CULTO, DEVOZIONE
E SPIRITUALITÀ DEL
SACRO CUORE
Don Antonino Maluccio
Estratto da “Preghiere
al Sacro Cuore di Gesù”
– Ed. Shalom 2024
«Il sacro cuore di Gesù è il compendio di tutta la dottrina cristiana. Può
essere considerato la più completa pratica della religione cristiana, che è la
religione dell’amore».
Papa Pio XII
Termini fondamentali
Il rapporto dei fedeli con il cuore di Cristo e con la sua straordinaria forza
simbolica è stato a lungo definito con i termini di “devozione” e di “culto”; a
questi, soprattutto negli ultimi tempi, si è aggiunto quello di “spiritualità”.
Il culto
Il culto è l’atto religioso pubblico con il quale l’uomo riconosce Dio quale
proprio Creatore e Signore, mediante la manifestazione della propria
sottomissione con atti e atteggiamenti, interiori ed esteriori, che onorano Dio.
Questi atti e atteggiamenti provengono dall’essere stati trasformati, in Cristo,
in figli adottivi di Dio, incorporati al suo corpo mistico, e assumono le
caratteristiche proprie della novità cristiana. Si parla di culto liturgico
quando il culto si esprime attraverso atti propriamente riconosciuti come tali
dalla Chiesa.
In particolare, il culto si basa sulla celebrazione dei sacramenti, soprattutto
dell’Eucaristia.
Ma anche se la liturgia fa continuo riferimento all’intera storia della
salvezza, in realtà ogni singola celebrazione si rifà in modo più immediato a un
aspetto parziale della storia della salvezza: infatti, celebriamo il Natale per
la nascita di Cristo, la Quaresima per la passione, la Pasqua per il mistero
della risurrezione, la Pentecoste per l’effusione dello Spirito Santo.
In questo senso, anche la celebrazione liturgica del sacro cuore appartiene alla
vita della Chiesa e vuole esprimere un momento particolare, ma privilegiato,
dell’incarnazione redentrice di Cristo Salvatore.
Ma perché proprio il culto al cuore di Gesù?
Il cuore di Gesù rappresenta tutto l’amore che egli ha avuto e ancora ha per
noi. È l’immagine della sua immensa carità per gli uomini. E noi, con il culto
al sacro cuore, rivolgiamo un’attenzione speciale all’amore umano di Gesù:
adoriamo il suo cuore di carne perché è il cuore del Verbo incarnato e lo
adoriamo unito e non separato dalla persona di Cristo.
Perciò il cuore di Gesù è “vivente” di vita divina ed è la rivelazione più
commovente della Santissima Trinità, che ci ama anche con un cuore di carne.
Così si è espresso Benedetto XVI: «Nel cuore del Redentore noi adoriamo l’amore
di Dio per l’umanità, la sua volontà di salvezza universale, la sua infinita
misericordia. Rendere culto al sacro cuore di Cristo significa, pertanto,
adorare quel cuore che, dopo averci amato sino alla fine, fu trafitto da una
lancia e dall’alto della croce effuse sangue e acqua, sorgente inesauribile di
vita nuova» (Angelus,
5 giugno 2005).
La devozione
La devozione, nel linguaggio corrente, indica una forma di particolare pietà. La
parola
devotio
si rifà in latino a
votum
e indica la dedizione personale a un’altra persona. Secondo san Tommaso
d’Aquino, «è la volontà di dedicarsi prontamente a ciò che riguarda il servizio
di Dio». In senso stretto, si indica come “devozione” la dedicazione di sé
stessi, quindi dell’atteggiamento interiore di una persona, nei riguardi del
servizio e dell’onore di Dio. Con il termine “devozione” s’intende tutto
l’insieme di atti e pratiche (in primo luogo il culto) che hanno per oggetto un
particolare aspetto del mistero della fede; per esempio, la devozione al sacro
cuore, la devozione a Maria santissima...
Comunemente si dà il nome di “devozioni” alle manifestazioni esteriori (tramite
pratiche) della devozione interiore. Le devozioni hanno il grande potere di
rinnovare l’attenzione spirituale e l’adesione del cuore a Dio, accrescendo
l’unione con lui mediante la fede, la carità e la speranza.
Per cui, la devozione non è una semplice pratica esteriore, ma è la sintesi di
tutta la propria vita spirituale; il fulcro attorno al quale ruotano i
sentimenti, le azioni, il rapportarsi con gli altri e con Dio.
Attenzione, però: devozione non significa sentimentalismo, ma elezione affettiva
e decisione volontaria.
La devozione al cuore di Gesù, per esempio, induce anche a cogliere l’aspetto
più impressionante del peccato, a considerarlo, più che come infrazione della
legge di Dio, come offesa all’amore incarnato, come ingratitudine verso l’amore
infinito.
E al figlio prodigo di ogni tempo il cuore di Gesù ripete con fremiti di
commozione: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò
ristoro» (Mt 11,28).
