Regola di S. Benedetto

Capitolo VI - L'amore del silenzio: "Facciamo come dice il profeta: "Ho detto: Custodirò le mie vie per non peccare con la lingua; ho posto un freno sulla mia bocca, non ho parlato, mi sono umiliato e ho taciuto anche su cose buone". Se con queste parole egli dimostra che per amore del silenzio bisogna rinunciare anche ai discorsi buoni, quanto più è necessario troncare quelli sconvenienti in vista della pena riserbata al peccato!... Se infatti parlare e insegnare é compito del maestro, il dovere del discepolo è di tacere e ascoltare."

Capitolo LII - La chiesa del monastero: "La chiesa sia quello che dice il suo nome, quindi in essa non si faccia né si riponga altro. Alla fine dell'Ufficio divino escano tutti in perfetto silenzio e con grande rispetto per Dio, in modo che, se un monaco volesse rimanere a pregare privatamente, non sia impedito dall'indiscrezione altrui."

Capitolo XIX - La partecipazione interiore all'Ufficio divino: "Sappiamo per fede che Dio è presente dappertutto e che "gli occhi del Signore guardano in ogni luogo i buoni e i cattivi", ma dobbiamo crederlo con assoluta certezza e senza la minima esitazione, quando prendiamo parte all'Ufficio divino. ...Consideriamo dunque come bisogna comportarsi alla presenza di Dio e dei suoi Angeli e partecipiamo alla salmodia in modo tale che l'intima disposizione dell'animo si armonizzi con la nostra voce."


Tratto dal libro "Il testamento di Gesù" di Romano Guardini - Vita e Pensiero

Il silenzio

Quando la santa messa viene celebrata come si deve, tacciono ad intervalli, nel suo sviluppo, sia la voce distinta del sacerdote sia quella dei fedeli. Il sacerdote parla a bassa voce o esegue, senza parole, ciò che il servizio divino prescrive; la comunità prende parte con l'intenzione degli occhi e dell'anima.

Che cosa significano questi momenti di silenzio? E che fare allora? Anzi cos'è in fondo, il silenzio?

Anzitutto, una cosa semplicissima: che ci sia proprio silenzio, e che non si parli, e che non sia dato di cogliere nessun rumore, nessun movimento, nessun fruscio di fogli, nessun colpo di tosse. Non vogliamo esagerare: gli uomini sono degli esseri viventi e si muovono, e un essere schiavo non sarebbe da preferirsi al disordine. Eppure silenzio è per l'appunto silenzio, e solo allora è silenzio quando positivamente lo si vuole.

Dipende dal valore che gli si dà: da qui dipende il godimento o il tedio che ci si prova. L'uno dice: " Non posso trattenere la tosse ". L'altro: " In ginocchio non ce la faccio ". Quando però assistono ad un concerto oppure a una conferenza che li affascina, soffocano ogni colpo di tosse, evitano la più lieve mossa, e nella sala regna quel silenzio che è, in fondo, la cosa più bella di tutte: il clima di chi sta in ascolto, dove prende risalto ciò che vi è di bello e di veramente importante... Così è: bisogna volere fermamente il silenzio, anche a prezzo di qualche sacrificio: allora lo si ha. Lo avete sperimentato una volta in tutto il suo valore? Non saprete più comprendere come se ne possa star senza.

Però il silenzio non dev'essere unicamente esteriore, come là dove nessuno parli e nessuno si muova. Tutto ciò, infatti, si può benissimo avere pure con il tumulto nell'animo. Reale silenzio importa che anche i pensieri, i sentimenti, il cuore siano in pace. Reale silenzio deve dominare lo spirito e penetrare sempre più nel profondo dell'animo, né alcuno mai seppe dire come sia possibile toccare un limite in questo campo, tanto sfugge a ogni misura il mondo interno.

Se poi si cerca di creare questo silenzio interiore, s'intravede subito che non è affare di un momento. Non basta quindi volerlo, ma lo si deve esercitare. A tale scopo i momenti più preziosi sono quelli che precedono immediatamente la celebrazione del sacrificio, in chiesa, e ciò, a sua volta, trae seco quest'altra esigenza: che si giunga in chiesa tanto per tempo d'avere realmente questi istanti di preparazione. E allora non girare oziosamente lo sguardo, non pensare ad oggetti futili, non sfogliare distrattamente un libro ma rientrare in se stesso e coltivare la pace interiore.

Meglio ancora, raccogliersi un po' già lungo il cammino verso la chiesa. Si va, infine, alla santa messa: nulla quindi di più naturale che lo stesso avviamento diventi esercizio di raccoglimento; in certo qual modo, un'introduzione che preluda alle cose venture.

