Regola di S. Benedetto

Prologo: 14 Quando poi il Signore cerca il suo operaio tra la folla, insiste dicendo: 15 "Chi è l'uomo che vuole la vita e arde dal desiderio di vedere giorni felici?". 16 Se a queste parole tu risponderai: "Io!", Dio replicherà: 17 "Se vuoi avere la vita, quella vera ed eterna, guarda la tua lingua dal male e le tue labbra dalla menzogna. Allontanati dall'iniquità, opera il bene, cerca la pace e seguila". 18 Se agirete così rivolgerò i miei occhi verso di voi e le mie orecchie ascolteranno le vostre preghiere, anzi, prima ancora che mi invochiate vi dirò: "Ecco sono qui!". 19 Fratelli carissimi, che può esserci di più dolce per noi di questa voce del Signore che ci chiama?

Capitolo LVIII - Norme per l'accettazione dei fratelli : 1. Quando si presenta un aspirante alla vita monastica, non bisogna accettarlo con troppa facilità, ... 6. Ad essi venga inoltre preposto un monaco anziano, capace di conquistare le anime, con l'incarico di osservarli molto attentamente. 7. In primo luogo bisogna accertarsi se il novizio cerca veramente Dio, se ama l'Ufficio divino, l'obbedienza e persino le inevitabili contrarietà della vita comune. 8.Gli si prospetti tutta la durezza e l'asperità del cammino che conduce a Dio.

Capitolo II - L'Abate:  33.Soprattutto si guardi dal perdere di vista o sottovalutare la salvezza delle anime, di cui è responsabile, per preoccuparsi eccessivamente delle realtà terrene, transitorie e caduche, 34.ma pensi sempre che si è assunto l'impegno di dirigere delle anime, di cui un giorno dovrà rendere conto 35.e non cerchi una scusante nelle eventuali difficoltà economiche, ricordandosi che sta scritto :"Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in soprappiù" 36.e anche: "Nulla manca a coloro che lo temono".

 


Cercare Dio

Dio che cerca l’uomo e l’uomo che cerca Dio

M-G. Lepori Abate Generale O. Cist.

Estratto da “Corso di formazione monastica” - Capitolo del 01/09/2015 – Dal sito dell’Ordine Cistercense (ocist.org)


 

Ciò che san Benedetto ci propone nella sua Regola è l’imitazione di Cristo nella sua obbedienza al Padre come ambito di restaurazione dell’immagine di Dio in noi.

Collegato a questo ambito è anche l’aspetto della ricerca di Dio. Se l’uomo è immagine di Dio, il desiderio di aderire al suo Modello fa parte della sua natura, soprattutto dopo che il peccato ha offuscato questa immagine e reso estranea all’uomo la comunione con il suo Creatore. Cercare Dio, per l’uomo creato a sua immagine, significa cercare la sua identità più profonda, cercare chi egli è veramente.

È interessante notare che su quattro ricorrenze del verbo «cercare – quaerere» nella Regola di san Benedetto, due riguardano Dio che cerca l’uomo e due l’uomo che cerca Dio.

Nel Prologo, Dio è descritto come Colui che cerca «il suo operaio» ponendo la domanda che conosciamo bene: «Chi è l’uomo che vuole la vita e desidera vedere giorni felici?» (Prol. 1415).

Non cerca un operaio per un lavoro, ma per collaborare alla sua opera più eccelsa: la creazione dell’uomo stesso. Cerca un operaio che lavori con Lui per completare quello che voleva realizzare creando l’uomo a sua immagine. Cerca dunque un uomo che vuole trovare la sua pienezza di umanità diventando immagine viva e compiuta del suo Creatore. Lo abbiamo già visto sotto diversi aspetti, ma qui è importante sottolineare che il fatto di essere immagine di Dio, prima di provocare o esigere la nostra ricerca di Dio, spinge Dio a cercarci per primo. E a cercarci come appartenenti a Lui, come creature che Gli sono proprie: Dio cerca «il suo operaio». Non ci cerca come un oggetto perduto, ma come un operaio perduto, come un collaboratore che manca alla sua opera. E quest’opera Dio non può realizzarla da solo, senza il suo operaio, perché l’opera coincide con l’operaio, coincide con l’uomo. L’opera di Dio è la Sua immagine nell’uomo, un’opera che l’uomo non può compiere senza Dio, ma che neanche Dio può compiere senza l’uomo.

