Prologo: 33 Perciò il Signore stesso dichiara nel
Vangelo: "Chi ascolta da me queste parole e le mette in pratica,
sarà simile a un uomo saggio il quale edificò la sua casa
sulla roccia.
Capitolo VII
- L'umiltà: 60 L'undicesimo grado dell'umiltà è
quello nel quale il monaco, quando parla, si esprime pacatamente e seriamente,
con umiltà e gravità,... 61 come sta scritto: "Il saggio si
riconosce per la sobrietà nel parlare".
Capitolo XXVII -
La sollecitudine
dell'abate per gli scomunicati: 2
Perciò l' abate
deve agire come un medico sapiente, inviando in qualità di amici fidati dei
monaci anziani e saggi.
Capitolo
XXXI - Il cellerario del monastero: 1
Come cellerario del monastero si scelga un fratello saggio,
maturo, sobrio, che non ecceda nel mangiare e non abbia un carattere
superbo, turbolento, facile alle male parole, indolente e prodigo,
Capitolo LIII -
L'accoglienza degli ospiti: 21 Così pure la
foresteria, ossia il locale destinato agli ospiti, sia affidata a un monaco
pieno di timor di Dio: 22 in essa ci siano dei letti forniti di tutto il
necessario e la casa di Dio sia governata con saggezza da
persone sagge.
Capitolo LXVI
- I portinai del monastero: 1
Alla porta del monastero sia destinato un monaco anziano e assennato, che
sappia ricevere e riportare le commissioni e sia abbastanza maturo da non
disperdersi, andando in giro a destra e a sinistra.
SAPIENZA
Benoît Standaert, O.S.B.
Estratto e tradotto da "Spirituality: an
art of living: a monk’s alphabet of spiritual practices"
Collegeville, Minnesota : Liturgical Press, 2018
Coloro che desiderano applicarsi alla sapienza possono essere guidati dal
seguente detto: "La sapienza è tre cose più una quarta". La sapienza è
conoscenza enciclopedica. La sapienza è maestria. Sapienza è essere sensibili al
mistero delle cose. La sapienza è Qualcuno.
Conoscenza enciclopedica
Una persona saggia sa molto ed è interessata a ogni sorta di cose. Qual è la
struttura dell'universo? Cosa ci insegnano le formiche? Cosa spiega il potere
delle erbe? Come si relazionano le persone tra loro data la differenza delle
loro personalità? Secondo il Talmud, "Se la Torah non fosse stata data a
Israele, avremmo imparato il nostro senso della vergogna dai gatti, la castità
dalle tartarughe, la cortesia dai galli e l'onestà dalle formiche".
Saggio è colui che ha imparato dai gatti e dai passeri, e che è riuscito a
sentirsi a casa in più di un mondo o di una cultura. Conoscere molte cose
include la chiara consapevolezza che non si sa tutto. Perché più sai, e più in
dettaglio conosci, più rimani impressionato dai tuoi stessi limiti. Tu diventi
più realista: tutto ciò che è relativo è realmente relativo, solo l'assoluto può
essere considerato tale. La vera modestia non è più fuori portata. C'è una
dinamica nascosta in questa prima traccia: rimani un ricercatore, curioso e
sempre aperto a ciò che è diverso da te stesso. L'ignoranza è peccato. Gran
parte dell'assolutismo e del fanatismo mal riposti - non solo nel linguaggio
religioso - derivano dalla mancanza di un'ampia comprensione culturale.
Maestria o arte pratica del vivere
In greco o nell'ebraico della Bibbia un uomo saggio è un uomo che ha il senso
degli affari e che conosce il suo mestiere. La maestria è sapienza. Un buon
falegname, un mastro fabbro e un abile macellaio sono tutti “uomini saggi”.
Qualunque cosa tu faccia, il farla bene, con la giusta postura, al momento
giusto, completamente a tuo agio in qualsiasi mestiere tu la pratichi, anche
questa è sapienza.
Un racconto dalla Cina taoista racconta la storia di un macellaio che ha usato
lo stesso coltello per diciannove anni senza mai affilarlo. Quel coltello taglia
ancora in modo netto come il primo giorno perché il macellaio conosce gli
animali fino in fondo e taglia sempre lo spazio tra le parti dense e dure di
ogni animale. Qui sta la sua grande sapienza.
