PLACIDO, discepolo di s. Benedetto, santo.

 

di Giorgio Picasso O.S.B. e Caterina Colafranceschi

Estratto da “Bibliotheca Sanctorum – Vol. 10”, Città Nuova Editrice, 1968

 

 

Sommario: I. La vita. – II. Il culto. - III. Iconografia.

 

I. La vita. Per conoscere la vita di questo santo monaco, affidato alle cure di s. Benedetto (v.) in giovanissima età, abbiamo soltanto la narrazione del libro II dei Dialogi di s. Gregorio Magno. Da questa fonte letteraria sappiamo che il patrizio romano Tertullo affidò il figlioletto Placido a s. Benedetto, il quale aveva allora organizzato in Subiaco le prime sue comunità di monaci, mentre Eutichio condusse, egli pure da Roma, per lo stesso scopo il figlio Mauro. S. Benedetto aveva distribuito nei dodici monasteri sublacensi i monaci accorsi sotto la sua guida, ma trattenne con sé i due giovani romani ed altri fanciulli che venivano a lui affidati per essere educati alla vita monastica (Dialogi, II, 3). II testo gregoriano non segue un ordine cronologico per indicare lo sviluppo della fondazione di s. Benedetto, ma espone una serie di episodi edificanti, dai quali risaltano le straordinarie virtù del santo patriarca, distribuendoli in parte a Subiaco e quindi nella definitiva dimora di Montecassino. È pertanto impossibile stabilire in quale anno Placido sia stato affidato a s. Benedetto; il Mabillon (v. Annales, p. 38) propone il 522, in base alla Vita Placidi dello pseudo-Gordiano, priva però d’ogni fondamento storico (v. infra).

 

San Benedetto ordina a San Mauro di salvare San Placido
Filippo Lippi - San Benedetto ordina a San Mauro di salvare San Placido (Fonte: Wikipedia)

 

Tra i « fioretti » gregoriani due soli ricordano il monaco Placido e si riferiscono al periodo della sua fanciullezza a Subiaco. Nel primo (Dialogi, II, 5) egli appare accanto a s. Benedetto, quando nella notte questi si recò (« cum parvulo puerulo nomine Placido ») nella parte più rocciosa della regione sublacense, dove erano stati edificati tre monasteri, e con la preghiera ottenne l’acqua per quei monaci. Neanche nel secondo episodio (narrato in Dialogi, II, 7, ed assai più noto del precedente) la figura di Placido appare come quella del protagonista. Un giorno, mentre il giovanissimo monaco (« Placidus puer, sancti viri monachus ») si reca ad attingere acqua, inavvertitamente scivola nel lago per riprendere l’anfora che gli era sfuggita di mano, e sta per annegare. S. Benedetto, benché raccolto in preghiera nella propria cella, s’accorge del pericolo nel quale si trova Placido e manda Mauro in suo aiuto. Questi, senza frapporre indugio, raggiunge il fanciullo e lo porta in salvo. Mauro comprende allora d’aver camminato sulle acque e ne attribuisce il merito all’uomo di Dio, il quale ritiene invece il fatto premio alla pronta ubbidienza del discepolo. Arbitro in questa gara di umiltà, il fanciullo Placido assicura d’aver visto il mantello dell’abate proteso sul suo capo, quasi fosse lui a salvarlo, mentre veniva ricondotto alla riva. Nell’uno e nell’altro episodio egli appare unito a s. Benedetto con il vincolo di una tenerezza e di un’intimità che lo distinguono dagli altri pii personaggi del libro II dei Dialogi.

Altro non conosciamo della sua vita. Possiamo senz’altro ritenere che abbia accompagnato s. Benedetto a Montecassino (verso l’anno 529), ed ivi sia rimasto, monaco esemplare, fino alla morte. La missione in Sicilia ed il successivo martirio si devono ad una leggenda priva di ogni fondamento storico, come appare dalle vicende del suo culto.

