cristo. Quando, durante il 1129, Ugo di Payns
ritorna in Terrasanta con un centinaio di combattenti, lascia dietro di sé,
in Occidente, le fondamenta di quella rete di case di Templari che
forniranno ai confratelli impegnati in Oriente quanto necessario per
compiere la propria missione. Inizia la grande avventura dell'Ordine dei
Tempio.
SCORTA Al PELLEGRINI, GUARDIA ALLE FORTEZZE, AZIONI DI
COMMANDO. SEMPRE PRONTI A COMBATTERE, DA VERI PROFESSIONISTI DELLA GUERRA
Uomini per tutte le Stagioni
Molto presto i Templari vanno oltre la missione di
protezione dei pellegrini e iniziano a partecipare ai combattimenti per la
difesa degli Stati latini. Gli occidentali hanno importato il proprio
sistema militare, fondato sull'obbligo di servizio dei titolari dei feudi,
dai Paesi di origine, adattandolo alle particolari condizioni dell'Oriente
latino, dove la guerra è un dato costante. Il cavaliere è il combattente per
eccellenza, ma egli non è un professionista della guerra: l'attività bellica
è "stagionale" (primavera ed estate) e non occupa tutta la sua vita.
L'Ordine dei Tempio è la prima istituzione che fa la guerra "a tempo pieno".
La sua regola contiene nella seconda parte i Retraits (Capoversi),
indicazioni precise che ne fanno un vero e proprio regolamento militare.
Bisogna ricordare la distinzione fondamentale proposta dallo storico
francese Georges Duby tra guerra e battaglia. La guerra è fatta di colpi di
mano, imboscate, paesi rasi al suolo. La battaglia è un coinvolgimento
totale: si vince o si perde tutto, poiché è un giudizio di Dio. Essa è rara
in Occidente, un po' meno in Terrasanta, dove può esser provocata più
facilmente. Lo spirito della crociata e della guerra santa, il disprezzo di
una morte che spalanca le porte del Paradiso e la fiducia nel giudizio di
Dio spiegano in modo chiaro il maggiore ardimento - o addirittura la
temerarietà! - del combattente franco in Oriente. Non facciamone comunque
una regola. Grazie all'esperienza maturata, i latini d'Oriente e i fratelli
degli ordini militari hanno saputo in genere moderare i loro ardori di
crociati.
LE FORZE DELL'ORDINE
I combattenti franchi, spesso inferiori di numero,
dispongono, con la cavalleria, di una forza di impatto senza uguali nei
confronti dei loro avversari musulmani, a condizione di utilizzarla al
momento giusto e su un terreno favorevole. Ma, perché questo avvenga, sono
necessarie costanza e disciplina. L'Ordine del Tempio è in grado di
mobilitare in Oriente un corpo di cinquecento cavalieri. Ben protetto da una
cotta di maglia e da un'armatura, fornito di elmo, abile nel maneggiare
scudo, lancia e spada, con a disposizione numerosi cavalli, tra cui uno
robusto da guerra, il cavaliere del Tempio, assistito da valletti e
palafrenieri, combatte in uno squadrone chiamato échelle, al comando del
Maresciallo dell'Ordine. Al momento giusto, quando è lanciata la carica, i
sergenti, armati in modo più leggero, gli prestano manforte. Fronteggiando i
ripetuti attacchi degli arcieri a cavallo nemici, i Templari hanno
sviluppato corpi di arcieri e balestrieri così come una cavalleria leggera
di "turcopoli" (turcoples o turcopoles), che cioè combattono alla turca,
guidati dal "turcopolerio". I Templari si impegnarono in diversi generi di
combattimento. In battaglia, naturalmente, sono tutt'uno con l'armata dei
re, spesso rinforzata dall'apporto dei crociati, ma i cronisti del tempo
sanno ben distinguere le truppe: <Tutti i cavalieri di Terra Santa, tutti i
combattenti dell'Ordine dei Tempio, gli Ospitalieri, i Teutonici>, si trova
scritto a proposito della sconfitta di La Forbie nel 1244. Essi hanno
condotto anche delle cariche a cavallo, vere e proprie operazioni di
commando, contro le forze musulmane. Ma il principale compito dei Templari è
di proteggere e questo appare chiaro sia dalla scorta, con un corpo speciale
di dieci cavalieri, dei pellegrini che si recano al Giordano, sia dalla
guardia assicurata da cavalieri in ordine sparso, quando l'armata fa sosta
per rifornirsi, o dalle cavalcate in "terra di rischio", di ricognizione,
cioè sul territorio, che la regola dell'Ordine distingue dalla cavalcata in
terra "sicura". Quando l'armata cambia postazione, quando combatte durante
la marcia, come accadde nel corso della terza crociata sotto il comando di
Riccardo Cuor di Leone, i Templari e gli Ospitalieri assicurano
sistematicamente l'avanguardia e la retroguardia, tanto si ha fiducia nelle
loro qualità di combattenti. Il troviero Ambrogio, che racconta la terza
crociata e gli autori delle cronache della quinta crociata sul campo di
Damietta, hanno lodato la rapidità, la disciplina, la coesione dei Templari
e dei fratelli degli altri ordini. L’affermazione del vescovo di Acri,
Giacomo de Vitry, secondo il quale <è il dovere d'obbedienza che ha abituato
i fratelli degli Ordini a rispettare la disciplina militare>, è
perfettamente chiarita da quanto accadde nel 1220 nel campo crociato davanti
a Damietta, quando un'incursione notturna dei Musulmani fu respinta dai
Templari, pronti a mobilitarsi poiché, mentre gli altri dormivano, essi
erano già riuniti per la recita del mattutino in una tenda adibita a
cappella dell'Ordine. Queste qualità, ma anche il fatto che gli ordini sono
in grado di assicurare un'azione militare continua, spiegano perché il re di
Gerusalemme, il principe d'Antiochia o il conte di Tripoli hanno affidato
agli ordini stessi la guardia delle loro fortezze.
DI GUARDIA ALLE FORTEZZE
La difesa degli Stati latini non si limita a una
frontiera. Nel XIII secolo, oltretutto, la frontiera non esiste più ed è più
giusto parlare di territori mai collegati gli uni agli altri e di cui alcuni
sono addirittura posti sotto la duplice autorità di Franchi e Musulmani.
Oltre a essere un rifugio, il castello è il punto di partenza per le
offensive, per gli attacchi a sorpresa; ed è anche il centro di un potere
politico ed economico. Permette di stabilire un rapporto di forza che
consente, tra l'altro, l'imposizione di un tributo alla popolazione; è così
che i Templari lo prelevano dalla setta degli "Assassini" di Djebel Ansarieh,
nella contea di Tripoli. Nel corso dei XII secolo, i Franchi hanno potuto
compensare la loro inferiorità numerica con una strategia di movimento che
si a poggiava a una fitta rete di castelli e fortificazioni di ogni tipo.
Non sarà più così nel secolo successivo quando i latini sono raccolti sulla
difensiva e devono ripararsi in enormi fortezze, di cui il Krak dei
Cavalieri (Ospitalieri) fornisce ancor oggi un'imponente testimonianza. Nel
corso dei XIII secolo gli ordini militari sono stati spinti a farsi carico
di queste fortezze, giacché essi soli avevano i mezzi per proteggerle e
sorvegliarle. Essi tengono così delle postazioni saldamente difese nelle
città costiere. Nel regno di Gerusalemme, conformemente alla loro missione
principale, i Templari hanno punteggiato di castelli le strade percorse dai
pellegrini: da Acri a Giaffa lungo la costa, da Giaffa a Gerusalemme, e poi
da Gerusalemme al Giordano, si trovano manieri o semplici torri: di Casel
Déstroit, di Merle (o Dor), di Castel des Plains, nelle vicinanze di Giaffa;
di Chateau Hernault, identificato a Yalu in seguito le scoperte
archeologiche del 1967; di Toron des Chevaliers (Latrun), nella valla Ayalon.