E perché la cura del sacro silenzio interiore non potrebbe iniziarsi con la stessa vigilia, come suggerisce la liturgia, attribuendo la sera del sabato al giorno domenicale? E' fuori di dubbio che se fino dai primi vesperi - per esempio in correlazione con una breve lettura corrispondente - si badasse a inserire una sobria pausa di raccoglimento, l'influsso sull'indomani non tarderebbe a farsi sentire.

Fino a questo punto si sono descritti soltanto i caratteri negativi del silenzio, ciò che il silenzio non è: non è esclusione pura e semplice di parole o di rumore. Ma silenzio non vuol dire esclusivamente che qualche cosa manchi - quasi mera lacuna tra discorsi o rumori - ma comporta pure un elemento positivo. Beninteso, bisogna anche saperlo sentire come tale. Sovente, nel corso di una conferenza o di una cerimonia o di una qualunque manifestazione pubblica, accade che si improvvisi una pausa. Allora si osserverà quasi immancabilmente che, subito, uno tossisce o si muove: sente il silenzio come un vuoto e vi pone un'azione qualunque. Il silenzio non era per lui nient'altro che una mancanza, un difetto, e suscitava in lui un senso di disordine o di disagio.

In realtà esso è un dato pieno e fecondo. E' la pace della vita interiore. E' il riposo dei valori più intimi. E' trepida presenza, dedizione, premura. Nulla di cupo nel silenzio, nessuna espressione di ignavia, nessun gravame d'indolenza. Tutto è vigile, tutto è pronto.

Abbiamo fatto parola di vigilanza. Ora ecco, proprio,qui, nella vigilanza, il segnacolo del silenzio che ci interessa: del silenzio al cospetto di Dio.

Cos'è una chiesa? Anzitutto, un fabbricato: pareti, volta, colonne, spazio. Tutto questo però costituisce sempre solo una parte di ciò che è propriamente una chiesa: costituisce il corpo della chiesa. Quando noi diciamo che la santa messa si svolge nella chiesa, a questo " nella chiesa " appartiene ancora qualche cosa d'altro che non siano semplicemente le pareti, la volta, le colonne, lo spazio: - appartiene cioè la comunità. Comunità non soltanto gente. Per il fatto materiale di varcare la soglia del tempio e di prendere posto nei banchi non si ha ancora una comunità, ma soltanto uno spazio con un numero più o meno elevato di fedeli. La comunità sorge quando i fedeli sono interiormente presenti, quando l'uno percepisce e vive la presenza spirituale dell'altro, e tutti entrano insieme nello spazio sacro, anzi addirittura lo pongono. Allora c'è comunità, e forma - con la costruzione esterna che la esprime - quella chiesa nella quale l'azione sacra si compie.

E' importante vedere chiaro in tutto questo.

Le chiese esteriori possono sfaldarsi e perire. Allora tutto dipende dal fatto se i fedeli sono capaci di formare comunità, di costituire chiesa là dove si trovano, anche se la materialità del posto è ancor tanto povera o abbandonata. Bisogna dunque che sia scoperta e provata questa resistenza della volta interiore.

Teniamo quindi il silenzio nel suo debito conto. Non è a caso che questo opuscolo prende le mosse da queste considerazioni sul silenzio. Siamo in tema di liturgia, ed ogni forma di vita liturgica, rettamente intesa, fluisce appunto dal silenzio. Senza il silenzio tutto in essa si scolora.

Di qui appare chiaro che non si tratta di qualche cosa di strano o di un vago estetismo. Se così si intendesse il silenzio - come un lusso - tutto sarebbe posto in ridicolo. Per noi si tratta di qualche cosa di molto serio, di molto importante e - purtroppo non lo si può negare - di molto negletto: del primo presupposto di ogni azione sacra.

 

Il raccoglimento

Non appena, nella vita religiosa, emerge la parola tacere, se ne associa abitualmente un'altra: raccoglimento. Il tacere è superamento del chiasso e della verbosità; il raccoglimento è vittoria sulla dissipazione e sull'irrequietezza. Il tacere denota il silenzio nell'uomo che è atto a parlare. Il raccoglimento è l'unità vitale in un'esistenza piena di forze, protesa all'azione, contesa da ogni parte dalle cose del mondo e tirata dentro nella rete degli avvenimenti. Il raccoglimento non è meno importante del tacere, - anzi uno sguardo attento riconosce che l'uno non può fare a meno dell'altro.