II. Il culto. Le prime testimonianze del culto a s. Placido non si hanno nei calendari di Montecassino dei secc. VIII e IX (pubblicati dal Morin in Revue bénédictine, XXV [1908], pp. 495 sgg.), bensì nelle invocazioni delle Litanie dei santi in testi liturgici dal sec. IX in poi. Sono stati indicati già dal Berlière (v. art. cit. in bibl., pp. 20-24) diversi mss. dei secc. IX-XII nei quali il nome di s. Placido appare invocato sempre tra i confessori, accanto a s. Benedetto, a s. Mauro e ad altri santi monaci. Indagini recenti del Grégoire (v. bibl.) hanno confermato quei dati. Risulta così che almeno dal sec. IX a Montecassino, e poi anche in altre parti d’Italia (S. Vincenzo al Volturno, Farfa, Roma e Vallombrosa), il discepolo di s. Benedetto è invocato come santo. Non si hanno invece le stesse testimonianze in codd. francesi o di altre regioni.

Verso la fine del sec. XI il culto di s. Placido subisce, proprio a Montecassino, un’evoluzione. Mentre nel Breviario cassinese, scritto durante l’abbaziato di Oderiso, tra il 1098 e il 1105, il nome di Placido è ricordato ancora tra i santi confessori, Leone di Ostia, che pur scriveva la sua cronaca per ordine dello stesso abate, riporta un’opinione che circolava allora nel suo ambiente: « Beatum etiam Placidum opinio est quod vir Domini Benedictus tunc ad Siciliani miserit, ubi pater eiusdem Placidi Tertullus patricius decem et octo patrimonii sui curtes eidem viro Dei concesserat » (in MGH, Script., VII, p. 580). Intanto una aggiunta al Calendario del cod. 230 di Montecassino, del sec. X-XI, fissa al 5 ott. il ricordo di s. Placido, senza alcun accenno al martirio. Ma il fatto di trovare il nome di s. Placido in quella data, congiunto all’opinione testimoniata dalla cronaca di Leone di Ostia circa il presunto viaggio in Sicilia, era una forte tentazione per identificare il discepolo di s. Benedetto con il martire siciliano omonimo, ricordato dai più antichi martirologi (v. Placido, Eutichio, e cc.). I codd. liturgici cassinesi della seconda metà del sec. XII testimoniano il progressivo tentativo di unire in un solo episodio i martiri del 5 ott. degli antichi martirologi, quasi come una corona al discepolo di s. Benedetto, ormai onorato con il titolo di martire.

Chi conferì a questa leggenda un’apparente giustificazione storica fu Pietro Diacono (m. 1159), bibliotecario ed archivista di Montecassino, il quale intervenne, con una disinvoltura per noi sorprendente, nel decidere le varie tradizioni in favore del suo monastero, mediante la redazione di falsi. A lui si deve una triplice redazione della Vita di s. Placido, i cui fatti sono stati inventati per assicurare la gloria del martirio all’umile figlio di s. Benedetto. Secondo il racconto che egli attribuisce ad un immaginario Gordiano, presunto compagno di Placido e fuggito a Costantinopoli al momento della persecuzione, Placido sarebbe stato inviato in Sicilia, a Messina, dove s. Benedetto avrebbe avuto diciotto proprietà in donazione da Tertullo, quando questi venne a Montecassino nel 532 — sempre secondo la leggenda — accompagnato da Simmaco, Boezio, Equizio, Gordiano e Vitaliano (ma Simmaco e Boezio erano già morti nel 532!). L’atto di donazione è conservato a Montecassino in una pergamena del sec. XII, copia di falsificazione in forma di originale (v. descrizione, in I regesti dell’Archivio dell'Abbazia di Montecassino, a cura di T. Leccisotti, II, Roma 1965, p. 104).

Secondo il racconto di Gordiano, dopo un viaggio ricco di prodigi e di incontri con personaggi celebri, come Germano di Capua (v.), Placido avrebbe fondato un monastero nella città di Messina e nell’anno 541, all’arrivo dei Saraceni comandati dall’odioso Mamucha, sarebbe stato preso prigioniero e martirizzato con la sorella Flavia, i fratelli Eutichio e Vittorino e molti altri compagni. Gordiano avrebbe avuto l’ordine di scrivere questa Vita Placidi dall’imperatore Giustiniano. Per accreditare tante notizie, Pietro Diacono è ricorso ad ingegnose invenzioni: una prima succinta Vita Placidi, conservata nel cod. 361 di Montecassino, ne annuncia il martirio, ma non lo precisa nei particolari; quindi, inserita nel Registrum s. Placidi, la più ampia Vita ricca di notizie sul martirio stesso e sui miracoli che lo avevano accompagnato; infine una terza biografia, attribuita ad uno Stefano Aniciense, il quale afferma di tradurre il suo testo dal greco: in tal modo non mancherebbe al martirio di Placido il contributo della tradizione orientale.

