Regola di S. Benedetto
Prologo della Regola: Alziamoci, dunque, una buona volta, dietro l'incitamento della Scrittura che esclama: "E' ora di scuotersi dal sonno!" e aprendo gli occhi a quella luce divina ascoltiamo con trepidazione ciò che ci ripete ogni giorno la voce ammonitrice di Dio: " Se oggi udrete la sua voce, non indurite il vostro cuore!" e ancora: " Chi ha orecchie per intendere, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese!". E che dice? " Venite, figli, ascoltatemi, vi insegnerò il timore di Dio.
Capitolo II - L'Abate : Sappiamo infatti per fede che in monastero egli tiene il posto di Cristo, poiché viene chiamato con il suo stesso nome, secondo quanto dice l'Apostolo: "Avete ricevuto lo Spirito di figli adottivi, che vi fa esclamare: Abba, Padre!"
Capitolo VII - L'umiltà : Una volta ascesi tutti questi gradi dell'umiltà, il monaco giungerà subito a quella carità, che quando è perfetta, scaccia il timore; per mezzo di essa comincerà allora a custodire senza alcuno sforzo e quasi naturalmente, grazie all'abitudine, tutto quello che prima osservava con una certa paura; in altre parole non più per timore dell'inferno, ma per amore di Cristo, per la stessa buona abitudine e per il gusto della virtù. Sono questi i frutti che, per opera dello Spirito Santo, il Signore si degnerà di rendere manifesti nel suo servo, purificato ormai dai vizi e dai peccati.
Capitolo XLIX - La quaresima dei monaci : Perciò durante la Quaresima aggiungiamo un supplemento al dovere ordinario del nostro servizio, come, per es., preghiere particolari, astinenza nel mangiare o nel bere, in modo che ognuno di noi possa di propria iniziativa offrire a Dio "con la gioia dello Spirito Santo" qualche cosa di più di quanto deve già per la sua professione monastica; si privi cioè di un po' di cibo, di vino o di sonno, mortifichi la propria inclinazione alle chiacchiere e allo scherzo e attenda la santa Pasqua con l'animo fremente di gioioso desiderio.
Tema della Regola: Lo Spirito
Santo
L'ANNO DELLO SPIRITO SANTO
I segni della speranza: i popoli
LO SPIRITO SANTO SORGENTE INESAURIBILE DI DONI
Card. Angelo Amato S.D.B. (Salesiani di Don Bosco)
Estratto da "TERTIUM MILLENNIUM" -
N.1/Febbraio 1998
Editore: LIBRERIA EDITRICE VATICANA
1. Lo Spirito è «Persona-dono»
L'esistenza cristiana è intimamente segnata dalla «nube dello Spirito» (cf.
Mt 17,5). È lo Spirito che porta i fedeli alla loro piena configurazione a
Cristo. Ma, in cosa consiste, concretamente, la presenza dello Spirito Santo e
qual è il significato dei suoi doni? La risposta è semplice: la vita cristiana,
per svilupparsi e giungere a maturazione, esige una assistenza speciale dello
Spirito santo e dei suoi doni. Il mistero profondo dello Spirito è quello di
essere «dono»: «Si può dire che nello Spirito santo la vita intima del Dio uno e
trino si fa tutta dono, scambio di reciproco amore tra le divine Persone, e che
per lo Spirito santo Dio «esiste» a modo di dono. È lo Spirito Santo
l'espressione personale di un tale donarsi, di questo essere amore. È
Persona-amore. È Persona-dono» (Dominum et Vivificantem, n. 10).