L’uomo che vuole la vita e desidera vedere giorni felici viene quindi a corrispondere all’uomo che vuole che si compia in sé l’immagine di Dio che egli è, e all’uomo che accetta di collaborare con Dio perché ciò si realizzi. L’idea dell’uomo come «operaio di Dio» è da mantenere presente nel nostro spirito, perché ci permette di leggere tutto l’aspetto ascetico della Regola come collaborazione dell’uomo all’opera del Creatore. Dio si è riposato dopo la creazione dell’uomo. Ma possiamo dire che dopo il peccato originale, Dio non ha riposo finché non abbia cercato e ritrovato un uomo disponibile a continuare e completare con Lui l’opera interrotta, spezzata; l’opera di Dio espressa e contenuta nel «Facciamo» del «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza» (Gen 1,26).

L’operaio, naturalmente, è sottomesso al suo Signore, deve obbedirgli, ma nello stesso tempo, quando lavora all’opera che fa il Signore, è come se fosse allo stesso livello. Quando un capo comanda e l’operaio fa il lavoro, i due non sono allo stesso livello. Ma quando capo e operaio lavorano entrambi alla stessa opera, dal punto di vista di quest’ultima, sono allo stesso livello. L’opera li unisce.

Detto questo, san Benedetto inizia subito a descrivere quest’opera di compimento dell’uomo, immagine di Dio, citando sempre il Salmo 33: «Preserva la lingua dal male, le labbra da parole bugiarde. Sta’ lontano dal male e fa’ il bene, cerca la pace e perseguila» (Prol. 17; Sal 33,14-­15).

E quando l’uomo si mette così all’opera, Dio si rivela a lui come suo cooperatore, il suo corrispondente, il Volto di cui l’uomo è l’immagine: «Se agirete così rivolgerò i miei occhi verso di voi e le mie orecchie ascolteranno le vostre preghiere, anzi, prima ancora che mi invochiate vi dirò: “Ecco sono qui!”» (Prol. 18).

Tutta la Regola descrive così l’opera che l’operaio di Dio è chiamato a realizzare con il suo Signore perché si restauri e si compia l’immagine di Dio in lui. Basti pensare al capitolo 4, «Gli strumenti delle buone opere». Leggere tutta questa lista pensando al desiderio di Dio di collaborare con il suo operaio all’opera dell’immagine di Dio, rende tutti questi precetti e questi consigli meno estranei, perché si tratta di noi stessi, dell’opera di Dio che noi siamo e che dobbiamo diventare. E per san Benedetto, tutto contribuisce a quest’opera, tutto nella vita del monastero fa parte dell’opera che collabora con Dio alla nostra nuova creazione. Anche il lavoro manuale, anche il più banale servizio alla comunità è parte integrante di quest’opera prioritaria e fondamentale. Per questa ragione, tutto nel monastero di san Benedetto è da compiere con questa coscienza, con riverenza verso Dio, con profondo rispetto per l’uomo, sua immagine in cantiere.

Tutto questo dunque riguardo al primo uso del verbo «cercare».

Dio cerca il suo operaio. A questa ricerca fa eco il secondo uso di questo verbo, nel capitolo 2, sull’abate. Se Dio cerca l’uomo per lavorare con lui, è importante che il responsabile di quell’officina che è il monastero (cfr. RB 4,78) sia anche alla ricerca, una ricerca che riflette quella di Dio. L’abate deve dunque «cercare anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia» (2,35; Mt 6,33). E riguardo a che cosa dovrebbe impegnarsi in questa prioritaria ricerca del Regno? A favore delle anime a lui affidate perché siano salvate: «Soprattutto si guardi dal perdere di vista o sottovalutare la salvezza delle anime, di cui è responsabile, per preoccuparsi eccessivamente delle realtà terrene, transitorie e caduche» (2,33).

