Faustus Rhegiensis

SERMO SEPTIMUS. Ad monachos.

FAUSTO DI RIEZ

SETTIMO SERMONE. AI MONACI

"Patrologia Latina", vol. 58 di J. P. Migne, 1848

(Tradotto da "Patrologia Latina" ed in parte estratto da "Directorium Spiritus" di Antonio Rosmini dal sito www.rosmini.it)

Instruit nos atque hortatur sermo divinus, qualiter nos accingere debeamus ad inquirenda promissa sua, et obtinenda illa bona quae nec visu capi, nec auditu percipi, nec cogitatu comprehendi possunt. Petite (inquit), et dabitur vobis; quaerite, et invenietis; pulsate, et aperietur vobis: id est, ut petamus orando, quaeramus laborando, pulsemus perseverando; et in spem coelestium tanto incitemur studio, tanto inardescamus affectu; ut cum praemiorum dignitate, desideriorum magnitudo concordet. Non vult enim Deus noster bona sua nimia inveniendi facilitate vilescere.

 Pretiosa et concupiscibilis merx cupidum amatorem, atque avidum negotiatorem requirit. Ergo ille tantorum munerum repromissor non vult in opere suo tepidum, despicit fastidiosum, recusat coactum et ingratum, respuit indevotum. Lentum enim et parum gratum quaerere gratiam divini muneris maxima est injuria Remuneratoris. Ergo totis licet animae et corporis laboribus desudemus, totis licet obedientiae viribus exerceamur; nihil tamen condignum quod merito pro coelestibus bonis pensare et offerre valeamus. Non valent vitae temporalis obsequia aeternae vitae gaudia. Lassescant licet membra vigiliis, pallescant ora jejuniis; non erunt tamen condignae passiones hujus temporis ad futuram gloriam quae revelabitur in nobis.

Pulsemus ergo in quantum possumus, quia non possumus in quantum debemus. Futura beatitudo acquiri potest, aestimari non potest. Nisi enim cum aviditate, nisi cum bona voluntate et cum laetitia Dei opera egerimus, Deo nos perire noverimus. Putamus (carissimi) quod digne quaerat illa anima, et ita pulset ut ei aperiatur; quae ad leve praeceptum senioris respondere praesumit et dicere: Nunquid servi vestri sumus? Jam feci vicem meam: et ille faciat suam.

La parola divina ci istruisce e ci esorta sul modo in cui dobbiamo cercare di conoscere le sue promesse ed ottenere quei beni che non possono né essere afferrati con la vista, né essere percepiti con l'udito, né essere compresi con l'intelletto: "Chiedete (disse) e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto" (Mt 7,7), e ciò affinché chiediamo con la preghiera, cerchiamo con lo sforzo, bussiamo con la perseveranza, con il desiderio e con l’emulazione. Siamo sospinti da tanta brama per le realtà celesti e siamo infiammati da un così grande zelo che l’ampiezza dei nostri desideri si accordi con la nobiltà dei premi. Il nostro Dio, infatti, non vuole che i suoi beni siano svalutati permettendo a noi di raggiungerli con troppa facilità.

Una preziosa e desiderabile merce richiede un desideroso amatore ed un ingordo negoziatore. Per questo motivo colui che ci promette tanti doni non vuole un uomo tiepido nel suo impegno, disdegna l'arrogante, ricusa chi non è spontaneo e chi è ingrato e respinge l'irrispettoso. Chiedere la grazia del dono divino in modo indolente e poco grato è una grandissima offesa al Remuneratore. Perciò impegniamoci fortemente sia con l'anima che con il corpo, così pure esercitiamo l'obbedienza con tutte le forze; tuttavia nulla ci fa essere in grado per nostro merito di essere degni di ricambiare e di offrire qualcosa come ricompensa per i beni celesti. Le discipline della vita temporale non valgono quanto le gioie della vita eterna.  Benché le membra si stanchino a causa delle veglie ed impallidiscano per i digiuni, tuttavia "le sofferenze del tempo presente non saranno paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi" (Rm 8,18).

