Regola dei Solitari di Grimlaico
Dove non indicato diversamente il testo italiano è stato tradotto dalla "Patrologia Latina", Vol. 103: col. 575B-664A - J. P. Migne 1851. Per le note e i riferimenti i testi di riferimento sono: "Grimlaico, Regola per gli eremiti" a cura di padre Michele Di Monte, Ed. Monasterium 2020 e "Grimlaicus, Rule for Solitaries", a cura di Andrew Thornton, O.S.B., Cistercian Publications, Liturgical Press 2011.
(Abbreviazioni: RB = Regola di san Benedetto)
Capitolo 1: I tipi di solitari
Capitolo 2: I precetti più elevati riguardanti i monaci o i solitari
Capitolo 3: I quattro ordini di persone che vi saranno nel giorno del giudizio
Capitolo 4: Quali sono le vere ricchezze
Capitolo 5: La perfezione della giustizia
Capitolo 6: Coloro che rinunciano al mondo non devono avere né eredità, né proprietà
Capitolo 7: Dopo aver rinunciato al mondo, una persona non deve accumulare ricchezze
Capitolo 8: Ciò che è proprio della vita attiva, e ciò che è proprio della vita contemplativa
Capitolo 10: Quanto differisce la vita contemplativa dall’attiva
Capitolo 12: Qual è e quant’è grande in questa vita la perfezione della vita contemplativa
Capitolo 15: Riguardo alla procedura per accogliere i fratelli nella reclusione
Capitolo 16: Come deve essere la cella di reclusione
Capitolo 17: Non ci devono mai essere meno di due o tre solitari nello stesso tempo
Capitolo 19: Che tipo di persona e quanto debba essere santo il solitario
Capitolo 24: Sullo stesso argomento del capitolo precedente
Capitolo 25: Gli strumenti delle buone opere
Capitolo 26: Osservare i comandamenti di Dio
Capitolo 27: Una deplorevole descrizione di coloro che non osservano i precetti di Cristo
Capitolo 28: Si continua lo stesso lamento di cui sopra
Capitolo 29: Compunzione del cuore
Capitolo 30: I due tipi di compunzione
Capitolo 31: Riguardo alla riverenza ed alla persistenza nella preghiera
Capitolo 32: Come si può pregare senza sosta
Capitolo 33: Tutti i pensieri vuoti sono illusioni operate dai demoni
Capitolo 34: Dio e gli angeli sono sempre presenti a coloro che cantano i salmi
Capitolo 35: La lode dei salmi e la disposizione delle ore alle quali dobbiamo cantare i salmi
Capitolo 36: Se qualcuno deve osare di ricevere il corpo del Signore o cantare la messa ogni giorno
Capitolo 38: Costanza nella lettura e nella preghiera
Capitolo 39: Il lavoro manuale quotidiano dei solitari
Capitolo 40: In certe ore i solitari devono essere occupati nel lavoro manuale
Capitolo 41: I solitari non devono avere nulla di proprio e devono accettare le offerte dei fedeli
Capitolo 42: Le ore in cui i solitari devono prendere i loro pasti
Capitolo 43: La tavola dei solitari
Capitolo 44: Evitare l'eccesso di indulgenza
Capitolo 45: La quantità di bevanda dei solitari
Capitolo 46: Evitare l'ubriachezza: l'elogio della sobrietà
Capitolo 47: Se tutti devono ricevere in egual misura le necessità della vita
Capitolo 48: Solitari malati e vecchi
Capitolo 49: L'abbigliamento e le calzature dei solitari
Capitolo 50: Il giaciglio dei solitari
Capitolo 51: Devono radersi in determinati momenti, in modo da non essere pelosi
Capitolo 52: I discepoli dei solitari e la loro obbedienza
Capitolo 53: Riguardo al buon zelo che i solitari devono avere verso i loro discepoli
Capitolo 54: Come i solitari devono digiunare
Capitolo 55: I solitari devono interrompere il digiuno per il bene degli ospiti
Capitolo 59: La virtù della pazienza
Capitolo 63: Consolazione dei solitari di fronte a discorsi malevoli
Capitolo 64: Pensieri e illusioni diaboliche
Capitolo 65: Le varie tentazioni dei solitari
Capitolo 66: Le tentazioni dei sogni
Capitolo 67: I solitari non devono cercare di compiere segni e miracoli
Nel nome del Dio Altissimo
inizia il Prologo della Regola dei Solitari
Al mio carissimo padre in Cristo, che ha il mio stesso nome, a Grimlaico 1), il venerabile sacerdote, salvezza eterna nel Salvatore.
Ogni volta che vi rivelavo in privato ciò che mi dispiaceva di me, mi suggerivate molto spesso di mettere per iscritto una regola per i solitari, cioè i solitari cenobitici, e di impormi un giogo di servizio 2). Per molto tempo ho fatto di tutto per trattenermi dal farlo, poiché temevo che ciò potesse eccedere le mie possibilità e, soprattutto, che io potessi correre e cadere a capofitto nel peccato dell'orgoglio. Temevo sia che qualcuno potesse pensare che fossi così presuntuoso da fondare qualcosa di nuovo, sia che mi venisse rinfacciato contro l’antico proverbio: “A che serve buttare un pesce in mare o l'acqua in un fiume?”. Ma dopo molti giorni cominciai a ricordare che non era usanza dei nostri santi Padri provocarsi o invidiarsi a vicenda; piuttosto ciascuno di loro contribuì nell’organizzare la casa di Dio in base alle proprie capacità. E così ho scelto di obbedire al vostro comando piuttosto che fare la mia volontà. Di conseguenza mi misi presto a lavorare al compito assegnatomi ed, a tal fine, ho raccolto vari detti ed esempi dei tradizionali ortodossi e mi sono accontentato di modellare questa Regola basandomi su di loro. Per evitare che i capitoli risultino troppo lunghi, ho scritto i nomi di coloro i cui detti ho incluso in quest'opera a volte nel testo ed a volte nei margini. Sono stato molto attento a fare in questo modo per impedire alle persone di nominare il compilatore come fosse anche l’autore. Io so, infatti, come ha detto il Signore, che «Chi parla da se stesso, cerca la propria gloria» [Gv 7,18]. Tuttavia, anche se le mie stesse parole sono trascurabili, ho avuto cura di segnarle con il mio solito nome tra i fiori dei detti dei santi. Per questo prego umilmente chiunque ritenga questa Regola degna di copia di non tralasciare di annotare i predetti nomi dei santi, come sono qui annotati. Non mi sono preoccupato di mantenere in questo piccolo lavoro pedanterie e modi di dire particolari della nostra lingua, e neanche i casi che si usano dopo le preposizioni, poiché credo che sarei molto colpevole se dovessi costringere le parole di Cristo o dei santi Padri alle regole del (grammatico) Donato 3).
Ciò che ho fatto, dunque, è stato estrarre questa regola dai fiori dei santi come dall’alveo dei fiumi e dalle profondità dell'oceano, e dividerli in piccoli ruscelli, cioè in sessantanove capitoli. Innanzitutto ho raccolto alcuni capitoli sulla rinuncia al mondo, sulla vita attiva e contemplativa. Poi su come deve essere stabilito lo stile di vita solitaria, ed in seguito da alcuni capitoli sulla vita e la condotta dei solitari. Tra questi ho inserito solo tre capitoli sui precetti del nostro Redentore, affinché i solitari meditino giorno e notte la legge del Signore, [cfr. Sal 1,2] pongano più e più volte i comandamenti di Cristo davanti agli occhi della mente e del corpo e così diventino più devoti e ferventi. Poi sono passato all’argomento della vita attiva ed ho stabilito che cosa e quanto consumare in cibo e bevande, quali vestiti e quale biancheria da letto si debbano avere o usare. Ho anche aggiunto il modo ed il tempo dei digiuni e dell'astinenza. In opportune posizioni ho anche associato alcune parole sulle virtù e sui vizi e, per mettere in guardia i solitari, mi sono premurato di indicare come devono agire nel fare miracoli. Per ultimo ho anche stabilito un solo capitolo sulla perseveranza nelle buone opere.
In tutti questi capitoli, quindi, ovunque fosse necessario spiegare alcune clausole, ho cercato di imitare il modo in cui agisce un fiume. Come un fiume che scorre nel suo letto, se si trova in contiguità con valli incavate sui suoi lati subito devia in esse il suo corso; quando le ha riempite, rifluisce prontamente nel suo letto. Allo stesso modo, ogni volta che ho trovato tra le sacre parole dei santi qualche passo oscuro [che prometteva di fornire] una conveniente edificazione, ho girato la mia corrente, per così dire, nella vicina valle della spiegazione; dopo aver esplorato a sufficienza quella valle di oscurità, sono tornato di corsa al letto del fiume del mio tema principale. Ho proceduto così, non perché fosse una mia idea o desiderio, ma perché i detti dei santi Padri lo esigevano.
Chiamo a testimoni sia voi, venerabile Padre, che mi avete spinto a compiere questa piccola opera, sia tutti coloro che forse potranno leggerla e, vi prego, se trovate qualcosa di sgradevole tra le cose qui esposte, allora, per favore, incolpate la mia rozzezza e siate così gentili da perdonarmi: ma quelle parole che avete approvato come conformi alla fede cattolica, siano attribuite a Dio che dà in abbondanza a tutti e non rimprovera. [Cfr. Gc 1,5]. Ma io, mentre cerco di adempiere al precetto di chi lo ordina, ho avuto la presunzione di impegnarmi in cose che sono troppo grandi per le mie capacità; forse che non era assolutamente necessario che obbedissi? Questa opportunità mi ha fornito una Regola che prima non avevo e che ho adesso. Inoltre, non mi sono preoccupato delle sottigliezze del modo di parlare erudito, poiché non posso mostrare nell’esprimermi ciò che non sono riuscito ad imparare dai miei maestri.
Tuttavia, ho terminato ciò che ho scritto facendo affidamento non sul mio talento ma sull'aiuto delle vostre preghiere. Per guarire quelli che ne fanno richiesta, i medici preparano un composto medicinale a partire da molti diversi tipi di preparati erboristici e non sono così presuntuosi da affermare di aver creato le erbe o altri tipi di piante, ma ammettono di essere semplici aiutanti che li raccolgono e li preparano. Questo è quello che io sono, non l'autore di questo lavoro, ma solo l'aiutante che lo ha raccolto. Dalla composizione di questi generi di piante si realizzerà la guarigione dei malati. Così, dunque, forse il lavoro al quale mi sono dedicato potrà, con l'aiuto di Dio, giovare alla vostra carità. Presumo che voi non mi avreste imposto con tanta insistenza di scrivere questa Regola se non l'apprezzaste e se voi stesso non aveste desiderato in qualche momento di intraprendere la vita solitaria. Come mi avete esortato a scrivere questa regola con affetto di amorosa devozione, così ora vi supplico umilmente di dedicarvi a leggerla attentamente e spesso, affinché la vostra anima si stanchi in qualche modo degli affanni esteriori, torni in se stessa e capisca su cosa debba il più possibile dedicarsi. In questa vita cos’è più penoso dell’essere turbati dai desideri terreni? O cos'è più sicuro del non desiderare nulla della vanità di questo mondo? Coloro che amano questo mondo sono angosciati dalle sue turbolente inquietudini e preoccupazioni. Ma coloro che si ritirano dal mondo e cercano la vita solitaria, cominciano ad avere in una certa misura, già in questa vita, il riposo di pace che sperano di avere nella vita a venire.
Per questo chiedo a voi, ed a tutti coloro che amano Dio, di non disprezzare questa Regola, né di spaventarsi e fuggire da questo insegnamento, perché non si può iniziare il cammino della salvezza in nessun altro modo che con un inizio ristretto. Come dice il Signore: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta» [Lc 13,24], ed anche: «Stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita; larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione» [Mt 7,14-13]. In queste disposizioni spero di non aver scritto nulla di duro o gravoso, nulla di oneroso; ma se, seguendo i dettami della sana ragione, ho stipulato qualcosa di alquanto rigoroso, l'ho fatto per correggere i vizi e preservare le virtù (Cfr. RB Prol. 46-48).
