FAUSTO DI RIEZ
SETTIMO SERMONE: AI MONACI
(Ai monaci che vogliono tornare nel mondo)
(Tradotto da "Patrologia Latina", vol. 58 di J. P. Migne, 1848
ed in parte estratto da "Directorium Spiritus" di Antonio Rosmini
dal sito www.rosmini.it)
La parola divina ci istruisce e ci esorta sul modo in cui dobbiamo cercare
di conoscere le sue promesse ed ottenere quei beni che non possono né essere
afferrati con la vista, né essere percepiti con l'udito, né essere compresi
con l'intelletto: "Chiedete
(disse) e vi sarà dato; cercate e
troverete; bussate e vi sarà aperto" (Mt 7,7), e ciò affinché chiediamo
con la preghiera, cerchiamo con lo sforzo, bussiamo con la perseveranza, con
il desiderio e con l’emulazione. Siamo sospinti da tanta brama per le realtà
celesti e siamo infiammati da un così grande zelo che l’ampiezza dei nostri
desideri si accordi con la nobiltà dei premi. Il nostro Dio, infatti, non
vuole che i suoi beni siano svalutati permettendo a noi di raggiungerli con
troppa facilità.
Una preziosa e desiderabile merce richiede un desideroso amatore ed un
ingordo negoziatore. Per questo motivo colui che ci promette tanti doni non
vuole un uomo tiepido nel suo impegno, disdegna l'arrogante, ricusa chi non
è spontaneo e chi è ingrato e respinge l'irrispettoso. Chiedere la grazia
del dono divino in modo indolente e poco grato è una grandissima offesa al
Remuneratore. Perciò impegniamoci fortemente sia con l'anima che con il
corpo, così pure esercitiamo l'obbedienza con tutte le forze; tuttavia nulla
ci fa essere in grado per nostro merito di essere degni di ricambiare e di
offrire qualcosa come ricompensa per i beni celesti. Le discipline della
vita temporale non valgono quanto le gioie della vita eterna.
Benché le membra si stanchino a causa delle veglie ed impallidiscano
per i digiuni, tuttavia "le
sofferenze del tempo presente non saranno paragonabili alla gloria futura
che sarà rivelata in noi" (Rm 8,18).
Bussiamo dunque quanto possiamo, poiché non possiamo quanto dobbiamo. La
futura beatitudine è possibile ottenerla, ma non la si può apprezzare
adeguatamente: infatti se non pratichiamo i comandamenti divini con
desiderio insaziabile, con buona volontà e con gioia, ci accorgeremo di
cadere in rovina davanti a Dio. Carissimi, possiamo forse pensare che
quell’anima cerchi adeguatamente e che bussi affinché le sia aperto, se ad
un comando facile impartito da chi è superiore presume di rispondere
dicendo: sono forse il vostro servo? Ho già fatto la mia parte, adesso egli
faccia la sua.
In che modo dice ciò, a chi è indirizzato questo precetto: "Non
cercate le cose che sono già vostre" (Lc 12,29: Volg.).
E di nuovo: "Ciascuno non
cerchi l’interesse proprio" (Fil 2,4). Chi si comporta così non chiede
ciò per conseguire la propria mercede, ma per usurpare, impadronirsi e
rubare le cose altrui. Riteniamo che egli chieda per ricevere, che cerchi
per trovare, che bussi perché gli sia aperto allorquando, redarguito per
qualche mancanza e punito per mantenere la disciplina, non si emenda e non
ripara il torto, ma piuttosto insolentisce tanto da dire: "lascio tutto e me
ne vado: io non riesco a tollerare ciò: sono un uomo libero!" Per prima
cosa, colui che si vanta di essere libero davanti al Preposito ed all’Abate,
ritengo che non sappia di essere stato anche redento.
Chi, vincolato alla milizia cristiana, ha l’audacia di dirsi libero, è
prossimo a misconoscere di essere stato riscattato dal sangue di Cristo. Che
cos’è questo se non l’arroganza di dire ad alta voce allo stesso Signore:
“Io sono un uomo libero; non ti debbo nulla”? Di tali individui diceva
l’apostolo: “Quando infatti eravate
servi della disubbidienza, eravate liberi nei riguardi della giustizia”
(Rm 6,20). Non si può ritenere effettivamente libero colui che la misera ed
infelice schiavitù dei vizi tiene oppresso.
