Capitolo VI - L'amore del silenzio: "Facciamo come dice il profeta: "Ho detto: Custodirò le mie vie per non peccare con la lingua; ho posto un freno sulla mia bocca, non ho parlato, mi sono umiliato e ho taciuto anche su cose buone". Se con queste parole egli dimostra che per amore del silenzio bisogna rinunciare anche ai discorsi buoni, quanto più è necessario troncare quelli sconvenienti in vista della pena riserbata al peccato!... Se infatti parlare e insegnare é compito del maestro, il dovere del discepolo è di tacere e ascoltare."
Capitolo LII - La chiesa del monastero: "La chiesa sia quello che dice il suo nome, quindi in essa non si faccia né si riponga altro. Alla fine dell'Ufficio divino escano tutti in perfetto silenzio e con grande rispetto per Dio, in modo che, se un monaco volesse rimanere a pregare privatamente, non sia impedito dall'indiscrezione altrui."
Capitolo XIX - La partecipazione interiore all'Ufficio divino: "Sappiamo per fede che Dio è presente dappertutto e che "gli occhi del Signore guardano in ogni luogo i buoni e i cattivi", ma dobbiamo crederlo con assoluta certezza e senza la minima esitazione, quando prendiamo parte all'Ufficio divino. ...Consideriamo dunque come bisogna comportarsi alla presenza di Dio e dei suoi Angeli e partecipiamo alla salmodia in modo tale che l'intima disposizione dell'animo si armonizzi con la nostra voce."
Il tema del silenzio
nell’esperienza spirituale di Giuseppe Dossetti
Giancarlo Pivato
Estratto da “Studia
Patavina
69” (2022) 121-133 - Facoltà Teologica del Triveneto 2022
L'intera esistenza di Giuseppe Dossetti (1913-1996) è stata una ricerca
incessante del silenzio esteriore e interiore. Pur attingendo dalla
vita monastica come cultura del silenzio
per Dossetti il silenzio
non
è il silenzio del monastero,
ma il silenzio che permette a ogni battezzato quella “sapienza della prassi” che
è il frutto di “abiti virtuosi”. Abiti virtuosi che sono condizione per pensare
correttamente e con l’intelligenza dello Spirito le necessità e le urgenze che
la storia continuamente rivolge all’uomo, per giungere al “discernimento della
storia”. Dal modo con cui il monaco di Monte Sole ha inteso e vissuto il
silenzio è possibile comprendere qualcosa del suo sguardo su Dio e sulla storia
e narrare la sua esperienza spirituale.
La vita monastica come cultura del silenzio
Il
tema del silenzio, oggetto negli ultimi trent’anni di un interesse crescente da
parte di varie discipline, quali l'antropologia, la filosofia e la psicologia,
non rappresenta una novità nel panorama della letteratura mistico-spirituale. Va
ricordato, in particolare, come tutta l’esperienza del monachesimo[1]
è stata attraversata e accompagnata dalla qualità della comunicazione che è il
silenzio.
Il monachesimo fin dalle origini, insieme alla scelta della separazione dalla
realtà, con il ritiro dalla città e dalle responsabilità civili, è stato
promotore di una cultura del silenzio, di chi si percepiva e viveva da
straniero: «Per fede Abramo soggiornò nella terra promessa come in una regione
straniera» (Eb 11,9).
Basti ricordare, con riferimento alle origini del monachesimo, che lo stesso
genere letterario degli apoftegmi richiamava un approccio silenzioso al reale,
nel quale l’autore della parola (i “detti” dei padri del deserto) si nascondeva
per lasciare spazio al silenzio contemplativo.
Nell’esperienza monastica dei Padri il silenzio divenne uno degli elementi
identificativi e qualificativi di questa forma di vita cristiana, condizione per
il battezzato, in quanto pellegrino e straniero (1 Pt 2,11-12), per accedere a
una sapiente e autentica conoscenza della realtà[2]
.
Questo modo di stare nel mondo del monaco come forestiero che vigila e tace e
come pellegrino che osserva e raccoglie, divenne la norma per il monachesimo
benedettino e l’ispirazione per Dossetti nella scelta di lasciare l’impegno
attivo nella politica[3]
per vivere nella storia come sentinella che veglia l’arrivo del nuovo giorno.
Nell’alveo della vita monastica come cultura del silenzio prende forma il
proprium
del
monachesimo
dossettiano inteso non come fuga dal mondo e neppure come fuga dalla mondanità,
quanto piuttosto come
scelta del credente di impegno nella storia
[4].