Appena una persona si accosta al sacro cuore e comincia a conoscerlo, legge in
quella lacerazione, ancora aperta, tutto il suo passato. E allora lo spirito di
amore penetra in tutta la sua vita e la spinge a trasformare in offerta di
riparazione le fatiche e le contrarietà della giornata.
La spiritualità
La spiritualità manifesta l’aspetto più profondo della devozione. Per cui, alla
radice della devozione c’è sempre la spiritualità.
La spiritualità fa sì che la devozione - nel nostro caso, quella al sacro cuore
- entri a far parte del progetto di vita spirituale personale.
Nel vivere la fede il cristiano ordina il dinamismo della propria vita
spirituale su delle direttrici nelle quali riesce a sintetizzare, ad
approfondire, a partecipare la fede nella propria vita.
La spiritualità viene presentata anche come un
modus vivendi, sentiendi, agendi,
ossia come uno sguardo, un angolo visuale dal quale si osserva la realtà; una
particolare sensibilità con cui la si valuta e una molla interiore che ci spinge
ad agire in conformità a ciò che abbiamo visto e osservato e ci sta
particolarmente a cuore. Si tratta di un approccio globale, esistenziale, che dà
orientamento a tutta la nostra vita.
In questo senso si usa parlare, per esempio, di spiritualità francescana,
benedettina, ignaziana e via dicendo. La spiritualità del sacro cuore è di
questo tipo.
Contemplando Gesù crocifisso trafitto, numerosi Padri della Chiesa, mistici e
santi - in epoche diverse e nelle diverse parti del mondo - vi hanno attinto una
motivazione e una forza straordinaria per la loro vita di fede e per il loro
zelo apostolico.
Uso dei tre termini
I tre termini “culto”, “devozione”, “spiritualità” si applicano naturalmente al
nostro rapporto con il cuore di Gesù e sono stati impiegati nei documenti della
Chiesa a esso relativi.
Il termine di gran lunga più diffuso nel linguaggio popolare, ma anche in una
parte notevole della letteratura sul sacro cuore, è sicuramente quello di
“devozione”. In sé, come abbiamo visto, è un termine perfettamente appropriato.
San Tommaso d’Aquino definisce la devozione come parte della virtù della
religione, che regola il nostro rapporto con Dio. Il
Catechismo della Chiesa Cattolica
invece ne parla nel contesto della religiosità popolare.
Tuttavia, erroneamente, sovente il termine devozione viene percepito in senso
peggiorativo, come devozionismo, ossia come qualcosa di sentimentale, se non di
superficiale e di scarso valore.
Il termine “culto” invece ha, anche negli ambienti e nei soggetti più critici,
una migliore accoglienza, perché evoca la liturgia.
Contesto biblico
Il culto, la devozione e la spiritualità del sacro cuore sono sorrette da una
teologia che affonda le sue radici nel solido terreno della Sacra Scrittura e da
una prassi tradizionale molto più antica dell’esperienza mistica di santa
Margherita Maria Alacoque - cui solitamente ci si riferisce - perché il simbolo
del cuore è di derivazione biblica.
Il cuore
La parola “cuore”, in ebraico
lev-levav,
nella Bibbia è usata quasi mille volte. Raramente (circa il 20% dei casi) viene
impiegata per indicare l’organo fisico che batte nel petto dell’uomo; il più
delle volte è usata con un significato simbolico.
Se noi ci chiediamo perché Dio ci abbia dato un cuore, rispondiamo “per amare”.
Non così la Bibbia. L’uomo biblico risponde che Dio ci ha dato un cuore per
pensare
e per
conoscere:
«Il Signore non vi ha dato una mente [un cuore, nell’originale, n.d.r.] per
comprendere né occhi per vedere né orecchi per udire» (Dt 29,3). Il primo
significato simbolico della parola “cuore” nella Bibbia è quindi quello di
comprendere, conoscere
e
sapere:
«Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio» (Sal
90,12); «Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro. E subito Gesù,
conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: “Perché
pensate queste cose nel vostro cuore?”» (Mc 2,6.8); «Stolti e lenti di cuore a
credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!» (Lc 24,25).
Il secondo significato che la Bibbia dà alla parola “cuore” è
memoria.
Anche nella nostra lingua il verbo “ricordare” viene da “cuore”. Nella Bibbia il
cuore e la memoria sono legati e hanno un forte riferimento alla vita di fede:
ricordare significa essere fedeli. «Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo
cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è
altro» (Dt 4,39); «Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore»
(Dt 6,6); «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo
cuore» (Lc 2,19; cfr. 2,51).
