REGOLA DEL MAESTRO

Estratto dal libro "Regola del Maestro" a cura di Marcellina Bozzi O.S.B. - Paideia Editrice 1995

LXVIII

I FRATELLI ALL’USCITA DALL’ORATORIO DEVONO SUBITO FARE SILENZIO ASSOLUTO. [RB 52]

1 I fratelli, all’uscita dall’oratorio, facciano subito silenzio 2 ed uscendo non ripetano nemmeno i salmi, 3 per non recitare fuori, contro tempo e con ostentazione, ciò che dentro fu detto al tempo suo e con reverenza. 4 Uscendo dunque dall’oratorio tacciano immediatamente, 5 perché è finito il tempo dei salmi ed è cominciato quello del silenzio, 6 come dice la Scrittura: «A ogni cosa il suo tempo» (Eccl. 3,1).

 

LXIX

I FRATELLI MALATI. [RB 36]

1 I fratelli che hanno detto di essere malati e non si sono alzati per l’opera di Dio, e hanno continuato a stare a letto, non siano messi sotto accusa, 2 ma al pasto ricevano soltanto tisane, uova o acqua calda, cose che quelli che si sentono male davvero, appena appena possono prendere. 3 Così, se fingono, saranno costretti dalla fame ad alzarsi.

4 Se invece si sono alzati finita l’opera di Dio, siano scomunicati 5 e non abbiano accesso alla mensa materiale, dal momento che non sono stati presenti a quella spirituale dell’oratorio. 6 Hanno infatti schivato la fatica e disprezzato l’opera di Dio. 7 In questi tali si vede bene che il diavolo con la scusa del malessere fomenta la pigrizia del sonno. 8 Ricevano dunque tale mercede.

9 II fratello che è spossato da dolori nelle membra, ma senza febbre, se non vuol subire il castigo della suddetta scomunica, entri lo stesso nell’oratorio all’ora consueta con i fratelli, 10 e se non riesce a stare in piedi, dica i salmi giacendo sulla stuoia, come durante l’orazione. 11 II fratello che gli è vicino, in piedi, lo deve spiare però, perché non dorma.

12 Se in seguito non fa assolutamente nessun lavoro, riceva una fetta di pane in meno della sua razione e gli siano sottratte due bevute 13 e questo soltanto, perché almeno per l’opera di Dio si è alzato. 14 Non è giusto infatti che il fratello ozioso sia trattato alla stessa stregua del fratello laborioso, al quale è dovuta «adeguata mercede del suo lavoro»; 15 «né si mette la museruola al bue che trebbia il grano» (1 Tim. 5,18; cf. 1 Cor. 9,9; Deut. 25,4). 16 Così pure «chi non lavora», se a rigore di giustizia «non mangia», e niente del tutto, almeno tenuto conto dello stato di malattia, non mangi quanto uno che lavora e sta bene, 17 perché l’invalido che dichiara di non aver forza per lavorare, deve essere ugualmente giudicato senza forze per mangiare. 18 È consono alla giustizia il non poter fare né l’una né l’altra cosa e rivela una reale3 indisposizione. 19 Se siamo infatti nell’impossibilità di lavorare, dobbiamo esser pure, a ragione, nell'impossibilità di mangiare, 20 mentre è proprio dalla pigrizia dell’ozioso, però ghiottone, che tale malattia si riconosce menzognera. 21 Cosi, poiché quando si tratta di lavorare, dichiara di sua bocca che non è in grado, e quando si tratta di mangiare sta zitto, se non vuol esprimere con la sua stessa lingua quest’altra impossibilità, incomincerà subito a sentirsi dire da quella altrui che, volere o non volere, lui, di mangiare non è in grado. 22 Invero così vuole giustizia: se in un unico individuo anima, ventre e membra concorrono in un tutto, alla stessa maniera deve essere sentita in comune da questi tre elementi anche un’unica indisposizione, 23 in modo che quanto nella buona salute queste tre parti suddette sono in grado di fare insieme, si riconosca che insieme non ne sono in grado nella indisposizione. 24 Come potrebbe infatti l’indisposizione comportare per una parte l’impossibilità e per un’altra la possibilità, 25 dal momento che nell’unico corpo di un individuo anima, ventre e membra non possono sentire e soffrire separatamente l’indisposizione stessa, 26 poiché è l’anima che sente tutti i dolori, finché ancora è in noi, mentre quando se ne parte, il corpo morto è incapace di sentire quello che soffre? 27 Che orrore d’ingiustizia! La testa è tormentata di dolori davanti al lavoro e il ventre non è tormentato se si tratta di mangiare, come se il ventre stesse nel corpo di un altro.

 

LXX

LA CARITÀ DEI FRATELLI VERSO QUELLI CHE NON STANNO BENE. [RB 36]

1 fratelli che vogliono mostrarsi pieni di carità, facciano a gara nel visitare i fratelli malati, consolarli e servirli, 2 in modo che la carità fraterna sia comprovata in occasione della indisposizione 3 e venga adempiuta di fatto la parola del Signore che dice: «Fui malato e siete venuti a trovarmi» (Mt. 25,35).


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28 dicembre 2020      a cura di Alberto "da Cormano" Grazie dei suggerimenti alberto@ora-et-labora.net