Dichiara poi, disprezzando la disciplina, con l’anima colpevole: “Preferisco
lasciare tutto piuttosto che correggermi, piuttosto che espiare, piuttosto
che eseguire ciò che Dio ordina”. Che cos’altro è questa così sfacciata e
tanto pericolosa arroganza, se non il rifiuto di Cristo, lo scuotere il
collo dal giogo e darsi così al diavolo? Questi individui non sanno di che
cosa hanno fatto voto: hanno dimenticato lo scopo per cui sono entrati nel
Monastero. Costoro non aspirano al bene ma sono pericolosamente assaliti dai
vizi. Non bussano con fede, ma sono respinti dall’infedeltà.
A cosa serve il fatto che te ne vai, che sei stretto da ogni parte dai
vincoli delle passioni? Come ti circondano di qua e di là i tuoi vizi?
Qualcuno se ne andrebbe degnamente se potesse andare dove il diavolo non
sarebbe in grado di trovarlo. Nessuno si tragga in errore, nessuno fugga
l'avversario da luogo a luogo, ma dal vizio vada alla virtù, dalla passione
all'emendamento. Se sfuggi da lui, lo segui: emendati e fuggi da te stesso,
come dice l'Apostolo: "Resistete al
diavolo, ed egli fuggirà lontano da voi" (Gc 4,7). Anche il non obbedire
ed il volersene andare significano fare due volte la volontà del diavolo,
ciò che significa causare a se stessi volontariamente (fin dal tempo
presente) la dannazione del peccato.
Nei confronti di coloro che stando presso di noi commettono colpe alquanto
gravi non siamo in grado di trovare una sanzione più grave e dolorosa
dell’allontanamento dalla congregazione, senza possibilità di
riconciliazione. Non sarebbe forse una pazzia il prendere un provvedimento
di questo genere da parte del Superiore, se non si trattasse di una colpa
assai grave? Sforziamoci di comprendere che questi comportamenti indegni e
contraddittori provengono soprattutto da atteggiamenti di protervia e
arroganza, con il suggerimento e la collaborazione del principe del male.
Il nemico che non riesce assolutamente a scacciare alcuno dal luogo della
salvezza, innanzitutto immette occasioni e cause (di perdizione): immette la
passione della disobbedienza che è sempre accompagnata dell'infedeltà; la
disobbedienza, mentre irretisce la mente e la imprigiona, automaticamente
rende insopportabili ed impossibili anche quelle cose che sono di poco
conto. E certamente non c'è dubbio che agli uomini disobbedienti vengono a
mancare le forze per volere del cielo; così succede a colui che non ha una
necessaria devozione alla fede e ciò che aveva "gli
sarà tolto" (Mt 13,12); la disobbedienza indurisce così tanto l'animo
che ha catturato in modo tale che questo non si sottomette per ricevere
insegnamenti né con l'autorità né con la ragione. Invece, ciò che è peggio,
crede solo in se stesso e segue le sue intenzioni in ogni modo, pensando che
il solo precetto sia quello che concepisce con cuore chiuso, con un esito
simile a quello di cui parla la parola divina: "La
via del malvagio è retta ai propri occhi" (Pr 12,15). E di nuovo: "C’è
una via che sembra diritta per l’uomo, ma alla fine conduce su sentieri di
morte" (Pr 16,25). Alla fine in questo modo succede alle anime ciò che è
successo alla casa edificata sulla sabbia: certamente questa parabola si
riferisce proprio ai disobbedienti. Infatti, leggiamo così: "Chiunque
ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo
stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia" (Mt 8,26). E cioè:
quando irromperanno gli stillicidi delle passioni, quando arriveranno i
fiumi, i torrenti e l'impeto delle tribolazioni nella moltitudine dei
negligenti; quando soffieranno i venti, soprattutto quelli che svolazzano in
quest'aria, saranno pronti ad istigare l'arca di Cristo se da qualche parte
troveranno delle paglie che porteranno via e disperderanno per il loro
ludibrio; allora irromperanno in quella casa che hanno trovato senza le
fondamenta dell'obbedienza e la faranno andare grandemente in rovina. Ma
forse qualcuno dice: Forse che andarsene subito da questo luogo si deve
chiamare rovina? Vi dico, carissimi, non c'è molta speranza se una nave si
trova tra i flutti; quantunque la stessa non perisca, tuttavia subirà una
grande perdita di valore e di merci trasportate. Così non c'è grande gioia
se qualcuno dei fratelli, tornando al secolo, sia visto custodire il nome e
l'abito della sua professione; certamente l'anima di costui si dissolve e va
alla deriva.
