REGOLA DEL MAESTRO

 (Libera traduzione da "Patrologia Latina" - J. P. Migne)

 

 

Domanda dei discepoli:

CAPITOLO LXXXIII.

 Come si devono ricevere i sacerdoti AL MONASTERO.

Il Signore ha risposto per mezzo del Maestro:

 

1 I sacerdoti saranno accolti nel monastero come forestieri, soprattutto perché la loro suprema dignità è limitata alle chiese e si esercita solo in queste. 8 Se, per amor di Dio, per la disciplina e per le norme della vita santa, scegliessero di vivere nei monasteri, 4 essi saranno tuttavia chiamati "padri del monastero" in un senso puramente nominale 5 e non avranno potere nei monasteri, se non per pronunciare le preghiere finali, per concluderle e per benedire. 6 Per il resto, non potranno permettersi nulla e non avranno alcun potere, né potranno rivendicare un posto qualunque nell'organizzazione, nel governo e nell'amministrazione dei beni di Dio; 7 ma è l'abate, stabilito dalla regola su tutto il gregge, che giudicherà e riserverà a se stesso qualsiasi tipo di autorità e potere di governo sul monastero. 8 Infatti, abbiamo prescritto di chiamarli "padri del monastero" nel senso puramente nominale di questa dignità ed a causa della loro consacrazione sacerdotale; 9 e non perché si appoggino a questa dignità per escludere gli abati dalle responsabilità e dal governo del monastero, con il pretesto che sono solo dei laici.

10 Se, inoltre, questi sacerdoti scelgono di condividere il cibo, l'abito e le calzature del monastero ogni giorno, 11 dovranno anche lavorare insieme con i fratelli secondo il precetto dell'Apostolo. 12 L'abate non li costringerà eccessivamente a causa dell'autorità, ma li inviterà rispettosamente. 13 Inoltre, se sono degli spirituali, si imporranno spontaneamente da se stessi ciò che gli altri potrebbero ordinare loro, 14 ricordando sempre come il santo apostolo Paolo dava se stesso come esempio, dicendo: "non abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno" (2 Ts 3, 8). 16 E ancora dice: "abbiamo lavorato duramente, ... per non essere di peso ad alcuno di voi " (2 Ts 3, 8; 1 Cor 4,12). 13 Ed è di nuovo lui che dice: "chi non vuole lavorare, neppure mangi" (2 Ts 3, 10).

17 Quindi, se restano inoperosi molto a lungo e si rifiutano di guadagnarsi da vivere lavorando con le loro mani, 18 l'abate li denuncerà rispettosamente in presenza di molti testimoni religiosi, ed essi torneranno alle loro chiese. 18 E se, Dio non voglia, non decidono di andarsene in pace, ma piuttosto con una scenata, 20 saranno presi a forza, si porteranno loro via gli effetti del monastero, ma senza arrivare ad una pesante ingiuria, saranno messi alla porta e la si chiuderà dietro di loro. 21 Perché devono fare loro stessi, a maggior ragione, ciò che predicano agli altri, 22 ovvero che è un precetto universale di Dio che agli oziosi sia negato il pane dei lavoratori.

 

Domanda dei discepoli

CAPITOLO LXXXIV.

 Chi SONO COLORO CHE DEVONO mangiare con l'abate?

Il Signore ha risposto per mezzo del Maestro:

 

1 Alla tavola dell'abate prenderanno posto gli anziani, i forestieri in visita, 2 come pure i fratelli che conoscono il salterio, a turno e secondo la volontà dell'abate; 3 sono esclusi i prepositi, a cui è stato prescritto di essere presenti alle loro tavole nel mezzo delle loro decadi, per sorvegliare la causa di Dio, cioè il silenzio e la gravità, in coloro che sono stati loro affidati. 4 Se abbiamo davvero detto che siano entrambi presenti alla tavola della loro decade, è perché custodiscano con vicendevole sollecitudine contro tutti i vizi i dieci fratelli affidati alle loro cure.

 

Domanda dei discepoli:

CAPITOLO LXXXV.

 Come e A quanto SI DEBBANO vendere ALCUNI OGGETTI FABBRICATI AL MONASTERO.

Il Signore ha risposto per mezzo del Maestro.