Essendo Persona-dono lo Spirito è la sorgente di ogni dono creato, come la vita,
la grazia, la carità: «L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per
mezzo dello Spirito santo, che ci è stato dato» (Rm 5,5). Ed è Gesù che
ha dato il suo Spirito come dono di vita nuova agli apostoli, alla chiesa, al
mondo: «Innalzato alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito
Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e
udire» (At 2,33). Queste parole di Pietro a Pentecoste, riecheggiano la
sua esperienza pasquale. La sera della risurrezione, infatti, Gesù, apparendo
agli apostoli, disse: «Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20,22). Anche a
Pentecoste gli apostoli «furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare
in altre lingue, come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi» (At
2,4). Tale pentecoste apostolica rifluisce su tutta l'umanità, in tutte le sue
categorie di giovani e di anziani, di uomini e di donne. È lo stesso Pietro a
spiegare, nel suo primo kérygma, che questa irruzione dello Spirito non
fa che realizzare la profezia di Gioele:
«Io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre
figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno
dei sogni. E anche sui miei servi e sulle mie serve in quei giorni effonderò il
mio Spirito ed essi profeteranno» (At 2,17-18).
Il dono dello Spirito significa vocazione alla profezia da parte dei figli e
delle figlie, dei servi e delle serve; significa chiamata a seguire grandi
ideali («visioni») da parte dei giovani e ad avere sogni profetici da parte
degli anziani. L'effusione dello Spirito a Pentecoste realizza anche la profezia
di Ezechiele:
«Vi prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro
suolo. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da
tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo,
metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi
darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere
secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi.
Abiterete nella terra che io diedi ai vostri padri; voi sarete il mio popolo e
io sarò il vostro Dio. Vi libererò da tutte le vostre impurità: chiamerò il
grano e lo moltiplicherò e non vi manderò più la carestia» (Ez 36,24-29).
Lo Spirito è cioè dono di comunione, è acqua di purificazione, è cuore di carne,
è novità, è obbedienza, è appartenenza e fedeltà a Dio, è abbondanza di beni.
2. «Vieni, datore dei doni»
San Giovanni, parlando della nostra vocazione alla comunione con Dio-Amore,
afferma: «Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci
ha fatto dono del suo Spirito» (1Gv 4,13). È nello Spirito che noi amiamo
Dio. Per questo S. Agostino afferma che «lo Spirito santo è il dono di Dio a
tutti coloro che per mezzo suo amano Dio»
[1].
Lo Spirito ci abilita al rapporto interpersonale con Dio, all'alleanza tra il
nostro «io» e il «tu» divino: «Il dono dello Spirito significa chiamata
all'amicizia, nella quale le trascendenti profondità di Dio vengono, in qualche
modo, aperte alla partecipazione da parte dell'uomo» (Enciclica “Dominum et
Vivificantem”, n. 34). È quanto S. Paolo diceva: «Viviamo sotto il dominio
dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in noi» (Rm
8,5.9); «Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (Gal
5,25).
Per rendere possibile e facilitare questo cammino lo Spirito si fa sorgente di
molteplici doni, frutti, carismi. Per questo nella solennità di Pentecoste lo
invochiamo: «Vieni, Santo Spirito, vieni, datore dei doni». Tradizionalmente si
parla dei sette doni dello Spirito Santo: «la sapienza, l'intelletto, il
consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà e il timore di Dio» (CCC (Catechismo
della Chiesa Cattolica) n. 1831). Attribuiti in prima istanza al Messia (cf.
Is 11,1-2)
[2],
nel quale si realizzano in pienezza, questi doni perfezionano le virtù del
battezzato, rendendolo docile e obbediente a seguire le mozioni dello Spirito.
Se la vocazione del cristiano è la santità, i doni dello Spirito servono per
agevolare la pratica delle virtù sia teologali (fede, speranza, carità), sia
morali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza). Spesso la tradizione
teologica ha messo in correlazione i singoli doni con le singole virtù. Ad
esempio, il dono del timore viene visto in corrispondenza con la virtù della
temperanza e il dono della sapienza con la virtù della carità. In realtà ogni
singolo dono facilita l'esercizio di tutte le virtù, che ne escono fortemente
rafforzate. Più che in una graduatoria o su una scala i doni devono essere messi
in reciproca circolarità e correlazione.
3. Il timore, come gioiosa trepidazione per la vicinanza di Dio
Il timore del Signore si può considerare come il primo gradino della scala della
perfezione, che avrebbe il suo vertice nel dono della sapienza. Afferma S.
Tommaso d'Aquino: «Il timore filiale occupa il primo posto tra i doni dello
Spirito Santo in ordine ascendente, e l'ultimo in ordine discendente»
[3].