Perciò, chiunque voglia osservare questa Regola con buono spirito e completa devozione, anche mentre si trova ancora in questo mondo presente, può salire, con l'aiuto di Dio, alla vetta della virtù; e quando questa vita sarà finita, potrà gioire con i santi e gli eletti di Dio nel regno dei cieli e vivere con successo per sempre con il Signore stesso ed i suoi angeli; e non solo vivere, ma anche regnare con lui. Possa Dio onnipotente condurre rapidamente il vostro animo ad osservare questa regola e, osservandola, Egli possa condurvi ai regni celesti. Amen.
Finisce il Prologo.
Qui inizia il testo della Regola.
Capitolo 1: I tipi di solitari
Dobbiamo innanzitutto indicare perché qualcuno è chiamato “monaco” o “solitario”, e poi, con l'aiuto misericordioso di Dio, procedere a spiegare altre cose. La parola monaco [monachus] deriva dal greco e significa che una persona è solitaria [singularis]. Il termine greco monas equivale al latino singularitas. Quindi "solitario" equivale alla parola "monaco". Ecco perché, che si dica "monaco" o "solitario", è la stessa cosa.
Ma vediamo quanti tipi di solitari ci sono. Ci sono due tipi di solitari: l’uno è formato dagli anacoreti, cioè gli eremiti; l'altro è formato dai cenobiti, cioè quelli che vivono nei monasteri. Nessuno di questi generi di vita dei solitari deve essere intrapreso nel primo fervore di conversione, ma [gli aspiranti soltari] devono prima essere sottoposti ad una prova prolungata nell'osservanza del monastero (Cfr. RB 1,3), affinché, una volta provati, abbiano la forza di risalire, grazie alla misericordia del Signore, fino alla vetta della perfezione.
Inoltre, “molti si sono chiesti chi sia stato il primo monaco che ha cominciato a vivere nel deserto. Alcune persone risalgono a molto tempo indietro e dicono che si è iniziato con i beati Elia e Giovanni [il Battista]. Altri sostengono che il beato Antonio sia stato il primo a concepire questa intenzione. Ma Macario, il discepolo del beato Antonio, attesta che", ai tempi del Nuovo Testamento, "un certo Paolo di Tebe fu il primo ad adottare questo modo di vivere" (Gerolimo, Vita sancti Pauli primi eremitae, Prologo; PL 23,17—18); e questo è vero. Bisogna sapere, però, che fu dai tempi del beato Antonio che cominciarono ad esserci cenobiti solitari, cioè reclusi. Ma è difficile stabilire chi sia stato il primo recluso, poiché i reclusi vivevano non solo nei cenobi, ma anche nel deserto stesso. Infatti, nell'antichità, coloro che erano stati prima reclusi nei monasteri e che avevano imparato attraverso molte prove a combattere contro il diavolo, che erano stati ben istruiti e provati come l'oro nella fornace, uscivano dal campo della battaglia condotta con i loro fratelli per andare a combattere da soli; ormai sicuri, senza l'appoggio di altri, con la sola mano od il braccio, uscivano a lottare, con l'aiuto di Dio, contro i vizi della carne o dei pensieri (Cfr. RB 1,4-6).
Il beato vescovo Arnolfo 1) si attenne al loro esempio e, secondo il precetto del Signore, vendette tutto ciò che aveva e lo distribuì ai poveri. E non solo lasciò tutti i suoi beni terreni, ma rinunciò anche all'episcopato che, con la concessione del Signore, aveva assunto dopo aver perso ogni possesso temporale; da allora in poi cercò una cella in cui essere recluso; e lì per molti giorni si abbandonò al Signore per esercitarsi nelle devozioni divine. Infine, dopo aver così trascorso molti anni, prese le ali come una colomba, cioè le virtù spirituali, e volò nel deserto [Cfr. Sal 54,7]; e lì sperava in nostro Signore Gesù Cristo, che lo avrebbe salvato dalla timidezza di spirito e dalla tempesta. Il Signore venne e non solo lo salvò, ma lo trasportò nei cieli per incoronarlo felicemente.
Ho voluto qui includere l'esempio di un uomo così grande, affinché i solitari imparino da lui a disprezzare tutte le cose corruttibili ed a desiderare le cose celesti con tutte le forze.
Note:
1) Arnolfo, vescovo di Metz, morto nel 640. Una sua vita attribuita a Paolo Diacono si trova in PL 95,731-40, ed una versione curata da Krusch in MGH, Scriptores rerum Merovingicarum: Fredegarii et aliorum Chronica. Vita sanctorum, 426 ss.
Capitolo 2: I precetti più elevati riguardanti monaci o solitari
I precetti che vengono dati ai monaci ed a coloro che rinunciano a questo mondo sono più alti di quelli dati ai fedeli che conducono una vita ordinaria nel mondo. Ai monaci ed ai solitari si dice: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri [e avrai un tesoro nel cielo;] e vieni! Seguimi!” [Mt 19,21], ed anche: “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” [Mt 19,29]. Questi e simili precetti si applicano specialmente ai monaci che vivono soli ed ai solitari. E quanto più eccezionali sono i precetti, tanto più sono di maggior valore e preminenti. Mentre le parole che seguono sono, per così dire, precetti minori detti in termini generali a tutti. Il Signore dice: “Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me” [Mt 10,38]. E anche: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” [Mt 7,12]; “ma io vi dico di non opporvi al malvagio” [Mt 5,39]. Dice anche: “Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano” [Mt 5,44], e così via.
Ai monaci e ai solitari viene detto di abbandonare tutto ciò che appartiene loro; alle persone nel mondo viene detto di usare bene ciò che appartiene loro. I primi, vivendo bene, trascendono i precetti generali; questi ultimi sono vincolati ai [soli] precetti generali. Per raggiungere la perfezione non basta abbandonare ciò che si ha, a meno che non si rinneghi anche se stessi. Ma cosa significa “rinnegare se stessi”, se non rinunciare alle proprie volontà? (Cfr. RB Prol. 3) Come per esempio chi è orgoglioso diventi umile; chi è irascibile cerchi di diventare indulgente; chi è dissoluto diventi casto; chi è ubriacone diventi sobrio; chiunque è invidioso e perfido diventi gentile e premuroso. Perché chiunque, se rinuncia a tutto ciò che ha ma non rinuncia al suo modo di agire, non è certamente discepolo di Cristo. Colui, infatti, che rinuncia ai suoi beni, ripudia ciò che gli appartiene; chi ivece rinuncia ai suoi modi malvagio di agire, ripudia sé stesso. Per questo il Signore dice: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, ... e mi segua» [Lc 9,23].
Capitolo 3: I quattro ordini di persone che saranno nel giorno del giudizio
Occorre anche sapere che, nel giorno del giudizio, ci saranno quattro ordini di persone, due di persone buone e due di cattive. Il primo ordine, composto cioè coloro che lasciano tutto ciò che hanno per amore di Cristo, sarà salvato e non sarà giudicato e queste stesse persone verranno al giudizio come giudici insieme a Dio. Di questo parla Isaia: “Il Signore inizia il giudizio con gli anziani e i capi del suo popolo” [Is 3,14]. Queste persone giudicheranno gli altri e non saranno giudicate dagli altri.
Sarà giudicato e salvato il secondo ordine, cioè i buoni cristiani che possiedono cose di questo mondo e che ogni giorno le dispensano ai poveri, che vestono gli ignudi, visitano gli ammalati e adempiono a doveri simili a questi che Cristo ci insegna a fare [Cfr. Mt 25,31-46]. Queste persone saranno giudicate e saranno salvate; a loro il Signore dirà al giudizio: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare» [Mt 25,35], e poco oltre: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo» [Mt 25,34].
Sarà giudicato e condannato anche il terzo ordine, cioè i cattivi cristiani, che sembrano avere la fede ma non la mettono in opera. Queste persone saranno destinate al fianco sinistro nel giudizio, ed a loro il Signore stesso dirà: “Ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere” [Mt 25,42], e poco oltre: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli” [Mt 25, 41]. Costoro saranno giudicati e non saranno salvati.
Il quarto ordine sarà quello dei miscredenti, che non saranno giudicati, ma saranno condannati. Di costoro il salmista dice: “Non si alzeranno i malvagi nel giudizio, né i peccatori nell’assemblea dei giusti” [Sal 1,5]. Gli empi risorgeranno, infatti, non per essere giudicati, ma per essere condannati; cioè coloro «che hanno peccato senza la Legge, senza la Legge periranno» [Rm 2,12].
Ma il primo ordine, le persone che hanno lasciato ciò che avevano e hanno seguito Cristo, giudicheranno i due ordini successivi, cioè vedranno i buoni cristiani ricevere cose buone e, viceversa, i cattivi cristiani ricevere cose cattive.
Con la più grande devozione, dunque, preghiamo Dio che tocchi i nostri cuori con la sua misericordia e ci faccia disprezzare tutte le cose visibili, affinché possiamo appartenere al primo ordine. Vivendo bene la nostra vita ci attribuiremo la grazia di questa grande ricompensa e, se custodiremo perfettamente la nostra vita, saremo giudici nel giorno del giudizio assieme a Dio ed ai suoi apostoli. Dobbiamo credere ciò con la massima fermezza, perché è fedelissimo Colui che ce l'ha promesso. Lui stesso è verità, non può ingannare. I solitari che, per amore di Cristo, lasciano tutto ciò che hanno, possono dire con l'apostolo Pietro: «Signore, ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo? " [Mt 19,27]. Dobbiamo sapere per certo che la risposta che ha dato a Pietro, la dà a tutti i solitari in Pietro.
Forse c’è qualcuno che dice: voglio imitare chi disprezza questo mondo, ma non ho niente da lasciare. Senza dubbio bisogna rispondere così: rinuncia a molto colui chi rinuncia alla volontà di avere. Dobbiamo anche notare che non si è limitato a dire: “Voi che avete lasciato tutto”, ma ha aggiunto “e mi avete seguito” [Mt 19,28], perché molte persone lasciano i loro beni ma non seguono Cristo; tali furono il filosofo Cratete e molti altri 1): infatti, segue Cristo colui che lo imita.
Pensiamo dunque a cosa ha rinunciato Pietro che parlava con tanta sicurezza. Ha lasciato solo reti ed una barca, ma dice con sicurezza: "Abbiamo lasciato tutto". È come se dicesse: “Signore, abbiamo fatto ciò che hai comandato. Ora vogliamo sapere che tipo di ricompensa ci darai per averlo fatto". Ma Gesù risponde non solo a loro, ma anche ad altri dicendo: « In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele” [Mt 19,28]. Ci è stata promessa una grande felicità ed una gloria inesprimibile. Questa dichiarazione riguarda tutti coloro che rinunciano a tutto ciò che hanno per amore di Dio.
Tralasciamo tutte le cose visibili, disprezziamo tutte le cose transitorie, affinché con i beati apostoli meritiamo di godere della gloria della beatitudine eterna; e perché questo avvenga presto, imploriamo umilmente ogni giorno la compassione del Signore e diciamo: Dio onnipotente, che ci ha redenti per mezzo del sangue del tuo Figlio ed hai voluto rigenerarci dall'acqua e dallo Spirito Santo, facci passare presto da questo miserabile pellegrinaggio alla patria tanto a lungo desiderata, nella quale, con gli angeli benedetti e con quelle persone felicissime che hanno rinunciato al mondo, regneremo per secoli infiniti.