Bussiamo dunque quanto possiamo, poiché non possiamo quanto dobbiamo. La futura beatitudine è possibile ottenerla, ma non la si può apprezzare adeguatamente: infatti se non pratichiamo i comandamenti divini con desiderio insaziabile, con buona volontà e con gioia, ci accorgeremo di cadere in rovina davanti a Dio. Carissimi, possiamo forse pensare che quell’anima cerchi adeguatamente e che bussi affinché le sia aperto, se ad un comando facile impartito da chi è superiore presume di rispondere dicendo: sono forse il vostro servo? Ho già fatto la mia parte, adesso egli faccia la sua.

 

Quomodo hoc dicit, cui praeceptum est: Nolite quaerere quae vestra sunt? Et iterum: Non quae sua sunt singuli desiderantes; a quo non hoc expetitur ut mercedem suam impleat, sed ut alienas invadat, praeoccupet, rapiat?  Putamus quod ita petat ut accipiat, ita quaerat ut inveniat, ita pulset ut ei aperiatur, qui pro aliqua negligentia correptus, et pro disciplinae ordine castigatus, non se ad emendationem, non ad satisfactionem confert, sed magis ad illam proterviam, ut dicat, desero atque discedo, hoc ego ferre non patior, ingenuus homo sum! Jam primum qui ante praepositum vel abbatem, ingenuum se esse jactat, puto quod adhuc emptum esse se nesciat.

Qui Christianae militiae mancipatus praesumit dicere se ingenuum, pene est ut se neget Christi sanguine comparatum. Quid est hoc aliud quam ipsi Domino clamare: Liber sum, nihil tibi debeo? De talibus dicebat Apostolus: Cum enim servi essetis inobedientiae, liberi fuistis justitiae (Rom. VII). Non bene ingenuus appellatur qui misera vitiorum servitute deprimitur.

Clamat autem in contumelia disciplinae, in peccato animae suae: Malo discedere quam emendari, quam satisfacere, quam implere quod praecipis. Quid est hoc aliud quam jugum Christi rebelli cervice discutere? Isti tales nesciunt quid voverunt, obliti sunt propter quid huc venerunt. Isti tales non bene petunt, si male vitiis appetuntur, non fide pulsant, sed infidelitate pulsantur.

Quid prodest quod discedis, qui undique astrictus es vinculis passionum? quem hinc atque inde circumvallant vitia sua (altri manoscritti hanno "tua")? Digne aliquis discederet, si illo ire posset, ubi illum diabolus invenire non posset. Nemo se fallat, non fugiat adversarium de loco ad locum, sed de vitio ad virtutem, de passione ad emendationem. Si eum fugiat, sequitur: emenda te, et fugiet a te, sicut ait apostolus: Resistite diabolo, et fugiet a vobis (Jac. IV, 6). Non obedire autem et velle discedere, hoc est dupliciter facere diaboli voluntatem, hoc est voluntarie sibi ipsi (etiam in praesenti) damnationem inferre peccati.

In che modo dice ciò, a chi è indirizzato questo precetto: "Non cercate le cose che sono già vostre" (Lc 12,29: Volg.).  E di nuovo: "Ciascuno non cerchi l’interesse proprio" (Fil 2,4). Chi si comporta così non chiede ciò per conseguire la propria mercede, ma per usurpare, impadronirsi e rubare le cose altrui. Riteniamo che egli chieda per ricevere, che cerchi per trovare, che bussi perché gli sia aperto allorquando, redarguito per qualche mancanza e punito per mantenere la disciplina, non si emenda e non ripara il torto, ma piuttosto insolentisce tanto da dire: "lascio tutto e me ne vado: io non riesco a tollerare ciò: sono un uomo libero!" Per prima cosa, colui che si vanta di essere libero davanti al Preposito ed all’Abate, ritengo che non sappia di essere stato anche redento.