La “promessa del silenzio” in Dossetti
Il silenzio nella concezione dossettiana della vita monastica non è solo la
premessa per interiorizzare gli impegni assunti con la professione religiosa, né
la condizione ambientale nella quale vivere la solitudine del monaco, né solo
preparazione all’orazione, alla quale il monaco è invitato più volte nel corso
di una giornata.
Per Dossetti il silenzio è anzitutto puro dono di Dio; «Si può dire che solo Dio
lo dà, e solo a chi vuole e quando vuole e nella misura e nei modi che vuole.
Perché è dono! Dono nella sostanza, dono nel donatore, dono nel modo, dono in
tutte le modalità. Ma subito poi soggiungere che non si può dare che Dio non lo
voglia dare a chi ha fatto professione religiosa»[5].
Un dono che Dio fa in particolare con la professione monastica, con la quale il
monaco si impegna a custodire espressamente con la promessa del silenzio
religioso'
[6],
come indicato nel testo scritto per il giorno di Pentecoste del 1954.
Sulla relazione tra silenzio e vita monastica Dossetti interviene in più
occasioni, esortando i fratelli e le sorelle della Comunità alla custodia e alla
vigilanza di questo impegno assunto con la professione, qualificando il silenzio
interiore del monaco come la completa verginità del cuore
[7],
espressione della nuzialità con Cristo che il monaco è chiamato a vivere e a
rendere visibile.
In particolare in tre testi il monaco di Monte Sole affronta il tema del
silenzio come dimensione costitutiva dell’esperienza monastica dei fratelli e
delle sorelle della Piccola Famiglia dell'Annunziata. Si tratta della
Fonila communitatis
(1954), della Piccola Regola della Famiglia dell’Annunziata (1955) e della
Relazione, accompagnata da una lettera di presentazione, a mons. Antonio Poma
(1968).
Nella
Forma communitatis,
un dattiloscritto che Dossetti redige intorno alla Pentecoste del 1954,
collegato al testo della Promessa di Pentecoste, don Giuseppe dà una definizione
precisa della vita comunitaria per i fratelli c sorelle disponibili a vivere
insieme: «La nostra comunità è; una famiglia di credenti, interiormente
consacrati, generata e alimentata dall’adorazione e
dall’abbandono, nella convivenza con i minimi e nel lavoro, in ostensione
a essi di una chiesa santa e immacolata (Ef 5,23), già oggi, ma aspettando e
affrettando col desiderio l'avvento del giorno di Dio (2 Pt 3,12)»
[8].
Per dare concretezza alla riflessione contenuta nella
Forma communitatis
viene proposta ai membri della comunità una promessa, da rinnovare ogni anno,
specificandone il contenuto attorno a quattro impegni: la promessa di sincerità,
la promessa di povertà, la promessa di obbedienza e infine la promessa di
silenzio religioso. In quest’ultima promessa viene formulata una definizione
puntuale del silenzio: «La Promessa di silenzio religioso: come espressione
sintetica dell’offerta totale a Dio, della consacrazione e dell’abbandono sempre
più pieno e docile allo Spirito santo, implicante la custodia, in spirito di
fede e di adorazione, del silenzio, e la lettura e lo studio umile e devoto
della Scrittura, nella misura e nelle modalità fissate dalla comunità»
[9].
Degno di nota nel testo della
Forma communitatis
è il riferimento al silenzio che ritrova nei poveri e negli ultimi la presenza
di Cristo: «Questo è il significato del nostro silenzio in mezzo a loro: è il
silenzio che ritrova in loro la Sua presenza, che ritrova l’atto e non solo l’habitus
del nostro sposalizio con loro. Ed è insieme un silenzio pieno di quella
speranza finale, un silenzio che realmente partecipa di quel silenzio che
precede il giorno di Cristo: “Quando l'Agnello apri il settimo sigillo, si fece
silenzio nel cielo per circa mezz’ora” (Ap 8,1)»
[10].
Continuando nella
Forma communitatis
sul silenzio come presenza di Cristo nei poveri scrive: «Tutto il nostro
silenzio, tutta la nostra giornata di silenzio deve essere sempre più riempita
di questo significato, della presenza dei nostri poveri sofferenti e gloriosi,
dell’attesa della manifestazione di questo mistero»
[11].
Per cui se il monaco viene meno alla promessa del silenzio deruba in qualche
modo il povero di qualcosa che gli spetta: la presenza consolante di Cristo
nella sua vita e il volto di una chiesa santa e immacolata, in quanto viene meno
all’impegno a servire Cristo nei poveri.