Capitolo 4: Quali siano sono le vere ricchezze
Il beato Gregorio indica chiaramente cosa sono le vere ricchezze quando dice: "Sono vere solo quelle ricchezze che ci rendono ricchi nelle virtù" (Homeliae in evangelia XL). Il beato Prospero mostra chiaramente quali ricchezze dovremmo desiderare e quelle da cui dovremmo fuggire, quando dice:
Le ricchezze a cui ambire son quelle che possono adornarci e, insieme, renderci saldi; quelle che, senza volerlo, non possiamo né acquistare né perdere; quelle che ci rafforzano contro gli assalti del nemico, (ci) separano dal mondo, (ci) pongono sotto la protezione di Dio, arricchiscono e nobilitano la nostra anima, sono con noi, sono dentro di noi.
Quali ricchezze bisogna stimare come nostre? Il pudore, che ci (rende) modesti; la giustizia, che (rende) giusti; la devozione, che (rende) pii; l’umiltà, che (ci fa) umili; la mitezza, che (ci fa) mansueti; l’innocenza, che (ci fa) irreprensibili; la purezza, che (rende) mondi; la prudenza, che (rende) accorti; la temperanza, che (rende) misurati; e la carità, che ci fa essere graditi a Dio e agli uomini, capaci di realizzare le virtù, dispregiatori del secolo e fautori d'ogni bene.
Son queste le sante virtù che non appartengono a tutti, ma (solamente) ai santi; fortune non già dei ricchi superbi, ma degli umili poveri; patrimonio dei cuori, ricchezza incorruttibile dei (buoni) costumi, posseduta in abbondanza solo da chi rinunzia di cuore ai beni carnali. Benché questi, infatti, siano anch’essi validi, in quanto creati da Dio, tuttavia, essendo comuni ai probi e agl’iniqui, gli uomini spirituali devono mirare a disprezzarli, per poter raggiungere quelli incomparabilmente migliori, che sono propri di tutti i buoni. Un bene posseduto anche dai cattivi, infatti, non somiglia a quello che detengono solamente i buoni.
Quando il bene materiale lo posseggono gl’iniqui, esso è appunto il loro premio; (invece) allorché ad averlo sono i giusti, non si tratta del loro premio, ma di un (semplice) sollievo temporale. Parimenti, la perdita del bene temporale è una prova per il giusto, e per l’ingiusto un tormento. Mentre il giusto, infatti, preso dal desiderio delle cose celesti, sia che possieda sia che perda tutti i beni temporali, non ne risente affatto; l’iniquo, viceversa, possedendo con piacere, non perde senza dolore.
Per questo, dunque, chi serve Dio deve fuggire con tutto il cuore le ricchezze, dal momento che quelli che le desiderano non le cercano senza travaglio, non le trovano senza difficoltà, non le conservano senza preoccupazione, non le possiedono senza piacere misto ad ansietà, non le perdono senza sofferenza. Dice invece l'Apostolo a quelli che servono Cristo: “Vorrei che foste senza preoccupazioni” (1 Cor 7,32); e: “Radice di tutti i mali è l'attaccamento al denaro; per il suo sfrenato desiderio alcuni deviarono dalla fede e si tormentarono con molti dolori" (1 Tm 6,10). E cosi questa ricchezza terrena, per chi l’ami in modo insano, è fonte non già di godimenti ma di pene. (Estratto da “Giuliano Pomerio, La vita contemplativa”, Cap. XIII, 2-3, a cura di M. Spinelli, Città Nuova Editrice 1987)
Bastino queste parole sulla vera e falsa ricchezza. Ascoltiamo ora come si può ascendere alla vetta della perfezione.
Capitolo 5: La perfezione della giustizia
Se qualcuno vuole essere perfetto, prenda la nostra croce, segua il Signore Salvatore ed imiti Pietro che disse: “Signore, ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito” [Mt 19,27]; faccia ciò che il Signore ha comandato al giovane e ciò gli basterà per renderlo perfetto, cioè: “Va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri ...; e vieni! Seguimi!” [Mt 19,21]. Voler essere perfetti e non volerlo, sono entrambi in nostro potere. Il Signore non ci impone ilo giogo della costrizione, ma ci permette di usare il nostro libero arbitrio, come dice: “Vuoi essere perfetto” e stare fermo al primo posto della dignità? “Vendi quello che possiedi, dallo ai poveri…; e vieni! Seguimi!” [Mt 19,21]. Se dunque vuoi essere perfetto, vendi tutto quello che hai, e non solo una parte, come fecero Anania e Saffira [Cfr. At 5,1-11], ma vendi proprio tutto; e quando lo avrai venduto, non sottrarre nulla, ma dona l'intera somma ai poveri; è così che ti procurerai un tesoro per il regno dei cieli.
Ma solo questo non è sufficiente per raggiungere la perfezione, a meno che, dopo aver disprezzato le ricchezze, non si segua il Salvatore, abbandonando le cattive azioni e facendone di buone. Come dice san Girolamo [Commentarium in Evangelium Matthaei 3.19] : “È più facile disprezzare un borsellino che la volontà ed il piacere. Molti lasciano le ricchezze, ma non seguono il Signore. Segue, infatti, il Signore chi lo imita e procede sulle sue orme. “Chi dice di rimanere in Cristo, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato” [1 Gv 2,6].
Quindi è bene che il servo di Dio sia fisicamente lontano dal mondo, ma è molto meglio [che sia lontano] dalla volontà. [Essere lontani da] entrambe è cosa ottima e perfetta. Quindi è perfetto colui che è separato dal mondo sia nel corpo che nel cuore. Colui che ha disprezzato questo mondo brillerà di grande grazia dinanzi a Dio. Tutto in questo mondo è destinato ad essere nemico dei servi di Dio, così che, quando percepiscono che queste cose sono loro contrarie, si infiammino di un celeste desiderio più ardente. In questa vita cos’è più penoso dell’essere turbati dai desideri terreni? O cos'è più sicuro del non desiderare nulla della vanità di questo mondo? Coloro che amano questo mondo sono angosciati dalle sue turbolente inquietudini e preoccupazioni. Ma coloro che si ritirano dal mondo e cercano la vita solitaria, cominciano ad avere in una certa misura, già in questa vita, il riposo di pace che sperano di avere nella vita a venire.
Capitolo 6: Coloro che rinunciano al mondo non devono possedere né eredità né proprietà
Di conseguenza, chi è attratto dall’ambizione di possedere, possieda con animo libero Dio, ch’è Signore di tutto quello che creò, e avrà in Lui qualsiasi cosa desideri possedere santamente. Però, siccome nessuno possiede Dio, a meno che non sia posseduto (egli stesso) da Dio, sia dapprima lui medesimo possesso di Dio, e Dio diventerà suo padrone e (nel contempo) suo bene. E chi più felice di colui per il quale il Creatore diviene sua ricchezza e la Divinità stessa si degna d’esser sua eredità? Basta solo ch’egli lo serva con le opere buone, e ne raccoglierà tutti i frutti, vivendo incessantemente in Lui e di Lui, e niente possedendo di terreno insieme con Lui. Infatti il Creatore dell'universo, a cui nulla di ciò ch’Egli fece può esser paragonato, non ammette che lo si possegga assieme alle cose che creò.E in fin dei conti, cos'altro cerca colui per il quale il suo Creatore è tutto? Lui (appunto) possedeva — e ne era posseduto — chi nello Spirito diceva: “Il mio bene, Signore, dissi, è osservare la tua legge” [Sal 118(119),57]; e: “Il Signore è parte della mia eredità e del mio calice” [Sal 15(16),5].
Se possiedi il Signore e dici con il profeta: "Mia parte è il Signore" [Lam 3,24], non puoi avere altro che il Signore. Se tu avessi qualcosa oltre al Signore, allora il Signore non sarebbe la tua parte. Se, per esempio, [tu avessi] oro o argento o vari beni o suppellettili, il Signore non accetterebbe di essere la tua parte insieme a queste parti.
Come dice Girolamo [Epistola 52,5] “Se, dunque, io sono “porzione del Signore e sua parte di eredità” [Dt 32:9], non accetterò una parte insieme alle altre tribù ma, come un levita ed un sacerdote, vivrò di decime; servirò l'altare e mi sosterrò con le offerte fatte sull'altare: di là avrò cibo e vesti, di queste mi accontenterò e, nudo, seguirò la nuda croce».
Fu detto anche ad Ezechiele: I miei sacerdoti, che mi servono nel mio tempio, non abbiano possedimenti: perciò il Signore sarà il loro possesso; né avranno un'eredità; “Io, il Signore, sarò la loro eredità” [Ez 44,28]. E il Signore stesso dice altrove ai figli di Levi: “Non ci sarà parte per te in mezzo ai tuoi fratelli. Io sono la tua parte [in mezzo a loro]”. [Nm 18,20]. Bastano queste parole per chiarire che coloro che disprezzano la porzione di un'eredità terrena devono mostrare di possedere il Signore e che sono posseduti dal Signore.
Su questo stesso argomento, un esempio è dato nelle conferenze dei Padri.
“Un fratello che aveva rinunciato al mondo e dato ai poveri i suoi beni, ma si era tenuto qualcosa per sé, fece visita al padre Antonio. Il padre, sapendo il fatto, gli dice: «Se vuoi farti monaco, va’ al tuo paese, compera della carne, legala attorno al corpo nudo e vieni qui». Così fece il fratello; e i cani e gli uccelli gli dilaniarono tutto il corpo. Quando fu giunto dal padre, questi gli chiese se avesse fatto secondo il suo consiglio: egli mostrò il suo corpo pieno di ferite. Sant’Antonio allora gli dice: «Quelli che rinunciano al mondo e vogliono tenersi dei beni, vengono in tal modo fatti a brani lottando contro i demoni»”. (Estratto da “Vita e detti dei Padri del deserto, Antonio 20”, a cura di L. Mortari, Città Nuova 1997)
Questo detto deve bastare a proposito del non avere possedimenti.
Racconteremo un altro detto sul non avere un'eredità.
“[Il padre Daniele raccontò che una volta] venne dal padre Arsenio un funzionario di nome Magistratus a portargli il testamento di un senatore suo parente che gli aveva lasciato un’eredità molto cospicua. Preso il testamento, Arsenio stava per strapparlo, quando il funzionario cadde ai suoi piedi dicendo: “Non strapparlo, ti supplico, mi costerebbe la testa!”. E il padre Arsenio gli disse: “Io sono morto prima di lui e lui è morto appena ora, come può farmi suo erede?”. E mandò indietro il testamento senza accettare nulla”. (Estratto da “Vita e detti dei Padri del deserto, Arsenio 29”, a cura di L. Mortari, Città Nuova 1997)
Da questo esempio dobbiamo capire che coloro che lasciano il mondo non devono avere altro che il cibo e non devono possedere altro che i vestiti. Specialmente il solitario, che desidera imitare gli apostoli, deve accontentarsi solo di queste cose. Poiché non si può servire contemporaneamente Dio ed il mondo e per questo motivo Dio vuole che coloro che lo adorano rinuncino a tutto, affinché, dopo aver respinto il desiderio del mondo, l'amore di Dio possa crescere e diventare perfetto in loro.