I costruttori del santuario nel deserto, Besalèl e Ooliàb, nominati da Mosè,
erano uomini saggi. Il racconto nota come possedessero “sapienza, intelligenza e
scienza”, le tre virtù con cui Dio, secondo i Proverbi, creò il mondo (Pr
3,19-20). Costruirono altari, scolpirono il candelabro puro, tessero paramenti
pregiati, prepararono l'olio per l'unzione e fecero tutto questo con abilità,
intelligenza e saggezza (si veda Esodo 31:1-11).
Saggi sono coloro che sanno comportarsi correttamente in tutte le loro relazioni
e che possono controllare la loro lingua e persino i pensieri nel loro cuore. Il
padre del deserto Abba Poemen insegnò al suo discepolo: "Insegna alla tua bocca
a dire ciò che il tuo cuore racchiude" e "insegna al tuo cuore a custodire ciò
che insegna la tua lingua"
[1].
Uomini e donne saggi hanno imparato a sintonizzare il proprio cuore con la
bocca. Nella liturgia la loro interiorità è pienamente in accordo con ciò che
leggono, proclamano o cantano. In dialogo aperto con un direttore spirituale,
imparano a dar voce al proprio cuore, con tutte le sue sfaccettature di luci e
ombre.
Laddove la conoscenza enciclopedica arriva in lungo e in largo, la maestria
rimane concreta, richiede pratica e tenacia e porta alla vera padronanza, anche
se solo di un particolare segmento della realtà. Ma coloro che hanno imparato a
fare composizioni floreali hanno acquisito una qualità che pervaderà tutta la
loro vita, proprio come il fiore ben disposto nel vaso riempie una stanza
spaziosa di bellezza armoniosa.
Sensibilità per il mistero delle cose
Il
cuore di ogni cosa
È
fermo e senza fine.
Solo le cose possono veramente cantare,
La
nostra canzone è breve, facile da interpretare.
(Felix Timmermanns
[2])
Saggi sono coloro che hanno il senso del mistero delle cose. Che il loro sguardo
sia rivolto verso l'esterno o verso l'interno, il loro occhio ha imparato a
stare fermo davanti a ciò che è inspiegabile, semplicemente per vedere ciò che è
bello, per riconoscere ciò che è gratuito o per comprendere il lato tragico
dell'esistenza umana. I saggi non distruggono il mistero o rompono il silenzio
con poesie e proverbi ma, piuttosto, li rendono solo più palpabili, anche più
grandi, se possibile. Interrogandosi, a volte con ironico distacco, scandagliano
ciò che supera l'intelligenza umana ma rientra nell'esperienza immediata.
Conoscono gli abissi, grandi e piccoli (si veda “Le
plus petit abîme”, di Jean Sulivan
[3]). È così che uomini e donne saggi
sviluppano una cultura della meraviglia e una capacità di convivere con il
paradosso. Raggiungono un limite in cui soggetto e oggetto cessano di essere in
opposizione l'uno all'altro, dove le forme passive e attive non competono più ma
confluiscono l'una nell'altra, e dove "stoltezza" può essere un nome appropriato
per "saggezza". Vedono le differenze negli opposti abituali, ma offrono la
possibilità di una nuova intuizione: tutto non è uno e Dio nella sua piena
trascendenza non è anche immanentemente presente in tutto?
Tutto parte dalla capacità di meravigliarsi di fenomeni, a volte vicinissimi,
inspiegabilmente belli o spaventosi e che proprio per questo meritano la nostra
attenzione.
La
sanguisuga ha due figlie: «Dammi! Dammi!».
Tre
cose non si saziano mai,
anzi quattro non dicono mai: «Basta!»:
il
regno dei morti, il grembo sterile,
la
terra mai sazia d’acqua
e
il fuoco che mai dice: «Basta!». (Pr 30,15-16)
Nello stesso libro della Sapienza leggiamo anche:
Come il regno dei morti e l’abisso non si saziano mai,
così non si saziano mai gli occhi dell’uomo. (Pr 27,20)
Questo ci ricorda un versetto del Cantico dei Cantici:
Perché forte come la morte è l’amore,
tenace come il regno dei morti è la passione:
le
sue vampe sono vampe di fuoco,
una
fiamma divina! (Cantico 8,6)
Nel primo dei tre proverbi è come se tutti gli elementi cosmici condividessero
il mistero dell'insaziabilità, mentre il “grembo sterile” al centro del detto
fornisce l'interfaccia umana, con il proprio dolore senza fondo.