Nella Piccola Regola, un testo breve, scritto con un genere letterario più
simile a un testo liturgico che a una costituzione canonica di una comunità
religiosa, che in alcune parti appare una preghiera di lode a Dio dispensatore
di ogni bene, sono dedicati due paragrafi al tema del silenzio.
Nel paragrafo 8 della Regola di Rossetti si legge: “Il silenzio, è l’unica lode
vera e degna, esso stesso puro dono di Dio, il silenzio interiore, che è
progressivo venir meno di ogni fantasia, di ogni apprensione per il futuro, di
ogni pensiero non richiesto dal dovere immediato; dono che va invocato,
predisposto e custodito con il silenzio interiore [..]”
[12].
Per comprendere la portata di questa definizione del silenzio, come l’unica lode
vera e degna, è opportuno ricordare che per Dossetti l’uomo di fronte a Dio è
supplica e lode:
La posizione fondamentale dell’uomo rispetto a Dio è quella di chi deve
incessantemente invocare il miracolo, incessantemente supplicare la scintilla
divina che risusciti il morto e dia l’esistenza a chi non ce l'ha. Inoltre,
mentre si sperimenta questo processo di creazione incessante e gratuita da parte
di Dio, immeritata da parte nostra, non si può non alternare l'invocazione della
potenza di Dio con la sua glorificazione, nell’atto stesso in cui si sperimenta
questa potenza. Supplicare Dio perché compia il miracolo, esultare nell’estasi
perché lo si vede mentre compie il miracolo e lo si sperimenta in noi.
Supplicare Dio perché ci conservi il dono della fede, esultare in Dio che ci ha
dato questa luce e ci ha fatto riconoscere l’infinita sua intima realtà, che si
è rivelata nel suo Cristo
[13].
In uno dei suoi rari commenti al paragrafo 8 della Piccola Regola, a proposito
del silenzio interiore Dossetti ebbe a dire:
C’è un silenzio interiore e c’è un silenzio esteriore. Il silenzio interiore è
quello vero, quello che Dio vuole, e che non può mai far male a nessuno, se è
silenzio interiore. Non può mai non essere nella carità, se è silenzio
interiore. Non può mai non curare la carità, alimentarla, edificarla, il
silenzio interiore, quello che è dono che dà Dio. Si può dire, dunque, che solo
Dio lo dà, e solo a chi vuole e quando vuole e nella misura e nei modi che
vuole. Perché è dono"
[14].
Il silenzio interiore è quello in cui si tace anzitutto di sé con se stessi, per
far parlare l’amore di Dio in sé e per credere all’amore di Dio, il quale dona
le mortificazioni dal proprio orgoglio, per liberarsi dalle proprie illusioni e
per procedere nella vita semplice dell’accettazione di quello che uno è davanti
a Dio. Tacere di se stessi per don Giuseppe significa fuggire dalla tentazione
di appagare egoisticamente il proprio io, sempre alla ricerca di essere
alimentato dal brusìo delle parole e della ricerca insistente del consenso.
Cosi, per Dossetti, il silenzio interiore è quello che conduce pian piano a uno
sguardo umile su se stessi, contro la tentazione dell’autosalvezza e della
realizzazione dei propri progetti.
Infine, significativi sul tema del silenzio nella vita spirituale di Dossetti
sono due testi che l'autore scrive a mons. Antonio Poma, nominato vescovo
coadiutore di Bologna nell’ottobre del 1967 con diritto di successione, entrambi
pubblicati dalla Piccola Famiglia dell'Annunziata: si tratta di una lettera
[15]
del dicembre del 1967, quando Poma era ancora vescovo coadiutore, e di una
relazione
[16]
sulla natura e sulle finalità della Comunità dossettiana, scritta nel giugno
1968, quando Poma era diventato vescovo di Bologna succedendo a Giacomo Lercaro.
Nella lettera del dicembre 1967 Dossetti condivide con il vescovo Poma le realtà
più intime della sua vita spirituale e ribadisce che la scelta monastica impone
uno stile di vita silenzioso, da vivere come lode a Dio e supplica per
l’umanità, nel quale rifiutare ogni intervento pubblico, tacere su questioni che
riguardano la scelta politica e il dibattito ecclesiastico, soprattutto negli
anni impegnativi del post-Concilio: «Questo controllo assoluto e incessante e la
inibizione frequentatissima dei sentimenti più forti e delle convinzioni più
maturate, non mi sono suggeriti dalla prudenza umana o da un doveroso riserbo
sacerdotale, ma mi sono piuttosto imposti dalla mia stessa scelta monastica, che
è scelta di nascondimento e di silenzio[…]”
[17].