La parola “cuore”, infine, viene usata nella Bibbia anche per indicare i
sentimenti,
tutti i sentimenti, e non solo l’amore. Gioia, desiderio, gratitudine: «Il mio
cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente» (Sal 84,3); amarezza: «Mi si
spezza il cuore nel petto» (Ger 23,9); «Perciò il mio cuore per Moab geme come i
flauti, il mio cuore geme come i flauti per gli uomini di Kir-Cheres, poiché
sono venute meno le loro scorte» (Ger 48,36); fiducia: «Si rinsaldi il tuo cuore
e spera nel Signore» (Sal 27,14); l’amore di Dio per noi e il nostro amore per
lui: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu
amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le
forze» (Dt 6,4-5).
Per questa ricchezza di significato spesso nella Bibbia la parola “cuore”
rappresenta la persona nella sua totalità: «Il mio cuore esulta nel Signore»
(1Sam 2,1), che significa: «Io esulto nel Signore».
Il significato è lo stesso, ma quando si evidenzia il cuore la persona è vista
nella sua interiorità: pensieri, sentimenti intimi, progetti segreti e la stessa
razionalità, cioè la
ratio
con cui l’uomo sceglie di vivere la propria vita, per la Bibbia risiedono nel
cuore umano. Il cuore dell’uomo è il luogo dove l’essere umano è veramente e
totalmente sé stesso, senza maschere né ipocrisie: «Porrò la mia legge dentro di
loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il
mio popolo. Non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendo: “Conoscete il
Signore”, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande - oracolo
del Signore» (Ger 31,33-34). In maniera antropomorfa questa visione del cuore
viene poi applicata a Dio stesso: «Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio
intimo freme di compassione» (Os 11,8).
Il cuore quindi è lo specchio dell’anima, la persona stessa nelle sue radici
profonde: il cuore buono “fa” l’uomo buono, il cuore cattivo “fa” l’uomo
cattivo.
Nessuno potrà dire di conoscere pienamente una persona finché non avrà
conosciuto e saggiato il suo cuore. Conoscere il cuore di un uomo significa,
infatti, non solo conoscerne il nome o il volto, ma conoscerne i pensieri, gli
affetti, i progetti nascosti. Solo Dio conosce il cuore dell’uomo.
Secondo la Bibbia, quindi, il cuore non è solo un’immagine letteraria che
simboleggia sentimenti o emozioni, al contrario è il luogo dove si concentra
tutto il nostro essere, la parte interiore di noi stessi da dove hanno origine
le decisioni ultime e dove si vivono le esperienze decisive. Il cuore è la fonte
di tutto ciò che l’uomo è o decide di essere o di fare:
•
«Il mio cuore ripete il tuo invito: “Cercate il mio volto”. Il tuo volto,
Signore, io cerco» (Sal 27,8).
•
«Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio» (Gl
2,13).
•
«Questo popolo si avvicina a me solo con la sua bocca e mi onora con le sue
labbra, mentre il suo cuore è lontano da me» (Is 29,13).
•
«L’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore» (1Sam 16,7).
•
«Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male:
impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza,
invidia, calunnia, superbia, stoltezza» (Mc 7,21-22).
•
«Dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore» (Lc 12,34).
•
«Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa
la professione di fede per avere la salvezza» (Rm 10,10).
La parola “cuore” sottolinea spesso in maniera forte che una vita spirituale è
vera e autentica se c’è coerenza fra preghiera e scelte di vita, fra il nostro
cuore e il cuore di Dio.
Per la Sacra Scrittura il cuore è anche il luogo dove si compie l’incontro fra
Dio e l’uomo, il santuario interiore dove si accoglie la presenza divina e dove
l’uomo si dona completamente al suo Signore. Da questo si comprende molto bene
l’esigenza del primo comandamento cristiano: «Amerai il Signore tuo Dio con
tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il
grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo
prossimo come te stesso» (Mt 22,37-39; cfr. Mc12,29-31; cfr. Dt 6,4).
Il cuore di Gesù
Il fondamento della teologia del cuore di Cristo lo troviamo innanzitutto nel
mistero dell’incarnazione: «Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in
certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con
intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo.
Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile
a noi fuorché il peccato»
(Gaudium et spes,
22).
Il fatto dell’incarnazione, di Dio che si fa uomo come noi, ci mostra l’inaudito
realismo dell’amore eterno del Padre. L’agire di Dio, infatti, non si limita
alle parole, ma si immerge nella nostra storia e assume su di sé la fatica e il
peso della vita umana. Il Figlio di Dio si è fatto veramente uomo, è nato dalla
Vergine Maria, in un tempo e in un luogo determinati: a Betlemme durante il
regno dell’imperatore Augusto, sotto il governatore Quirinio (Lc 2,1-2); è
cresciuto in una famiglia, ha avuto degli amici, ha formato un gruppo di
discepoli, ha istruito gli apostoli per continuare la sua missione, ha terminato
il corso della sua vita terrena sulla croce.