Chi, vincolato alla milizia cristiana, ha l’audacia di dirsi libero, è prossimo a misconoscere di essere stato riscattato dal sangue di Cristo. Che cos’è questo se non l’arroganza di dire ad alta voce allo stesso Signore: “Io sono un uomo libero; non ti debbo nulla”? Di tali individui diceva l’apostolo: “Quando infatti eravate servi della disubbidienza, eravate liberi nei riguardi della giustizia” (Rm 6,20). Non si può ritenere effettivamente libero colui che la misera ed infelice schiavitù dei vizi tiene oppresso.

Dichiara poi, disprezzando la disciplina, con l’anima colpevole: “Preferisco lasciare tutto piuttosto che correggermi, piuttosto che espiare, piuttosto che eseguire ciò che Dio ordina”. Che cos’altro è questa così sfacciata e tanto pericolosa arroganza, se non il rifiuto di Cristo, lo scuotere il collo dal giogo e darsi così al diavolo? Questi individui non sanno di che cosa hanno fatto voto: hanno dimenticato lo scopo per cui sono entrati nel Monastero. Costoro non aspirano al bene ma sono pericolosamente assaliti dai vizi. Non bussano con fede, ma sono respinti dall’infedeltà.

A cosa serve il fatto che te ne vai, che sei stretto da ogni parte dai vincoli delle passioni? Come ti circondano di qua e di là i tuoi vizi? Qualcuno se ne andrebbe degnamente se potesse andare dove il diavolo non sarebbe in grado di trovarlo. Nessuno si tragga in errore, nessuno fugga l'avversario da luogo a luogo, ma dal vizio vada alla virtù, dalla passione all'emendamento. Se sfuggi da lui, lo segui: emendati e fuggi da te stesso, come dice l'Apostolo: "Resistete al diavolo, ed egli fuggirà lontano da voi" (Gc 4,7). Anche il non obbedire ed il volersene andare significano fare due volte la volontà del diavolo, ciò che significa causare a se stessi volontariamente (fin dal tempo presente) la dannazione del peccato.

 

Illis ipsis qui graviter apud nos delinquunt, nullam tristiorem, nullam acerbiorem possumus invenire sententiam, quam ut a corpore congregationis abscisci sine pace discedat: Et nunquid non amentiae genus est, ut hoc quisquam pro remedio expetat, quod etiam a praeposito nisi pro summo crimine non possit inferri? Intelligamus ergo istas indignitates et contradictiones, inimico cooperante et disponente, provenire.

Ille enim qui non potest aliquem absolute de loco salutis excutere, immittit primum occasiones et causas; immittit inobedientiae passionem, quam semper infidelitas comitatur; quae dum captivam illa queaverit (altri manoscritti hanno "illaqueaverit") mentem, statim intoleranda atque impossibilia facit etiam illa quae parva sunt. Et sane dubium non est quod vires inobedientibus divinitus subtrahuntur; et sicut ille qui non habet necessariam fidei devotionem, et quod habebat, auferetur ab eo (Matth. XIII,12); ita et inobedientia obdurat animum quem semel ceperit, ut ad suscipienda praecepta, nec auctoritate, nec ratione, flectatur, sed quod pessimum est, sibi soli credat, et pro omni ratione intentiones suas sequatur, et hoc solum praeceptum putet, quod obturato corde concepit, similis ei effectus se (altri manoscritti riportano "de" al posto di "se") quo divinus sermo pronuntiat: Itinera insipientium recta in conspectu eorum (Prov. XII). Et iterum: Sunt viae quae videntur rectae hominibus; novissima autem eorum venient in profundum inferi (Prov. XVI). Postremo veniet hujusmodi animabus, quod domui quae super arenam aedificata est: haec enim parabola maxime ad inobedientes respicit. Sic enim legimus: Omnis qui audit verba mea haec, et non facit ea, similabitur viro stulto qui aedificavit domum suam super arenam, etc. (Matth. VIII).