Lungo la ventina di chilometri che separa Gerusalemme dal Giordano, sono
state identificate quattro fortificazioni dei Templari. Nella seconda metà
del XII secolo, i Templari risiedettero stabilmente nella contea di Tripoli
e in Galilea, dove costruirono o ricevettero dal re ampie fortezze con
doppie mura: Safita (Chastel Blanc), La Fève, vasto magazzino di viveri e di
armi, nonché luogo difesa; Safed, che fu loro donata da re Amalrico nel
1168. A caratterizzare ancor meglio il ruolo svolto dagli ordini militari
nella difesa degli Stati franchi, si sono costituite ben presto delle vere e
proprie marche militari, a vantaggio dei Templari come degli Ospitalieri.
Alle frontiere del principato di Antiochia e della Cilicia armena, una marca
dei Templari costituita tra il 1131 e il 1137, difende l'accesso dal nord
del principato stesso, con i castelli di Baghras (il Gaston dei latini), di
Roche Guillaume, di Roche de Roissel e di Darbsak. La precocità di questi
insediamenti sorprende, ma la si può spiegare con la rivalità che oppone,
anche nel principato di Antiochia, latini e Armeni. Compito dei Templari è
di ostacolare in un primo tempo (nel 1142) i tentativi di riconquista dei
Greci, in seguito quelli di penetrazione degli Armeni. Baghras, presa dal
Saladino 1187, poi caduta nelle mani degli Armeni, fu restituita ai Templari
solo dopo un lungo conflitto nel quale furono coinvolti, oltre al re di
Cilicia e all'Ordine dei Tempio, il principe di Antiochia e il conte di
Tripoli. Nel nord della contea di Tripoli, al confine di una zona
solidamente difesa che appartiene alla setta degli Assassini, i Templari con
Safita e la città costiera di Tortosa e gli Ospitalieri con il Krak dei
Cavalieri controllano le strade e le terre coltivate di un vasto territorio
e della sua popolazione contadina musulmana. Nel regno di Gerusalemme, dove
l'autorità reale nel XII secolo è maggiore, simili marche non hanno potuto
costituirsi. Nel XIII secolo, tuttavia, quando il regno è ridotto a una
striscia lungo la costa e a poche aree montuose dell'interno, la difesa
delle fortezze viene completamente affidata agli ordini militari. L'Ordine
del Tempio può, grazie all'aiuto finanziario dei crociati d'Occidente, far
ricostruire Safed e innalzare, sulla costa, Cháteau Pélerin (o Castello dei
Pellegrini), che nel 1291 rimarrà, con Tortosa, l'ultimo ridotto difensivo
in Terrasanta.
STRATEGIA E DISCIPLINA
La regola dei Templari - documento unico nel Medioevo
quanto a indicazioni sull'arte della guerra - confrontata con le cronache
dell'epoca, dà la misura dell'apporto fornito dai cavalieri del Tempio a
quest'arte. Bisogna innanzi tutto insistere sulla solidaríetà tra cavalieri
e combattenti a piedi, in particolare durante gli scontri lungo la via; non
si rileva mai in Oriente, almeno non in modo così accentuato come in
Occidente, il disprezzo della cavalleria per i fanti. Analogamente, lo
sviluppo della cavalleria leggera dei "turcopoli" è segno di una
comprensione e di un adattamento alla tattica dell'avversario, basata su
ripetuti attacchi e fughe simulate. La regola del Tempio fa anche
riferimento all'utilizzo di armi turche da parte dei Templari. L'Ordine ha
infine sviluppato valori propriamente militari che si possono definire
moderni. La regola promuove valori collettivi in un mondo cavalleresco
sensibile soprattutto alle prodezze individuali. Fa riferimenti precisi alla
disciplina da osservare in convento, sul campo di battaglia, durante gli
spostamenti. Sviluppa un'ideologia del coraggio, dello spirito di
sacrificio, dei senso dei dovere, dell'orgoglio della bandiera. E lo
stendardo dell'Ordine del Tempio, il famoso gonfalone baucent (o baussant,
bipartito, riferito al mantello dei cavalli, e che sta dunque a significare
l'esser di due colori, bianco e nero), punto di raccolta dei fratelli
durante il combattimento o sul campo, è il simbolo della coesione
dell'Ordine. Nondimeno si deve sottolineare l'importanza attribuita
all'abito. Dopo la perdita della domus, la perdita dell'abito è la punizione
più grave che possa spettare a un fratello colpevole di un errore o di una
inadempienza alla regola. L'abito, detto anche uniforme, il baucent detto
anche stendardo, la cura delle armi e delle cavalcature, la disciplina e
l'obbedienza, tutte queste manifestazioni di una "cultura della guerra" che
ci sono familiari, sono già esplicite nella regola dei Templari. Che pure è
una regola religiosa! L'espressione militia Christi non poteva meglio
riunire, nella sua ambivalenza, figure contrastanti quali erano i pugnatores,
coloro che facevano la guerra, e gli oratores, coloro che pregavano.
RISPONDEVANO SOLO AL PAPA
I POSSEDIMENTI E I PRIVILEGI DELL'ORDINE SI ALLARGANO A MACCHIA
D'OLIO IN TUTTO IL MONDO. MA CRESCE ANCHE IL NUMERO DEI NEMICI
L’Ordine del Tempio si procura in Occidente le risorse
materiali e umane necessarie per la sua opera in Terrasanta. Dopo i
Cluniacensi e i Cistercensi, prima degli ordini mendicanti, i Templari hanno
ricevuto doni ed elmosine sotto forma di terre, chiese, rendite. Tutto si
deve al viaggio di Ugo di Payns tra il 1128 e il 1129: nella Champagne, in
Borgogna, nella Linguadoca le donazioni affluiscono e anche in Spagna, dove
la reconquista conosce i suoi primi grandi successi, e dove i sovrani
d'Aragona e di Castiglia tentano di coinvolgere Templari e Ospitalieri nelle
loro guerre contro l'Islam. In Italia l'Ordine del Tempio ha beneficiato
della protezione di San Bernardo, che si è impegnato nella lotta contro lo
scisma di Anacleto, sostenendo Innocenzo II, papa legittimo, al concilio di
Pisa dei 1135. Egli ha fatto comprendere al pontefice l'importanza di
appoggiare un Ordine così concepito; e le donazioni si sono moltiplicate man
mano che si è realizzata la "reconquista" di Innocenzo II.