Prima di ricordare l’enorme sviluppo che questa leggenda era destinata ad avere nella storia del culto di s. Placido (v. anche l’iconografia) è bene accennare alle ragioni che hanno spinto Pietro Diacono a queste falsificazioni. Il Morin, recensendo (in Revue bénédictine, XXVII [1910], p. 250) l’opera del Caspar (v. bibl.) sulle falsificazioni di Pietro Diacono, che ha avuto il merito di metter fine alla leggenda dello pseudo-Gordiano, presenta il bibliotecario di Montecassino nel secondo quarto del sec. XII come il rappresentante di una vanità, insieme puerile e senile, che voleva fermare, con nuovi titoli di gloria, quel momento di grandezza che l’abbazia cassinese aveva conosciuto al tempo dell’abate Desiderio, il futuro papa Vittore III (fine sec. XI). Ma ormai i tempi sono mutati, i Normanni sono sempre più forti, Lotario III non tiene in gran conto le esigenze di Montecassino, d’altra parte la cultura e la disciplina monastica non sono più tali da raccomandare il più celebre cenobio dell’Occidente: i monaci se ne accorgono e pensano di supplire alla vera grandezza che veniva a mancare, con la vanità di titoli privi di consistenza. Inoltre, è questa l’epoca nella quale a Montecassino si viene a conoscere la Vita Mauri, composta nel sec. IX da Odone di Glanfeuil, che rivela la meravigliosa vita del primo discepolo di s. Benedetto; il fatto influisce sulla redazione letteraria della Vita Placidi di Pietro Diacono: non si vuole, evidentemente, che l’altro discepolo sia da meno del primo.

A Montecassino i testi vengono accettati: l’abate Rainaldo già verso il 1137 compone gli inni per la festa del protomartire benedettino. Ormai nell’abbazia cassinese si festeggia al 5 ott. il martirio di s. Placido, come è provato dai Messali cassinesi della seconda metà del sec. XII (v. Berlière, art. cit., p. 27). Il culto, cosi deformato, si diffonde. In Sicilia la leggenda è accolta, come testimoniano le inserzioni nei Martirologi, ma, almeno nei secc. XIII e XIV, senza grande entusiasmo. Le edizioni di Usuardo stampate verso la fine del sec. XV accettano in parte la tradizione cassinese, mentre tra i monasteri benedettini si è più restii, e sono gli ambienti monastici italiani e quelli più legati a Montecassino che accolgono la festa di s. P. martire (v. Berlière, art. cit., pp. 30-33).

Un fatto nuovo doveva tuttavia vincere le riluttanze ad accettare il martirio di s. Placido. Il 4 ag. 1588 furono rinvenuti in un sepolcro posto nel coro di S. Giovanni Battista di Messina quattro corpi, tre di uomini ed uno di donna, che vennero considerati per l’appunto quelli di s. Placido, dei due « fratelli » e della « sorella », secondo il testo della Vita Placidi. In seguito se ne trovarono altri. La notizia fece epoca, e l’arcivescovo di Messina, il 13 nov. dello stesso anno, ottenne da Sisto V che il martirio di s. Placido e dei suoi compagni fosse inserito nel Martirologio Romano e la loro festa celebrata, con rito doppio a Messina e nella provincia, e con rito semplice dalla Chiesa universale (v. Acta SS. Octobris, III, Parigi 1866, pp. 107- 108). Questi fatti furono decisivi per il culto di s. Placido anche nell’intero Ordine Benedettino. Le ultime resistenze cedettero all’entusiasmo suscitato dall’invenzione dei corpi di Messina: nel 1600 il capitolo generale della Congregazione di Bursfeld decise di celebrare la festa di s. Placido, « protomartire dell’Ordine », e con il Breviarium monasticum riformato da Paolo V nel 1612, e imposto a tutti i monaci e le monache dell’Ordine Benedettino nel 1616, la festa di s. Placido raggiunse il massimo sviluppo. Gli episodi della Vita Placidi di Pietro Diacono ispirarono i testi liturgici propri, specialmente le lezioni del secondo Notturno.