Id est, cum influxerint stillicidia passionum, cum advenerint flumina et torrentes atque impetus tribulationum, ex multitudine negligentiarum; cum flaverint venti, illi utique qui per istum aerem volitant, parati ad Christi arcam ventilandam sicubi inveniant paleas quas ad ludibrium suum rapiant atque dispergant; tunc irruent in domum illam quae sine obedientiae fundamento inventa est, et fiet ruina illius magna. Sed forsitan dicat aliquis: Nunquid statim de hoc loco discedere, ruina dicenda est? Dico (carissimi) non grandis spes est, si navis in fluctibus constituta (licet ipsa non pereat), tamen jacturam maximam de honore ac mercibus suis faciat, et ad portum vacua perveniat. Sic non grande gaudium est, si aliquis ad saeculi fluctus revertens, nomen atque habitum professionis suae custodire videatur; anima vero ejus negligentiis tabescat ac defluat.

Nei confronti di coloro che stando presso di noi commettono colpe alquanto gravi non siamo in grado di trovare una sanzione più grave e dolorosa dell’allontanamento dalla congregazione, senza possibilità di riconciliazione. Non sarebbe forse una pazzia il prendere un provvedimento di questo genere da parte del Superiore, se non si trattasse di una colpa assai grave? Sforziamoci di comprendere che questi comportamenti indegni e contraddittori provengono soprattutto da atteggiamenti di protervia e arroganza, con il suggerimento e la collaborazione del principe del male.

Il nemico che non riesce assolutamente a scacciare alcuno dal luogo della salvezza, innanzitutto immette occasioni e cause (di perdizione): immette la passione della disobbedienza che è sempre accompagnata dell'infedeltà; la disobbedienza, mentre irretisce la mente e la imprigiona, automaticamente rende insopportabili ed impossibili anche quelle cose che sono di poco conto. E certamente non c'è dubbio che agli uomini disobbedienti vengono a mancare le forze per volere del cielo; così succede a colui che non ha una necessaria devozione alla fede e ciò che aveva "gli sarà tolto" (Mt 13,12); la disobbedienza indurisce così tanto l'animo che ha catturato in modo tale che questo non si sottomette per ricevere insegnamenti né con l'autorità né con la ragione. Invece, ciò che è peggio, crede solo in se stesso e segue le sue intenzioni in ogni modo, pensando che il solo precetto sia quello che concepisce con cuore chiuso, con un esito simile a quello di cui parla la parola divina: "La via del malvagio è retta ai propri occhi" (Pr 12,15). E di nuovo: "C’è una via che sembra diritta per l’uomo, ma alla fine conduce su sentieri di morte" (Pr 16,25). Alla fine in questo modo succede alle anime ciò che è successo alla casa edificata sulla sabbia: certamente questa parabola si riferisce proprio ai disobbedienti. Infatti, leggiamo così: "Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia" (Mt 8,26).

E cioè: quando irromperanno gli stillicidi delle passioni, quando arriveranno i fiumi, i torrenti e l'impeto delle tribolazioni nella moltitudine dei negligenti; quando soffieranno i venti, soprattutto quelli che svolazzano in quest'aria, saranno pronti ad istigare l'arca di Cristo se da qualche parte troveranno delle paglie che porteranno via e disperderanno per il loro ludibrio; allora irromperanno in quella casa che hanno trovato senza le fondamenta dell'obbedienza e la faranno andare grandemente in rovina. Ma forse qualcuno dice: Forse che andarsene subito da questo luogo si deve chiamare rovina? Vi dico, carissimi, non c'è molta speranza se una nave si trova tra i flutti; quantunque la stessa non perisca, tuttavia subirà una grande perdita di valore e di merci trasportate. Così non c'è grande gioia se qualcuno dei fratelli, tornando al secolo, sia visto custodire il nome e l'abito della sua professione; certamente l'anima di costui si dissolve e va alla deriva.