CASE OVUNQUE
A Piacenza, dove l'Ordine del Tempio insedia una delle
sue commende italiane più importanti, a Milano, ad Albenga, a Treviso, a
Roma, esso è presente già prima dei 1140. Dal 1143, riceve beni a Trani, nel
regno normanno di Sicilia. La rete dei Templari italiani si infittirà tra il
1150 e il 1250 - 1260 e non ci saranno praticamente regioni in cui l'Ordine
non possieda una domus o una mansione. Sfortunatamente la documentazione non
è sempre così ricca come per la Capitanata, dove l'inventario dei beni
sequestrati nel 1229 per ordine di Federico II rivela l'esistenza di 37
domus. L'Ordine ha cercato di stabilirsi lungo le grandi vie di
comunicazione della Penisola, strade percorse dai pellegrini che si recavano
a Roma, ma anche da coloro che erano diretti ai porti d'Apulia, a Venezia o
a Genova per imbarcarsi per Gerusalemme. Le sedi dei Templari sono numerose
lungo la via Francigena e nei porti di Barletta, Bari e Brindisi. L'Ordine
del Tempio, inoltre, è in concorrenza con gli Ospitalieri sul piano
dell'ospitalità offerta ai pellegrini, poiché anch'esso gestisce in Italia
numerosi luoghi d'accoglienza. In Occidente, è il caso di sottolinearlo, i
Templari sono considerati non solo come i difensori del sepolcro di Cristo,
ma anche come uomini di preghiera, intermediari tra l'uomo e Dio, tanto più
efficaci in quanto essi vegliano per la sicurezza dei luoghi in cui Cristo
ha vissuto e sofferto la Passione. L'Occidente si copre dunque di
insediamenti templari, riuniti in commende, a loro volta organizzate in
balìe e poi in province. La rete, particolarmente fitta in Francia, si
stende dalla Penisola Iberica ai Paesi Bassi, alle Isole Britanniche, alla
Germania (fino nella lontana Prussia), all'Italia, alla Croazia e
all'Ungheria. In Italia, intorno al 1160 vengono create due province: la
provincia d'Italia, o di Lombardia, per l'Italia del Nord e del Centro, e la
provincia d'Apulia e Sicilia per l'Italia del Sud. I Vespri siciliani dei
1282, separando la Sicilia dal resto del regno angioino dell'Italia
meridionale, divideranno la provincia templare, e la Sicilia sarà unita alla
provincia d'Italia.
MANEGGIO DI CAPITALI
Non si creda che queste "case" dei Tempio fossero
altrettante fortezze inespugnabili. Soprattutto in Spagna, ma anche in
Croazia, i Templari possiedono castelli possenti; talvolta anche in Italia,
come a San Savinio, nella Tuscia romana. Ma il più delle volte le domus
dell'Ordine non sono che case fortificate al centro di un grosso contado,
spesso di tipo feudale. Il commendatario dei Templari percepisce da parte
dei contadini canoni e corvées (giornate di lavoro), imposte, pedaggi e
"diritti di giustizia", di cui una parte, inizialmente un terzo dei totale,
è la responsio che viene inviata in Oriente. Il Templare, in Occidente, è un
amministratore attento, preoccupato di trarre dai beni di cui ha la
responsabilità il maggior profitto, e pertanto in grado di adattarsi alle
circostanze e perfino di introdurre novità. I frutti della terra, i prodotti
delle vigne e degli oliveti dell'Italia meridionale vengono per lo più
venduti e il denaro inviato in Oriente o usato per l'acquisto di armi e di
cavalli. I Templari furono veri e propri banchieri, come lasciano pensare i
consistenti trasferimenti di fondi di cui essi si liberano direttamente o
attraverso i numerosi pellegrini e crociati che si dirigono in Oriente? Essi
hanno anche fatto prestiti, come del resto altri religiosi prima di loro
(pensiamo ai Cluniacensi). Ma non si può farne per questo gli inventori
della banca, né i più grandi maneggiatori di capitali dell'Occidente
medievale: le compagnie italiane furono loro sempre superiori. I Templari
non furono altro che una "banca passiva", perché non bisogna soprattutto
confondere - ed essi per primi non l'hanno mai confusa - la gestione dei
loro propri fondi con quella dei conti dei privati, ancor meno con quella
del Tesoro reale d'Inghilterra o di Francia. I Templari erano abili ed
esperti e le loro case erano sicure: si dava loro fiducia; da qui il ruolo
svolto in questo campo. I Templari stabilirono il loro quartier generale a
Gerusalemme, nella moschea di al-Aqsa, costruita sull'antico tempio di
Salomone. In seguito, quando la Città Santa fu perduta (1187), si spostarono
ad Acri, dove avevano una sede in riva al mare. A partire dal 1217 viene
costruito il possente Cháteau Pélerin - con le sue magnifiche sale in stile
gotico e la sua cappella decagonale - che costituisce il vero centro
dell'Ordine. Dal 1291 fino alla loro soppressione, avvenuta nel 1312, i
Templari fecero di Cipro il fulcro delle proprie attività, mostrando così di
non voler abbandonare la Terrasanta. La regola dell'Ordine, completata dai
Retraits e poi da numerose norme disciplinari, ne precisa l'organizzazione.
Alla testa c'è un Maestro, coadiuvato da un Consiglio e da un certo numero
di dignitari, i più importanti dei quali sono il Siniscalco, che fa le veci
dei Maestro, il Maresciallo, vero e proprio Capo di Stato Maggiore, il "turcopoliere",
che comanda la cavalleria leggera. Dal XIII secolo, uno e in seguito due
ispettori generali rappresentano il Maestro in Occidente. Le commende sono
regolate da un commendatario (praeceptor in latino); le province sono
dirette da un Maestro.
TUTTO "IN FAMIGLIA"
Quanto ai "fratelli" templari, come si è soliti
chiamarli, essi costituiscono un "popolo" diversificato. I cavalieri sono
nobili, e sono gli unici ad aver diritto di indossare il bianco mantello
dell'Ordine; i sergenti d'armi non sono nobili, ma combattono ugualmente a
cavallo; i cappellani sono i sacerdoti dell'Ordine e non possono combattere
in quanto hanno ricevuto gli ordini sacri. Queste tre categorie si
riuniscono nei "fratelli di convento", che hanno fatto voto di obbedienza,
castità e povertà. Si aggiungono inoltre alla grande famiglia templare i
"fratelli di mestiere", indispensabili per le attività economiche e in
particolare agricole, dell'Ordine, molto simili ai "conversi" dei
Cistercensi; e tutti coloro che desiderano, in un momento o in un altro
della propria vita, aiutare i Templari e dividere i propri beni spirituali e
materiali senza per questo pronunciare i voti: i confratelli dei Tempio,
numerosi in Aragona e in Catalogna, o coloro che, come l'inglese Guglielmo
il Maresciallo, avevano fatto voto di indossare il bianco mantello in punto
di morte, per beneficiare del privilegio di essere sepolti nel cimitero dei
Templari. La bolla Omne datum optimum, dei 1139, conferì all'Ordine dei
Tempio privilegi importanti, sempre confermati in seguito. L'Ordine era
posto direttamente sotto l'autorità diretta del papa e totalmente esente
dalla giurisdizione dei vescovi; sui raccolti delle commende templari non
venivano prelevate decime; i Templari potevano essere scomunicati solo dal
pontefice e le loro chiese non erano soggette a un eventuale interdetto
lanciato su una regione o una città. Di questi stessi privilegi godevano,
d'altra parte, gli ordini mendicanti e gli Ospitalieri. Essi provocarono (i
privilegi in quanto tali, ma anche il comportamento dei privilegiati!) l'ira
dei clero secolare (i vescovi della Terrasanta protestarono ufficialmente
nel 1184) e virulente critiche da parte degli scrittori satirici e moralisti
dei tempo: Mattheo Paris lo storico, jacquemart Gélée, l'autore di Renart le
Nouvel, Gervais du Bus che scrisse il Romon de Fauvel, furono severi con i
Templari ma, a essere obiettivi, anche con gli altri: Ospitalieri,
Cistercensi e mendicanti dei vari ordini.