Che cosa significa dunque il raccoglimento? Abitualmente l'attenzione umana dell'uomo divaga tra le cose e gli uomini che gli stanno intorno, come cacciata fuori dall'uomo e tirata in mille direzioni diverse dalla molteplicità dei fenomeni. Il suo animo non ha pace. Il suo sentimento si aggrappa ad oggetti effimeri. La sua avidità è incalzata da una cosa all'altra. La sua volontà ha continuamente intenzioni che la spingono innanzi, sovente parecchie nello stesso tempo. E' aizzato, distratto e in contraddizione con se stesso.

A tutto questo contrasta il raccoglimento. Esso leva via l'attenzione dalle sue mille inezie e riduce lo spirito, in se stesso, a unità.

Libera il sentimento dalla molteplicità delle cose che lo allettano, e lo porta a orientarsi semplicemente verso ciò che conta. Richiama l'anima, che scorazza coi suoi pensieri, corre coi suoi desideri da un oggetto all'altro, getta a non finire intenzioni e piani, la richiama in sé, e la guida in profondità.

Tutto coopera a rendere inquieto l'uomo. I fenomeni naturali sono stupendi e desiderabili: lo attraggono e lo avvincono. Ma sono per l'appunto naturali ed hanno per ciò stesso anche qualche cosa che concilia la pace e il raccoglimento. Così dicasi ancora di ciò che intesse la vita umana: incontri e destino, lavoro e gioia, malattie e disgrazie, vita e morte. Tutto questo impegna l'uomo, lo sazia e lo opprime; può conferirgli però anche serietà e prestigio.

Ciò che è realmente fatale sono il disordine e il formalismo della vita contemporanea. A questa scuola l'uomo è incessantemente aggredito da impressioni violente e sregolate, forti e superficiali a un tempo, tali da logorarsi in fretta per essere tosto risospinte da altre, senza alcuna misura e senza vera coesione. L'una intralcia l'altra, la turba, la contraddice. Dappertutto l'uomo è colpito da impressioni che, mentre lo ingannano, lo convincono. Tutto è " réclame " e tenta di indurlo a cose che egli, in fondo, non vuole affatto e delle quali, a ogni modo, non ha effettivamente bisogno. Il suo sentimento è costantemente distolto da ciò che è importante e profondo per rivolgersi a ciò che è interessante, a ciò che eccita e scuote.

Né questo stato di cose domina solo intorno all'uomo, ma è anche in lui stesso. L'uomo non ha ormai più né profondità né equilibrio; vive di ciò che è appariscente e casuale. Non trova nulla di sostanziale in se stesso; così va in cerca di allettamenti e di sensazioni, ne gode, ne viene a nausea, si sente nuovamente vuoto e ha bisogno di novità. Ciò che gli si offre incessantemente dai mezzi sempre più vasti del notiziario, dei servizí di comunicazione e d'informazione, dei rapporti sociali - prende al volo, ma in realtà non elabora. In breve, sa di tutto, ha per tutto il suo " slogan " e passa ad altro. E' interiormente vuoto e lo va coprendo mediante un'attività perennemente inquieta. Non si sente bene che nel trambusto, nel chiasso, in realizzazioni e successi effimeri; non appena intorno a lui le cose accennano a placarsi, non vede l'ora di riprender da capo.

Questo stato di cose si fa sentire dappertutto, anche sul terreno religioso, nel servizio divino, nella santa messa. Si nota allora un nervosismo costante. Si guarda in giro; senza un vero e proprio motivo, ora ci si inginocchia, ora ci si mette a sedere, ora ci si alza; adesso con un pretesto, poi con un altro; chi tosse, chi cincischia, chi si rassetta gli abiti. E quand'anche il contegno esterno rimane corretto, si sente l'irrequietezza interiore dal modo di cantare e di parlare, di leggere e di ascoltare, da tutto il comportamento. Gli uomini non sono veramente lì, non sono realmente impegnati nell'azione che compiono, non occupano in modo vitale tempo e spazio: non sono raccolti.

Raccoglimento denota quindi di più del semplice evitare qualche cosa o del serbarsi libero dell'uomo da impressioni ed occupazioni distraenti; il raccoglimento è qualche cosa in se stesso. E' la vita nella sua profondità e forza. Naturalmente la vita si applicherà sempre a una molteplicità di cose e di eventi, ma questo dev'essere compensato da una corrente opposta. Pensiamo al moto del respiro. Ha due direzioni: verso l'esterno e verso l'interno. Vita si attua in questo come in quello. Ognuno è vita, nessuno è la vita. Se il vivente dovesse respirare unicamente dall'interno verso l'esterno ne soffocherebbe, né più né meno di quanto avverrebbe se dovesse unicamente in-spirare. Ecco: il raccoglimento è l'in-spirazione dell'uomo spirituale. Così egli si toglie dalla distrazione, verso l'interno, verso il profondo, verso il centro.