Ma proprio quando il culto di s. Placido raggiunse, all’inizio del sec. XVII, il suo apogeo, si iniziava da parte della storiografia erudita un esame severo dell’opera di Pietro Diacono. Le prime osservazioni critiche sono mosse dal Baronio (v. Annales Ecclesiastici, ad a. 541, parr. 27-29); giudizi severi sulla Vita Placidi dello pseudo-Gordiano sono stati formulati dal Mabillon, che ne rileva i numerosi errori, accettando però il fatto del martirio soprattutto per deferenza verso la decisione di Sisto V (v. Acta citt. in bibl.), e dai bollandista De Bue che ebbe il merito di distinguere nettamente il culto ad un s. Placido confessore fino al sec. XII dalla successiva aggiunta del martirio: ma egli pure, per le stesse ragioni di prudenza, non raggiunse le conclusioni alle quali le sue ricerche lo avrebbero condotto. Più esplicite nel sec. XIX le critiche dell’Amari e del Wattenbach (v. bibl.).

Il decreto Ad humillimas della S. Congregazione dei Riti del 1906 (in ASS, XXXIX [1906], p. 230) confermava il culto di s. Placido martire per l’Ordine Benedettino. Era l’ultimo intervento notevole in questo senso. Infatti nel 1909 il Caspar pubblicò il suo studio sulle falsificazioni di Pietro Diacono (v. bibl.) dimostrando l’inconsistenza della Vita Placidi: secondo quel testo infatti gli arabi sarebbero arrivati in Sicilia dalla Spagna, dove nel sec. VI non esistevano; Gordiano afferma di essere fuggito, ma è in grado di saper tutto, anche ciò che riguarda la presunta ricostruzione del monastero di Messina; manca inoltre ogni base documentaria: infatti il martire Placido del 5 ott. è riportato in martirologi anteriori a s. Benedetto e a s. Gregorio Magno.

In tal modo, in sede storica, la leggenda di s. Placido martire appariva priva d’ogni fondamento; e tuttavia è stata ancora ripetuta in opere di carattere divulgativo, anche se sempre più raramente. Il Berlière nel 1921 esponeva la vera storia del culto di s. Placido, ed intanto la S. Congregazione dei Riti fin dal 1916 aveva permesso all’Ordine Benedettino di abbandonare per la festa di s. Placido i testi propri accolti nel Breviario di Paolo V, ed usare il Comune dei martiri. Infine con il Calendario perpetuo per l’Ordine Benedettino, approvato dalla S. Congregazione dei Riti il 25 luglio 1961, secondo un voto ripetutamente espresso dagli eruditi dell’Ordine stesso (v. Berlière, art. cit., p. 45; Vies des Saints, X, p. 121) s. Placido è tornato ad essere ritenuto un santo confessore, ed è venerato con il condiscepolo Mauro al 5 ottobre. II Calendario del Breviario e del Messale Romano, promulgato nel 1960, continua invece a ritenerlo martire, ma la festa è ridotta a semplice commemorazione. Nell’archidiocesi di Messina s. Placido martire continua ad esser il patrono principale con festa di prima classe al 5 ottobre. La revisione degli Atti dei martiri, auspicata dal Concilio ecumenico Vaticano II (Costituzione sulla Sacra Liturgia, n. 92 c), non mancherà di riportare il culto al santo discepolo di s. Benedetto nella sua piena verità: i monaci continueranno a venerarlo come il fanciullo educato alla santità dallo stesso s. Benedetto ed un esempio per tutti coloro che giungono al monastero in giovane età (in alcuni monasteri nella festa di s. Placido sono i novizi con il loro padre maestro a celebrare le sacre funzioni: v. Vies des Saints, X, p. 121), mentre in Sicilia il culto dovrà essere rivolto all’antico martire, ricordato nei martirologi della Chiesa.