UN GRAN BRUTTO AFFARE
NEL 1307 IL RE Di FRANCIA SFERRA L'ATTACCO CONTRO I TEMPLARI.
PROCESSATI COME ERETICI, IN MOLTI PAGHERANNO CON LA
VITA
Per ordine dei re Filippo IV il Bello, il 14 ottobre
1307 tutti i Templari del regno di Francia furono arrestati. Per la prima
volta un sovrano laico accusava un ordine religioso potente, posto
direttamente sotto la tutela del papa. Ricercando nella vicenda stessa
dell'Ordine le ragioni della sua caduta, gli storici si sono trovati spesso
di fronte a tre scogli: aver isolato l'Ordine del Tempio dagli altri ordini
religiosi; aver accettato passivamente l'idea della sua impopolarità; aver
trascurato i dati dell'affaire du Temple fuori della Francia. L'affaire ha
avuto inizio negli anni immediatamente precedenti all'arresto dei cavalieri.
Non prima. La caduta di Acri (1291) pone fine all'esistenza degli Stati
latini d'Oriente. Ci si interroga sulla validità della crociata; ci si
interroga sulle responsabilità dello scacco e le si attribuiscono agli
ordini militari, che alcuni accusano di non aver saputo difendere la
Terrasanta, impegolati com'erano nelle loro rivalità e nelle loro beghe
interne. Già prima del concilio di Lione (1274) si pensava a fondere
Templari e Ospitalieri in un solo ordine. I Templari erano contrari. I
poteri laici anche: è il re d'Aragona che far fallire il progetto a Lione.
In questione, infatti, c'è sia la genesi dello Stato moderno sia
l'affermazione delle monarchie nazionali in Francia, Inghilterra, Castiglia
e Aragona. I re, che aspirano a stabilire in modo indiscusso la propria
sovranità, sono ostili alla Chiesa e all'autorità pontificia. Il conflitto è
particolarmente vivo fra il re di Francia Filippo il Bello e papa Bonifacio
VIII. Il re, nel 1303, non arriva forse a far arrestare il pontefice nella
sua residenza di Anagni? Un papa accanto al quale vegliavano due cubicolari,
uno dei Templari, l'altro degli Ospitalieri. Gli ordini religioso-militari
si possono considerare come gli strumenti più fedeli del papato.
SOTTO ACCUSA
L'occasione si presenta nel 1305, quando il re e i suoi
consiglieri ascoltano le voci malevole diffuse sull'Ordine da un
avventuriero, Esquieu de Floyran, e ne informano il nuovo papa Clemente V.
Quando questi nel 1307, nella speranza di organizzare una crociata, convoca
a Poitiers, dove risiedeva, i capi degli ordini militari, Giacomo de Molay,
Maestro dei Templari, indignato per le calunnie diffuse sul suo Ordine,
chiede al papa di aprire un'inchiesta. Siamo nell'estate dei 1307. Da parte
sua, il re di Francia, che si è persuaso della veridicità delle accuse mosse
all'Ordine del Tempio e che teme l'insabbiamento dell'inchiesta pontificia,
risolve la questione facendo arrestare i Templari. Si giustifica con i
sovrani europei affermando che ha agito come difensore della fede; e li
invita a fare come lui. Che cosa si rimprovera ai Templari? Di essere
eretici, blasfemi, di rinnegare Cristo, di riunirsi segretamente, di
dedicarsi a pratiche sessuali contro natura, eccetera. Niente di nuovo.
Queste accuse fanno parte del bagaglio antieretico costituitosi nel corso
del XIII secolo: gli uomini dei re hanno giocato le stesse carte contro
Bonifacio VIII. Tra l'ottobre e il novembre 1307, i Templari imprigionati a
Parigi (sono 138) con a capo il Gran Maestro Giacomo de Molay, confessano
tali crimini. I sovrani europei che, come il papa, non credono alle accuse,
sono sconvolti. Il papa, per riprendere in mano la situazione, ordina
l'arresto di tutti i Templari; i grandi d'Europa obbediscono. Mentre viene
stilata una lista di 127 accuse, con la bolla Facians misericordiam del 12
agosto 1308 si avvia la procedura per giudicare i Templari e il loro Ordine.
Si tratta di un processo per eresia, condotto secondo le regole
dell'inquisizione, per la quale l'uso della tortura è lecito. I Templari
confessarono generalmente quattro colpe: il rinnegamento di Cristo e lo
sputo sulla Croce <di bocca e non di cuore>; l'assoluzione dei peccati
impartita dal commendatario, che non è un sacerdote; il consiglio dato di
sfogare con l'omosessualità l'eventuale eccitazione dei sensi; lo scambio di
baci osceni al momento di entrare nell'Ordine. Ognuna di queste pratiche era
individualmente plausibile nell'Ordine del Tempio come in qualsiasi altro
senza per questo mettere in causa l'Ordine stesso (la regola infatti
condannava l'omosessualità). Queste confessioni furono ottenute in Francia
(dove la tortura venne largamente impiegata) e nei Paesi che ne subivano
l'influenza, ma non altrove. Ciononostante il re di Francia sembrava aver
vinto.
BRUCIATI SUL ROGO
In ogni Stato o, in Italia, nelle province
ecclesiastiche, delle commissioni pontificie dovevano giudicare la
colpevolezza dell'Ordine. In Francia, a Parigi, il re lascia senza alcuna
preoccupazione che la commissione convochi i Templari che intendono
difendere l'Ordine. La loro partecipazione è bassa, all'inizio, ma, a
partire dal febbraio 1310, è un maremoto: più di 600 Templari ritrattano le
proprie confessioni e difendono l'Ordine. La reazione dei re è violenta: il
10 maggio 1310, a Parigi, 54 Templari vengono bruciati come eretici. La
resistenza dei cavalieri del Tempio è spezzata di netto. Fuori della Francia
le cose andarono diversamente. In Inghilterra, a Roma, a Firenze, nel regno
angioino di Napoli, i Templari che "si ostinarono nell'errore" furono
imprigionati. Nella provincia di Ravenna, di contro, furono semplicemente
assolti. In Aragona essi si difesero e resistettero nei loro castelli. Negli
altri Stati spagnoli, e in Germania, non ebbero noie di alcun genere. È con
il concilio ecumenico, che si apre a Vienne il 16 ottobre 1311, che ritorna
la preoccupazione di decidere sulla sorte dell'Ordine. I capi di accusa sono
così poco convincenti che una buona parte dei Padri del concilio non è
disposta a condannarlo. Papa Clemente V, malato e sottomesso alla pressione
del re di Francia, vuole concludere la questione, e il 22 marzo 1312, con la
bolla Vox in excelsio, decide la soppressione provvisoria, ovvero senza
giudizio né condanna, dell'Ordine. I suoi beni, sequestrati dai poteri
laici, verranno trasferiti agli Ospitalieri. Per chiudere l'affaire
restavano da giudicare i quattro dignitari dell'Ordine, prigionieri a
Parigi. Tra questi, Giacomo de Molay, Maestro dei Templari dal 1293. De
Molay si era rimesso al giudizio del papa. Il quale, nel 1314, non fa altro
che inviargli una commissione di tre cardinali per notificargli una sentenza
di carcere a vita. Sentendosi tradito, in un ultimo sussulto, ammirevole ma
vano, de Molay allora si rivolta, difende l'Ordine e ritratta tutte le sue
confessioni; Geoffroy de Charney, Maestro di Normandia, fa lo stesso. Era il
18 marzo 1314. La sera stessa essi salirono sul rogo. Senza alcuna
esitazione. L'Ordine del Tempio era eretico? I Templari, e tra questi coloro
che sono morti sul rogo (una minoranza), erano colpevoli? No, essi sono
morti da cattolici. Filippo il Bello ha certo creduto sinceramente alle
accuse a essi rivolte, ma altri all'epoca, pii quanto lui, non ci hanno
creduto o sono stati colti dal dubbio, e l'hanno detto, anche prima del
concilio di Vienne. Nello stesso modo, non si deve prestare troppa fede alla
volontà di crociata di Filippo il Bello. Il nipote di San Luigi in realtà si
è servito della crociata, non l'ha servita. Oltre a consentirgli di
impiegare per le proprie guerre le decime sulla crociata riscosse al clero,
essa è stata per lui anche l'occasione di ribadire la necessità di una
riforma degli ordini militari. Nessun dubbio che il "modello" spagnolo degli
ordini militari nazionali abbia interessato il re di Francia. Egli non amava
gli Ospitalieri più dei Templari, e la loro fusione non lo interessava se
non a condizione che il nuovo ordine si ponesse al suo servizio.
