Regola di S. Benedetto

Prologo: Perciò il Signore stesso dichiara nel Vangelo: "Chi ascolta da me queste parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio il quale edificò la sua casa sulla roccia... Dopo aver concluso con queste parole il Signore attende che, giorno per giorno, rispondiamo con i fatti alle sue sante esortazioni... Bisogna dunque istituire una scuola del servizio del Signore nella quale ci auguriamo di non prescrivere nulla di duro o di gravoso...

Capitolo XXXV - Il servizio della cucina: I fratelli si servano a vicenda e nessuno sia dispensato dal servizio della cucina, se non per malattia o per un impegno di maggiore importanza, perché così si acquista un merito più grande e si accresce la carità.

Capitolo XXXVI - I fratelli infermi: L'assistenza agli infermi deve avere la precedenza e la superiorità su tutto, in modo che essi siano serviti veramente come Cristo in persona, il quale ha detto di sé: "Sono stato malato e mi avete visitato", e: "Quello che avete fatto a uno di questi piccoli, lo avete fatto a me".

Capitolo LIII - L'accoglienza degli ospiti: Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: "Sono stato ospite e mi avete accolto"... L'abate e tutta la comunità lavino i piedi a ciascuno degli ospiti e al termine di questo fraterno servizio dicano il versetto: "Abbiamo ricevuto la tua misericordia, o Dio, nel mezzo del tuo Tempio".

Capitolo LXXII - Il buon zelo dei monaci: Come c'è un cattivo zelo, pieno di amarezza, che separa da Dio e porta all'inferno, così ce n'è uno buono, che allontana dal peccato e conduce a Dio e alla vita eterna. Ed è proprio in quest'ultimo che i monaci devono esercitarsi con la più ardente carità.


SERVIZIO

Benoît Standaert, O.S.B.

Estratto e tradotto da "Spirituality: an art of living: a monk’s alphabet of spiritual practices"

Collegeville, Minnesota : Liturgical Press, 2018


 

Dormivo

e sognavo che la vita era gioia.

Mi svegliai

e vidi che la vita era servizio.

Volli servire

e vidi che servire era gioia.

(Rabindranath Tagore (Ndr.: Poeta, drammaturgo, musicista e filosofo indiano (1861 - 1941))

 

Il servizio è al centro di un'autentica arte di vivere. Secondo la Regola di Benedetto, il servizio reciproco è il segno distintivo della vita monastica. "I fratelli si servano a vicenda" è la frase iniziale del capitolo 35. Si servano in modo semplice, coerente e reciproco.

Nella tradizione cristiana, Gesù stesso funge da modello. "Io sto in mezzo a voi come colui che serve" (Lc 22,27) è l'espressione potente di Gesù del suo atteggiamento fondamentale. Così dicendo fornisce la risposta alla domanda che si era posto: «Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve?». (Luca 22,27). Lui, il maestro, dice ai discepoli di essere fermamente dalla parte di chi serve.

Ciò è ulteriormente approfondito nel Vangelo di Giovanni dove, in occasione della Pasqua, Gesù si alza da tavola, si lega un asciugamano intorno alla vita e lava i piedi ai suoi discepoli, uno dopo l'altro (cfr. Gv 13,4-10). Svolge il lavoro di un servo, uno schiavo. Ecco quanto va si abbassa, solo per servire. Dopo la lunga e pratica catechesi di Marco in cui si insegna a un discepolo come vivere la sua vita, sentiamo Gesù dire:

 

Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti. (Mc 10,42-45)

 

La comunità cristiana deve distinguersi dai modi dei potenti e dei popoli di questa terra: il paradosso è centrale nella dinamica di gruppo. Il primo prende il posto dell'ultimo, il capo serve.

Con la sua filosofia di servizio Gesù richiama una lunga tradizione che aveva lasciato tracce profonde nell'Antico Testamento. Servire e portare i peccati di molti sono espressioni prese in prestito dal quarto Cantico del Servo Sofferente di Isaia. Questa singolare figura, chiamata "mio servo" dal Signore stesso, è caratterizzata da uno strano paradosso: è insieme forte e vulnerabile. Senza paura e senza compromessi, porta giustizia ai popoli con una missione che va ben oltre il popolo di Israele.

Al tempo stesso, ha occhio per ciò che è tenero e ferito: «non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta» (Is 42,3). Tuttavia, egli stesso «non verrà meno e non si abbatterà» (Is 42,4). Sta fermo, trionfante. Normalmente, quando permettiamo a noi stessi di essere vulnerabili, perdiamo la nostra forza e viceversa. Questo atteggiamento maturo sembra essere il frutto di una vita di molte sofferenze.

I quattro canti del Servo Sofferente (Is 42; 49; 50; 52-53) evocano, oltre a Geremia, la figura di Mosè, l'uomo di Dio, più volte chiamato anche «il servo del Signore». Negli ultimi secoli prima dell'era cristiana un folto gruppo di devoti si definivano semplicemente e con orgoglio "i servi del Signore". Lo cantavano con giubilo, lodavano il Nome e sperimentavano come il loro Signore e Dio guarda gli umili e i poveri per sollevarli dalla polvere e farli sedere tra i potentati del suo popolo (cfr. Sal 113). La sua compassione è così grande.