Nel mistero della morte in croce si rivela la pienezza dell’amore del cuore di
Gesù, perché «nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i
propri amici» (Gv 15,13); il culmine viene raggiunto nella scena della
trafittura del costato di Gesù che troviamo nel Vangelo di Giovanni (19,31-37).
Gesù è sicuramente morto, tanto che i soldati non gli spezzano le gambe (Gv
19,32-33), ma uno di essi lo colpisce al costato con una lancia provocando una
ferita che non si rimarginerà più: il Risorto inviterà Tommaso a mettere la sua
mano nella ferita del costato (Gv 20,27). Da quella ferita sgorgano sangue e
acqua.
Il sangue, nel linguaggio biblico, è sede della vita (Lv 17,11.15), ma il sangue
sparso indica la morte; in questo caso è il simbolo della morte volontaria di
Gesù, che ha donato la vita, in obbedienza al Padre, per la nostra salvezza; è
espressione della sua gloria, del suo amore fino all’estremo (Gv 13,1); è la
donazione del pastore per le pecore (Gv 10,11); è l’amore dell’amico che dà la
vita per i suoi amici (Gv 15,13).
Nel pensiero di Giovanni, il dramma della croce non finisce con la morte, ma
continua in un flusso di vita che viene dalla morte: la morte di Gesù è l’inizio
della vita; così accade per tutti coloro che si comportano come il chicco di
grano che, se caduto in terra, muore, ma produce molto frutto (Gv 12,24).
L’acqua, nel contesto giovanneo, è simbolo dell’effusione dello Spirito:
«Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù, ritto in piedi, gridò:
“Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la
Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva”. Questo egli disse
dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era
ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato» (Gv 7,37-39).
Giovanni ha presente il fiume che sgorga dal lato destro del tempio e rende
fecondo tutto quello che raggiunge (Ez 47,1-12), e le acque vive che
scaturiscono da Gerusalemme (Zc 14,8). Gesù è così il tempio da cui sgorga
l’acqua viva della salvezza, che penetra ovunque, raggiunge ogni persona umana,
fa rifiorire l’esistenza perduta di ogni uomo. Il cuore di Gesù è la sorgente di
un torrente che rallegra i nostri deserti e li può trasformare in giardini: i
deserti delle nostre solitudini, della nostra incapacità di amare, dei nostri
egoismi. Gesù è colui che ci dona lo Spirito.
Nella scena della trafittura del costato si possono cogliere la nascita della
Chiesa e il dono dei sacramenti, con chiara allusione al Battesimo (acqua) e
all’Eucaristia (sangue).
Non dimentichiamo, infine, l’attenzione per la ferita del costato presente anche
nell’Apocalisse, sia quando si annuncia l’ultima venuta di Cristo (1,7), sia
quando Cristo risorto è descritto con l’immagine dell’agnello immolato, ma
vivente e glorioso (5,6). Suggestivo, a questo proposito, il commento di san
Bonaventura: «Per questo è stato trafitto: affinché attraverso la ferita
visibile, vedessimo la ferita invisibile dell’amore».
Nel cuore di Gesù è espresso il nucleo essenziale del cristianesimo; in Cristo
ci è stata rivelata e donata tutta la novità rivoluzionaria del Vangelo: l’amore
che ci salva e ci fa vivere già nell’eternità di Dio. Scrive l’evangelista
Giovanni: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito,
perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (3,16).
Il suo cuore divino chiama allora il nostro cuore; ci invita a uscire da noi
stessi, ad abbandonare le nostre sicurezze umane per fidarci di lui e, seguendo
il suo esempio, a fare di noi stessi un dono di amore senza riserve.
Sviluppo storico
I primi secoli
Nei primi secoli del cristianesimo non si sviluppa tanto la spiritualità del
cuore di Gesù, quanto piuttosto si approfondisce la meditazione sulla piaga del
costato di Cristo e il mistero dell’amore divino, allo stesso tempo fondamento e
culmine sia dell’incarnazione che della redenzione. Infatti, negli scritti dei
Padri della Chiesa, sono frequenti i passi nei quali si legge che lo scopo per
cui Gesù Cristo assunse una natura umana integra e un corpo caduco come il
nostro fu quello di provvedere alla nostra salvezza eterna e di manifestare a
noi nel modo più evidente il suo amore infinito, compreso quello sensibile:
«Subito dalla ferita sgorgarono sangue e acqua. Non è a caso o senza volere che
queste due sorgenti uscirono in questo frangente, perché il sangue e l’acqua
sono due elementi costitutivi della Chiesa. Coloro che sono già introdotti ai
sacri riti lo sanno bene; coloro, voglio dire, che sono stati rigenerati nelle
acque del Battesimo e che nell’Eucaristia si sono cibati della carne e del
sangue di Cristo. È a questa fonte che tutti i misteri cristiani attingono la
loro efficacia. Di modo che quando voi avvicinate le vostre labbra a questo
meraviglioso calice, fatelo nella convinzione che voi bevete il sangue prezioso
che sgorga dal costato aperto dello stesso Cristo» (san Giovanni Crisostomo).