UNA QUESTIONE POLITICA
E nella politica del re di Francia, dunque, che bisogna
cercare le ragioni del suo attacco contro l'Ordine dei Templari. Al tempo si
invocarono anche ragioni finanziarie. Filippo il Bello non arrivava, con le
tasse, a procurarsi il denaro per la sua costosa politica di sottomissione
dei grandi feudi di Fiandra e di Guienna. Aveva spogliato gli Ebrei, ha
spogliato i Lombardi; perché non prendersela con l'Ordine dei Tempio,
considerato immensamente ricco (ma ci si sbaglia a riguardo), se l'occasione
si dovesse presentare? Si sa che da più di un secolo il Tesoro dei re è
gestito dai Templari di Parigi. Filippo il Bello non ha nulla da
rimproverare loro a riguardo e, se nel 1295 decide di affidare la gestione
di questo Tesoro a dei banchieri fiorentini, i fratelli Guidi dei Franzesi,
è perché spera di ottenere da loro crediti consistenti. Il che non accade.
Ancora di più, Filippo il Bello vuole "nazionalizzare" la gestione delle sue
finanze. Non vuole dipendere da organismi autonomi, stranieri come gli
italiani, o internazionali, e per di più legati al papa, come i Templari.
Nel 1303 egli riconsegna il suo Tesoro ai Templari, ma sono ora degli
ufficiali reali, reclutati tra gli uomini d'affari delle città di Francia, e
di Parigi in primo luogo, che ne supervisionano la gestione. Si potevano
fermare gli italiani senza troppe precauzioni. Per sbarazzarsi dei Templari
erano necessarie altre giustificazioni. Esquieu de Floyran ha fornito un
buon pretesto: l'eresia. Per esser più chiari, ai miei occhi il processo
all'Ordine del Tempio è un processo politico la cui spiegazione va ricercata
nell'affermazione dello Stato di fronte al potere pontificio. Gli altri re
europei non hanno creduto alla colpevolezza dei Templari; essi hanno
pertanto utilizzato l'affaire per rinforzare il proprio potere alle spalle
della Chiesa. Non dimentichiamo inoltre che, dopo Anagni, Filippo il Bello
cerca di distruggere la reputazione di papa Bonifacio VIII. l'affaire dei
Templari va nella stessa direzione. Fornisce un ulteriore mezzo di pressione
su un papa, Clemente V, che infine sceglierà di sacrificare l'Ordine per
salvare la memoria di Bonifacio VIII.
CACCIA ALLE STREGHE
I Templari, a differenza di molti altri ordini,
Ospitalieri, Carmelitani, eccetera, non hanno cercato di attribuirsi
un'origine antica e prestigiosa. Tutt'al più alcuni hanno creduto che San
Bernardo fosse il loro fondatore. Non si può naturalmente prevedere cosa
sarebbe avvenuto se il Tempio non avesse conosciuto una fine così brutale.
Ma questa è comunque la causa principale del suo seguito crescente fino a
oggi. Leggende, miti, sette: i seguaci dei Templari sono numerosi, alcuni
simpatici, altri francamente inquietanti. Al concilio di Vienne, l'Ordine
venne soppresso, ma non condannato, e i suoi beni trasferiti agli
Ospitalieri. Quanto ai Templari, la maggior parte si riconciliarono con la
Chiesa e, poiché i loro voti erano perpetui, si ricongiunsero ad altri
conventi, tra cui quelli degli Ospitalieri. Nel regno di Valenza (corona
aragonese) e in quello portoghese tuttavia le cose andarono in maniera
diversa. I sovrani ottennero da papa Giovanni XXII che i beni del Tempio
fossero attribuiti a due nuovi ordini, l'Ordine di Montesa a Valenza e
quello di Cristo in Portogallo, gli unici a poter essere storicamente
considerati eredi dei Templari. Tutto il resto è fantasia. Ma se lo storico
rifiuta la favola, non può impedire a nessuno di inventarsi delle filiazioni
prestigiose. Non si fa più, però, la storia dell'Ordine del Tempio, ma la
storia della Massoneria francese templare, o del neotemplarismo. Non siamo
più nel contesto delle crociate, ma in quello dell'illuminismo o delle paure
e delle frustrazioni della società, senza valori e senza futuro, della fine
del secondo millennio. Tentiamo di vederci chiaro. Dopo la scomparsa
dell'Ordine Templare, all'inizio dei XIV secolo, cronisti e pubblicisti si
sono interrogati sulla colpevolezza o meno dei Templari, e sulle cause della
loro caduta così come sulle ragioni dei re di Francia e dei papa. Una
maggioranza accettò la tesi della colpevolezza pur prendendo anche in
considerazione l'avidità dei re; ma non mancarono voci divergenti, quella di
Dante, certo, ma soprattutto quella di Boccaccio che, nel suo De casibus,
testo largamente diffuso e tradotto in francese a partire dal XV secolo,
mette sotto accusa il sovrano. Il dibattito prosegue, episodicamente, nei
secoli successivi: minoranza perseguitata per alcuni autori protestanti;
colpevoli per Pierre Dupuy, difensore della monarchia francese, che pubblica
il primo studio serio sul caso, con numerosi documenti scelti ad hoc per
confortare la sua opinione; vittime dell'oscurantismo per Voltaire. Su
questa corrente storiografica si è innestato, con il De occulto philosophia,
l'opera di Agrippa di Nettesheim scritta intorno al 1510, il primo elemento
della leggenda "nera" dell'Ordine: Agrippa cerca di giustificare la magia
buona, ovvero la magia bianca, contrapponendola a quella malvagia, la magia
nera, e pone i Templari tra gli stregoni e gli adepti di quest'ultima. Tesi
che conoscerà un certo successo tra i secoli XVI e il XVII che hanno visto
scatenarsi la grande caccia alle streghe. Nello stesso periodo prendeva
corpo il tema della maledizione lanciata dai Templari.