Nella prima relazione a mons. Poma, in cui Dossetti riassume le scelte basilari
della Famiglia dell’Annunziata, il silenzio viene proclamato come stile di vita
ordinario del credente: «Una vita non di iniziative e di attività esterne, ma di
abbandono umile e fiducioso, ritirata e raccolta nel silenzio, nella preghiera e
nel lavoro. Una vita tutta ordinata e alimentata dalla centralità assoluta e dal
predominio della messa e dall’ufficiatura comunitaria e da un ampio spazio di
lectio divina,
di ascolto e di studio della Scrittura»
[18].
Tuttavia per don Giuseppe la vita monastica, pur con delle sue peculiarità, non
è cosa diversa dalla vita battesimale, «non si differenzia esternamente dalla
comune condizione dei cristiani», ma è uno dei modi nel quale trova compimento,
per opera dello Spirito santo, la vita nuova in Cristo.
Seguendo il principio della vita monastica come «comunità di fatto di
cristiani», una lettura attenta della relazione del 1968 fa dire che la
necessità di vivere il silenzio non è solo una esigenza della vita monastica,
una pratica ascetica riservata a pochi, nella quale favorire l’incessante
ascolto della Scrittura e far tacere i rumori che agitano il cuore, ma
caratterizza l’esperienza credente di ogni persona, parte integrante
dell'appropriazione della fede. Per Dossetti il silenzio appartiene alla
struttura della fede cristiana, fatta di parola e di silenzioso ascolto, è un
modo diverso di comunicare e, più in profondità, è un modo diverso di essere e
di vivere. Il silenzio si fa eloquente e diventa stile di vita del credente
quando si fa attesa di Dio, quando plasma il desiderio di Dio, quando lascia a
Dio il diritto di parlare alla libertà dell'uomo e rende l’agire dell'uomo
risposta libera a questa parola.
La vita per un cristiano esige di assumere anche la docilità del silenzio, di
chi impara a comunicare senza usare parole, ma solo il silenzio della
testimonianza, cioè di chi parla con le opere, con le proprie scelte e lo stile
di vita cristiano, di chi come parola definitiva fa parlare silenziosamente il
vangelo. «Il silenzio non prova, non argomenta, non dimostra, testimonia
soltanto. Eppure, nonostante questo, ma forse proprio per questo, possiede una
forza insolita. Eppure Mosè taceva. “Perché gridi così forte?” dice Dio a Mosè.
Eppure Mosè taceva. Tanto, commenta Kierkegaard, può il silenzio gridare al
cielo»’
[19].
L’esperienza spirituale di Dossetti profila un silenzio dal quale si esce solo
per annunciare e testimoniare la Parola con le parole della carità.
Si configura, nell’esperienza dell'ex vice-segretario della Democrazia
cristiana, il silenzio come espressione di uno stato interiore, nel quale l’uomo
tacendo apprende la grammatica della comunicazione, perché l'uomo esercita
l’arte della parola solo dopo essersi allenato nella palestra del silenzio. Il
silenzio è una dimora stabile per la vita dell’uomo, nella quale prende forma la
relazione con Dio e con i fratelli, matura un’umile conoscenza della verità di
se stessi e dalla quale si esce solo per dare voce alla parola che viene da Dio.
Infine, il silenzio è ciò che si verifica quando l'uomo, dopo aver comunicato la
parola udita nel silenzio, ritorna in se stesso e tace.
Nella relazione a mons. Poma Dossetti scrive:
La nostra comunità prende ispirazione anche all’insegnamento di Papa Giovanni:
la sua incessante e gloriosa riaffermazione della vita interiore, della fede,
del santo timore di Dio, dello spirito di obbedienza e di pace. Questo criterio
e questo motto vorremmo sempre più fare nostro,
specialmente
per poterci orientare nell’odierna dinamica ecclesiale e per saper custodire in
essa il nostro ruolo, umile, nascosto, sempre più al di fuori di ogni intrapresa
vistosa, nel silenzio della preghiera, dell’obbedienza e della pace: da questo
silenzio possiamo uscire solo per annunciare, in un modo che vorremmo sempre più
elementare e puro, la parola di Dio e basta’
[20].