Capitolo 7: Dopo aver rinunciato al mondo, una persona non deve accumulare ricchezze
Una volta che i solitari hanno rinunciato completamente al mondo, dovrebbero essere così morti per il mondo che si divertono a vivere solo per Dio. Quanto più si ritrarranno dal desiderio di possedere questo mondo, tanto più contempleranno con attenzione interiore la presenza di Dio e dei suoi santi. Ci sono molti, tuttavia, che vorrebbero accorrere alla grazia di Dio, ma che hanno paura di rinunciare ai piaceri mondani. L'amore di Cristo li richiama, ma il desiderio del mondo li richiama. Leggiamo nelle conferenze dei padri cosa faceva un certo solitario,
“che lavorava diligentemente nel suo orto, dava in elemosina tutto ciò che il suo lavoro produceva e teneva per sé solo ciò di cui aveva bisogno per il proprio cibo. Più tardi, però, Satana gli mise nel cuore questo pensiero: Risparmia un po' di soldi, così che, quando sarai vecchio o ti ammalerai, non avrai bisogno di nulla. E mise da parte e riempì un vaso di monete. Ora avvenne che si ammalò ed uno dei suoi piedi cominciò a suppurare. Spese quello che aveva raccolto per i medici, ma non gli servì a niente. Alla fine uno degli esperti medici venne a salutarlo e gli disse: “Se il tuo piede non viene amputato, tutto il tuo corpo andrà in putrefazione. Così decisero di amputargli il piede il giorno successivo. Ma quella notte tornò in sé, si pentì di ciò che aveva fatto, gemette e pianse, dicendo: “Ricorda, o Signore, le opere che facevo quando lavoravo nel mio giardino e con il ricavato aiutavo i poveri”. E mentre piangeva, l'angelo del Signore si mise accanto a lui e gli disse: “Dove sono le monete che hai raccolto, e dov'è la speranza che ti ha spinto ad agire così?” Ma lui rispose: “Signore, ho peccato, perdonami; non farò più così”. Allora l'angelo gli toccò il piede, subito fu guarito ed al mattino si alzò ed andò a lavorare nel campo. Il dottore venne con i suoi strumenti per amputargli il piede e disse: “Dov'è quel malato?” Gli dissero: “Stamattina è uscito per lavorare nei campi”. Il dottore rimase stupito, uscì, lo vide scavare il terreno e glorificò Dio che gli aveva ridato la salute.
Bastano queste parole per mostrare quanto sia malvagio risparmiare denaro dopo aver rinunciato al mondo e trattenerlo avidamente. Per questo sta scritto: “Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio” [Lc 9,62].
Io stesso conoscevo un certo fratello, e come vorrei non conoscerlo! Potrei dire il suo nome, se servisse a qualcosa: col pretesto della religione finse di lasciare il mondo ed arrivò al punto di condurre una vita solitaria, non nel cuore, ma solo nel corpo. Non solo non distribuì tutti i beni e le ricchezze che aveva un tempo, ma conservava avidamente anche ciò che gli veniva offerto dai fedeli. In seguito il diavolo gli mise in cuore di uscire dalla cella in cui era stato recluso per poter utilizzare le ricchezze che aveva perfidamente accumulato. Ed è quello che fece; finché visse nel mondo attuale, è stato motivo di scandalo, non solo per sé stesso, ma per tutti noi; e non solo il suo esempio nocque allora, ma danneggia ancora coloro che lo hanno conosciuto e nuocerà coloro che verranno a sapere di lui. Perché ci sono alcuni che hanno disprezzato i desideri della carne e hanno lottato per lasciare tutto ma, quando vedono che quell'uomo ha iniziato l'opera e poi è caduto, hanno paura di fare ciò che avevano deciso. Eppure anche queste persone sono da biasimare: se hanno paura di imitare i malvagi nella loro malvagità, perché sono pigri nell’imitare i buoni nella loro bontà? Per questo sta scritto: “Prendiamo esempio da quelli che sono buoni” (Girolamo, Commento al vangelo di Matteo 4.23). Il motivo per cui si scrive della rovina e della perdizione degli altri è affinché siamo più solleciti per la nostra vita.
Penso che finora si sia stato detto abbastanza sulla rinuncia al mondo e sul non accumulare ricchezza. I prossimi capitoli, con l'aiuto di Dio e l'assistenza del beato Prospero, saranno ora dedicati alla vita contemplativa.
Capitolo 8: Ciò che è proprio della vita attiva, e ciò che è proprio della vita contemplativa
Poiché si arriva alla vita contemplativa attraverso l'attiva, ritengo che si debba prima parlare di ciò che è proprio della vita attiva. Così possiamo poi passare alla vita contemplativa.
La vita attiva è un modo di vivere religioso [Latino: Conversatio religiosa] che insegna in quale modo i superiori debbano guidare ed amare coloro che sono stati loro affidati; e poiché si preoccupano della salvezza dei loro subordinati non meno che della propria [Cfr. RB 2.39-40], provvedano con cure paterne a ciò che sanno essere loro utile. La vita attiva insegna anche come coloro che sono soggetti ad un superiore devono con il più grande amore attenersi agli ordini del superiore, come se fossero un comando di Dio, così come le membra (del corpo) servono fedelmente il capo.
La vita che viviamo in questo mondo (Latino: vita actualis) distribuisce il pane agli affamati, ammaestra gli ignoranti con la parola di saggezza, corregge gli erranti, richiama i superbi sulla via dell'umiltà, si prende cura dei malati; dispensa a ciascuno ed a tutti ciò di cui hanno bisogno e provvede con sollecitudine il necessario per la sussistenza a coloro che sono affidati alle sue cure. Queste cose esistono con il corpo in questo tempo presente e passeranno con il corpo, ma tuttavia il merito guadagnato in questa vita rimarrà per l'eternità.
La vita contemplativa consiste anche nell’attenersi con tutta la mente all'amore di Dio e del prossimo, nel disprezzare tutte le cose passeggere, nel lasciarsi alle spalle le cose visibili e desiderare solo le cose celesti. La vita contemplativa deriva il suo nome dal contemplare, cioè dal vedere; nella vita contemplativa, una creatura dotata di intelletto e giustificata da ogni peccato, vedrà il suo Creatore. Ma se ci sforziamo a riflettere attentamente su di essa allora, anche in questa fragile tenda dove piangiamo quotidianamente, possiamo diventare in qualche modo partecipi della vita contemplativa.
Poiché, secondo l’opinione di alcuni, la vita contemplativa non è altro che conoscenza delle cose nascoste e future, oppure libertà da tutte le occupazioni mondane, o studio delle Sacre Scritture. Invece, quando visitiamo i malati, seppelliamo i morti, correggiamo chi sbaglia, allora siamo nella vita attiva. Ma quando versiamo lacrime davanti a Dio e contempliamo quanto sia grande la beatitudine, la luce e la gloria dei santi in cielo, allora siamo nella vita contemplativa. Mentre la vita attiva inizia con il corpo e finisce quaggiù con esso, la vita contemplativa comincia qui e raggiunge il compimento nell'età a venire. Di queste due vite, l'attiva è espressa da Marta e la contemplativa da Maria; ma senza dubbio Marta è necessaria a Maria.
Chi sta cercando di elevarsi al culmine della vita contemplativa, deve prima mettersi alla prova attraverso molte esperienze nella vita attiva: se può tollerare ingiurie, se riesce a sopportare abusi, calunnie, scherni, oltraggi e percosse. Se può sopportare pazientemente queste e cose simili, siano esse inflitte dal diavolo o da un'altra persona, allora un giorno costui sarà in grado di volare fino alla vita contemplativa. Nella vita attiva tutti i vizi vanno eliminati con la pratica delle opere buone, affinché nella vita contemplativa si possa giungere a contemplare Dio col puro sguardo dello spirito.
Può succedere che qualcuno, appena entrato nella vita religiosa, possa desiderare di elevarsi subito alla contemplazione, tuttavia costui deve tuttavia essere costretto con ragione a concentrarsi prima sull'esercizio della vita attiva, perché chi prima fa progressi nella vita attiva, poi si eleverà felicemente alla contemplazione. Merita, infatti, di essere innalzato a questa vita colui che ha vissuto in modo valido la prima. Pertanto, coloro che aspirano ancora alla gloria temporale o alla concupiscenza carnale devono essere tenuti lontani dalla contemplazione della quiete, per poter essere invece purificati dal compimento di azioni tipiche della vita di questo mondo (Latino: “actualis vitae”).
Dobbiamo sapere perché dei santi uomini sono usciti dal ritiro nascosto della contemplazione (per dedicarsi) ad attività pubbliche, ma poi sono tornati indietro dall’evidente realtà dell'azione al luogo segreto dell’intima contemplazione. Nella vita attiva l'intento avanza con insistenza, invece nella vita contemplativa a intervalli si ricomincia, perché la durevolezza della contemplazione affatica. Come, infatti, è tipico dell'aquila fissare sempre l'occhio sul raggio del sole e non distogliere lo sguardo, se non per procurarsi del cibo; così anche i santi talvolta ripiegano dalla contemplazione per rivolgersi alla vita presente, giudicando che la contemplazione sia certamente di massima utilità, ma che le nostre necessità hanno ancora un po' bisogno di cose umili.
La visione nella profezia di Ezechiele delle creature viventi che si muovevano ma non si voltavano indietro (Cfr. Ez 1,12) si applica alla perseveranza nella vita attiva. Allo stesso modo quelle creature viventi che si muovevano e si voltavano indietro si riferiscono alla moderazione nella vita contemplativa; chiunque si concentri sulla contemplazione torna indietro respinto dalla sua debolezza ma, con rinnovata determinazione, viene nuovamente elevato alle cose da cui era disceso.
Abbiamo detto queste cose come premessa, affinché coloro che vogliono vivere perfettamente nella vita contemplativa, non manchino di lavorare con le proprie mani ad intervalli prestabiliti per provvedere al proprio sostentamento. Tuttavia, devono stare attenti a non cercare di guadagnarsi da vivere con transazioni disoneste, perché sta scritto: «Nessuno, quando presta servizio militare a Dio, si lascia prendere dalle faccende della vita comune, se vuol piacere a colui che lo ha arruolato» [2 Tm 2,4].
Capitolo 10: Quanto differisce la vita contemplativa dall’attiva
È giunto il momento di trattare in breve della differenza tra la vita contemplativa e quella attiva. Ora, per far sì che la cosa risulti chiara, dopo aver sottolineato le rispettive caratteristiche, confrontiamo l’una dopo l’altra le vite in questione, cioè la contemplativa e l’attiva.
Alla vita attiva inerisce far progressi al livello umano, moderando con il governo della ragione gl’indocili impulsi del corpo; la contemplativa (deve invece) trascendere la dimensione umana con l’anelito alla perfezione, dedicandosi continuamente all’incremento delle virtù.
Con la (vita) attiva si progredisce, con la contemplativa s’attinge la sommità. La prima fa l’uomo santo, la seconda perfetto. È proprio dell’una non pronunziare offese assolutamente contro nessuno; dell’altra, sopportare con pazienza quelle rivolte contro (di sé). Anzi, per meglio dire, chi persegue la (vita) attiva, cerca di perdonare chiunque commetta peccato contro di lui; il fautore della contemplativa è pronto piuttosto ad ignorare che a perdonare le offese da cui è colpito, senz’esserne minimamente turbato. Questi reprime la collera con la virtù della pazienza, ponendo il freno della temperanza all’eccesso delle passioni; subisce la tentazione dei desideri carnali, ma non la asseconda; è turbato dalla cupidigia di questo mondo, senza lasciarsene trascinare; l’assalto del diavolo lo scuote, ma non lo vince: sottomesso con animo devoto al proprio Dio, egli non esce indebolito, bensì temprato dalla molteplicità delle tentazioni. Con le sante virtù ha la meglio su tutte le inquietudini che rendono incostante la vita dei mortali e, libero da ogni passione e turbamento, gode della tranquillità beata, innalzandosi all’ineffabile gioia della contemplazione divina.
Accogliendo il pellegrino, vestendo l’ignudo, guidando colui ch’è sottomesso, liberando il prigioniero, proteggendo chi è vittima della violenza, costui si purifica di tutte le sue colpe e, al tempo stesso, arricchisce la sua vita con i frutti delle opere buone. Qualora abbia ceduto i propri beni per le necessità dei poveri, non solo s’è spogliato del mondo, ma s’è avvicinato con tutte le forze al cielo, gettando al mondo le cose del mondo e restituendo se stesso, con animo devoto, al Cristo. E da Lui implora gli sian date le ricchezze immortali, in quanto povero; reclama ogni giorno d’esser protetto, in quanto infermo; brama d’esser rivestito con l’abito d’immortalità, in quanto nudo; supplica d’esser difeso dall'assalto dei nemici invisibili, perché oppresso dalla fragilità della carne e, come pellegrino, aspira al dono della patria celeste.