Sono proprio le anime che portano impressa l’immagine di Dio. L’abate del monastero deve essere un po’ il primo degli operai che Dio cerca per lavorare con Lui alla creazione e redenzione dell’immagine di Dio in ogni uomo. In questo senso è pastore, e la sua opera è quella del pastore che veglia sul gregge.

«Così, nel continuo timore dell’esame a cui verrà sottoposto il pastore riguardo alle pecore che gli sono state affidate, mentre si preoccupa del rendiconto altrui, si fa più attento al proprio e corregge i suoi personali difetti, aiutando gli altri a migliorarsi con le sue ammonizioni» (RB 2,39-­40).

Per l’abate, cercare il Regno di Dio significa anche cercare la pecorella smarrita. Questo è il terzo uso del verbo «cercare» nella Regola, in un passo che abbiamo già visto a proposito del verbo «imitare»: «Imiti piuttosto la misericordia del buon Pastore che, lasciate sui monti le novantanove pecore, 3 andò alla ricerca dell’unica che si era smarrita ed ebbe tanta compassione della sua debolezza che si degnò di caricarsela sulle sue sacre spalle e riportarla così all’ovile» (RB 27,8-­9).

Qui, come ho detto, è Dio che cerca non più il suo operaio, ma la sua opera, il suo capolavoro perduto: l’uomo lontano dalla sua immagine perché lontano dal suo Modello divino. Nella compassione verso i colpevoli e i deboli, verso le «anime inferme» (27,6), che sono immagini di Dio offuscate, ricoperte di sporcizia, riscopriamo noi stessi l’immagine del Dio della Misericordia, e aiutiamo gli altri a ritrovarla nella gioia del perdono.

Il quarto uso del verbo «cercare» è il più conosciuto, là dove san Benedetto chiede al maestro dei novizi di verificare se il candidato alla vita monastica «cerca veramente Dio – si revera Deum quaerit» (RB 58,7).

Ma spesso non pensiamo al fatto che è proprio nell’atto di cercare Dio che il novizio, e ogni monaco, riflette in sé il Dio che ci cerca. Al Dio che cerca «un uomo che vuole la vita e desidera vedere giorni felici», dunque un uomo che vuole essere pienamente uomo, immagine di Dio, corrisponde un uomo che cerca veramente Dio, perché la vita e la gioia dell’uomo sono Dio stesso, la pienezza della nostra umanità è in Dio, è Dio, perché noi siamo creati a sua immagine e somiglianza.

Dio e l’uomo si cercano. Dio ha bisogno dell’uomo e l’uomo ha bisogno di Dio. Hanno bisogno l’uno dell’altro per realizzare la stessa opera: l’immagine di Dio nell’uomo, per collaborare al «Facciamo» che Dio ha pronunciato nel creare l’uomo. Quest’opera, lo ripeto, Dio non può compierla senza l’uomo, e l’uomo non può compierla senza Dio.

Perciò tutta la nostra vita nel monastero consiste nell’incontro di queste due ricerche reciproche, di Dio e dell’uomo, che trovano pace, non tanto nel riposo, ma nell’opera comune della nostra conversione, della restaurazione dell’immagine di Dio in noi durante tutta la nostra vita.

Quando ci pensiamo, ogni aspetto della nostra vita, la preghiera, il lavoro, la vita comune, la solitudine, il riposo, e così via, diventa importante, vitale, persino entusiasmante, perché tutto non è che costante collaborazione con il Dio che ci cerca per compiere l’opera della Sua immagine viva e amorevole in noi.

 


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25 aprile 2023                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net