Per Dossetti se la vita del battezzato è riempita di silenzio, è una vita piena
di speranza e Cristo vive ili lui e dà consistenza a ogni virtù cristiana.
Allora se l’abito della vita cristiana è il silenzio
in
Cristo, adorante, frutto di una grazia preveniente, quando viene il momento di
confessare davanti agli uomini la nostra fede non saremo preoccupati di cosa
dire, ma lo Spirito ci darà la parola della fede per testimoniare la nostra
appartenenza a Cristo e alla chiesa. Sarà una testimonianza, proprio perché esce
dal silenzio, capace di risvegliare nelle anime dei credenti il silenzio di
Cristo.
Il valore antropologico e spirituale del silenzio nell’esperienza spirituale di
Dossetti
Il punto di partenza di Dossetti nell’affrontare il tema del silenzio è la
dimensione propriamente spirituale, da intendersi come via autorevole per
accedere alla dimensione del trascendente e del divino. Lo
stile silente del vivere cristiano,
accompagnato anche dal
silenzio nella testimonianza,
è la via per giungere a un’autentica conoscenza di sé, a una reinterpretazione
della propria identità, un esercizio di umiltà di chi non presume mai di sé, né
di ciò che possiede, né di ciò che dice, ma si riconosce dipendente da una
parola Altra che lo raggiunge per donargli vita.
E’ il dinamismo della sua
vocazione battesimale,
è la dimensione della “fede cristiana vissuta” che impone a Dossetti di vivere
il silenzio come esercizio della libertà del cristiano nella storia.
Come il parlare, il raccontarsi, il narrare le vicende della vita sono una
condizione per accedere a un’autentica esperienza spirituale, nella quale
riconoscere l’agire di Dio nella singola storia degli uomini, così lo è il
silenzio: è favorire l’esperienza di Dio, di incontro con il totalmente Altro,
esperienza nella quale gustare le realtà del cielo. Da qui la categoria del
«silenzio come verginità del cuore»
[21]
e del «silenzio come la stanza nuziale, in cui si consumano le nozze con lo
Sposo»
[22]:
questo colloca l’uomo nella piena disponibilità a Dio.
La prospettiva dossettiana rimane quella del
rapporto tra silenzio e vita interiore,
quella di un’autentica ricerca del Regno di Dio come annuncio e figura del “non
ancora”; e in questo Dossetti si colloca all’interno della sapiente tradizione
della spiritualità cristiana che ha sempre inteso il silenzio come un’«affezione
spirituale» (san Giovanni della Croce), come sacra inutilità (gratuità) di chi
cerca Dio con insistenza, di chi mette tutto a tacere, anzitutto se stesso, per
non udire altro che l’Amato.
C’è un
proprium,
però, nel suo modo di intendere la dimensione propriamente spirituale del
silenzio, che non si può relegare al solo silenzio del monaco che cerca con
insistenza l’amore dell’Amato, ma che affonda le sue radici nel modo di
intendere
il rapporto tra il vangelo e la storia.
Per comprendere la portata di questi due luoghi teologici,
vangelo e storia,
è necessario ripercorrere la sua vicenda biografica a partire dal suo impegno in
politica, che non si può separare dalla sua vicenda spirituale. Non vi è un
Dossetti prima della scelta monastica e un Dossetti dopo tale scelta, ma un uomo
che alla luce dello Spirito santo ha sempre camminato nella ricerca della
volontà di Dio. Il rigore spirituale del monaco Dossetti è lo stesso rigore
capace di assumere l’impegno politico all’interno della vita secondo lo Spirito,
che rende l’uomo capace di responsabilità verso il destino dell’umanità.
Questa autocomprensione della lede ha le sue radici nella convinzione della
fine della cristianità.
Dossetti non è preoccupato del destino della cristianità, per lui già conclusa,
quanto del senso del vivere cristiano nella storia
[23],
per il quale «la fede è il principio e la carità ne è il compimento»
(sant’Ignazio di Antiochia).
Ciò lo spinge a pensare alla fede del credente nella via della testimonianza
silenziosa della sequela
Christi,
ma non intesa nel senso di un’inutilità sostanziale dell’agire del cristiano
(Dossetti non è per l’inutilità, ma per la responsabilità); piuttosto, spinge il
battezzato a cercare lo spazio del suo intervento nella storia non come
un’azione stabile, permanente, quanto piuttosto nello spazio di un momento
favorevole, di un kairòs.