 

1 Nel caso che la realizzazione di un qualunque prodotto artigianale ecceda la possibilità di utilizzo nel monastero, così come la necessità di inviare doni, 3 ci si informerà sul prezzo secondo il quale i secolari possono venderlo e lo si venderà sempre per una somma inferiore e ad un prezzo più basso, 3 in modo che si riconosca che gli spirituali in questo ambito si distinguono dai secolari per il loro modo di agire: 4 infatti, (gli spirituali) non cercano alcun profitto che superi il giusto prezzo, come farebbe invece lo spirito affaristico, che è nemico dell'anima. 5 Inoltre, per dignità umana, essi acconsentono a ricevere un prezzo inferiore a quello che sarebbe giusto. 6 Così, non si potrà credere che sia per spirito di lucro e di avarizia che esercitano i loro mestieri, 7 ma perché una mano che deve sostenersi nel giusto a proprie spese, non rimanga inattiva e passi le ore di una giornata destinata al lavoro senza fare niente. 8 Tuttavia, il prezzo ricevuto deve essere consegnato fedelmente dagli artigiani all'abate. 9 Questa riduzione sul prezzo deve essere fissata agli artigiani secondo una stima dell'abate, 10 in modo che sappiano quale somma indicare in risposta agli acquirenti, 11 e che non possano frodare sul prezzo ricevuto, dato che l'abate ne conosce già l'importo.

  

 

Domanda dei discepoli:

CAPITOLO LXXXVI.

le fattorie deL MONASTERO.

Il Signore ha risposto per mezzo del Maestro.

 

1 Le fattorie del monastero devono essere affittate, 2 affinché tutto il lavoro dei campi, la cura della proprietà, i reclami degli inquilini, le dispute con i vicini, cadano su di un locatario secolare: 3 costui non è capace di pensare solo all'anima, ma mette tutta la sua cura nella vita presente per amore di questo mondo. 4 E poiché si preoccupano solo di questa vita, amano così tanto le cose presenti che si immaginano di rimanere a lungo nella luce di questo mondo. 5 Così accade che, mentre amano le cose presenti, non desiderano né mai conoscono le cose future 6 e, mentre gioiscono di benefici transitori, non hanno nessun desiderio di vita eterna. 7 Eppure, questi "ostacoli del mondo li rendono ogni giorno dei miserabili", costretti ad uscire da questa vita senza i loro beni, "senza nulla portare con sé, eccetto i loro peccati" (Visio Pauli 10 e 40: Passio Sebastiani 11).

8 Al contrario, i convertiti ad una vita spirituale non "si lasciano prendere dalle faccende della vita comune, se vogliono piacere a colui che li ha arruolati" (2 Tm 2,4). 9 Ciò a cui essi pensano non sono le cose che, alla loro morte, rimangono nel mondo, ma pensano alla loro anima, la sola che passa al di là della morte con la responsabilità delle sue azioni. 10 Quindi, (gli spirituali) scelgono di pensare piuttosto a ciò che giova: 12 giustamente, mentre viviamo non dobbiamo occupare i nostri pensieri 11 dei beni che, alla nostra partenza da questa vita, rimangono in questo mondo e non possono seguire la nostra anima dopo la morte 13 ma, desiderando continuamente tutte le cose di lassù e mettendo nel futuro tutta la nostra speranza, dimostreremo di essere persone che sperano ancor più in una vita felice, piuttosto che essere di quelli che la godono fin d'ora.

14 Per tutto ciò, le fattorie del monastero devono essere affittate, in modo che un operaio del mondo si prenda cura di questi affari mondani 15 e che noi, a cui il sacerdote pronuncia questo grido: "In alto i cuori!" e noi gli rispondiamo con questa promessa: "Sono rivolti al Signore" (Cipriano, De oratione Dominica, 31; Agostino, Sermo Denis 6.3), 16 non facciamo vagare il nostro cuore in pensieri terreni. 17 Così come anche il Signore grida a noi nel Vangelo dicendo: "chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo" (Lc 14, 33).

18 Ma poiché, senza gli alimenti necessari al sostentamento, la vita del nostro corpo non può conservarsi, 19 e soprattutto a causa dell'eventuale gran numero di membri della comunità e dell'obbligo di procurarsi ciò che è necessario per i bisogni dei forestieri che sopravvengono, 20 e poiché noi non vogliamo essere avari nei confronti di chi chiede l'elemosina, 21 per tutte queste ragioni, non possiamo pensare di abbandonare le proprietà del mondo, 22 ma pensiamo di dover legittimamente riservare le proprietà del monastero, a beneficio degli operai di Dio.

23 Perciò, se (queste proprietà) fossero curate da noi con sollecitudine e impegno, pur essendo di utilità per il corpo, sarebbero un peso per l'anima. 24 E' meglio, quindi, mantenere le proprietà, ma lasciando agli altri gli inconvenienti, e ricevere in sicurezza le rendite annuali, senza pensare a nient'altro che all'anima. 26 Infatti, se vogliamo coltivare (queste proprietà) grazie all'impegno di fratelli spirituali, imponiamo loro un duro lavoro ed essi perdono l'abitudine di digiunare. 26 Inoltre, non è quando le forze patiscono il digiuno che bisogna chiedersi se l'uomo debba lavorare per il suo ventre più che per la sua anima e per Dio. 27 Da ciò consegue che, per quanto riguarda il lavoro nel monastero, basti solo l'artigianato e la cura dell'orto.

 


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1 giugno 2017      a cura di Alberto "da Cormano" Grazie dei suggerimenti alberto@ora-et-labora.net