La vita attiva è caratterizzata da una durata breve, la contemplativa dalla gioia eterna. Nella prima si guadagna il regno, nella seconda (lo) si ottiene. L’una fa bussare alla porta — per dir così — come con le mani delle opere buone, l’altra ammette in patria chi ha conseguito la perfezione. In questa si disprezza il mondo, in quella si contemplerà Dio. E, tralasciando molti aspetti che non posso menzionare, coloro i quali in questa vita si sian dimostrati più forti degli spiriti immondi, in quella contemplativa — ch'è sommamente beata — saranno ricompensati da Dio e diventeranno come gli angeli santi, regnando felici con Lui per sempre nella città celeste.
(Tutto il capitolo 10 corrisponde al capitolo XII della “Vita contemplativa” di Giuliano Pomerio (n. 450 circa - m.500 circa). Testo estratto dall’edizione curata da Mario Spinelli, Città Nuova 1987)
All’acquisto di tale felicità anela chi rinunzia a tutte le realtà presenti per la contemplazione delle future e s’eleva dalle occupazioni quotidiane — che talora impediscono i progressi di chi aspira a vivere santamente — alle vette di questa divina contemplazione, trionfando persino sui desideri della propria carne. E disprezzando tutto quanto rimane al di sotto di lui, e che di solito trascina giù verso le cose terrene (anche) le anime sicure circa la santità della vita passata, questi s’accosta ai beni celesti, tanto più prossimo alle realtà divine quanto più sale al di sopra di tutte le umane con il perseguimento della perfezione. Ciò nella consapevolezza che, se qui la vita contemplativa sarà anteposta con piena volontà alla precarietà degli onori, all’ansia delle ricchezze e alla caducità dei piaceri, si scopriranno gli onori autentici, le ricchezze solide e i piaceri eterni, dopo aver raggiunto la perfezione della virtù contemplativa, in quella vita beata che sarà il frutto della ricompensa di Dio.
E in realtà, quale onore più grande dell’esser beatificati dalla divina clemenza con una dignità pari agli angeli? Quale patrimonio più cospicuo che ritrovarsi ricchi oltre ogni dire per merito della sovrabbondante beatitudine del regno celeste? O esiste forse qui un godimento maggiore della contemplazione divina, capace d’infondere, a chi la persegua con sincerità d’intenti, l’inesauribile dolcezza del premio futuro? La vita contemplativa, infatti, allieta anche quaggiù coloro che l’hanno in pregio con la meditazione dei beni futuri [cfr. Eb 9,11] e, per quanto è possibile in questa vita, essa illumina con il dono della sapienza spirituale quelli che si dedicano ad essa con tutta la tensione dello spirito; e mediante lo stimolo a conseguire in qualche modo la vera e propria perfezione, essa accende il desiderio di quella pienezza della visione divina, la cui speranza è coltivata da quanti son rivolti ai desideri celesti. Cosi, ciò che adesso essi scorgono in maniera indefinita e non distinguono compiutamente, lo vedranno rivelarsi quando sarà giunto il momento [Cfr. 1 Cor 13,12].
(Tutto il capitolo 11 corrisponde al capitolo V della “Vita contemplativa” di Giuliano Pomerio (n. 450 circa - m.500 circa). Testo estratto dall’edizione curata da Mario Spinelli, Città Nuova 1987)
Capitolo 12: Qual è e quant’è grande in questa vita la perfezione della vita contemplativa
Chi mira alla vita contemplativa s’accosti di cuore al proprio Creatore per averne luce, lo serva con scrupolo, contemplandolo e godendone instancabilmente; arda di desiderio per Lui, fugga per amor suo tutto quanto possa distoglierlo da Lui, faccia dipendere tutti i propri pensieri e ogni speranza dall’amore verso di Lui, si dedichi alla sacra meditazione della Scrittura divina e, illuminato dalla grazia di Dio, vi s’immerga fino a dimenticare se stesso, riflettendosi in essa come in uno specchio sfolgorante.
Se scoprirà in sé qualcosa di malvagio, lo corregga; quel che c'è di buono, lo conservi; ciò ch’è brutto, lo migliori; ciò ch'è bello, lo rifinisca; quanto v’è di sano, lo preservi; quello ch’è malato, lo rinvigorisca con l’assiduità della lettura sacra. Legga instancabilmente i precetti del suo Signore, (li) ami con perseveranza, (li) adempia in maniera efficace e, istruito da essi quant’occorre, riconosca cosa debba evitare e cosa (invece) perseguire.
Indaghi con costanza nei misteri delle divine Scritture, discerna il Cristo colà promesso, sappia vedere quand’è prefigurato, intenda le profezie sulla perdizione del popolo ostinato e ne compianga il compimento, si rallegri per la salvezza dei gentili, tra gli avvenimenti trascorsi tenga a mente quelli che — predetti — si verificarono, e creda alle promesse future. Ben lontano dallo strepito degli affari del mondo, cerchi di scoprire con fervore ciò che possa accendere il suo animo col desiderio della ricompensa futura, attenda agli esercizi spirituali per migliorare di giorno in giorno, coltivi il santo riposo per lasciar lavorare l’anima, stimi il mondo morto per sé e si mostri crocifisso di fronte alle seducenti lusinghe del secolo.
Al piacere degli spettacoli mondani, questi dovrà preferire — senza tema di confronto — la vista del suo Creatore, sempre accostandosi ed elevandosi progressivamente all’apice della divina contemplazione e senza mai distrarsi, neppure per un momento, dalla considerazione delle promesse future, per guardare alle cose terrene.
Dirigerà l’acutezza della mente laddove si proporrà d’arrivare, raffigurandosi davanti agli occhi, e amando, la beatitudine della vita futura. Non temerà alcunché di terreno, né (lo) desidererà, per evitare che, da un lato, la paura di perdere un bene materiale o, dall’altro, la smania d’ottenerlo non infrangano la tensione dello spirito.
I casi spiacevoli non lo vizino né le contrarietà lo mettano in agitazione. Il giudizio favorevole non lo renda superbo, quello contrario non lo deprima, e la falsa accusa o l'elogio non accrescano né diminuiscano le sue gioie; non si rallegri in alcun modo delle cose del mondo, e neppure vi pianga sopra. Imperturbabile fra i piaceri e i dolori, il suo carattere costante mantenga il medesimo atteggiamento e qualsiasi cosa il mondo possa promettere o minacciare, la stabile fermezza del suo cuore non se ne lasci scuotere, ma perseverando sempre tal e quale e coerente con se stesso, egli non tenga in conto né i danni né i vantaggi di questo mondo.
E anche dopo aver realizzato, mosso dall’aspirazione alla vita contemplativa, queste condizioni e (altre) simili ad esse, sia fermamente persuaso di non esser perfetto già qui sotto ogni profilo, ma di dover raggiungere la perfezione nella vita beata che verrà. Si protenda quindi verso di essa, dove potrà vedere faccia a faccia l'essenza di Dio.
In questo mondo chiunque appartenga a coloro i quali vivono con rettitudine è definito giusto, dal momento che osserva giusti precetti; chi è perfetto, peraltro, va al di là dei precetti (stessi). Ma se costui si paragona con i perfetti in assoluto, come saranno (cioè) nella vita beata, (allora) non risulta — per dir così — perfettamente perfetto. Gli è stata si rimessa ogni iniquità, ma non è stata ancora risanata: è stata guarita, viceversa, (solo) la sua infermità; egli non commette peccato, certo, e in ciò è davvero perfetto, tuttavia conserva la capacità di peccare poiché la sua guarigione non ha comportato la totale estinzione del male. Di conseguenza (solamente) quando, purificato d’ogni colpa, non potrà (più) peccare, allora sarà perfetto.
Quaggiù, inoltre, per quanto notevole sia la grandezza della santità in cui uno possa segnalarsi, per quanto alto il livello della perfezione nella quale possa eccellere, questi può senz'altro esser stimato perfetto (solo) in base alla misura di questa vita; però non è così sicuro della propria perfezione da non dover preoccuparsi di cadere: ora, dove c'è una preoccupazione, la beatitudine non è evidentemente assoluta. Né questa va ritenuta in alcun modo perfetta, finché non sia diventata sicura; e sicura non sarà, prima che la sicurezza eterna non abbia cancellato ogni preoccupazione.
Perciò chi è detto beato in questa vita, è beato nella speranza della beatitudine futura; è proprio per questo, d'altronde, ch’egli non sarà beato qui, ma nell’altra vita, dove regnerà la perfetta beatitudine di tutti i santi e la natura umana, pienamente beatificata, contemplerà la sua gloria e (quella) del suo Creatore, aderendo a Lui senza che la propria felicità venga mai meno.
(Tutto il capitolo 12 corrisponde ai capitoli VIII e IX della “Vita contemplativa” di Giuliano Pomerio (n. 450 circa - m.500 circa). Testo estratto dall’edizione curata da Mario Spinelli, Città Nuova 1987)
Capitolo 13: Perché i santi non possono vedere pienamente Dio, prima d’essere entrati nella beatitudine della vita futura
Tutti quelli che (ne) hanno veramente mostrato il proposito e — con l'aiuto di Dio — la capacità, vanno quindi esortati alla vita contemplativa, senza che (però) dimentichino come la perfezione della contemplazione divina sia riservata nella vita beata che verrà: è allora che vedranno Dio così com'è, quando essi pure saran perfetti avendo acquistato la vita eterna e il regno celeste.
Del resto, se la fragilità umana avesse potuto contemplare quaggiù l’essenza di Dio nella sua pienezza, giammai il santo Evangelista avrebbe detto: Nessuno mai vide Dio [Gv 1,18].
Dopotutto, per dimostrare chiaramente che la visione di Dio non fu negata agli uomini santi, bensì (solo) differita, (il Signore) promise nel futuro ciò che rifiutò nel tempo presente, dicendo: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio [Mt 5,2]. E in questo caso non disse: «Perché vedono Dio».
In definitiva, se Dio — che in questa vita non avrebbe potuto, né (mai) potrebbe, esser visto se non dopo aver assunto un qualche elemento (materiale) — sarà visto nella vita futura, allora la perfezione della contemplazione divina va perseguita dove regnerà la pienezza d’ogni bene.
(Questa parte del capitolo 13 corrisponde al capitolo VII della “Vita contemplativa” di Giuliano Pomerio (n. 450 circa - m.500 circa). Testo estratto dall’edizione curata da Mario Spinelli, Città Nuova 1987)
Esaltando la sublimità della vita contemplativa nel futuro, quando s'attingerà la perfezione, non ho inteso negare ch’essa possa esser raggiunta (già) nel presente da parte di tutti coloro i quali disprezzano il mondo, se solo vi si convertono con tutta la devozione; se, desiderandola ardentemente, disdegnano le lusinghe terrene e, divenuti ben più forti dei legami con cui li avvincono gl’interessi temporali, si concentrano sulla meditazione delle cose divine e delle future promesse.
(Questa parte del capitolo 13 corrisponde al capitolo VI della “Vita contemplativa” di Giuliano Pomerio (n. 450 circa - m.500 circa). Testo estratto dall’edizione curata da Mario Spinelli, Città Nuova 1987)
Persone come queste, anche in questa vita, possono diventare partecipi della vita contemplativa.
Poiché molte cose sono già state dette nei capitoli precedenti sulla vita contemplativa, ciò che abbiamo detto qui è sufficiente ed andiamo a considerare le altre cose che si devono dire sulla vita dei solitari.
Poiché i nostri antichi Padri desideravano la patria del cielo e desideravano godere della vita contemplativa nella sua perfezione, fuggirono non solo dal modo di vivere delle persone del mondo, ma anche dalla loro compagnia. Si nascosero nelle foreste e nelle caverne, sapendo che più si allontanavano dai piaceri del mondo, più gli angeli avrebbero tenuto loro compagnia, e più si sarebbero ritirati da quest'epoca, più si sarebbero avvicinati a Dio. Volevano essere fisicamente separati dalle persone del mondo, in modo da non essere in qualche modo coinvolti nei loro affari.