Per don Giuseppe l’impegno cristiano in politica è un’esperienza che accade
nello spazio di una chiamata, di un’occasione legata a un particolare tempo
della vita cristiana, e per il cristiano fare politica non è essenziale. Altro è
richiesto al cristiano nella storia: è richiesto di fare silenzio interiormente
per riconoscere
il primato della Grazia
e
rispondervi
a misura.
La dimensione spirituale del silenzio, di cui l’ascolto, la preghiera e il
silenzio
di
Dio e
in
Dio ne sono i volti principali, non è da relegarsi all'interno del colloquio
solitario e individuale con Dio, nei processi della vita monastica, ma va colta
come capacità di restituire all’uomo l’intelligenza spirituale attenta alle
vicende della storia. In altre parole, il silenzio come dimensione spirituale
della vita permette il
recupero dell’ora,
del momento decisivo di responsabilità cristiana, evitando di attribuire
all’iniziativa dell’uomo un valore maggiore rispetto alla Grazia.
Questo modo di intendere la dimensione spirituale del silenzio fa emergere la
pesante critica di Dossetti alle
tendenze semipelagiane
presenti in un certo attivismo pastorale che rischia di dimenticare il primato
della Grazia.
Per il monaco Dossetti interrogarsi sulla presenza dei cristiani nel mondo e
nella storia significa lasciarsi interpellare sulle condizioni di un’autentica
vita secondo lo Spirito.
La singolarità del monachesimo dossettiano ci testimonia che per Dossetti il
cristianesimo è solo azione, «quello che conta è che sia l’azione dello Spirito
santo in noi, quindi che sia un'azione di obbedienza allo Spirito del Signore: è
azione quella di chi cura i suoi malati, ed è azione quella di chi si consuma
nella preghiera»
[24].
Non che l’uomo abbia qualcosa da aggiungere alla storia,
ma partecipa
responsabilmente a ciò che di essenziale in Gesù Cristo è già stato detto e
scritto.
Dunque, la dimensione spirituale del silenzio non si contrappone neppure a
quella relazionale, né a quella mistica. Per cui per Dossetti il tema non va
trattato nella logica della contrapposizione, degli opposti: il silenzio
dell’eremo contro il chiasso delle immagini e delle parole; la vita nascosta e
silenziosa del monaco contro l’azione pastorale del battezzato; la dimensione
spirituale contrapposta alla dimensione relazionale.
Egli non ama contrapporre azione e contemplazione perché per lui «il
cristianesimo è azione, solo azione»
[25].
È privo di significato contrapporre la parola al silenzio, e non si possono
leggere gli interventi pubblici di Dossetti sulle vicende politiche come una
rottura del silenzio che lui si è imposto con la vita monastica. Non c’è
discontinuità nel silenzio ogniqualvolta prende forma la parola per dire
qualcosa della storia degli uomini, ma continuità e contingenza. Non solo perché
la parola si genera nel silenzio,
ma perché il parlare si rende necessario alle esigenze del Regno in un
determinato momento storico: è forte in Dossetti la consapevolezza che c’è un
tempo per tacere e un tempo per parlare.
La sua preoccupazione nel trattare il tema del silenzio rimane l’incontro che si
dà nella storia tra la persona di Gesù e la vita degli uomini. Per lui il
discorso di Dio è sempre situato nella storia, rivolto agli uomini e alle
esigenze del momento: emerge con forza la sua insistenza sull’incarnazione fino
alla morte (la dedizione di Gesù).
È lo stesso Dossetti a suggerire la corretta ermeneutica del tema, quando parla
del silenzio come della «quarta dimensione del tutto»
[26].
Questo trattare il silenzio come un atteggiamento sapienziale, è espressione di
un’ermeneutica spirituale nella quale si consuma e si dà il rapporto tra la
novità del vangelo e la storia di ogni uomo. Si tratta di una prospettiva che
orienta il
silenzio in funzione del discernimento sulla storia degli uomini,
che «non si può compiere nella fretta e nell’agitazione quotidiana della
polemica, nel rumore che debilita l’anima e ne attutisce le facoltà più sottili
e più delicate»
[27].
Per Dossetti il silenzio, condizione per discernere i segni dei tempi, conduce
sempre alla parola, la sola capace di testimoniare la gioia del Vangelo: la
parola “Amen”. La parola che nasce dal silenzio è sempre investita di una
missione. Pur non affrontando in modo sistematico il rapporto silenzio/parola,
Dossetti ne coglie l’importanza in riferimento all’annuncio del vangelo, lì
dove, in risposta al rischio di un possibile
circolo vizioso tra parole e silenzio,
di cui il chiasso massmediatico è un esempio, propone il silenzio come quarta
dimensione del tutto: «Occorre rendere possibile, consolidare e potenziare il
pensare e l’agire per la pace in nome di Cristo con un ultimo elemento, il
silenzio»
[28].