COMPLOTTI MASSONICI
Nel XVIII secolo, e solo allora, si diffonde la voce
della sopravvivenza clandestina dell'Ordine e dunque della continuità della
sua esistenza dal 1312. Il tema è sviluppato in alcuni circoli della
Massoneria francese. Il cavaliere André Michel Ramsay per primo introduce in
Francia l'idea d’un collegamento tra la Massoneria francese e le
corporazioni di mestiere medievali da una parte e il tema dell'antica
saggezza dei costruttori del tempio di Salomone. Il legame è tra Massoneria
e Medioevo, Massoneria e crociate. Ramsay non parla dei Templari. L'idea di
un'affiliazione tra l'Ordine dei Tempio e la Massoneria, di una tradizione
mantenuta e trasmessa, è introdotta verso il 1760 nelle logge tedesche: i
Templari sopravvissuti, per sfuggire alla persecuzione, si sarebbero
nascosti nelle logge dei massoni e degli altri artigiani specialmente in
Scozia. Mistici e ciarlatani sviluppano questa leggenda in Germania dove si
moltiplicano cerimonie e rituali segreti e fantasiosi. Questo provocherà una
reazione degli ambienti conservatori, che denunciano i complotti massonici,
tanto più viva con l'avvento della Rivoluzione francese. L'abate Augustin
Barruel, un gesuita rifugiatosi in Inghilterra, dà a questa teoria del
complotto la sua forma più coerente: egli denuncia una lunga catena di
macchinazioni "anarchiche" andando dai manichei ai giacobini, passando per
tutti gli eretici dei Medioevo, i Templari, Crornwell, e altri ancora. Ma
una seconda corrente neotemplare nascerà, in Francia, sotto Napoleone,
quella di un neotemplarismo indipendente dalla Massoneria francese, poiché a
essa precedente. Nel 1805, il dottor Fabre-Pellaprat ricostituisce l'Ordine
del Tempio, dichiarandosi uscito dalla clandestinità in cui la Rivoluzione
francese lo aveva costretto a nascondersi, e se ne proclama Gran Maestro.
Egli sostiene di aver scoperto il famoso documento, noto come Carta di
Larménius, che attesta la continuità dell'Ordine dopo il processo del
1307-1312: Giacomo de Molay, alla vigilia della sua morte, avrebbe trasmesso
a Jean Larménius, cavaliere scozzese, i suoi poteri e i segreti dell'Ordine.
Questo testo è un falso grossolano, fabbricato da un amico di
Fabre-Pellaprat, il dottor Ledru. Per apparire più credibile Fabre-Pellaprat
aggiunge una lista di Gran Maestri del Tempio clandestini, da Larménius fino
al duca di Cossé-Brissac, massacrato nel 1792, lista nella quale figura il
connestabile di Carlo V, Bertrand du Guesclin. Questa è la base fondamentale
di tutti i movimenti neotemplari contemporanei. Ci sono dei falsi che non
possono trarre in inganno se non coloro che vogliono lasciarsi ingannare.
Partendo da essi tutto è possibile: allucinazioni storiche di quanti cercano
le proprie radici, organizzazioni caritatevoli, sette occulte e movimenti
apocalittici. Decine di associazioni nel mondo reclamano oggi la loro
appartenenza al Tempio. Non bisogna confonderle tra loro e soprattutto non
bisogna giudicarle alla stregua di frange tragiche dell'Ordine del Tempio
Solare che, ahimè continuano a esser protagoniste della cronaca. Lo storico
non può che augurarsi una cosa, che non si mescoli l'Ordine del Tempio a
tutto questo.
QUESTIONE DI DATE
Lo storico Rudolf Hiestand in un suo articolo del 1988
(Kardinal-Bischof Mattháus von Albano, das Konzil von Troyes und die
Entstehung des Templerordens, in "Zeitschrift fur Kirchengeschichte",
99/1988), ha proposto alcune variazioni sulla cronologia della fondazione
dell'Ordine del Tempio. Guglielmo di Tyr, vissuto nella seconda metà del XII
secolo, ci dice che l'Ordine del Tempio, nove anni dopo la sua fondazione,
ricevette la sua Regola dal concilio di Troyes. Questo avrebbe avuto inizio
il 13 gennaio del 1128, e dunque la fondazione dell'Ordine risalirebbe al
1119. Il cardinale Matteo d'Albano, legato pontificio, presente a Troyes,
era però in Sicilia ai primi di dicembre del 1127. Hiestand ha dimostrato
che era impossibile, a quel tempo, fare il viaggio dalla Sicilia alla
Champagne in così poco tempo, se non per mare: ma in inverno non si
navigava. E allora? Ci si è dimenticati, egli afferma, che nella Champagne
del XII secolo l'inizio dell'anno si faceva coincidere con l'Annunciazione;
stando così le cose, il 1128 cominciava il 25 marzo per finire il 24 marzo
seguente. Tutte le date comprese tra il 13 gennaio e il 24 marzo del 1128
devono dunque essere trasposte nel 1129 per coincidere con il nostro
calendario attuale. Partendo da ciò, Hiestand colloca la creazione
dell'Ordine nel 1120, tra gennaio e settembre.
UCCIDERE SECONDO LA REGOLA
I Retraits, che completano la regola originaria
dell'Ordine, forniscono una descrizione dettagliata della sua organizzazione
militare e delle sue regole di combattimento. In tempo di pace, i Templari
compiono missioni di sorveglianza e non sono sottomessi alle stesse regole
disciplinari a seconda che siano in terra di pace, ovvero in territorio
sicuro, o in terra a rischio, cioè in territorio nemico o mal controllato.
<Nessun fratello deve allontanarsi dalla truppa per abbeverare [il proprio
cavallo], né per qualsiasi altro motivo senza autorizzazione; e se essi
attraversano un corso d'acqua "in terra di pace", possono, se lo vogliono,
far bere i propri animali, a condizione di non scomporre la truppa; ma se
essi attraversano un fiume 'in terra a rischio", e il portatore del
gonfalone [colui che conduce la truppa] passa senza fermarsi, non possono
dar da bere ai cavalli senza autorizzazione>: così recitava l'articolo 159.
In tempo di guerra, i Templari si riuniscono in échelles, ovvero in
squadroni. Ci sono squadroni di cavalieri, di sergenti, e anche di scudieri.
La disciplina diventa allora più rigida. Sono previste due situazioni:
quella dell'armata in marcia, in colonna e talvolta bersagliata dal nemico
su strade strette, e quella della battaglia "sui campi", dove l'armata può
spiegarsi e lanciarsi nella famosa carica di cavalleria: <Quando il convento
[l'insieme dei combattenti Templari] è in guerra e i cavalieri procedono in
squadrone, uno dei "turcopoli" deve portare il gonfalone e il gonfaloniere
deve condurre gli scudieri in squadrone. Se il Maresciallo e i fratelli
caricano [si preparano alla carica], gli scudieri che conducono i destrieri
[i cavalli da combattimento] devono caricare con i loro signori e gli altri
scudieri devono prendere i muli sui quali il loro signore cavalca e devono
restare con il gonfaloniere>, recita ancora l'articolo 159. È solo
all'ultimo momento, dunque, che i cavalieri montano i cavalli da
combattimento, per mantenerli riposati in prospettiva di una carica.