Et quid gravius quando subito tanquam aliquis repentinus eradicarius de loco ad quem te Dominus tuus vocaverat, in quo te primum post mala saeculi quasi in portum de tempestate induxerat, oblivisci subito fraternae societatis et consolationis; oblivisci loci illius in quo primum dulcissimum immutationis habitum et nomen saecularis exueris? Aves ipsae diligunt nidos suos; amant ferae loca in quibus nutritae sunt, amant cubilia et pascua sua; quamlibet naturali libertate variis partibus rapiantur, saepius tamen ad cara sibi loca quodam desiderio revertuntur; et tu intellectu praeditus, ratione munitus, ita interdum sensu alienus effeceris, ut praeferas Dei beneficiis voluntates vel intentiones tuas, et diaboli insinuationes sequaris! Quae quamlibet ad duros labores, quamlibet ad salutis naufragia atque animae detrimenta te rapiant, totum hoc prae nimia cordis indignitate non sentis! Tempore enim discessionis, multa promittit inimicus, te illic quo tendis, majorem profectum, multam gratiam atque omnium rerum abundantiam reperturum, ac te tanquam angelum suscipiendum. Et post haec; quando anxietate repletus et pace nudatus, profectus tui studium et sacrum ovile reliqueris, tunc animadvertis (quasi sedata temporis tempestate) inde quid de te male egeris; tunc recognoscis quid periculi incurreris cum de loco ad quem cum gaudio veneras sine pace, cum scandalo discessisti, tunc sera poenitentia super ruinas suas poenitet ac deflet,

sicut quaedam aves quae prae dolore super eos quos occiderint flere dicuntur, et haec omnia animae detrimenta ex inobedientiae malo eveniunt. Obedientes autem et humiles animae, multas tribulationes atque omnes labores prosternunt, atque in compendium mittunt. Sciendum est enim quod quanto humiliores et obedientiores fuerimus praepositis et patribus nostris, in tantum obediet Dominus orationibus nostris. Videamus quam acceptabilia sunt Domino vel opera, vel jejunia eorum qui suis potius quam seniorum voluntatibus obsequuntur. Clamant illi: Quia jejunavimus, et non aspexisti; humiliavimus animas nostras, et nescisti; et ille respondet: Ideo quia in diebus jejunii vestri invenitur voluntas vestra. Videmus ergo per inobedientiam animorum opera non respici, jejunia non audiri, vota non suscipi. Unde nos amplius illius mandata sectemur, quia ad nos e coelo descendit, non solum ut nos redimeret mortis pretio, sed etiam ut vitae aedificaret exemplo; et cum illo dicamus: Ego non veni facere voluntatem meam, sed voluntatem illius qui misit me Patris.

 Ire autem post voluntates proprias tam perniciosum est, ut hoc Deus jam postmodum iratus, pro damnatione peccati, inobedientibus irroget dicens: Et dimisi illos secundum desideria cordis eorum.

Quamobrem qui vult opera sua esse recta in conspectu Dei, nihil obedientiae, nihil praeceptis praeponat; sive ille junior, sive senior est, tanto plus debet studere aedificationi et perfectioni. Nullum sibi finem faciat proficiendi, nullum terminum constituat acquirendi, cum sibi dici audiat: Para in exitu opera tua; Et iterum: Non verearis usque ad mortem justificari. Et iterum: Sapientia in exitu canitur.