Nell’introduzione che don Giuseppe premette al testo
Le querce di Monte Sole
[29],
Dossetti riconosce che l’esito non brillante dell’impegno dei cristiani nella
vita sociale e civile non è dovuto alla corruzione, o alla cattiveria degli
uomini, quanto alla mancanza di prospettiva teologica e di lettura sapienziale
sulle reali esigenze dell’umanità e della convivenza tra i popoli.
Un deficit di sequenza nell'agire
politico legato all’incapacità di pensare politicamente, alla fragilità di fede,
ma soprattutto alla mancanza degli abiti virtuosi, tra i quali vi è
l’esilio del silenzio
nel pensare l’agire del cristiano. Per descrivere questa situazione dell’agire
cristiano don Giuseppe fa uso del termine «sapienza della prassi»:
La sapienza della prassi non sta tanto in un enunciarsi progressivo di una
cultura omogenea della fede (anche, ma non primariamente e non principalmente),
ma sta soprattutto nell’acquisizione di abiti virtuosi: che occorrono tutti non
solo per agire, ma anche e prima per pensare correttamente ed esaustivamente i
giudizi e le azioni conseguenti, che possono essere esigiti dai problemi della
vicenda individuale, familiare, sociale, politica, internazionale che l’oggi
presenta alla coscienza di ciascuno e della comunità cristiana
[30].
Una dimensione spirituale del silenzio cosi intesa genera sapienza nell’agire
cristiano: «Nella Scrittura, la Sapienza nei suoi vari significati, di sapienza
propriamente religiosa e di sapienza della prassi, di sapienza personificata e
di sapienza tomista, è sempre connessa alla disciplina della parola e del
silenzio; ciò richiede sempre una accumulazione di potenza e di energia che può
raggiungere solo colui che tace con calma»
[31].
Non tenere in considerazione il rapporto intrinseco tra il vangelo e la storia
in Dossetti significa ridurre la portata del valore che il silenzio ha nella
relazione intima con il Signore.
Un’ultima considerazione concerne il rapporto tra
la storia e l’escatologia
in Dossetti.
Il pensare teologico e politico di Dossetti (nelle omelie del tempo di Pasqua e
di Natale) assume tutta la tensione insita nel rapporto tra incarnazione nella
storia ed escatologia
[32];
assume il dramma del “già e non ancora" dal punto di vista dell’eschaton
che si dona,
che fa irruzione nella storia, che si offre prevenientemente, e offre all’uomo
la possibilità di attingere a una pienezza, quella pienezza che si è compiuta in
Cristo, senza eliminare la distanza tra il dono e la libertà dell’uomo, la
storia dell’uomo. Nel riproporre la dinamica tra l’evento che «brucia tutta la
storia» e
il
processo di assimilazione storico da parte dell'uomo, insiste molto sul fatto
che
l’escatologia è già nell'incarnazione.
La sua antropologia è quella
dell’uomo agito dallo Spinto,
da cui l’accusa alla chiesa di aver trascurato la cura della vita interiore a
discapito di un attivismo pastorale sterile.
Concludendo possiamo riconoscere che in Dossetti
il
silenzio è una condizione antropologica e spirituale per rimanere dentro al
dramma del “già e non ancora”, per abitare la distanza tra l’evento di Cristo e
la nostra condizione di limite, nella pratica cristiana del discernimento della
storia (sapienza della prassi) che sta nell’acquisizione degli abiti virtuosi.
Giancarlo Pivato
docente di Teologia spirituale
Studio teologico interdiocesano
Treviso - Vittorio Veneto
[1]
Su questo punto si leggano i contributi offerti nel testo
Silenzio e parola nella patristica. XXXIX Incontro di studiosi
dell’antichità cristiana,
Institutum patristicum Augustinianum, Roma 2012. Per il significato
antropologico e spirituale del silenzio si prenda in considerazione M.I.
Angelini,
Un silenzio pieno di sguardi,
EDB.
Bologna 1996.
[2]
In merito alla testimonianza dei padri sul tema del silenzio scrive
Angelini: «Per gustare il Dio che si autoconsegna all’uomo nella fede,
occorre uscire da ogni orizzonte padronale del vissuto, da ogni
presuntuoso dominio della realtà in chiave di nominazione
strumentalizzante delle cose e delle persone, per ritrovare l’approccio
silenzioso, perché spossessato e credente, al reale»,
Ibid.,
29.