Tre
cose sono troppo ardue per me,
anzi quattro, che non comprendo affatto:
la
via dell’aquila nel cielo,
la
via del serpente sulla roccia,
la
via della nave in alto mare,
la
via dell’uomo in una giovane donna. (Pr 30,18-19)
Anche qui abbiamo la misteriosa tensione tra la vastità del cosmo - il cielo, la
roccia, i mari, il più alto e il più basso - e il cuore umano. Quest'ultimo in
particolare, dice il saggio, rimane "troppo arduo per me", una confessione
indiretta del mistero del proprio cuore.
La saggezza è Qualcuno
Qualcuno che cerca conoscenza, comprensione e saggezza, che vive nel giusto
grado di timore reverenziale davanti al Signore e con attenzione premurosa per
ciò che qui e ora è giusto, e che ha un senso per l'inspiegabile mistero di
tutto ciò che può essere visto o sentito, prima o poi, sperimenterà un
turbamento interiore. Passo dopo passo, nella testimonianza biblica come
nell'esperienza, la sapienza diventa Qualcuno. Ciò che originariamente sembrava
essere puramente una qualità, ora si trasforma in un'entità autonoma, un
soggetto all'interno della nostra stessa soggettività, un alter ego. I suoi
molteplici attributi sono vissuti come nomi dell'Uno, come tracce dei tratti
dell'Invisibile.
Ogni bambino belga conosce la poesia di Guido Gezelle (Ndr: Guido Gezelle, 1830
- 1899, prete e poeta belga) sulle rondini. Il punto di partenza del poeta è
l'osservazione e l'ascolto delle rondini che planano nel cielo e sfiorano veloci
i campanili delle chiese. Ma Gezelle vede e sente di più: discerne una chiamata
e cerca Qualcuno: “Vedi, vedi, vedi . . . Chi? Chi?? Chi???" Sì, "in verità
fanno una serenata a Colui che io non vedo!"
Questo modo di essere consapevoli e interrogarsi su certi fenomeni o qualità nel
mondo che ci circonda fino a quando non ci si spinge verso Qualcuno può
sorprenderci dal punto di vista della logica, ma in realtà è praticato in molte
tradizioni.
Gregorio di Nissa (vescovo e teologo greco antico del IV secolo), lui stesso
profondamente immerso nel pensiero di Platone, postulava che la virtù nella sua
perfezione fosse Dio stesso. Applicarsi alle virtù sembra scalare una montagna,
eppure in cima non troviamo altro che Dio.
"Qualcuno in me, più me stesso di me", era il modo in cui lo esprimeva Agostino,
e la sua esperienza di un'interiorità raccolta ha ispirato santi e mistici nel
corso dei secoli. Deus interior intimo
meo, superior summo meo (il Signore è più vicino a noi di quanto noi lo
siamo a noi stessi). (Le Confessioni,
III,6,11)
[4]. Dio è allo stesso tempo immanente al mio
io più intimo e trascendente alla mia stessa trascendenza spirituale.
L'esperienza di Paul Claudel (Ndr: Paul Claudel, 1868 – 1955, poeta, drammaturgo
e diplomatico francese) alla vigilia di Natale del 1886 non fu altro che la
stessa innegabile svolta: Quelqu'un
d'autre en moi, plus moi-même que moi (Qualcun altro in me, più me stesso di
me).
I Padri del deserto dicevano che il "timore di Dio" doveva essere il primo punto
focale per il monaco se desiderava aprire la porta all'esperienza dello Spirito
Santo che dimora in lui. Una qualità conduce allo Spirito in persona. Benedetto
dichiara la stessa cosa nella sua Regola. Questa pratica studiata lo porta alla
felice formulazione che il fratello addetto alla foresteria debba essere «pieno
di timor di Dio» (RB 53,21); cuius animam
timor Domini possidet: posseduto, proprio come una città “occupata” o
“posseduta”, da qualcuno, un altro da sé.