Desideriamo, per quanto possibile, seguire il loro esempio e, se vogliamo fare qualche progresso nella vita contemplativa, ci impegneremo presto a separarci dalla compagnia di questo mondo. Sappiamo che spesso Dio protegge la vita dei suoi eletti in mezzo a persone carnali, ma è abbastanza raro che coloro che abitano in mezzo ai piaceri mondani rimangano indenni dai vizi. Anche se non sono immediatamente implicati in essi, sono comunque in qualche modo da essi sviati. Infatti, se rimani vicino al pericolo, non sarai in grado di starne a lungo al sicuro.
Su questo punto le Conferenze dei Padri dicono:
«È bello fuggire il mondo. Quando una persona è vicino al mondo, è come un uomo in piedi vicino ad un lago profondo. Ogni volta che il suo nemico vuole, può facilmente buttarlo a terra. Ma se uno è lontano dal mondo, è come un uomo che abita lontano da un lago. Se il suo nemico cerca di buttarlo a terra, mentre lo trascina con forza, Dio lo aiuterà” (Vitae Patrum, 5.2.12; PL 73,859).
Nello stesso luogo si dice anche:
“L'uomo che fugge dagli uomini è come un grappolo d'uva maturo. Una persona che si associa alla gente, però, è come un'uva acerba”.
E dice anche questo:
“Chi ama il silenzio resta insensibile alle frecce del nemico, mentre chi si mescola alla folla riceve più ferite."
Il beato Arsenio, mentre era ancora nel palazzo, temeva questa associazione con il mondo, e così pregò il Signore e dicendo: “O Signore, guidami alla salvezza”. E subito gli venne una voce che diceva: “Arsenio, fuggi la gente e sarai salvo”. Più tardi, quando fu entrato nella vita monastica, pregò di nuovo il Signore con la stessa preghiera e disse: “O Signore, guidami alla salvezza”. E di nuovo udì una voce che gli diceva: “Arsenio, fuggi, taci, stai nella quiete, perché queste sono le radici del non peccare”. (Vitae Patrum, 5.2.3; PL 73,858)
«Inoltre un Padre raccontò anche che tre fratelli volentieri diventarono monaci, e uno di loro scelse di ristabilire la pace fra i litiganti, secondo quanto sta scritto: Beati i pacifici, ecc. Il secondo invece si prefisse di visitare gli infermi, secondo queste parole: sono stato infermo, ecc. Il terzo infine se ne andò a vivere in solitudine. Il primo dunque che si occupava di litigi fra la gente non riuscì a fare progressi nella sua opera di pacificazione; e pertanto dichiarandosi sconfitto si recò da colui che prestava servizio agli infermi, e trovò che anch’egli era scoraggiato e incapace di realizzare pienamente il suo scopo. Allora questi due d’accordo andarono a trovare l’eremita, gli raccontarono le loro angustie e gli chiesero di esporre i progressi che aveva fatti. Dopo un po’ di silenzio, mise l’acqua in una brocca e disse loro: “Osservate l’acqua”. Era torbida. Dopo un po’ disse loro: “Guardate ora come l’acqua è diventata trasparente”. Ed essi guardandola videro il proprio volto riflesso come in uno specchio. Allora disse: “Lo stesso avviene per chi sta in mezzo alla gente: a causa della folla egli non vede i suoi peccati; quando invece ha ritrovato la calma, specialmente nella solitudine, allora riconosce le sue colpe»
(Estratto da “Directorium Spiritus” vol. I e II, di Antonio Rosmini)
In questo racconto, vediamo chiaramente quanto vantaggio offra la vita solitaria. È una specie di stadio dove correggere il nostro modo di vivere. “Chi siede in solitudine”, cioè in reclusione, “è libero da tre guerre, cioè quella dell'udito, quella del parlare e quella del vedere. Una persona così deve combattere contro una cosa sola: i pensieri del cuore". Si tenga presente che è molto meglio vivere in mezzo a tante persone e condurre la vita solitaria, piuttosto che essere nel deserto e nutrire nella propria mente il desiderio di stare con molte persone. Infatti le persone mondane, se commettono qualche crimine in questo mondo, vengono mandate in prigione, anche se non vogliono andarci. Allo stesso modo noi, a causa dei nostri peccati, andiamo nella prigione della reclusione, affinché, con questa punizione volontaria della nostra mente, possiamo meritare di essere risparmiati dalle pene future. Così, come dice l'Apostolo: “Se giudichiamo noi stessi in questo tempo, non saremo giudicati dal Signore nel tempo che verrà” [cfr. 1 Cor 11,31].
Capitolo 15: Riguardo alla procedura per accogliere i fratelli nella reclusione
Nostro Signore Gesù Cristo chiama tutti al suo servizio e, nella sua fedeltà e misericordia, riceve tutti coloro che vengono a lui. Chiama e riceve tutti, perché lui stesso sa chi sono i suoi, e «non ha bisogno di nessuno che renda testimonianza sugli uomini, perché egli sa cosa c'è in loro» [Cfr. Gv 2,25]. Ma noi, che non abbiamo modo di sapere quali sono gli uomini cattivi e quali sono buoni se non li abbiamo messi alla prova, dobbiamo attenerci a questo consiglio dell'Apostolo: "Mettete alla prova gli spiriti, per saggiare se provengono veramente da Dio" [1 Gv 4: 1]. Ecco perché un nuovo arrivato al servizio di Dio deve prima essere accuratamente testato e solo in seguito ricevuto. Questa procedura ha lo scopo di impedire ad una persona di tentare di avvicinarsi alla vita solitaria con una mente piena di finzioni ed uno spirito pieno di inganni. Perciò si deve indagare sulla sua vita passata e sul suo modo di vivere per vedere se è stato temperante nella sua condotta, casto nella sua vita, sobrio, saggio, umile, obbediente, amabile, istruito nella legge del Signore, attento nel dare istruzioni a se stesso.
Quando dunque sarà stato sottoposto a queste ed altre prove, se avrà perseverato nel bussare e se, dopo quattro o cinque giorni, risulterà che ha sopportato con pazienza le ingiurie che gli sono state fatte e le difficoltà di ammissione e sarà rimasto risoluto nel desiderare ciò che chiede, allora la sua ammissione sia approvata o dal vescovo o dal suo abate. Ma senza il consenso del vescovo o dell'abate del luogo e anche di tutti i fratelli del monastero in cui quel fratello è stato formato, la questione non deve essere assolutamente risolta. Deve anche essere proibito che qualcuno si risolva a vivere questo stato di vita religioso in qualsiasi luogo che non sia una comunità di cenobiti; a nessuno deve essere permesso di decidere di vivere in questo modo nei villaggi o nelle chiese di campagna o in qualsiasi altro luogo, a meno che qualcuno non voglia andare nel deserto, come fecero i nostri antichi Padri.
Dopo che il Vescovo, od il Superiore del monastero, gli avrà concesso di ritirarsi in convento, viva per un anno in mezzo ai fratelli, così da non uscire dal chiostro se non per andare in Chiesa, affinché in questo modo sia messa alla prova la sua volontà e la sua fermezza. Se poi nello stesso monastero, o nei monasteri vicini, c’è un eremita apprezzato, venga assegnato a lui, perché lo esamini. Se invece non vi si trova alcun eremita, gli venga assegnato un anziano che si occupi e si prenda cura di lui con tutto l’impegno possibile, per vedere se realmente cerca Dio, dedicandosi seriamente all’obbedienza, alla preghiera e a tutte le altre simili pratiche spirituali. Gli siano presentate tutte le difficoltà e le avversità attraverso le quali si giunge a Dio. E se darà garanzia di perseveranza, con la sua fermezza, gli si legga questa regola, e gli si dica: “Ecco la legge sotto cui tu vuoi militare; se puoi osservarla, entra; se invece non puoi, ritorna libero”. Se resterà ancora saldo, gli si rilegga questa Regola assiduamente, affinché sappia a cosa va incontro, sia provato in ogni sua capacità di sopportazione.
(Estratto da “Directorium Spiritus” vol. I e II, di Antonio Rosmini)
Se ha riflettuto dentro di sé e promette di mantenere tutto, allora con calma e silenziosamente sia accolto nel proposito per cui ha deciso, sapendo che è stabilito dalla legge della Regola che da quel giorno in poi egli non potrà uscire da quel recinto; né potrà togliersi dal collo il giogo della Regola che, durante tanta lunga riflessione, era libero o di declinare o di accettare.
Colui che deve essere accolto prometta, nell'oratorio, alla presenza del vescovo e di tutto il clero, con le sole parole, la sua stabilità e la conversione del suo modo di vivere, davanti a Dio ed ai suoi santi, in modo che se mai agirà diversamente, ciò non sia mai, sappia che sarà condannato da colui di cui si fa beffe.
Colui poi che deve essere accolto in comunità, stando in chiesa alla presenza del Vescovo e di tutto il Clero, pronunci la promessa di voler perseverare o il suo cambiamento di vita davanti a Dio ed ai suoi santi, di modo che, se mai avverrà (che Dio non voglia!), che egli si comporti diversamente, sappia di essere dannato da Dio, di cui si prende gioco. Allora il fratello si prostri ai piedi del Vescovo e di tutti i fratelli ivi presenti, affinché preghino per lui. Tutti allora subito preghino per lui, quanto a loro sembrerà opportuno. Poi, se il Vescovo o l’Abate lo avranno ordinato, facciano suonare le campane al momento del suo ingresso, affinché tutti, sentendo quel suono, preghino per lui.
Se possiede poi qualche bene, come si dice nei precedenti capitoli, lo doni prima ai poveri, oppure, dopo averne fatto donazione solenne, lo consegni al monastero, senza conservare nulla per sé. Dovrà restare con gli stessi vestiti con cui sarà entrato e così in seguito rimanga in solitudine. Dopo il suo ingresso però, il Vescovo ordini di segnare col suo sigillo la porta di chiusura della celletta, affinché non resti per caso qualche sospetto in qualcuno.
(Estratto da “Directorium Spiritus” vol. I e II, di Antonio Rosmini)
Capitolo 16: Come deve essere la cella di reclusione
La cella di reclusione deve essere piccola e deve essere circondata da tutti i lati da muri molto solidi, in modo che non ci sia alcuna opportunità per il solitario di girovagare fuori ed in modo che nessuna entrata sia lasciata aperta perché qualcuno possa entrare da lui, cosa non consentita. Affinché ogni occasione di dover uscire sia vanificata, avrà all'interno del recinto delle stanze che soddisfino i suoi bisogni. Così avrà un oratorio consacrato dal vescovo, se cioè il solitario è sacerdote. Questo oratorio deve essere attiguo all'edificio della chiesa. In questo modo, attraverso una finestra dell'oratorio, il solitario potrà offrire i sacrifici nelle Messe per mano dei sacerdoti e potrà sentire chiaramente i fratelli che cantano e leggono e potrà cantare insieme a loro i salmi. Saprà anche dare risposte a chi si rivolgerà a lui.
Davanti a questa finestra deve essere appesa una tenda, sia all'interno che all'esterno, in modo che non possa essere visto facilmente dall'esterno, né lui stesso possa vedere all'esterno. Altrimenti potrebbe entrare la morte attraverso la porta degli occhi, come sta scritto: Bada che la morte non entri nella tua anima attraverso le tue finestre [cfr Ger 9,21]. E l'Apostolo ordina che la gente stia in guardia contro gli spettacoli e le manifestazioni pubbliche.
All'interno delle mura di reclusione avrà un piccolo giardino, se sarà possibile, in cui potrà di tanto in tanto uscire e piantare e raccogliere qualche verdura e potrà prendere un po' d'aria fresca, perché l'aria fresca gli farà molto bene.
Fuori dalle mura di reclusione ci siano anche altre piccole celle in cui vivono i suoi discepoli. Queste celle devono essere attigue alla sua, affinché i suoi discepoli abbiano un mezzo adatto per fornirgli, a suo tempo, le cose di cui ha bisogno.