Bibl.: I. Vita. L’ed. critica dell’unica fonte, i Dialogi di s. Gregorio Magno, si ha in Gregorii Magni Dialogi, ed. U. Moricca, Roma 1924, pp. 86, 88, 89, 90. Sull’indole di questa fonte letteraria, v. V. Monachino, s.v. Gregorio 1, in BSS, VII, col. 268; l’ipotesi di J. H. Wansbourgh (St. Gregory’s Intention in the Stories of St. Scholastica and St. Benedict, in Revue bénédictine, LXXV [1965], pp. 145-51 ), secondo cui l’autore dei Dialogi avrebbe scelto anche i nomi dei personaggi per inculcare una particolare virtù, non è sufficientemente documentata. Da queste scarse informazioni non è possibile elaborare una Vita di s. Placido. Per il presunto anno della presentazione a s. Benedetto: v. Mabillon, Annales, I, p. 38. Cenni a s. Placido in base agli episodi dei Dialogi, si hanno in tutte le biografie di s. Benedetto, v. le più importanti cit. in BSS, II, s. v. Benedetto di Norcia, coll. 1162-63. Pare che gli episodi dei Dialogi non abbiano contribuito molto a diffondere il culto di s. Placido (v. B. de Gaiffier, À propos des saints du livre. II des Dialogues, in Anal. Boll., LXXXIII 11965], pp. 73-74).

 

II. Culto. Le Vitae composte da Pietro Diacono sono state pubblicate più volte; v. L. Lippomano, Vitae Sanctorum, V, 1581, ff. 202v-212r; Caetani, Vit. SS. Sicul., I, pp. 172 sgg.; Mabillon, Acta, I, pp. 42-74 (quella dello Pseudo-Gordiano), pp. 74-76 (la Vita anonima, più breve); Acta SS. Octobris, III, Parigi 1866, pp. 11438 (ps-Gordiano); pp. 139-47 (ps-Stefano Aniciense). Sull’autore di queste Vitae, v. E. Caspar, Petrus Diaconus und die Montecassineser Fälschungen, Berlino 1909, specialmente pp. 47-72; A. Mancone, in Enc. Catt., IX, col. 1435 (con bibl.), e le precisazioni di T. Leccisotti in I Regesti dell'Archivio dell'Abbazia di Montecassino, I, Roma 1964, pp. VI-XVII. La cronaca dell’invenzione delle presunte reliquie di s. Placido in Messina nel 1588 è stata pubblicata da E. Gotho, Breve ragguaglio dell'Inventione e feste de' gloriosi martiri Placido e compagni, Messina 1591 (riportata in parte da Mabillon, Annales, I, p. 92), ma già accolta da F. Passari, Vita di s Placido e suo martirio, Venezia 1589.

Notizie generali sul culto di s. P. (con brevi cenni agli episodi dei Dialogi di s. Gregorio Magno) si hanno in: Mabillon, Annales, I, pp. 38, 90-93; id., Acta, I, pp. 42-76; A. Amari, Storia dei Musulmani in Sicilia, I, Firenze 1854, pp. 100-102 (Catania 19332, pp. 219-222); Acta SS. Octobris, III, Parigi 1866, pp. 65-147 (l’ampia dissertazione è del De Bue); W. Wattenbach, Deuschlands Geschichtsquellen, II, Berlino 18946, p. 237; U. Berlière, Le culte de S. Placide, in Revue bénédictine, XXXIII (1921), pp. 19-45 (ancora fondamentale); Zimmermann, III, pp. 138-40; IV, p. 92; L. T. White, Latin monasticism in Norman Sicily, Cambridge 1938, pp. 8-10: I. Müller, Barocke Hymnen auf die hll. Placidus und Sigibert, in Revue d'histoire eccl. suisse, XL (1946), pp. 23540; Ph. Schmitz, Histoire de l’Ordre de St. Benoît, I, Maredsous 19482, pp. 38-74; Vies des Saints, X, pp. 119- 22 (con ampia bibl.); I. Cecchetti, in Enc. Catt., IX, col. 1597; P. Cousin, Précis d'histoire monastique, s. 1., s. d. [1959], p. 146; A. Lentini, Sull’Ufficio dei SS. Mauro e Placido nel calendario benedettino, in Rivista Liturgica, XLIX (1962), pp. 285-88; P. Minutoli, Vita di s. Placido discepolo di san Benedetto, martirizzato in Messina l'anno 541, Messina 1962 (opera divulgativa della leggenda del martirio); A. Amore, Note agiografiche sul Calendario perpetuo della Chiesa universale, in Antonianum, XXXIX (1964), pp. 49-51; R. Grégoire, Prières liturgiques médiévales en l’honneur de S. Benoît, de Ste Scolastique et de S. Maur, in Analecta Monastica, 7° ser. (= Studia Anselmiana, 54), Roma 1965, pp. 47, 55, 70, 72.