Anche in un filosofo (Ndr: francese) come Jean Nabert (1881-1960) si osserva un
movimento simile, per quanto guidato da un severo atteggiamento critico. «Se Dio
esiste, non lo so», scriveva, «ma con la parola 'divino' posso evocare
esperienze molto particolari: forme ben definite di bontà e di perdono sono
innegabilmente 'divine'”. Riflettendo su tutti i fenomeni riconosciuti come
“divini” nell'esperienza comune, ne trasse la conclusione che il divino richiede
un Soggetto divino e che negare questo Qualcuno è insostenibile.
Anche nella Letteratura Sapienziale biblica vediamo che la sapienza come virtù o
come qualità assume gradualmente i tratti di una persona accanto o all'interno
della figura della sapienza. A volte la transizione è estremamente sottile e
ancora timida:
Perché la sapienza entrerà nel tuo cuore
e
la scienza delizierà il tuo animo.
La
riflessione ti custodirà
e
la prudenza veglierà su di te. (Pr 2:10-11)
Così, la saggezza diventerà un agente protettivo e guida nel cuore dello
studente.
Altrove nello stesso libro appare come una signora che sta “nei crocicchi delle
strade” e grida ai passanti di ascoltare i suoi insegnamenti (Pr 8,2-3). Ha
molto da offrire! Ella media nel sommo bene: l'intelligenza e la vita, sì, il
favore del Signore stesso (Pr 8,35).
In vari poemi biblici la Sapienza è pensata e descritta come in movimento nelle
immediate vicinanze di Dio stesso, come se fosse l'assistente di Dio nel disegno
e nell'esecuzione della sua opera quando creò l'universo (cfr. Pr 8,22-31). A
volte è l'artefice, altre volte la fanciulla giocherellona, vicina a Dio oltre
che colei “che pone le sue delizie tra i figli dell’uomo” (Pr 8,31). Questa
delizia è forse la fonte dell'intera poesia in Proverbi 8.
Poiché il saggio l'ha sperimentata nella sua qualità pura, penetrante e
personalissima, egli è in grado di esemplificare la Sapienza in tutte le sue
relazioni - con Dio, con il creato e con l'uomo. Parla in suo nome, in prima
persona, ma nell'ultimo versetto confessa la gioia che condivide con lei e lei
con lui (Infatti, chi trova me trova la
vita e ottiene il favore del Signore. (Pr 8,35)).
In questo modo ci spingiamo verso una sapienza che trascende pienamente l'intero
cosmo, per quanto imponente possa essere, ma che gode di un rapporto personale
di piacere e delizia con Dio e con il genere umano.
“La sapienza è tre cose più una quarta.” Chiunque pratichi consapevolmente le
prime tre “cose” sperimenterà, prima o poi, il misterioso agente come “quarto”
in se stesso. Ciò che viene come “quarto” non è più una “cosa” ma un soggetto
nella sua stessa soggettività. “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal
2,20). Paolo raggiunge quest'ultima misura di sapienza quando sperimenta la vita
sempre più radicalmente radicata “in Cristo” e non più in se stesso. Allora
Cristo diventa per lui quella sapienza personificata, il che è un paradosso
perché agli occhi della gente essa appare stolta e debole, rivelando però
pienamente la potenza di Dio e la sapienza di Dio.
[1]
Detti dei Padri del deserto (Poemen 63, 188).
[2]
Scrittore e poeta fiammingo (1886-1947).
[3]
Jean Sulivan è lo pseudonimo di Joseph Lemarchand, sacerdote e scrittore
francese (1913–1980). Il suo libro
Le plus petit abîme (The
Smallest Possible Abyss) è stato pubblicato in Francia da Gallimard
nel 1965.
[4]
L'espressione di Agostino è stata tradotta in italiano in molti modi. La
traduzione qui utilizzata è tratta da: Papa Benedetto XVI, Angelus, 11
dicembre 2011 e disponibile sul sito della Santa Sede (www.vatican.va).
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11 marzo 2023 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net