Se due solitari abitano nello stesso luogo, come si sa in molti luoghi, vi sia fra loro un silenzio immenso, una grande quiete ed una carità perfetta. I singoli solitari devono essere separati in singole cellule, ma devono essere inseparabilmente uniti nello spirito e nella fede e nella carità. Le loro celle non devono essere separate da uno spazio, ma così collegate tra loro che i solitari possano avvicinarsi ad una finestra e lì possano incoraggiarsi a servire Dio, possano dedicarsi insieme alle sacre preghiere, a recitare insieme le divine Scritture e possano riunirsi all'ora opportuna per il sostentamento corporeo.
Come è stato detto, le celle dei solitari devono essere attigue alla chiesa. Alle donne non è permesso prendere cibo né passare del tempo nelle celle dei solitari o in quelle dei loro discepoli, e non devono nemmeno essere fornite di alcun pretesto per entrarvi, poiché si legge che ciò era severamente vietato dai santi Padri. Se però le donne hanno bisogno di parlare con i solitari per confessarsi o per avere consigli sulla loro anima, entrino in chiesa e, davanti a tutti, parlino davanti alla finestra che si apre sull'oratorio, e con prudenza e profitto decidano ciò che desiderano dire e lo espongano. Come in tutte le altre cose, così anche nel conversare con le donne, i solitari sono obbligati a dare il buon esempio a tutti. Per esempio, il loro colloquio con le donne non deve fornire a nessuno l'opportunità di farsi un'impressione sbagliata. Devono astenersi, non solo dai colloqui privati con le donne, ma anche dal vederle o toccarle. San Basilio ha questo da dire a proposito del parlare con le donne: "Non permettere che le tue orecchie si abituino a sentire le parole delle donne, perché da quelle parole, nella tua anima, concepirai la malvagità " (Basilio Magno, Admonitio ad filium spiritualem, 7). A questo proposito san Girolamo dice: “La cosa principale che tenta i servi di Dio sono le frequenti visite delle donne” Girolamo, Epistola 42,2), perché una donna colpisce la loro coscienza con un fuoco furioso e brucia il loro cuore. A proposito di toccare le donne San Basilio dice: “Non desiderare di toccare la carne di una donna, perché toccandola il tuo cuore non si infiammi. Come la paglia che sta vicino al fuoco divampa, così chi tocca la carne di una donna non se ne andrà senza nuocere alla sua anima. Anche se se ne andrà ancora casto nel corpo, se ne andrà ferito nella mente e nel cuore” (Basilio Magno, Admonitio ad filium spiritualem, 7). Le donne non devono mai essere baciate dai solitari, perché il bacio è una delle quattro forme di amore fisico. Le donne vanno amate non carnalmente ma spiritualmente. Ma cosa dire riguardo al guardarle? Il Signore afferma chiaramente: «Chi guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» [Mt 5,28]. Per questo San Basilio dice: "Non guardare la figura di una donna con occhio spudorato, perché attraverso le finestre dei tuoi occhi la morte non entri nella tua anima" (Basilio Magno, Admonitio ad filium spiritualem, 7). E quindi i solitari devono evitare di guardare spesso le donne. Ciò vale soprattutto per coloro che avevano vissuto tra i laici o che erano stati sposati. Evitino di fare i padrini, sia di uomini che di donne; sebbene sia lecito, non è comunque un bene per loro.
Capitolo 17: Non ci devono mai essere meno di due o tre solitari nello stesso tempo.
Si faccia ogni sforzo affinché, se possibile, non vi siano mai meno di due o tre solitari contemporaneamente. I solitari vivranno rinchiusi in celle singole, ma in modo tale che possano parlarsi attraverso una finestra e possano incoraggiarsi a vicenda a compiere l'opera di Dio. Per molte ragioni, percepisco che la compagnia di due solitari è utile a coloro che sono uniti nella stessa volontà e nello stesso scopo. Viceversa, vedo che, per molte ragioni, vivere la vita solitaria senza nessuna compagnia è pericoloso.
«Certo il primo rischio che incombe sul solitario, ed è gravissimo, consiste nel compiacersi di se stesso, credendo di essere già ormai giunto alla perfezione, pensando di essere quello che in realtà non è. Questo pericolo di solito lo corre colui che manca della possibilità di un confronto probante. Di costoro infatti dice l’Apostolo: “Se infatti uno pensa di essere qualcosa mentre non è nulla, inganna se stesso” (Cfr. Gal 6,3). Poi ancora egli ignora se possiede in abbondanza qualche virtù oppure se ne è privo. Infatti egli, essendo solo, non può chiedere a qualcun altro ciò che gli è utile o ciò che gli manca. Infine, egli non può riconoscere con facilità né le sue colpe né i suoi vizi, poiché non vi è nessuno che gli faccia osservazioni o lo riprenda. A questo solitario può facilmente accadere quello di cui parla la Scrittura: “Guai a chi è solo: poiché se cade non ha nessuno che lo rialzi” (Cfr. Qo 4,10).
(Estratto da “Directorium Spiritus” vol. I e II, di Antonio Rosmini)
Cosa impedirà ai solitari di esercitare i loro desideri malvagi, se non hanno nessuno che possa ostacolare la loro volontà? O come metteranno alla prova la loro umiltà o pazienza o carità, se non hanno nessuno verso cui esercitare queste virtù?
«E infatti non può essere sufficiente uno solo, quantunque eccelso, ad assumere tutti i doni dello Spirito Santo, perché, come dice l’Apostolo (1Cor 12,8), “a uno viene concesso (dallo Spirito) il linguaggio della sapienza, a un altro invece il linguaggio di scienza, e altri doni simili” Perciò se secondo la distribuzione dello Spirito Santo viene dato a uno ciò che è negato ad un altro, è necessario che ve ne siano due o tre volte di più, e coi carismi che ognuno ha ricevuto, gli uni e gli altri siano del pari consolati ed edificati»
Inoltre, la compagnia di molti è di grande aiuto contro le imboscate del nemico, che sono tese sia all'interno che all'esterno. Saranno più facilmente destati dal sonno e stimolati ad ogni opera buona. Anche la preghiera trae beneficio non poco da due fratelli, tanto più che il Signore dice: “Se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà“ [Mt 18:19]. E dice anche: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” [Mt 18,20]. Inoltre, due possono ottenere dalla preghiera ben più di uno solo.
Una vita vissuta da solitari in comune ha molti altri vantaggi che ora non è possibile enumerare. Ma, parlando di due solitari in un luogo, dobbiamo dire che anche uno solo, purché sia stato provato, potrà beneficiare di questo tipo di vita.
Poiché la bontà di Dio chiama tutti mediante quella chiamata amorosissima con la quale dice: «Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò» [Mt 11,28], la decisione di allontanare chi è venuto per servire Dio è pericolosa. Tuttavia, non è senza la più attenta prova che qualcuno può entrare in questo santo stile di vita.
E come il Signore interrogò quel giovane che era venuto da lui intorno alla sua vita precedente, e dopo aver sentito che l’aveva trascorsa nella giustizia, gli ordinò di fare ciò che gli mancava dicendo: “Se vuoi essere perfetto va’, vendi tutto ciò che hai e dallo ai poveri” (Mt 29,21); e infine così gli ordinò di seguirlo; allo stesso modo anche noi “dobbiamo prima mettere alla prova lo spirito, per vedere se viene da Dio” (Cfr. 1 Gv 4,1), e così con carità ammettere al servizio di Dio tutti quelli che si mostrano in tal modo disposti.
(Estratto da “Directorium Spiritus” vol. I e II, di Antonio Rosmini)
Se qualche sacerdote ordinato in paesi stranieri chiede di essere ricevuto, con l'intenzione di condurre prima o poi la vita solitaria, non gli si deve dare il permesso facilmente. Tuttavia, se persevera nel chiederlo, sia accolto e sappia che deve osservare tutta la disciplina della regola.
Ma perché non capiti che qualcuno tenti di raggiungere questo scopo simulando il suo pensiero, all’inizio dev’essere messo a dura prova. D’altronde, così si può distinguere con facilità se sopporta serenamente tutte le fatiche fisiche impostegli, e se le sopporta volentieri per una vita più austera, e si dimostra ben disposto ad una vita più austera; oppure se, interrogato, non prova assolutamente confusione nel confessare una sua colpa, anzi accetta con gioia la penitenza che gli viene imposta per quella mancanza; e se accetta ogni genere di umiliazione senza vergognarsi, e non arrossisce nell’applicarsi ai mestieri più umili e disprezzati, se la ragione lo richiede.
(Estratto da “Directorium Spiritus” vol. I e II, di Antonio Rosmini)
Quando sarà stato messo alla prova da queste e altre pratiche, se rimarrà stabile e mostrerà uno spirito pronto, allora dovrà essere ricevuto.
Parimenti, se arriva un monaco pellegrino o un chierico da una provincia lontana e chiede di essere ricevuto per il suddetto motivo, sia accolto come ospite e messo alla prova nel modo già descritto. Se si è accontentato delle usanze del luogo che ha trovato e vuole rendere salda la sua stabilità, la sua intenzione non deve essere negata. Se, durante il suo soggiorno come ospite, sarà stato trovato esigente o corrotto - poiché durante questo periodo si potrà meglio scoprire che tipo di persona è - non solo non deve essere ricevuto, ma gli si deve dire francamente di andarsene, per timore che la sua misera condotta corrompa gli altri. Ma se non è il tipo di persona che merita di essere espulso, allora non deve essere espulso, ma persuaso a rimanere, in modo che gli altri possano essere istruiti dal suo esempio. Bisogna fare attenzione che un monaco di un altro monastero conosciuto non sia accolto a vivere nella comunità senza il consenso del suo abate o senza lettere di raccomandazione.
«A proposito poi dei giovani non c’è alcuna difficoltà per l’accettazione, poiché il Signore dice di loro: “Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli” (Mt 19,14). Infatti l’età infantile non nuoce ad alcuno, se egli sarà integro di spirito. E l’età senile non gioverà ad alcuno, se egli sarà stato gretto d’animo. Infatti si dice che è perfetto non colui che è avanti negli anni, ma colui che è puro di cuore. Per questo si dice nel libro della Sapienza: “La canizie per gli uomini sta nella sapienza: vera longevità è una vita senza macchia” (Sap 4,9). Infatti anche Davide, pur essendo ancora giovane, ma avendo un cuore puro, fu scelto come re dal Signore, e gli fu concesso lo spirito di profezia. Saul invece, pur essendo vecchio per età, per la sua malvagità fu deposto dal trono, e consegnato allo spirito del male. Assai malvagi erano quei Sacerdoti che hanno tentato di usare violenza a Susanna, mentre Daniele, che li ha condannati per le loro stesse parole, era ancora molto giovane. Infatti il Nostro Signore Gesù Cristo, al suo ingresso in Gerusalemme, viene lodato dai piccoli, mentre poi viene crocifisso dagli anziani. Infatti anche l’albero, per quanto abbia molti anni, se sarà infruttuoso, sarà tagliato: se invece sarà giovane, fecondo e ricco di frutti, viene coltivato di più, affinché produca frutti più abbondanti. Diciamo poi che ogni momento, a partire dalla più tenera età, è buono per istruire qualcuno nella scienza e nel timor di Dio. La professione poi di castità sarà sicura a partire dall’età in cui i secolari si ritengono abili alle nozze»
(Estratto da “Directorium Spiritus” vol. I e II, di Antonio Rosmini)
Tuttavia, si deve esercitare ogni cura affinché sia data loro l'opportunità di mettere in pratica ogni virtù. Chiedano l'ingresso, come si è detto sopra, per i due anni prestabiliti e, se perseverano con coraggio e fervore, devono essere ricevuti nel modo sopra esposto.