 

Giorgio Picasso

 

Iconografia. La vita e la leggenda di Placido, con i particolari reali dell’esistenza del monaco benedettino e quelli aggiunti dalle narrazioni successive si rilevano dalla varia e ricca iconografia del santo, che viene assai spesso associata, a s. Benedetto e a s. Mauro. Accanto a s. Benedetto, che siede in trono circondato dai santi dell’Ordine, lo vediamo in una miniatura della scuola dell’Orcagna nella Collezione Holford di Londra, e in una serie delle scene della vita di s. Benedetto stesso negli affreschi di Spinello Aretino (sec. XIV) in S. Miniato a Firenze, negli affreschi di scuola toscana del XV sec. a Badia di Passignano, negli affreschi del Chiostro degli aranci nella Badia di Firenze, nella predella di Lorenzo Monaco agli Uffizi, negli affreschi di Luca Signorelli a Monte Oliveto maggiore.

Spinello Aretino a S. Miniato ha pure rappresentato Placido salvato dalle acque ad opera di s. Mauro, scena ripetuta in un dipinto di scuola francese del sec. XIV e in una tavola di Filippo Lippi (Nat. Gal. Washington USA) e nella predella di Andrea di Giusto (sec. XV) a Prato. La sua presenza tra i martiri di Messina, Eutichio, Vittorino, Flavia (detta sua sorella) e compagni viene attribuita alla confusione con altro Placido, martirizzato in Sicilia.

Placido veste l’abito benedettino, ha un aspetto ancora giovanile, talvolta porta la croce o la palma, talaltra il libro o il pastorale e la mitra. Tra le rappresentazioni più antiche vi sono quelle degli affreschi nella Grotta del Salvatore a Vallerano presso Viterbo (scuola romana del sec. X), assai danneggiati, ma dove risulta chiaro il nome; il mosaico del sec. XII di Monreale, anche contraddistinto dal nome, l’affresco, col nome, nel Sacro Speco di Subiaco, in cui il santo appare giovanissimo, col rotolo fra le mani. Nello stesso Sacro Speco affreschi di scuola umbra del sec. XV narrano il ciclo della vita, con gli episodi del rifiuto dell’apostasia, il gruppo dei martiri e l’opera di sostegno e conforto esercitata dal santo a favore dei compagni durante il martirio.

Ancora al martirio si riferisce il dipinto del Coreggio nella Gall. Naz. di Parma in cui, secondo la leggenda messinese, Placido è inginocchiato accanto alla sorella Flavia, essa pure in preghiera.

Immagini di Placido troviamo poi a Spoleto, in un polittico di scuola umbra del XV sec. insieme con s. Eutichio e, ancora della stessa scuola, sempre a Spoleto, in un affresco della chiesa di S. Giuliano.

La diffusione del culto nelle chiese dell’Ordine ci ha dato numerose rappresentazioni di Placido nell’arte tedesca. Ricordiamo fra l’altro le statue del sec. XVIII nella chiesa di S. Vincenzo a Breslavia e quella, movimentata e drammatica, nella chiesa di Niederaltaich, in cui il santo porta un ricco pastorale.

Bibl.: A. Bertini Calosso, Gli affreschi della Grotta del Salvatore presso Vallerano, in Arch. R. Soc. Rom. di Storia patria, XXX (1907), p. 205, tav. IV; Braun, coll. 610-11; C. Bandini, Spoleto (Italia Artistica), Bergamo [s.d.]; Réau, III, pp. 1112-13; Kaftal, coll. 853; G. Kaftal, The iconography of the Saints in Central and South Italian Painting, Firenze 1965, coll. 926-27.

 

Caterina Colafranceschi

 


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9 ottobre 2024        a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net