Nelle sue lettere Paolo si definisce non solo "apostolo" ma anche, e soprattutto, "servo" e perfino "schiavo" di Gesù Cristo. Alzando lo sguardo su Gesù, ne riconosce la grandezza perché Gesù ha accettato di «spogliarsi» e di assumere la forma di «servo» «fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2,7-8). Da quel momento in poi, Paolo non conosce altra esistenza che la vita "in Cristo". Non desidera altro che partecipare alla misericordia, alla tenerezza ed alla compassione di Cristo ed avere in sé «gli stessi sentimenti di Cristo Gesù» (cfr. Fil 2,1-5). Paolo si muove, per così dire, dentro l’umiliazione di Gesù per vivere la sua vita in una simile trasparenza.

Essere schiavo in Cristo è liberazione. Mentre la persona esteriore si dissolve costantemente, quella interiore si rinnova di giorno in giorno, nasce trasformata di gloria in gloria (cfr. 2 Cor 3,18). Il Cristo umiliato è stato innalzato in alto da Dio e chi si fa simile a Cristo e partecipa alle sue sofferenze parteciperà anche alla sua gloria.

Il Servo sembra essere una figura centrale nella concezione biblica e cristiana della comunità. Non importa quanto sia disprezzato, messo ai margini, ridicolizzato o condannato, in modo misterioso trascina tutto il corpo verso un punto di luce gloriosa. "... e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà" (Giovanni 12,26). Questo nuovo paradosso è preziosissimo. Dio onora chi si abbassa come il Servo per servirlo! Strana, incantevole reciprocità!

Quanto è diventato difficile nella nostra cultura narcisistica dedicare noi stessi al servizio! Le persone cercano riconoscimento, rispetto ed affermazione. Sono disposti a servire, ma mai del tutto gratuitamente. Ogni atto di servizio degenera rapidamente in una piccola area di monopolio. Questo servo mette un timbro su quella zona, vuole essere riconosciuto e si considera insostituibile. Di conseguenza, non può accettare l'assistenza: la fa da solo o la lascia perdere. Non si fa davvero niente insieme. A volte costui può esercitare una forma nascosta di tirannia su coloro che serve. Rende l'altro dipendente dal suo tipo di servizio. Il suo servizio lavora per schiavizzare, niente affatto per liberare.

Allo stesso tempo, quante persone vogliono ancora essere servite? Il fai da te è l'opzione preferita ed è considerato umiliante l’essere servito da un altro. Un detto dei Padri del deserto insegna: "Chi fa l'elemosina la faccia come se la ricevesse lui stesso". Chi offre un servizio deve svolgerlo come se ne fosse il beneficiario.

È un'arte servire volentieri, gratuitamente e senza cercare se stessi, pur essendo capaci di improvvisare e di agire in modo creativo, mai trascurato o sottomesso. La prospettiva deve sempre abbracciare tutta la vita. Servire la vita, questa è veramente una vita di servizio, non la propria, né quella dell'io collettivo di un particolare gruppo. "Se la Chiesa non serve, non serve a nulla", nelle parole del vescovo Jacques Gaillot (Ndr.: Jacques Gaillot (N. 1935) è un vescovo cattolico e attivista francese). Guai ai pastori che pascolano solo se stessi, diceva il profeta Ezechiele, a cui interessa solo la carne e la lana, ma lasciano perire le pecore (cfr. Ez 34,2-10).

Madre Teresa di Calcutta tratteggia perfettamente la centralità del servizio e come questo porti sicuramente alla pace: "Il frutto del Silenzio è la preghiera. Il frutto della Preghiera è la fede. Il frutto della Fede è l'amore. Il frutto dell'Amore è il servizio. Il frutto del servizio è la pace". In ogni fase il narcisismo malsano viene gettato come un indumento superfluo.

 

L'utilità di ciò che è inutile - il servizio a qualcosa di nessuna utilità

Riusciamo ancora a discernere l'utilità di qualcosa che non serve? Per i taoisti cinesi, questo è un tema ricorrente. Guarda quest'albero che è stato salvato. Eccolo lì in tutto il suo splendore. Perché quell'albero è stato salvato? Perché non serviva a nessuno scopo utile. Il suo legno era troppo nodoso per essere segato in assi uniformi per un armadio o una porta. Non era adatto come legna da ardere per la stufa. La gente non sapeva cosa farsene, quindi eccolo lì, brillantemente inutile. Ma tra i suoi rami gli uccelli costruiscono i loro nidi e sotto la sua ampia chioma il bestiame trova ombra e riparo dal sole cocente o dalla pioggia battente.

Allora che spazio diamo ancora al bambino che non può parlare da solo, all'anziano, all'uomo con disabilità intellettiva, alla donna malata di mente? In breve, può darsi che il nostro pianeta continui a seguire un percorso sano solo se osiamo dare spazio a persone e cose che apparentemente non hanno alcuno scopo utilitaristico.

 


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25 marzo 2023                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net