Soltanto l'uomo raccolto è veramente qualcuno. Soltanto a lui si può realmente appellare, ed egli solo ha facoltà di rispondere. Egli solo è realmente sensibile a ciò che la vita porta. Unicamente l'uomo raccolto è vigilante. Non solo nel senso esteriore, che egli sa afferrare cose e precipitarsi sopra un vantaggio: questa vigilanza ce l'hanno pure la formica e l'uccello. Ma la vigilanza interiore: il sapere ciò che conta, la capacità di assumere decisioni con responsabilità, la vitalità del sentimento e la disposizione alla vita.

Solo col raccoglimento diviene possibile la liturgia. Non proviene gran che dal parlare di testi sacri, di simboli pieni di significato e di rinnovamento di vita liturgica, se mancano i presupposti fondamentali del prendere le cose sul serio: con questi metodi anche la liturgia non si riduce che a qualche cosa di interessante, a una moda per la quale ci si entusiasma un momento per lasciarla poi cadere di nuovo. Ai presupposti fondamentali per poter porre realmente degli atti liturgici appartiene il raccoglimento dell'animo. Il quale raccoglimento non sorge però da sé, ma - come il tacere - ha bisogno di essere voluto ed esercitato.

Prima di tutto bisogna arrivare in chiesa per tempo, se ci si vuol mettere interiormente in ordine. Cerchiamo una buona volta di renderci conto in che stato siamo quando valichiamo la soglia della chiesa; in che irrequietezza, in che disordine e - bisogna pur dirlo - in che abbandono. Strettamente inteso, in quel momento non siamo ancora affatto una reale personalità; per lo meno non siamo ancora uno cui Dio potrebbe rivolgere la parola, e che a sua volta sarebbe in grado di rispondere a Dio, ma un groviglio di sentimenti, di fantasie, di pensieri e di piani che vanno e vengono. La prima cosa da farsi è quindi ridursi in pace. E' necessario che noi siamo realmente presenti. Dobbiamo raccogliere i nostri pensieri e l'animo nostro: " Adesso sono qui; non ho da fare nient'altro che prendere parte alla cerimonia sacra; per il momento questo è solo importante, e ce la metto tutta ".

Basta provarcisi per rendersi conto di quanto si è dissipati. I pensieri vengono distratti in tutti i sensi: agli uomini con i quali abbiamo a che fare, ai familiari, agli amici, ai nemici; al lavoro del proprio stato; alle preoccupazioni di casa; alle circostanze della vita sociale; a impegni personali e a mille altre cose. Così bisogna riprenderli sempre da capo, rendersi presenti sempre da capo a qualche cosa di nuovo - e, notando quanto è difficile entrare in se stessi, non va detto che non c'è senso a farlo, ma che bisogna farlo senza ritardo.

Ma poi, è anche semplicemente possibile? Non è forse destino dell'uomo rimanere in balìa delle impressioni del mondo esterno, delle agitazioni del sentimento, delle brame dell'istinto? Qui siamo alla nota discriminante: alla differenza tra l'uomo e il bruto. Il bruto è così rilassato e schiavo - esso ha però, diciamolo subito, una protezione nell'ordine interno dei propri istinti. Del bruto non possiamo dire, a rigor di termini, che sia distratto. Nel senso in cui impiegammo questa parola, il bruto non e né distratto né raccolto: è come dev'essere, secondo la sua natura, per poter esistere, e per ciò stesso è in ordine. Soltanto l'uomo può essere distratto, perché qualche cosa in lui, il suo spirito, trascende la pura natura fisica. Lo spirito ha potere di volgersi al mondo e di perdersi in esso; lo stesso spirito ha però anche potere di vincere la distrazione e arrivare al raccoglimento. In esso vi è qualche cosa di misterioso, che contiene dell'eternità. La vera pace e il vero raccoglimento è infatti l'eternità. Tempo è instabilità e distrazione; eternità è pace e unità. Non inazione o tedio. Così parla lo stolto. Eternità è pienezza di vita, ma nella forma della pace. E qualche cosa di eterno è nel nostro intimo. Lo possiamo forse denominare con il bel nome che si trova nei maestri di spirito: abisso dell'anima o vetta dello spirito. Là esso appare come la pace degli abissi e dell'intimità; qui come la pace delle altezze e di ciò che è sacro. Questo è in me, ed io ci posso contare. Con questo aiuto ho potere di svincolarmi dalla caccia forzata (che è la vita); eliminare ciò che non è al suo posto; farmi in me stesso silenzioso ed uno, cosicché al levarsi della chiamata di Dio io sia realmente uno che può rispondere: " O Signore, eccomi a te ".


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21 giugno 2014                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net