E san Gregorio di Nissa: «Voglio correre da te, la Sorgente, e bere a grandi
sorsi il fiotto divino che tu spandi per coloro che hanno sete; è dal tuo
fianco, in cui la lancia ha aperto la vena come una bocca, che sgorga l’acqua
grazie alla quale colui che beve diventa a sua volta una sorgente».
Sant’Alessandro I papa affermò che la Chiesa nacque dalla passione di Cristo e
particolarmente dal momento in cui la piaga del costato, aperta dalla lancia,
versò sugli uomini le ultime gocce del sangue redentore. Il vescovo sant’Ireneo
di Lione (130 ca.-202 ca.) scrisse: «La Chiesa è quella fonte di acqua viva
scaturita per noi dal cuore di Cristo». Similmente si era già espresso san
Giustino, vissuto all’inizio del II secolo: «Noi cristiani siamo il vero Israele
uscito da Cristo, scaturito dal cuore di Cristo come l’acqua dalla roccia».
Tertulliano (155-227 ca.) vede nella piaga del costato l’apertura, salvifica per
ogni credente, dalla quale nascono i sacramenti e la stessa Chiesa. San Girolamo
(347 ca.-420) e sant’Agostino (354-430) amano paragonare la nascita di Eva dalla
costola di Adamo addormentato alla nascita della Chiesa, Eva salvatrice, dal
costato del nuovo Adamo “addormentato” sulla croce. L’apertura del costato è
contemplata come l’arca (di cui quella di Noè costituisce prefigurazione) che
accoglie e salva chiunque vi cerchi rifugio.
«Per il popolo d’Israele scorreva l’acqua dalla roccia, per voi scorre sangue
dal costato di Cristo. La loro sete fu spenta per un breve tempo, la vostra sete
è spenta dal sangue di Cristo per sempre», questa è l’immagine bellissima che
sant’Ambrogio (339 ca.-397), in modo semplice e vivo, ha lasciato ai fedeli.
San Giovanni Damasceno (650-749) afferma: «Certamente, tutto Dio ha assunto
tutto ciò che è in me uomo, e tutto si è unito a tutto, affinché arrecasse la
salvezza a tutto l’uomo. Infatti, non avrebbe potuto esser sanato ciò che non
fosse stato assunto».
L’epoca medievale
«Il cuore trafitto del Redentore ha sempre esercitato un potente stimolo al
culto verso il suo amore infinito per il genere umano [...]. È doveroso tuttavia
riconoscere che soltanto gradualmente esso venne fatto oggetto di un culto
speciale, come immagine dell’amore umano e divino del Verbo incarnato»
(Haurietis aquas).
San Gregorio Magno (540-604) così esortava il cristiano: «Intuisci nelle parole
di Dio il suo cuore, affinché tu possa avere una più ardente attrattiva per i
beni eterni».
Sul finire del secolo X si diffuse la devozione alle cinque piaghe del Signore.
San Pier Damiani (1007-1072) testimoniò in una delle sue più belle preghiere
quanto fosse radicato e profondo, in quel periodo storico, l’impegno a meditare
la passione di Cristo: «Tu, o Signore, per mezzo delle cinque ferite del tuo
sacratissimo corpo hai risanato tutte le piaghe che ci furono inflitte
attraverso i cinque sensi del nostro corpo... Adoro, o Signore, la tua croce,
adoro la tua morte vivificatrice». Questa devozione, nata negli ambienti
monastici, ben presto si diffuse tra il popolo, dove ricevette nuovo impulso
dalla predicazione dei Francescani e dei Domenicani tra il finire del XII e
l’inizio del XIII secolo.
Soltanto a partire dal secolo XI, però, si iniziò ad associare il cuore fisico
di Gesù, trafitto con una lancia sulla croce (Gv 19,34), al suo amore per noi.
San Bernardo (1090-1153) fu uno dei primi a parlare del cuore di Gesù: «Il
mistero del cuore di Gesù è aperto in virtù della ferita del costato. Aperto è
il grande mistero della sua bontà, aperto è il centro della misericordia»; «“Chi
mai ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere?”
(Rm 11,34). Ma il chiodo che è entrato nella sua carne è diventato la chiave del
mistero del suo disegno. Come possiamo noi trascurare di vedere attraverso così
grandi aperture? Chiodi e ferite gridano forte che in Cristo Dio ha riconciliato
a sé il mondo (2Cor 5,18-19). Il ferro lo ha trapassato fino ad arrivare al suo
stesso cuore, in modo che egli potesse conoscere come condividere le sofferenze
della nostra natura così soggetta alle ferite. Il segreto del suo cuore perciò è
manifesto nelle ferite del suo corpo. Ognuno può facilmente leggere in esse il
mistero dell’infinito amore di Dio e la misericordiosa tenerezza che è scesa su
di noi come un’aurora dall’alto (Lc 1,78)».
