REGOLA DEL MAESTRO
CAPITOLO VIII.
Domanda dei discepoli:
VIII. IL SILENZIO
DEI DISCEPOLI: COme DEVE ESSERE E FIN DOVE DEVE ARRIVARE.
Il Signore ha risposto per mezzo del Maestro:
1 L’edificio del genere umano è il nostro povero corpo; 2 benché
sia di piccola dimensione e si erga da terra di appena cinque piedi in alcuni
individui particolarmente alti, — 3 presunzione e «vanità è ogni uomo
vivente»! (Sal 39 (38),6: Volg.) — 4 nella sua piccolezza, crede di
misurare con la sua saggezza l'altezza del cielo e la larghezza della terra.
5 E così, sapendo di essere deboli vasi «fatti con polvere del suolo»
(Gn 2,7) e delle specie di zolle di terra che si ergono sopra il terreno per un
po' di tempo e destinate a ricadere nuovamente nel loro solco, umiliamoci dunque
come la polvere della terra e diciamo ciò che siamo.
6 Perciò questa carne del nostro povero corpo è una specie di dimora
dell’anima, destinata a servizio della vita come il fodero è al servizio della
spada. 7 Quanto alla sede dell’anima, la crediamo situata nella
radice che è il cuore. 8 Questa radice possiede nel corpo due rami
superiori, più vulnerabili dal peccato. 9 L’uno con il quale crediamo
che, dall'interno, l’anima osservi attraverso la parete del corpo con queste
specie di finestre che sono i fori degli occhi e la vediamo istigare
incessantemente, dell'interno, l'oggetto delle sue cupidigie; 10
L'altro ramo, con il quale fa risuonare in noi le creazioni concepite dalla
mente, che partoriscono con la lingua il discorso, affinché quest'ultimo,
uscendo dalla porta che è la bocca, si impossessi dell'udito altrui. 11
E tutto ciò che si agita e si muove in noi è l'opera dell’anima nel corpo. 12
E’ il motivo per cui, al contrario, quando l’anima lascia il suo domicilio,
nell'uomo morto non c’è più tutto ciò che realizzava l’anima nel corpo vivo.
13 All'istante la zolla morta è resa al suo terreno d'origine, la
terra che è l'uomo torna alla sua natura di terra, l'uomo si nasconde in una
tomba, si copre la fossa e la terra ritorna al suo aspetto di suolo. 14
Appare così che era la terra stessa che si trovava nell'uomo quando era in vita
e che la forza dell’anima l’aveva tenuta eretta e trasformata per un momento in
una vita passeggera. 15 Perciò, quando la forza dell’anima che è in
noi se ne va, la terra del nostro corpo non può restare eretta. 16 Essa ricade
nella sua natura e la terra nasconde nel suo seno la creatura che aveva
generato.
17 Se dunque l’anima opera in noi la visione degli occhi, il discorso della
bocca e l'udito degli orecchi 18 e se essa desidera, in previsione
dell'esame cui la sottoporrà il suo autore, obbedire alla volontà di Dio e
servire sotto i suoi ordini mentre è in vita, 19 deve chiudere alle
sue cupidigie le finestre degli occhi ed abbassare con umiltà lo sguardo verso
terra. 20 Così non vedrà il male ed abbassando lo sguardo l’anima
non ambirà più a tutto ciò che vedrà.
21 La nostra anima dispone poi di una porta: la bocca, ed un catenaccio: i
denti, che può chiudere ai discorsi perversi. Così l’anima non può in nessun
modo scusarsi dicendo che il suo autore non le abbia fabbricato una solida
custodia. 22 In altri termini, quando un peccato progredisce in un
fratello, partendo dalla radice del cuore, e si accorge che il muro esterno di
chiusura, cioè la bocca ed i denti, gli proibisce di uscire, 23 dovrà
tornare di nuovo alla radice del cuore e qui perire nel proprio aborto, «come i
piccoli sfracellati contro la pietra» (Sal 137 (136),9), anziché nascere con la
lingua e crescere fino alla punizione.
24 Quanto agli altri rami del nostro corpo, che obbediscono alle ingiunzioni
del cuore, è facile tenerli a freno dal peccato — vogliamo dire cioè del tatto
delle mani e del cammino dei piedi —, 25 poiché la chiusura in catene
frena il ladro ed il terrore della sentenza l'omicida, mentre i ceppi
trattengono il fuggitivo.
26 Sono dunque le tre facoltà superiori di cui abbiamo parlato prima che i
fratelli devono sorvegliare più attentamente, cioè il pensiero, la parola e lo
sguardo. 27 Il pensiero: non appena un pensiero cattivo si impossessa
dello spirito, i fratelli si facciano immediatamente il segno della croce sulla
loro fronte ed anche sul loro petto, e dirigeranno la loro memoria verso i
precetti di Cristo. 28 Ed il fratello dirà a se stesso col profeta:
«Mi ricordo di Dio e ne sono consolato» (Sal 77 (76),4; 119(118),52) 29
e dirà ancora: “Da te sarò tratto fuori dalla tentazione e con il mio Dio
scavalcherò le mura„ (Sal 18 (17),30; Vulg.).
30 Se la negligenza mette nella bocca una parola d’ira, cattiva o vana,
immediatamente il fratello chiuderà la bocca, la sigillerà col sigillo della
croce e parlerà a sé stesso nel suo cuore, 31 dicendo con il profeta:
«Ho detto: «Vigilerò sulla mia condotta per non peccare con la mia lingua;
metterò il morso alla mia bocca»: ammutolito, mi umiliai e non parlai neanche di
cose buone» (Sal 39(38),2-3; Volg.). 32 In altre parole: il profeta
ci mostra che, se si deve a volte rinunciare a parole buone a causa del
silenzio, a più forte ragione ci si deve astenere dai discorsi cattivi a causa
della punizione che colpisce il peccato. 88 Dunque, se si tratta di
parole buone e sante ed edificanti, i discepoli perfetti ricevano soltanto di
rado il permesso di parlare, perché conservino un silenzio pieno di gravità. 84
Tuttavia, per motivi di altro tipo, i fratelli che non
saranno stati interrogati rimarranno in silenzio fino a che un'interrogazione
dell'abate abbia sciolto il freno della loro bocca silenziosa. 86 Se
i fratelli devono conservare il silenzio molto accuratamente, è ancora perché,
«nel molto parlare non manca la colpa» (Pr 10,19). 86 Ed ancora
«Morte e vita sono in potere della lingua» (Pr 18,21). 87 Se infatti
parlare e insegnare é compito del maestro, il dovere del discepolo è di tacere e
ascoltare.
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20 gennaio 2017
a cura di Alberto "da Cormano"
alberto@ora-et-labora.net