[3]
Le motivazioni di questo abbandono sono state abbondantemente trattate
in diverse pubblicazioni, in particolare mettendo in evidenza i
contrasti, non più sanabili, con il presidente del Consiglio Alcide De
Gasperi. Si veda C. Paradiso-P.M. Fragnelii, Giuseppe Dossetti.
Sentinella e discepolo, Paoline, Milano 2010.
[4]
G.
Dossetti,
Con Dio e con la storia. Una vicenda di cristiano c di uomo,
Marietti,
Genova 1986, 27.
[5]
G.
Dossetti,
Assemblea all'eremo San Salvatore,
29 settembre
1988,
manoscritto in possesso della Piccola Famiglia dell’Annunziata.
[6]
G.
Dossetti,
Promessa di Pentecoste
(1954), in ID., Li
Piccola Famiglia dell’Annunziata,
Paoline. Milano 2004, 345.
[7]
Dossetti,
Assemblea all'eremo San Salvatore,
cit.
[8]
G. Rossetti,
Forma communitatis
(1954), in In.,
La Piccola Famiglia dell'Annunziata,
cit., 45.
[9]
Dossetti,
Promessa di Pentecoste,
cit., 345.
[10]
Dossetti,
Forma communitatis,
cit., 70.
[11]
Ibid., 71
[12]
G.
Dossetti,
Piccola Regola,
in Io., La
Piccola Famiglia dell'Annunziata,
cit.. 88.
[13]
G.
Dossetti,
L'identità del cristiano. Esercizi spirituali,
EDB.
Bologna 2000, 229.
Si
tratta di un corso di esercizi spirituali predicati al clero bolognese
nel novembre del 1969.
"
[14]
Dossetti,
Assemblea all’eremo San Salvatore,
cit.
[15]
G.
Dossetti,
Lettera a mons.
Antonio Poma,
in In.,
La Piccola Famiglia dell'Annunziata,
cit., 182-196.
[16]
G.
Dossetti,
Relazione a mons. Antonio Poma,
in In.,
La Piccola Famiglia dell'Annunziata,
cit., 197-213.
[17]
Dossetti,
Lettera a mons. Antonio Poma,
cit., 192.
[18]
Dossetti,
Relazione
a mons. Antonio Poma,
cit., 192.
[19]
M.
Baldini,
Elogio del silenzio e della Parola,
Rubbettino, Soveria Mannelli (Cz)
2005,93.
[20]
Dossetti,
Relazione
a mons. Antonio Poma,
cit., 200.
[21]
Dossetti,
Assemblea all'eremo San Salvatore,
cit.
[22]
G.
Dossetti,
La verginità e la rifrazione nuziale sugli altri doni
(25 settembre 1988), manoscritto in possesso della Piccola Famiglia
dell’Annunziata.
[23]
G.
Dossetti,
Per la vita della Città,
in In
„La Parola e il silenzio,
Paoline, Milano 2005.
[24]
G.
NICOLINI,
Un aspetto del ministero di Dossetti: la circolarità tra fede e storia,
in
Le eredità di Dossetti. Atti del Convegno
15
dicembre 2001.
Provincia di Bologna, Bologna 2002, 25.
[25]
G. Bianchi-P.
Trota,
Dossetti rimosso,
Jaca Book, Milano 2016, 141.
[26]
Ibid., Non restare in silenzio, mio Dio
(1986), in ID.,
La parola
e il silenzio,
cit., 123.
[27]
Ibid.,
125.
[28]
Ibid.,
123.
[29]
Il testo si trova in:
Dossetti,
Non restare in silenzio, mio Dio,
cit.
[30]
Ibid.,
113.
[31]
Ibid.,
123.
[32]
Id.,
Appunti per un ’antropologia critica 0 del profondo
(14 settembre 196(1), in G.
Alberigo (cui-.).
L’officina bolognese 1953-2003,
EDB. Bologna 2004,195: «Il mistero di Cristo nella sua totalità, come si
è già realizzato nell’incarnazione e nella resurrezione, ha una tale
forza da essere incomparabile con tutto quello che accade negli strati
superficiali e poiché l'uomo è già tutto divorato, assorbito da questo
tatto, è già possibile ora,
nunc,
la
Krisis,
il giudizio del mondo».
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2 giugno 2024 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net