Guglielmo di Saint-Thierry (1075 ca.-1148), discepolo di san Bernardo, definì il
sacro cuore come «Santo dei Santi, Arca dell’Alleanza, scrigno aureo, urna della
nostra umanità contenente la manna della divinità».
San Domenico (1170-1221), san Francesco (1181/2- 1226) e sant’Antonio di Padova
(1195 ca.-1231) furono apostoli del sacro cuore: si dice che san Francesco,
meditando la ferita di Gesù crocifisso, avesse pianto così tanto da diventare
cieco. San Bonaventura (1221-1274) approfondì ancora maggiormente l’adorazione
al cuore di Gesù, dicendo: «Avvicinati con tutto il tuo ardore e con il tuo
abbandono d’amore a Gesù ferito... Non poggiare soltanto il tuo dito al posto
dei chiodi. Ma entra completamente attraverso la porta del costato per arrivare
al suo cuore. Perché dal fianco di Cristo morto in croce fosse tornata la Chiesa
e si adempisse la Scrittura che dice: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno
trafitto” (Gv 19,37), per divina disposizione è stato permesso che un soldato
trafiggesse e aprisse quel sacro costato. Ne uscì sangue e acqua, prezzo della
nostra salvezza. Lo sgorgare da una simile sorgente, cioè dal segreto del cuore,
dà ai sacramenti della Chiesa la capacità di conferire la vita eterna ed è, per
coloro che già vivono in Cristo, bevanda di fonte viva che “zampilla per la vita
eterna” (Gv 4,14)». Un altro figlio di san Francesco, san Pio da Pietrelcina
(1887-1968), lo comprenderà così bene da prendere l’abitudine di «coricarsi ogni
sera nel costato di Gesù».
Sulla scia di san Bonaventura troviamo anche sant’Alberto Magno (1206 ca.-1280),
maestro di san Tommaso d’Aquino (1225 ca.-1274), che insegnò: «Cristo versò il
suo sangue dalla piaga del costato e da quella del cuore, allo scopo di
fortificare la vacillante fede dei suoi discepoli e di eccitare la pietà di
molti altri che sono ingannati dalla tranquillità di una vita piacevole,
ravvivando le anime fredde e indebolite».
Fino ad allora questa devozione era limitata a un culto privato, praticato da
anime elette, solitamente monaci, ma, non ricevendo ancora un culto pubblico,
non aveva né un’autorizzazione ufficiale né una diffusione popolare. Furono
alcune grandi mistiche medievali a rilanciare la devozione, diffondendola
all’esterno dei chiostri.
Nei secoli XII-XIII, nel monastero benedettino di Helfta, in Sassonia
(Germania), si formò quasi una scuola sul sacro cuore, promossa da santa Matilde
di Magdeburgo (1212 ca.-1283), la badessa Gertrude di Hackeborn (1232-1292), sua
sorella santa Matilde (1241-1298) e santa Gertrude di Helfta o la Grande (1256
ca.-1301 ca.).
In particolare Matilde di Magdeburgo, santa Matilde di Hackeborn e santa
Gertrude di Helfta furono favorite da visioni del sacro cuore e illuminate sulla
devozione che dovevano diffondere nella Chiesa. Gli scritti delle tre monache
benedettine tedesche costituiscono un vero tesoro, ancora più avvalorato dalla
testimonianza offerta dalla profonda amicizia che le univa, essendo vissute per
molti anni nello stesso convento, quello di Helfta, appunto.
Qui, Matilde di Magdeburgo trascorse i suoi ultimi anni di vita, ricevendo le
rivelazioni di Gesù che, con parole meravigliose, le narrava la sua vita intima.
Ma fu principalmente grazie alle altre due mistiche cistercensi, Matilde di
Hackeborn e santa Gertrude la Grande, che si sviluppò, nel corso del XIII-XIV
secolo, la devozione al sacro cuore di Gesù.
Matilde di Hackeborn, infatti, prima in ordine cronologico, contemplò nel cuore
di Cristo «la casa rifugio» dove entrare per trovare pace e gioia anche nei
giorni di dolore. Ma la vera esplosione si ebbe con santa Gertrude la Grande,
ritenuta l’iniziatrice della devozione al sacro cuore. È detta, infatti, “la
teologa del sacro cuore”, “la santa dell’umanità di Cristo” o “annunciatrice del
cuore di Gesù”, poiché contemplò il cuore di Cristo risorto e, nei suoi scritti,
ne diffuse la devozione. Per lei, il sacro cuore era «sorgente d’acqua viva» che
si versa sulla terra per santificare i giusti, convertire i peccatori e, nel
Purgatorio, per recare refrigerio alle anime sofferenti. Per lei, la
spiritualità del cuore di Gesù fu un invito alla gioia, all’abbandono fiducioso
“in lui”, alla ricerca di maggiore intimità con l’Amato che si realizza nella
partecipazione alla liturgia e alla mensa eucaristica: «Caro Gesù, nascondimi
nella ferita del tuo amatissimo cuore... A te, unico amore del mio cuore, dono
me stessa come sacrificio, per vivere da ora in poi per te soltanto. Modella
dunque il mio cuore sul tuo, perché io possa camminare per piacere a te. Per
mezzo del tuo cuore ferito, amatissimo Signore, trafiggi il mio cuore con il
dardo del tuo amore, perché non possa più contenere le cose della terra, ma
possa essere guidato soltanto dall’impulso della tua divinità».