IN SILENZIO, TUTTI A TAVOLA
Per consumare i pasti principali, i Templari si
riuniscono nel refettorio. 0, meglio, nelle due o più sale adibite al rito
della mensa: regola vuole, infatti, che cavalieri, sergenti e scudieri
mangino separatamente. La tavola dei cavalieri è ricoperta da una tovaglia
bianca; davanti a ciascun posto, allestite in bell'ordine, figurano una
ciotola, una coppa, un cucchiaio e un coltello. La forchetta non c'è, ancora
non si conosce. Dopo un corale Pater Noster, i cavalieri si siedono e i
servitori cominciano a versare il vino nelle coppe e a far girare le
pietanze in grandi recipienti di stagno. Il tutto, in un religioso silenzio
rotto soltanto dalla lettura di un brano della Bibbia da parte del
confratello di turno. Qualora un commensale desideri ancora del pane, del
vino o quant'altro necessario, comunica a gesti prestabiliti di cui il
servitore ben conosce il significato. Mai a parole. Carne, verdura, pesce,
uova, formaggio o minestra, a seconda dei giorni della settimana o dei
periodi di festa o di digiuno, il cibo è sempre più che sufficiente e di
buona qualità, pur nulla concedendo al superfluo e al ricercato. La
sobrietà, d'altro canto, è uno degli imperativi dell'Ordine, unito peraltro
alla più severa parsimonia. Nessuna pietanza va mai sprecata: ciò che avanza
dalla tavola viene venduto e il ricavato posto a favore dei cavalieri che
combattono in Terrasanta. Solo dopo essersi recati nella cappella a
ringraziare il Signore del cibo che ha loro concesso, i cavalieri
riacquistano il diritto alla conversazione. Purché seria e moderata, però.
Al calar della notte, eccoli ancora tutti riuniti nel refettorio per
consumare il pasto serale, più frugale rispetto al precedente, soprattutto
per quanto riguarda la razione di vino. La regola non prevede eccessi.
LE TORRI DI SAFED
È difficile immaginare che il castello di Safed (o
Zefat), oggi totalmente distrutto, sia stato una fortezza di importanza e di
bellezza paragonabili al celebre Krak dei Cavalieri Ospitalieri. Burchard du
Mont-Sion, che visitò la Siria-Palestina nel 1285, lo definì <il più bello e
il più forte di tutti i castelli che ho visito>. Un primo castello, in mano
ai Templari prima del 1168, fu preso dal Saladino e smantellato. Quando, nel
1240, i latini occupano nuovamente la regione, un crociato, il vescovo di
Marsiglia Benedetto d'Alignan, prende l'iniziativa di finanziarne la
ricostruzione, che durò tre anni. Il castello fu affidato nuovamente ai
Templari. A 800 metri sul lago di Tiberiade, aveva una doppia cinta di mura;
quella esterna, approssimativamente ovale, contava più di 800 metri di
perimetro; fiancheggiata da torri rotonde, era costruita con un sistema a
bugna. Un fossato scavato nella roccia la precedeva; un altro la separava da
una cinta interna con torri d'angolo quadrate, che la sovrastavano per più
di 6 metri. Il donjon, infine, era un'enorme torre rettangolare a numerosi
piani con alla base una cappella di forma ottagonale. Controllando una vasta
regione, il castello proteggeva una guarnigione di 1700-2000 persone (in
maggioranza non combattenti). Esso fu assediato dal sultano d'Egitto Baibars
nel 1266, ma cadde solo in seguito a un tradimento Tutti i combattenti
furono decapitati.
UNA SITUAZIONE INSOLITA
L’Italia del Sud ha avuto un ruolo essenziale nella
strategia delle crociate e nel sostegno alla Terrasanta. Dai porti d'Apulia
(Puglia), Barletta, Bari, Brindisi, partono navi cariche di crociati e di
pellegrini, ma anche di viveri e di armi per la Palestina. Gli ordini
militari, e dunque i Templari, sono stabilmente insediati in queste regioni,
e i prodotti delle loro terre, le rendite delle loro commende, sono
trasferiti in parte in Oriente con il consenso delle autorità del regno di
Sicilia, che accordano le licenze d'esportazione. Federico II, re di Sicilia
e imperatore, non ha alcuna prevenzione nei confronti dei Templari o degli
Ospitalieri, anche se tende a favorire piuttosto l'Ordine Teutonico che gli
è assai devoto. Il violento conflitto che oppone l'imperatore al papato a
partire dal 1227 mette Templari e Ospitalieri, alle dirette dipendenze del
pontefice, in una situazione difficile. In Terrasanta soprattutto, dove
Federico II si è recato per la crociata tra il 1227 e il 1228, benché
scomunicato: obbedendo al papa, i Templari e gli Ospitalieri manterranno le
distanze dall'Imperatore. In seguito, i rapporti tra Federico II e i
Templari si inaspriscono (gli Ospitalieri di contro si riavvicinano a lui) e
nel regno di Sicilia i loro beni vengono confiscati. Ciò non toglie che, in
particolare in Piemonte, ci siano stati Templari favorevoli all'imperatore,
il quale, verso la fine della sua esistenza, restituisce all'Ordine i beni
espropriati. Buoni rapporti si stabiliscono nuovamente con Manfredi, erede
di Federico II, al punto che i Templari si rifiutano di appoggiare il papa
nella sua crociata contro lo stesso Manfredi. La morte di quest'ultimo e il
successo angioino porranno fine a una situazione per lo meno insolita. E le
navi dell'Ordine, o quelle da esso allestite, riprenderanno a imbarcare
mercanzie e combattenti diretti in Terrasanta dai porti della Puglia.
UN CAVALLO PER DUE
Bisogna diffidare dei simboli o piuttosto delle
interpretazioni di cui sono oggetto: all'inizio un simbolo è semplice, ma in
seguito si fa di tutto per renderlo complicato. Così è accaduto per il
sigillo dei Templari, che rappresenta due cavalieri su uno stesso cavallo.
Se ne è spesso fatto "il" simbolo dell'Ordine, quando esso non è che "uno"
dei suoi simboli. Il Maestro dei Templari disponeva, secondo la regola,
della "bolla" che riproduceva sul recto la Cupola della Roccia (il Templum
domini dei latini) e sul verso i due cavalieri. Ricordiamo che la Cupola
della Roccia, o moschea di Omar, posta al centro della spianata del tempio,
non apparteneva all'Ordine, il cui quartier generale era la vicina moschea
di al-Aqsa. Quando fu creata la figura dell'ispettore generale, delegato del
Maestro in Occidente, il Maestro tenne per sé come sigillo la Cupola della
Roccia, e l'ispettore prese la parte con i due cavalieri. I maestri delle
province, così come i commendatari, avevano un proprio sigillo: il Maestro
d'Italia, ma anche alcuni Maestri d'Aragona, ne adottarono uno che
rappresentava un semplice cavaliere. L'ispettore dell'Ordine viaggiava molto
e il suo sigillo si diffuse un po' dovunque. Da allora sono state date
interpretazioni diverse del simbolismo di tale sigillo. Per alcuni esso
rappresenta la povertà dell'Ordine (va da sé che questa interpretazione non
è realistica: immaginate una carica di cavalleria in due sullo stesso
destriero!), altri vi leggono un segno di umiltà. A meno che non simbolizzi
la solidarietà dei membri di quella famiglia che era l'Ordine, solidarietà
che molti cronisti del tempo hanno rilevato nei combattimenti. Nessuna di
queste interpretazioni esclude l'altra: povertà, umiltà, solidarietà sono le
virtù del monaco, e la regola del Tempio redatta a Troyes le ricorda in
tutti i suoi articoli.