Cosa potrebbe esserci di più triste di vederti all'improvviso, come un albero che viene strappato da una raffica di vento, lasciare questa terra dove il tuo Signore ti aveva chiamato e dove, dopo le avversità del secolo, ti aveva portato come in un porto dopo la tempesta! Cosa c'è di più triste che vederti improvvisamente dimenticare la congregazione dei tuoi fratelli e le sue dolci consolazioni; vederti dimenticare il luogo in cui, per la prima volta, spogliandoti del nome che avevi nel secolo, ti sei vestito dell'abito così caro della tua nuova vita! Gli uccelli adorano i loro nidi; le bestie selvagge adorano i luoghi in cui sono state nutrite, amano le loro tane ed i loro pascoli; nonostante l'istinto di libertà che li conduce in vari luoghi, sentono una certa attrazione che molto spesso li riporta ai luoghi che sono a loro cari. E tu, dotato di intelligenza, dotato di ragione, a volte arrivi a questo punto di follia, che preferisci ai benefici di Dio le tue intenzioni e la tua volontà, seguendo i suggerimenti del demonio! Costui ti trascina verso dure fatiche, al naufragio della tua salvezza, alla perdita della tua anima: l'eccessiva indegnità del tuo cuore ti impedisce di sentire tutto ciò. Anzi, al momento della partenza, il nemico ti fa molte promesse: dove andrai troverai maggiori vantaggi, molte grazie e abbondanza di tutto: e sarai ricevuto come un angelo. Ma poi! Quando, pieno di ansia e privato della pace, abbandonerai lo zelo del tuo progresso spirituale ed il sacro ovile, allora ti accorgerai, quando l'agitazione del primo momento si sarà placata, quale male hai commesso: riconsidera allora a quali pericoli sarai esposto quando te ne andrai, senza quiete e con scandalo, da questo luogo in cui sei venuto con gioia; poi i tuoi tardivi rimpianti faranno cadere le lacrime di pentimento sulle rovine della tua anima.

Come si dice che certi uccelli (predatori) per il dolore piangono su quelli che hanno ucciso, così dal male della disobbedienza derivano tutti questi mali dell'anima. Anche gli obbedienti e gli umili di cuore sbaragliano molte tribolazioni e tutti gli affanni e li trasformano in profitto. Bisogna sapere, infatti, che per quanto saremo umili ed obbedienti verso i nostri superiori ed i nostri padri, altrettanto il Signore obbedirà alla nostre preghiere. Consideriamo quanto non siano accolte dal Signore sia le opere che i digiuni di coloro che seguono le proprie volontà piuttosto che quelle degli anziani. Costoro gridano: "Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai? - ed egli risponde - Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari" (Is 58,3). Vediamo inoltre che a causa della disobbedienza degli animi le opere non sono considerate, i digiuni non sono compresi, ed i voti non sono formulati. Perciò noi dobbiamo seguire più ampiamente i suoi comandi, affinché discenda a noi dal cielo, non solo per redimerci col prezzo della sua morte, ma anche per edificarci con l'esempio della vita. Diciamo con lui: "Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di quel Padre che mi ha mandato" (Gv 6,38).

Il seguire la propria volontà è talmente pericoloso che Dio nel suo sdegno infligge la sua condanna, volendo punire questo peccato, dicendo: "L’ho abbandonato alla durezza del suo cuore" (Sal 81(80),13).

Per cui, chi vuole che le sue opere siano rette al cospetto di Dio, non anteponga nulla all'obbedienza, né ai precetti; che sia giovane o che sia anziano, tanto più deve aspirare all'edificazione ed alla perfezione. Non ponga nessun termine alla crescita (spirituale), non limiti il proprio desiderio di perfezione ed ascolti ciò che gli viene detto: "Prima del giudizio esamina te stesso" (Sir 18,20); ed ancora: "Non aspettare fino alla morte per sdebitarti" (Sir 18,22).  Di nuovo: "La sapienza è celebrata a conclusione della vita" (Salviano di Marsiglia, Contro l'avarizia, Libro IV; Cfr. Pr 1,20)).

 

Quanto ergo plus proficimus, tanto plus humiliemur: quia quanto plus humiliati fuerimus, tanto amplius proficiemus. Nullus illi senior tam indoctus appareat, ut putet, quod non deceat obedientia, quae Deum decuit; humilitas enim atque obedientia in junioribus adhuc necessitas, in senioribus jam dignitas est. Ille bene proficit, ille bene consummat, qui quotidie sic agit, quasi semper incipiat. Quamobrem augmenta meritorum incitamenta esse perfectorum Scriptura pronuntiat. De his vero qui dum primas negligentias praetermittunt, in alias atque alias semper incurrunt, ita ait: Peccator adjicit ad peccandum; de perfecto vero dicitur: Et sanctus adhuc sanctificetur. Videamus prius primum, quid est: Peccator adjicit ad peccandum.