Va evidenziato, inoltre, il parallelismo e la contemporaneità fra lo sviluppo
del culto al sacro cuore e la diffusione dell’adorazione eucaristica. Nel 1300,
infatti, in Germania il Santissimo Sacramento venne esposto in un ostensorio a
forma di Cristo in croce, nel quale l’ostia era posta, sotto vetro, in mezzo al
petto di Gesù, al posto del cuore.
Sempre del 1300 sono il beato Enrico Suso (1295-1366), santa Brigida di Svezia
(1303-1373) e santa Caterina da Siena (1347-1380) che si fecero veri e propri
banditori della spiritualità del cuore trafitto. In particolare, un giorno, in
preghiera, la Santa senese chiese al Signore: «Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo» (Sal 51,12). Ciò che accadde in seguito, ella
lo raccontò al suo direttore spirituale: «Il Signore mi è apparso, mi ha aperto
il petto a sinistra, ha tolto il mio cuore e se n’è andato». Per alcuni giorni
santa Caterina ripeteva: «Non ho più un cuore», fin quando Gesù le apparve di
nuovo e le sue mani reggevano un cuore lucente di colore purpureo. Aprì
nuovamente il costato sinistro della Santa e vi inserì delicatamente il cuore
luminoso. Gesù le disse: «Vedi, mia diletta e cara figlia, ti ho tolto il cuore
e l’ho sostituito con il mio. Batterà in te per una vita eterna». Come segno
dello scambio dei cuori, a Caterina rimase per tutta la vita una cicatrice.
Il Rinascimento
Tra il XIV e il XVI secolo, molti scrittori spirituali rilanciarono la devozione
del sacro cuore, affidandole il compito di espiare le colpe dell’epoca. Fra essi
ricordiamo Giovanni di Landsberg (detto Lanspergio, 1489-1539), l’abate
certosino che diffuse le rivelazioni fatte a santa Gertrude e le trasmise ai
Gesuiti; Luigi de Blois (1506-1566), abate benedettino di Liessies, che trasmise
la devozione a san Francesco di Sales; Giovanni Olier (1608-1657), fondatore
della Congregazione di San Sulpizio; e soprattutto il gesuita olandese san
Pietro Canisio (1521-1597). Dobbiamo innanzitutto a lui se la Compagnia di Gesù,
fin dagli inizi, fu sensibile alla devozione al sacro cuore, promossa dai
gesuiti Louis Lallemant (1588-1635) e Jean-Baptiste de Saint-Jure (1588-1657).
Un ruolo speciale lo ebbe san Francesco di Sales (1567-1622), che insegnò non
solo l’imitazione dei sentimenti intimi di Cristo, particolarmente quelli di
umiltà, dolcezza e pazienza, ma anche la conformazione del cuore umano a quello
divino. Su sua ispirazione, santa Giovanna Francesca Frémiot de Chantal
(1572-1641) fondò l’Ordine della Visitazione, da lui consacrato proprio al sacro
cuore di Gesù e caratterizzato da questa devozione (fu proprio a una religiosa
di quest’ordine che, come vedremo, Gesù rivelò i misteri del suo cuore).
San Giovanni Eudes (1601-1680) inizialmente propagò unitamente la devozione ai
cuori di Gesù e di Maria, mentre in seguito compose a parte un Ufficio e una
Messa in onore del sacro cuore di Gesù, che vennero celebrati per la prima
volta, in diverse località della Francia, il 20 settembre 1672. Ma la devozione
al cuore di Gesù ebbe grande incremento, attorno al 1680, soprattutto grazie
all’opera di santa Margherita Maria Alacoque (1647-1690), di Paray-le-Monial.
Gesù le apparve molte volte e le mostrò il suo cuore ardente d’amore per il
mondo, quel cuore «così poco ricambiato in amore!». Alla suora visitandina va
associato anche san Claudio La Colombière (1641-1682), che tanto si impegnò per
la diffusione della devozione.
Per l’importanza che rivestono san Giovanni Eudes, santa Margherita Maria e san
Claudio La Colombière presenteremo la loro biografia in dettaglio
(vedi pag. 53).