Cosa potrebbe esserci di più triste di vederti all'improvviso, come un
albero che viene strappato da una raffica di vento, lasciare questa terra
dove il tuo Signore ti aveva chiamato e dove, dopo le avversità del secolo,
ti aveva portato come in un porto dopo la tempesta! Cosa c'è di più triste
che vederti improvvisamente dimenticare la congregazione dei tuoi fratelli e
le sue dolci consolazioni; vederti dimenticare il luogo in cui, per la prima
volta, spogliandoti del nome che avevi nel secolo, ti sei vestito dell'abito
così caro della tua nuova vita! Gli uccelli adorano i loro nidi; le bestie
selvagge adorano i luoghi in cui sono state nutrite, amano le loro tane ed i
loro pascoli; nonostante l'istinto di libertà che li conduce in vari luoghi,
sentono una certa attrazione che molto spesso li riporta ai luoghi che sono
a loro cari. E tu, dotato di intelligenza, dotato di ragione, a volte arrivi
a questo punto di follia, che preferisci ai benefici di Dio le tue
intenzioni e la tua volontà, seguendo i suggerimenti del demonio! Costui ti
trascina verso dure fatiche, al naufragio della tua salvezza, alla perdita
della tua anima: l'eccessiva indegnità del tuo cuore ti impedisce di sentire
tutto ciò. Anzi, al momento della partenza, il nemico ti fa molte promesse:
dove andrai troverai maggiori vantaggi, molte grazie e abbondanza di tutto:
e sarai ricevuto come un angelo. Ma poi! Quando, pieno di ansia e privato
della pace, abbandonerai lo zelo del tuo progresso spirituale ed il sacro
ovile, allora ti accorgerai, quando l'agitazione del primo momento si sarà
placata, quale male hai commesso: riconsidera allora a quali pericoli sarai
esposto quando te ne andrai, senza quiete e con scandalo, da questo luogo in
cui sei venuto con gioia; poi i tuoi tardivi rimpianti faranno cadere le
lacrime di pentimento sulle rovine della tua anima.
Come si dice che certi uccelli (predatori) per il dolore piangono su quelli
che hanno ucciso, così dal male della disobbedienza derivano tutti questi
mali dell'anima. Anche gli obbedienti e gli umili di cuore sbaragliano molte
tribolazioni e tutti gli affanni e li trasformano in profitto. Bisogna
sapere, infatti, che per quanto saremo umili ed obbedienti verso i nostri
superiori ed i nostri padri, altrettanto il Signore obbedirà alla nostre
preghiere. Consideriamo quanto non siano accolte dal Signore sia le opere
che i digiuni di coloro che seguono le proprie volontà piuttosto che quelle
degli anziani. Costoro gridano: "Perché
digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai? - ed egli
risponde - Ecco, nel giorno del
vostro digiuno curate i vostri affari" (Is 58,3). Vediamo inoltre che a
causa della disobbedienza degli animi le opere non sono considerate, i
digiuni non sono compresi, ed i voti non sono formulati. Perciò noi dobbiamo
seguire più ampiamente i suoi comandi, affinché discenda a noi dal cielo,
non solo per redimerci col prezzo della sua morte, ma anche per edificarci
con l'esempio della vita. Diciamo con lui: "Sono
disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di quel Padre
che mi ha mandato" (Gv 6,38). Il seguire la propria volontà è talmente
pericoloso che Dio nel suo sdegno infligge la sua condanna, volendo punire
questo peccato, dicendo: "L’ho
abbandonato alla durezza del suo cuore" (Sal 81(80),13).
Per cui, chi vuole che le sue opere siano rette al cospetto di Dio, non
anteponga nulla all'obbedienza, né ai precetti; che sia giovane o che sia
anziano, tanto più deve aspirare all'edificazione ed alla perfezione. Non
ponga nessun termine alla crescita (spirituale), non limiti il proprio
desiderio di perfezione ed ascolti ciò che gli viene detto: "Prima
del giudizio esamina te stesso" (Sir 18,20); ed ancora: "Non
aspettare fino alla morte per sdebitarti" (Sir 18,22).
Di nuovo: "La sapienza è
celebrata a conclusione della vita" (Salviano di Marsiglia, Contro
l'avarizia, Libro IV; Cfr. Pr 1,20)).