Verbi gratia, cujuslibet, ut puta obtrectationis, passio si me impugnare ceperit, si non statim me poenitudo hujus vitii coeperit, cras tanta mihi hujus vitii facilitas veniet et quaedam (ut sic dixerim) suavitas, ut revocare me ab illo et continere non possim. Ita enim evenit, ut qui primo tempore emendare se nolit, incipiat in sequenti nec velle nec posse. Verbi gratia, superbiae acquiescere coepi, regulam violavi, seniorem laesi, juniorem destruxi: si non statim me poenituit (alcuni manoscritti aggiungono "tam") graviter me fuisse praeventum, jam de die in diem libentissime me rapiet ipsa violentia consuetudinis et impetus passionis, ut jam nec delinquere me intelligam, nec peccare me sentiam:

obscurat enim atque obruit intellectum delicti assiduitas delinquendi. Etenim ita cor negligentis obduratur, ut hoc ipso si non se humiliet, si non satisfaciat, praeposito suo nocere se credat, insuper et insultet et dicat: Quam constanter illi restiti, quam bene non acquievi, quanta auctoritate respondi, putabat quod me semper illi humiliare deberem? 

 

Quod qui facit, diabolo se tradidisse constat, qui de hominum vitiis et passionibus et perditione laetatur, et ejusmodi animae eveniet illa sententia: Peccator adjicit ad peccandum. Quam nos refugientes, illam potius teneamus quae dicit, et sanctus adhuc sanctificetur; ut quotidie addamus merita, nec de nobis aliquid praesumamus, quia Dei est omne quod sumus.

Simus itaque in opere Dei indeficientes propter aeternam retributionem, et quotidie ad meliora tendamus. Ipsa enim apprehendendi aviditas, ipsa consuetudo proficiendi semper nos ad majora provocet, et ubi viderit Deus devotionem animae, ardentiorem insinuabit affectum; et quanto nos arserimus ad studium, tanto ille apponet adjutorium; quanto nos apposuerimus ad diligentiam, tanto ille addet ad gloriam. Qui habet, dabitur illi, et superabundabit (Matth. XIII); et alio loco dicit: Posui adjutorium super potentem. Gratia ergo de gratia nascitur, et profectus profectibus serviunt, lucra lucris et merita meritis locum faciunt: ut quanto plus quis acquirere coeperit, tanto plus conetur acquirere; et quanto avidius de sapientiae bonis hauserit, tanto plus haurire desideret? sicut ipsa de se loquitur Sapientia: Qui edunt me adhuc esurient (Eccl. XXIV).

 

 

Urgeamus cursum nostrum, ut crescat in novissimo vita nostra. Quaeramus usque in finem, unde sine fine gaudere mereamur. Sed esto, non possumus exercere corporis labores, conferamus nos ad spiritualium bonorum desiderium, ad compunctionis et caritatis augmentum. Si quotidie in cordibus nostris disponamus ascensus, nulla infirmitate, nulla aetate lassari possunt mentes, ut spiritualibus quibusdam gradibus ascendere mereamur ad promissa Domini nostri Jesu Christi, cui est honor, virtus et gloria, potentia et claritas, et magnificentia, et imperium, et nunc, et semper, et in cuncta saecula saeculorum. Amen.

«Quanto più dunque progrediamo, tanto più ci umiliamo, perché quanto più saremo umili, tanto più progrediremo. Ora, nessun anziano creda di essere così dotto da pensare che non gli si addica l’obbedienza, dal momento che anche Gesù l'osservò (Cfr. Mt 26,39). Infatti l’umiltà e l’obbedienza sono ancora una necessità nei giovani, mentre negli anziani costituiscono un ornamento. Fa buoni progressi chi compie bene ciascuna azione e chi agisce giorno per giorno come se fosse sempre agli inizi. Per questo la Scrittura afferma che l’aumento dei meriti è un incitamento a progredire. Circa poi coloro che, mentre trascurano le prime negligenze, sempre più incorrono in altre, così sta scritto: “Il peccatore aggiunge peccato a peccato” (Sir 3,29). Quanto al progredire, poi, si dice: “Il santo si santifichi ancora” (Ap 22,11). Abbiamo visto che per primo è stato detto: "Il peccatore aggiunge peccato a peccato".