Il Siracide, tuttavia, mostra l'interdipendenza e il reciproco influsso dei
doni:
«Pienezza della sapienza è temere il Signore; essa inebria di frutti i propri
devoti. Tutta la loro casa riempirà di cose desiderabili, i magazzini dei suoi
frutti. Corona della sapienza è il timore del Signore; fa fiorire la pace e la
salute. Dio ha visto e misurato la sapienza; ha fatto piovere la scienza e il
lume dell'intelligenza; ha esaltato la gloria di quanti la possiedono. Radice
della sapienza è temere il Signore; i suoi rami sono lunga vita» (Sir
1,14-18).
In una proposta di cammino vocazionale, si può vedere nel timore di Dio il primo
passo per abbandonare la vita secondo la carne e percorrere la via secondo lo
Spirito. Il timore di Dio fa comprendere che la vita non è solitudine e
silenzio, ma comunione con Dio. Il timore non è paura di Dio, ma trepidazione e
gratitudine per la sua grande prossimità a noi. È riscoperta e lode della sua
grandezza e sapienza, e, allo stesso tempo, coscienza di essere immersi in
questo «ambiente divino», avvolti dall'abbraccio di Dio:
«Signore, tu mi scruti e mi conosci; tu sai quando seggo e quando mi alzo.
Penetri da lontano i miei pensieri, mi scruti quando cammino e quando riposo. Ti
sono note tutte le mie vie; la mia parola non è ancora sulla lingua e tu,
Signore, già la conosci tutta. Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di
me la tua mano. Stupenda per me la tua saggezza, troppo alta, e io non la
comprendo. Dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua
presenza?» (Sal 139,1-7).
La prostrazione di Abramo di fronte ai tre pellegrini (Gn 18,2), la
sorpresa di Giacobbe nel sogno della scala, la cui cima raggiungeva il cielo (Gn
28,12), lo sbigottimento di Mosè al roveto ardente (Es 3,6), la
meraviglia di Isaia di fronte al serafino col carbone ardente (Is 6,6-7),
il grande spavento dei pastori all'annuncio degli angeli (Lc 2,9), lo
stordimento di Giovanni il veggente di fronte al Vivente (Ap 1,17)
indicano lo stupore improvviso di chi si trova a tu per tu di fronte al mistero
santo di Dio. È un timore che non si tramuta in paura, ma, al contrario, si
espande per Abramo in servizio e dialogo con Dio, per Giacobbe in conferma di
aver incontrato Dio, per Mosè in spinta alla missione, per Isaia in obbedienza
alla chiamata profetica, per i pastori in invito a incontrare il neonato
Salvatore, per Giovanni in contemplazione dell'azione efficace e vittoriosa di
Dio nelle martoriate vicende della chiesa e del mondo.
Il timore è la trepidazione avvertita da chi inizia il cammino della vita nello
Spirito e si affida con confidenza nelle mani di Dio: «Scrutami, Dio, e conosci
il mio cuore, provami e conosci i miei pensieri: vedi se percorro una via di
menzogna e guidami sulla via della vita» (Sal 139,23-24). Il timore di
Dio diventa così consapevolezza della debolezza umana, esercizio di umiltà e di
povertà di spirito, ma anche fiducia nella misericordia di Dio, speranza nella
sua provvidente bontà, autentico «principio di saggezza» (Sal 111,10).
[1]
De Trinitate,
XV 19,35.
[2]
Il testo ebraico di Is. 11,2 parla di sei doni: spirito di
sapienza, intelligenza, consiglio, fortezza, conoscenza e timore del
Signore. La versione greca dei LXX e la versione latina della Volgata
enunciano invece sette doni, introducendo la «pietà». In realtà si
tratta di una interpretazione di Is 11,3, in cui il «timore del
Signore», ripetuto in questo versetto, viene tradotto in una sua
variazione e cioè in «pietà».
[3]
STh
(Summa Theologiae o
Summa Theologica), II/II q. 19 a. 9.
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23 maggio 2023
a cura di
Alberto
"da Cormano"
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