Verso la festa del sacro cuore
La devozione si diffuse anche in molte corti europee; per esempio, nel 1688 la
regina di Polonia Maria Casimira la promosse nella sua reggia, in ringraziamento
per la grande vittoria ottenuta sui turchi presso Vienna nel 1683 da suo marito,
il re Giovanni Sobieski.
In quell’epoca, apostoli e predicatori fecero sì che il culto al sacro cuore
uscisse non solo dagli ambienti claustrali, com’era già accaduto nel XII secolo,
ma anche da quelli ecclesiastici, diffondendosi fra i laici di tutte le
condizioni sociali. La provvidenza aveva posto le premesse affinché il sacro
cuore ricevesse un culto universale e ufficiale.
In maniera molto originale, fu santa Teresa Margherita Redi (1747-1770) colei
che introdusse nel Carmelo la festa del sacro cuore di Gesù. Con il suo vivace
modo di fare, il giorno della festa, preparò una sorpresa per le consorelle e
prima della preghiera sistemò davanti al coro un’immagine del cuore di Gesù. Le
consorelle si erano appena riprese dallo stupore quando Teresa Margherita intonò
un canto in onore del cuore di Gesù accompagnata da tutte le suore che suonavano
gli strumenti. Da quel giorno l’amore per il cuore di Gesù fu trasmesso a tutto
il convento e la festa del cuore di Gesù presso le Carmelitane fu celebrata
solennemente ogni anno. Tornata alla quotidianità della vita di fede, suor
Teresa Margherita volle offrire la sua esistenza per la diffusione della
devozione del cuore di Gesù e con la stessa disposizione d’animo morì, per
un’inaspettata e breve grave malattia, tenendo in mano un santino del cuore di
Gesù.
I principi fondamentali dell’amore per il cuore di Gesù furono impressi in santa
Francesca Saverio Cabrini (1850-1917) fin dall’infanzia e caratterizzarono tutta
la sua vita fino all’ultimo; quando, la mattina del giorno della sua morte, le
furono lette le notizie dal fronte della prima guerra mondiale, ella disse con
animo fiducioso: «Succeda quel che succeda, io chiudo i miei occhi e non alzo
più la mia testa dal cuore di Gesù».
Madre Luisa Margherita Claret de la Touche (1868-1915) comprese che «il cuore di
Gesù e quello del sacerdote dovrebbero essere un solo cuore: le stesse virtù...
lo stesso battito del cuore per Dio, per Maria, per la Chiesa e per le anime. Il
sacerdote, per trasformare il suo cuore, dovrebbe penetrare nel cuore di Gesù
con meditazioni amorevoli, cercare di pensare come il divino Maestro, amare come
lui, vivere come lui. Egli dovrebbe diventare un sacerdote come Cristo, un cuore
con Cristo».
La beata Maria del Divin Cuore di Gesù (1863-1899), che nella sua autobiografia,
con straordinaria franchezza, scrisse sulla missione affidatale da Dio: «Mai ho
sentito qualche cosa con i miei orecchi, tutto è interiore, come se si sentisse
una voce nel cuore e allo stesso tempo nella mente», il 4 giugno 1897 riferì al
suo confessore: «Il Salvatore mi ha ordinato di scrivere al papa Leone XIII per
pregarlo di consacrare tutta l’umanità al cuore divino... al fine di rendere più
ardenti i vescovi e i sacerdoti, per convertire i peccatori, per far tornare
alla Chiesa eretici e scismatici e per i pagani che presto possano ricevere
questa grazia». Ma dal Vaticano non arrivò risposta. Perciò, a dicembre, con
mano tremante, mentre dolorosamente in lei avanzavano la mielite e la paralisi,
Maria scrisse di nuovo al Papa: «Dare consolazione al Salvatore e ravvivare la
venerazione del suo sacratissimo cuore». Pochi mesi dopo, nella Pasqua del 1899,
il Papa annunciò la consacrazione del mondo e disse ai genitori di Maria in
un’udienza privata: «Riferiscano alla loro figlia che ho preso la decisione
sulla base di ciò che mi ha comunicato e mi aspetto grandi grazie come effetto
della consacrazione. Vedremo se ciò che mi ha riferito viene accettato in
cielo».
La superiora di Oporto in quel periodo era già completamente paralizzata e offrì
tutti i dolori per la consacrazione. Una delle sue consorelle testimonia: «La
nostra madre era talmente debole verso le quattro del mattino della vigilia
della festa del sacro cuore che, con urgenza, ho fatto chiamare il confessore e
il medico. Ella, in maniera commovente, mi ha detto: “Mi devo preparare bene per
la festa di Gesù. Ho sempre pregato di morire o il primo venerdì del mese o alla
festa del sacro cuore”». E fu esaudita.
Suor Maria del Divin Cuore di Gesù morì il pomeriggio dell’8 giugno 1899; doveva
ancora compiere 36 anni. Nella cappella erano appena iniziati i vespri per la
consacrazione del mondo al cuore di Gesù.
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