Per esempio, se una qualunque passione, come l'invidia, inizia ad assalirmi, se non inizia subito dentro di me il pentimento di questo vizio, in futuro verrà dentro di me tanta compiacenza e tanta piacevolezza nei confronti di questo vizio (come ho già detto), che non riuscirò più ad allontanarlo da me ed a reprimerlo. Succede così che chi non vuole in un primo tempo emendarsi, in seguito si troverà a non volere ed a non potere. Per esempio, ho iniziato ad acconsentire alla superbia, ho violato la regola, ho offeso un anziano, ho denigrato un giovane: se non me ne sono subito pentito, per quanto sia stato fortemente avvertito, di giorno in giorno questa stessa violenza dell'abitudine e l'impeto della passione mi conquistano con molto piacere, così che ormai non capisco di sbagliare e neppure mi accorgo di peccare.

Infatti la frequenza nel peccare mi annebbia la vista e mi impedisce di comprendere il male commesso. Infatti, l’animo di chi è trascurato diventa talmente insensibile che per ciò stesso se non si umilia, se non accondiscende al volere del suo Superiore, non crede di fare del male, anzi insulta e dice: con quanta fermezza di decisione gli ho resistito! come ho fatto bene a non cedere! con quale grinta gli ho risposto! credeva che io dovessi sempre umiliarmi davanti a lui!

Chi si comporta in questo modo è chiaro che si è già consegnato come prigioniero nelle mani del diavolo, il quale si rallegra dei vizi degli uomini, delle loro passioni e della loro rovina. Ad un’anima tale si adatterà bene quella sentenza che dice: “Il peccatore aggiunge peccato a peccato” (Sir 3,24). Evitando questa sentenza, cerchiamo piuttosto di fare nostra quella che dice: “Il santo si santifichi ancora” (Ap 22,11): e ogni giorno cerchiamo di aumentare i nostri meriti e non contiamo mai solo su noi stessi, perché tutto quello che siamo in grado di fare è un dono di Dio.

Siamo pertanto assidui nell’operare per amore di Dio in vista dell’eterna ricompensa ed ogni giorno sforziamoci di diventare migliori. Infatti lo stesso desiderio di apprendere e la stessa abitudine nel tendere alla perfezione ci stimolino sempre verso mete più elevate e, quando Dio vedrà la devozione del nostro animo, sempre più ardente renderà il nostro sentimento; e quanto più ci applicheremo con scrupolosità, tanto più egli aumenterà la nostra gloria. “A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza” (Mt 13,12). E in altro luogo dice il Signore: “Ho portato aiuto a un prode” (Sal 89(88),20). Da grazia pertanto scaturisce grazia ed il progresso dai progressi. I vantaggi servono ai vantaggi ed i meriti procurano altri meriti; di modo che quanto più qualcuno avrà cominciato a guadagnare, tanto più si sforzerà di guadagnare; e quanto più avidamente avrà attinto ai doni della sapienza, tanto più bramerà di attingervi, come di se stessa parla la sapienza: “Quanti si nutrono di me avranno ancora fame” (Sir 24,29).

Fratelli, affrettiamo il nostro passo, affinché la nostra vita alla fine sia più completa. Cerchiamo sino alla fine, affinché possiamo meritare di godere senza fine. Ma sia pure che non possiamo eseguire lavori corporali, dedichiamoci al desiderio dei beni spirituali, al rafforzamento della mortificazione e della carità. Se ogni giorno nei nostri cuori ci incitiamo ad elevarci, le nostre anime non possono indebolirsi né per una malattia, né per l'età. Meriteremo così di ascendere, proprio grazie ai gradini spirituali, alle promesse del Signore Nostro Gesù Cristo, a cui va l'onore, la virtù e la gloria, la potenza e lo splendore, la magnificenza e l'autorità, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen.

 


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6 aprile 2020        a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net