IL CORAGGIO DI UN DEBOLE
La storia non è stata tenera con Giacomo de Molay,
l'ultimo Maestro dell'Ordine del Tempio (1293-1312), considerato in genere
un mediocre. Proveniente da una famiglia della piccola nobiltà di Borgogna,
entrò a far parte dell'Ordine verso il 1265. È a Cipro, dove l'Ordine si
riunirà dopo la caduta di Acri, che egli viene eletto Maestro. De Molay non
ha rinunciato a riconquistare Gerusalemme, e fa di tutto per ottenere aiuti
dall'Occidente. Su richiesta di papa Clemente V elabora un piano per questa
riconquista, e arriva in Francia nel 1307. Viene allora informato delle
calunnie diffuse sul suo Ordine e chiede al papa di aprire un'inchiesta per
fare giustizia. Come gli altri Templari è preso del tutto alla sprovvista,
dall'azione di Filippo il Bello, e viene arrestato a Parigi il 13 ottobre
1307. Durante i numerosi interrogatori de Molay ha mancato di coerenza, di
certo d'intelligenza, forse anche di coraggio. Egli riconosce dapprima
alcune delle accuse rivolte all’Ordine, in seguito ritratta le sue
confessioni, per poi adottare una posizione che non cambierà più: non
parlerà se non davanti al papa. Così rimane in silenzio anche quando, nel
1310, i Templari si levano in massa per difendere il proprio Ordine. E non
dice nulla nemmeno allorché, due anni più tardi, il papa lo abolisce. Ma
quando, nel 1314, Clemente V, che si era riservato di giudicare
personalmente i dignitari del Tempio, si limitò a inviare tre cardinali per
notificare a de Molay la sua condanna al carcere a vita, questi si sentì
tradito e reagì. Difese l'Ordine e si accusò di debolezza. Ma era troppo
tardi, e la sera del 18 marzo 1314 salì sul rogo. Il suo coraggio fece un
grande effetto, e la leggenda si impossessò dell'affaire dei Templari.
UN AGUZZINO AL SERVIZIO DEL RE
Guglielmo di Nogaret condusse tutto l'affaire dei
Templari. Nato verso il 1260 a Saint-Felix-de-Caraman in Linguadoca, insegnò
diritto all’Università di Montpellier. Entrato nell'amministrazione del
regno come giudice, svolse la parte principale della sua carriera a Parigi,
dove divenne assai presto valido e fedele consigliere per gli affari
religiosi di re Filippo IV il Bello. Fu lui che preparò l'atto di accusa
contro Bonifacio VIII, e che fu inviato ad Anagni, nell'estate del 1303, per
chiamarlo a comparire davanti a un concilio. Scomunicato, Nogaret proseguì
nel suo impegno per ottenere la rimozione delle sanzioni ecclesiastiche che
lo colpivano e soprattutto per arrivare alla damnatio memoriae del papa.
Naturalmente fu anche incaricato di preparare il dossier contro l'Ordine del
Tempio, basandosi sulle accuse di Esquieu de Floyran. Prevedendo gli indugi
di papa Clemente V, convinse il re a procedere all'arresto dei Templari.
Spesso presente agli interrogatori, in particolare a quelli del Gran Maestro
Giacomo de Molay, Nogaret ispirava terrore. Egli mise tanto più accanimento
in questo processo, in quanto considerava l'Ordine uno strumento al servizio
del papa che poteva creare ostacoli al potere reale. Il caso dei Templari
offriva a Filippo il Bello e a Guglielmo di Nogaret, i quali continuavano a
giustificare le loro azioni contro Bonifacio VIII, un mezzo di pressione
notevole su papa Clemente V. Sostituito come consigliere del re da
Enguerrand de Marigny, Nogaret rimase comunque guardasigilli fino alla
propria morte, sopravvenuta probabilmente nel 1313, prima dell'esecuzione di
Giacomo de Molay.
LA MALEDIZIONE DEI TEMPLARI
Sul rogo Giacomo de Molay ha maledetto il re di
Francia, il papa e Guglielmo di Nogaret? Le fonti più dirette non ne
parlano. Di contro, l'idea che gli ultimi Capetingi, Filippo il Bello e i
suoi tre figli e successori, siano stati maledetti, si diffuse a partire da
allora, anche se i Templari non hanno nulla a che vedervi. Come dunque si è
giunti ad attribuire a de Molay la maledizione dei Capetingi? Stranamente, è
nella storiografia italiana che si trovano i diversi elementi che lo
spiegano. Per primo, Guglielmo Ventura nel suo Cronicon Astense ci dice che
Nogaret fu maledetto da un Templare che veniva condotto al rogo. È Giovanni
Villani a raccontare che la sera dell'esecuzione di de Molay furono viste
delle persone raccogliere le ceneri e i resti del Gran Maestro, che esse
conservarono piamente come reliquie. Ferreto de Ferretis, stabilitosi a
Verona alle dipendenze di Cangrande Della Scala, riprende il racconto di
Ventura, lo trasforma e lo puntualizza. Secondo la sua versione, è al papa
che si rivolge il Maestro dei Templari condannato a morte: <Per il tuo
ingiusto giudizio io mi appello al Dio vero e vivente; tu comparirai tra un
anno e un giorno con Filippo a sua volta responsabile di tutto ciò, per
rispondere alle mie contestazioni e presentare la tua difesa>. Un altro
italiano, Gian Battista Fulgoso, ritorna sulla vicenda, adottando in pratica
la stessa formulazione, verso il 1400. Che de Molay, sulla strada che lo
porta al rogo, o addirittura sul rogo stesso, mentre le fiamme stanno per
avvolgerlo, pronunci un discorso, e in seguito lanci una maledizione contro
il re e il papa, è storia del XVI secolo. A parlarne sono Bernard de Girard
Du Haillan e Franigois de Belleforest nei suoi Grandes Annales, scritti nel
1579. La versione di quest'ultimo ha avuto la meglio.
L'INQUISITORE CHE DISSE NO ALLA TORTURE
Arcivescovo di Ravenna e come tale inquisitore per il Nord dell'Italia, Rinaldo da Concorrezzo si occupò in prima persona dell'affaire dei Templari. Questo giurista milanese aveva fatto carriera al fianco di Bonifacio VIII, da cui era stato incaricato, tra l'altro, di tentare di risolvere le controversie tra i re di Francia e d'Inghilterra a proposito della Guienna, nel 1294. Nel 1311 l'arcivescovo presiedette la commissione pontificia, incaricata di giudicare l'Ordine del Tempio in quanto presente nella provincia ecclesiastica di Ravenna, posta sotto la sua giurisdizione. Rinaldo adottò un atteggiamento e seguì una procedura che fecero del processo ravennate l'opposto di quello francese: egli non aveva pregiudizi sulla colpevolezza dei Templari della sua provincia, che pertanto comparirono liberi davanti alla commissione giudicante; non accettò di applicare la tortura e rifiutò perfino di riconoscere alcuna validità alle confessioni ottenute con questo sistema. II risultato fu che alla fine la commissione riconobbe l'innocenza dell'Ordine e la dozzina di Templari chiamati a comparire dovette soltanto sottomettersi a una solenne promessa di penitenza. Papa Clemente V, furioso per il risultato del processo, ordinò all'arcivescovo di riaprire il processo, e di applicare la tortura per ottenere delle confessioni. A differenza dell'arcivescovo di Pisa e di quello di Firenze, che si erano piegati alle richieste del pontefice, Rinaldo rifiutò ancora. Fu sicuramente presente al concilio di Vienne, ma non intervenne. Morì nel 1321.
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14 giugno 2014 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net