«Quanto più dunque progrediamo, tanto più ci umiliamo, perché quanto più
saremo umili, tanto più progrediremo. Ora, nessun anziano creda di essere
così dotto da pensare che non gli si addica l’obbedienza, dal momento che
anche Gesù l'osservò (Cfr. Mt 26,39). Infatti l’umiltà e l’obbedienza sono
ancora una necessità nei giovani, mentre negli anziani costituiscono un
ornamento. Fa buoni progressi chi compie bene ciascuna azione e chi agisce
giorno per giorno come se fosse sempre agli inizi. Per questo la Scrittura
afferma che l’aumento dei meriti è un incitamento a progredire. Circa poi
coloro che, mentre trascurano le prime negligenze, sempre più incorrono in
altre, così sta scritto: “Il
peccatore aggiunge peccato a peccato” (Sir 3,29). Quanto al progredire,
poi, si dice: “Il santo si santifichi
ancora” (Ap 22,11). Abbiamo visto che per primo è stato detto: "Il
peccatore aggiunge peccato a peccato".
Per esempio, se una qualunque passione, come l'invidia, inizia ad assalirmi,
se non inizia subito dentro di me il pentimento di questo vizio, in futuro
verrà dentro di me tanta compiacenza e tanta piacevolezza nei confronti di
questo vizio (come ho già detto), che non riuscirò più ad allontanarlo da me
ed a reprimerlo. Succede così che chi non vuole in un primo tempo emendarsi,
in seguito si troverà a non volere ed a non potere. Per esempio, ho iniziato
ad acconsentire alla superbia, ho violato la regola, ho offeso un anziano,
ho denigrato un giovane: se non me ne sono subito pentito, per quanto sia
stato fortemente avvertito, di giorno in giorno questa stessa violenza
dell'abitudine e l'impeto della passione mi conquistano con molto piacere,
così che ormai non capisco di sbagliare e neppure mi accorgo di peccare.
Infatti la frequenza nel peccare mi annebbia la vista e mi impedisce di
comprendere il male commesso. Infatti, l’animo di chi è trascurato diventa
talmente insensibile che per ciò stesso se non si umilia, se non
accondiscende al volere del suo Superiore, non crede di fare del male, anzi
insulta e dice: con quanta fermezza di decisione gli ho resistito! come ho
fatto bene a non cedere! con quale grinta gli ho risposto! credeva che io
dovessi sempre umiliarmi davanti a lui!
Chi si comporta in questo modo è chiaro che si è già consegnato come
prigioniero nelle mani del diavolo, il quale si rallegra dei vizi degli
uomini, delle loro passioni e della loro rovina. Ad un’anima tale si
adatterà bene quella sentenza che dice: “Il
peccatore aggiunge peccato a peccato” (Sir 3,24). Evitando questa
sentenza, cerchiamo piuttosto di fare nostra quella che dice: “Il
santo si santifichi ancora” (Ap 22,11): e ogni giorno cerchiamo di
aumentare i nostri meriti e non contiamo mai solo su noi stessi, perché
tutto quello che siamo in grado di fare è un dono di Dio.
Siamo pertanto assidui nell’operare per amore di Dio in vista dell’eterna
ricompensa ed ogni giorno sforziamoci di diventare migliori. Infatti lo
stesso desiderio di apprendere e la stessa abitudine nel tendere alla
perfezione ci stimolino sempre verso mete più elevate e, quando Dio vedrà la
devozione del nostro animo, sempre più ardente renderà il nostro sentimento;
e quanto più ci applicheremo con scrupolosità, tanto più egli aumenterà la
nostra gloria. “A chi ha sarà dato e
sarà nell’abbondanza” (Mt 13,12). E in altro luogo dice il Signore: “Ho
portato aiuto a un prode” (Sal 89(88),20). Da grazia pertanto scaturisce
grazia ed il progresso dai progressi. I vantaggi servono ai vantaggi ed i
meriti procurano altri meriti; di modo che quanto più qualcuno avrà
cominciato a guadagnare, tanto più si sforzerà di guadagnare; e quanto più
avidamente avrà attinto ai doni della sapienza, tanto più bramerà di
attingervi, come di se stessa parla la sapienza: “Quanti
si nutrono di me avranno ancora fame” (Sir 24,29).
Fratelli, affrettiamo il nostro passo, affinché la nostra vita alla fine sia
più completa. Cerchiamo sino alla fine, affinché possiamo meritare di godere
senza fine. Ma sia pure che non possiamo eseguire lavori corporali,
dedichiamoci al desiderio dei beni spirituali, al rafforzamento della
mortificazione e della carità. Se ogni giorno nei nostri cuori ci incitiamo
ad elevarci, le nostre anime non possono indebolirsi né per una malattia, né
per l'età. Meriteremo così di ascendere, proprio grazie ai gradini
spirituali, alle promesse del Signore Nostro Gesù Cristo, a cui va l'onore,
la virtù e la gloria, la potenza e lo splendore, la magnificenza e
l'autorità, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen.
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6 aprile 2020 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net