«Inoltre ancora se qualche cattolico viene da noi dicendo “Voglio restare presso di voi per qualche tempo, affinché possa giovarmi di voi”, bisogna accettarlo, col favore del Signore, che dice: “Chiunque viene a me, non lo respingerò” (Gv 6,37). Talvolta, infatti, può accadere che faccia progressi nel tempo, e che si compiaccia di vivere santamente. Bisogna poi che noi, nel nostro modo di vivere e nella pratica religiosa, di cui forse la gente pensa diversamente, ci comportiamo con cautela e con sollecitudine, e che pratichiamo il precetto di colui che ha detto: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5,16). Infine, ci si comporti così: se egli è buono e sincero, possa avvantaggiarsi stando con voi, se invece è solo osservatore e bugiardo, se ne vergogni”.
(Estratto da “Directorium Spiritus” vol. I e II, di Antonio Rosmini)
Capitolo 19: Che tipo di persona e quanto debba essere santo il solitario
Il solitario deve essere quel tipo di persona che l'Apostolo ordina di essere ad un vescovo: “Il vescovo deve essere irreprensibile” [Tt 1,7]. Allo stesso modo, il solitario deve essere irreprensibile, non impudente, non irascibile, non bevitore di vino, non grande mangiatore, non violento, non doppio nel parlare, non neofita e non avido di sporco guadagno. Se diciamo prima di tutto che il solitario deve essere irreprensibile, non significa che, se avesse commesso qualche offesa prima della sua conversione, non sarebbe stato accolto nella vita solitaria, poiché per la sua stessa intenzione, sarebbe stato in grado di fare penitenza per il misfatto che aveva ammesso in precedenza. Ciò che intendiamo è che, dal momento in cui inizia a dimorare nella vita solitaria, non deve essere tormentato da alcun ricordo del peccato prima commesso: infatti, chi non ha vizi è irreprensibile. Ogni colpa è un peccato, ma ogni peccato non è una colpa. Di conseguenza, un solitario o chiunque altro può essere esente da colpe, ma non può mai essere esente dal peccato.
Ne consegue che il solitario non deve essere impudente, cioè orgoglioso, per non lasciarsi trasportare e cadere nella trappola del diavolo. Non deve essere irascibile: infatti, l’irascibile è una persona che si arrabbia sempre e si agita al più semplice sussurro di una risposta, come le foglie sono agitate dal vento. Non colui che si arrabbia occasionalmente è un irascibile, ma si dice irascibile colui che è costantemente sopraffatto da questa passione.
Diciamo che il solitario non deve essere gran bevitore di vino o gran mangiatore, perché dove c'è stata ubriachezza ed eccesso di cibo, la concupiscenza e lo sfrenato desiderio avranno il sopravvento. Di solito accade che colui che è dominato da questi due vizi offenda il sobrio decoro alzando la voce in una risata e ridendo smodatamente e turpemente dalle viziose labbra.
Il solitario non deve essere violento, cioè non deve essere pronto ad alzare la mano per colpire. Ciò non significa che, se un solitario ha un discepolo ed è stato autorizzato a farlo, non può percuotere il discepolo con pietà filiale, poiché Salomone dice: “I fianchi dei ragazzi devono essere battuti regolarmente con verghe, perché non si induriscano [cfr. Pr 13,24; 23,13-14; 29,15]. Ma questa espressione significa che colui che deve essere gentile e paziente, non deve perdere la calma e colpire la bocca o la testa di un altro.
Il solitario non deve essere doppio nel parlare, per non disturbare coloro che vivono nella pace. Non deve comportarsi come un neofita, per non cadere nella trappola del diavolo, poiché il neofita non sa ancora difendersi dalle tentazioni del nemico. Chi diventa in fretta un solitario non sa cosa sia l'umiltà e la dolcezza. Ignora come detestare le ricchezze del mondo e come disprezzare se stesso. Non ha digiunato, non ha pianto, spesso non si è rimproverato per la propria condotta e non l'ha corretta con un’assidua meditazione. Tale solitario passa da trono a trono, da orgoglio ad orgoglio.
Il solitario non deve essere avido di sporchi guadagni, per timore che cerchi di ottenere guadagni terreni dal servizio di Dio. L'appetito per lo sporco guadagno significa pensare più alle cose presenti che a quelle a venire: il solitario, infatti, ha cibo e vestiti, e di questi deve accontentarsi. Per questo l'Apostolo dice: “Coloro che servono l'altare, vivano dell'altare” [cfr. 1 Cor 9,13]. Dice "vivano", non diventino ricchi.
Il solitario non deve essere irritabile ed ansioso, non deve abbandonarsi agli eccessi o essere ostinato, non deve essere geloso o eccessivamente sospettoso, perché questo tipo di solitario non avrà mai riposo. Non sia dedito alla mormorazione, poiché sta scritto che coloro che mormoravano caddero vittime dei serpenti [cfr. Gdt 8,24-25 Vulgata; Nm 21,5-6; e 1 Cor 10,9].
Non deve disprezzare gli altri, a causa di ciò che è scritto: “Chi disprezza suo fratello sarà spazzato via” [cfr. Gc 4,11]. Non deve covare odio nel suo cuore, perché sta scritto: “Chi odia suo fratello è un omicida” [1 Gv 3,15]. Non deve essere chiacchierone, poiché sta scritto: "Di ogni parola vana che gli uomini diranno, dovranno rendere conto nel giorno del giudizio " [Mt 12,36].
Non sia pigro, a causa di ciò che è scritto: “Servo malvagio e pigro”, e così via [Mt 25,26]. Non sia assonnato o soggetto ad altri vizi, in modo che possa essere fiducioso e osi dire con il profeta: “Sono stato immacolato davanti a Dio e mi sono trattenuto dalla mia iniquità [Cfr. Sal 18(17),24].
Finora abbiamo mostrato che tipo di persona non debba essere il servitore di Dio, ora diciamo che tipo di persona debba essere. Il servo di Dio deve essere virtuoso, cioè deve tenersi a freno dalla lussuria e, come abbiamo già detto, deve distinguersi tra gli altri, non solo perché si astiene da azioni che lo renderebbe impuro, ma anche perché la sua mente è libera da pensieri vaganti.
Deve essere giusto, santo, casto, che pratica l'astinenza e l'ospitalità, che ama le opere buone, modesto, sobrio, paziente, gentile, umile, caritatevole ed obbediente; non solo deve astenersi da atti immorali, ma deve anche mantenersi libero dagli impulsi dello sguardo, della parola e del pensiero. Ed avvenga così, perché per tutto il tempo in cui il solitario non permette a nessun vizio di dominarlo, egli sarà in grado di chiedere perdono a Dio per le sue azioni malvagie e per quelle di tutti gli uomini.
Inoltre, il solitario deve vivere in modo tale che coloro che disprezzano la religione, non debbano disprezzare la sua vita. Se si comporterà così e perseguirà le virtù sopra menzionate, allora sarà un proficuo ministro di Dio e, con l'aiuto della misericordia divina, porterà a perfetto compimento il suo proposito.
Il solitario deve essere un maestro, non uno che abbia bisogno di essere istruito; deve anche essere saggio e dotto nella legge divina, affinché sappia da quale fonte estrarre sia cose nuove che cose antiche [cfr. Mt 13,52].
Per molti motivi i solitari devono essere istruiti negli scritti divini. Primo, a causa delle astuzie e degli inganni che spesso il diavolo usa per immergersi nel cuore degli insensati. Secondo, affinché possano irrigare con i corsi d’acqua della dottrina i cuori inariditi di quei vicini che vengono da loro. E se il solitario ha dei discepoli, deve essere in grado di istruirli a sufficienza. In queste ed in altre simili situazioni, è assolutamente necessario che il solitario conosca le Scritture; perché se la santa vita servisse solo a lui, allora il fatto che viva santamente può giovare solo a sé stesso. Ma se sarà istruito nella dottrina, allora potrà istruire gli altri e respingere e confutare eretici, ebrei ed altri tipi di avversari; infatti, a meno che questi non siano confutati e dimostrati sbagliati, possono facilmente corrompere il cuore delle persone semplici.
La parola del solitario, tuttavia, deve essere pura, semplice ed aperta, piena di dignità ed onestà, piena di dolcezza, grazia e gentilezza. È suo speciale dovere spiegare il mistero della Legge, la dottrina della fede, la virtù della continenza e la disciplina della giustizia. Il solitario deve leggere le divine Scritture, esaminare i canoni, imitare gli esempi dei santi per sapere in anticipo che cosa, a chi, quando e come divulgare. Poiché non sempre lo stesso consiglio deve essere dato a tutti, ma ogni persona deve ricevere consigli diversi, a seconda della qualità del suo stato di vita e della sua condotta. Ci vuole un fermo rimprovero per correggere alcune persone, mentre un mite rimprovero corregge altre persone. Proprio come i medici esperti usano vari medicinali per adattarsi ai vari tipi di ferite, così il solitario deve applicare alle singole persone un adeguato rimedio di esortazioni; e consigli a ciascuna persona ciò che è appropriato all’età, al sesso ed allo stato di vita.
«Non si deve aprire tutto ciò che sta chiuso: infatti ci sono molti che non sono in grado di comprendere. Soprattutto a coloro che sono rozzi e carnali bisogna impartire insegnamenti semplici e ordinari, non verità eccelse e inaccessibili. Perciò l’Apostolo dice: “Non ho potuto parlare a voi come a uomini spirituali, ma come ad esseri carnali: come a neonati in Cristo vi ho dato da bere latte, non cibo solido” (1Cor 3,1). Come abbiamo detto, certamente non conviene dissertare in modo sublime davanti a gente carnale né di verità celesti né di verità terrene, ma occorre parlare con moderazione e discrezione. Infatti il corvo finché vede i suoi piccoli di colore bianco, non li nutre affatto, ma aspetta fino a quando anneriscono come lui, e solo allora li alimenta di frequente. Allo stesso modo, non conviene che un buon solitario sveli i misteri più profondi della comprensione spirituale se non a quei discepoli che vede tingersi di nero a sua somiglianza mediante il pentimento e la confessione, e, deposto il colore bianco secolare, rivestirsi dell’abito di lamento nel ricordo dei propri peccati, affinché, non comprendendo ciò che ascoltano, non incomincino a disprezzare anziché a venerare gli insegnamenti celesti. Perciò anche il Signore fra l’altro dice: “Non gettate le vostre perle ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe” (Mt 7,6). Finora abbiamo detto quanto dotto o quanto discreto nell’insegnare deve essere il solitario»
(Estratto da “Directorium Spiritus” vol. I e II, di Antonio Rosmini)
Passiamo ora al pronunciamento del beato Gregorio e vediamo con quale discrezione e circospezione dobbiamo guardare a noi stessi quando insegniamo. Lui dice:
“Poiché siamo esseri umani deboli, quando parliamo alle persone di Dio, dobbiamo prima ricordare ciò che siamo, in modo da poter riflettere sulla nostra fragilità e quindi determinare la sequenza da seguire nell'insegnare ai nostri fratelli. E quindi consideriamo o che siamo come alcune delle persone che stiamo correggendo o che un tempo siamo stati come loro. E se, per opera della grazia di Dio, ora non siamo come loro, dobbiamo correggerli tanto più dolcemente e con cuore umile quanto più chiaramente riconosciamo che anche noi un tempo siamo stati coinvolti in questi atteggiamenti vergognosi. Anche se ora non siamo, e non siamo mai stati, come quelle persone che ancora speriamo di correggere attraverso la penitenza, dobbiamo fare attenzione che il nostro cuore non diventi orgoglioso della nostra stessa innocenza e così precipiti in una rovina peggiore di quella delle persone di cui stiamo correggendo le cattive azioni. Inoltre, dobbiamo richiamare davanti ai nostri occhi altre loro buone azioni e, se non ce ne sono affatto, allora ricorriamo ai giudizi nascosti di Dio. Poiché come ricevemmo il bene che abbiamo senza meriti nostri, così la grazia della virtù celeste può riversarsi in loro e suscitarli in modo tale che gli stessi beni arrivati loro più tardi possano superare quei beni che noi abbiamo ricevuto prima. Con questi pensieri, quindi, dobbiamo prima umiliare il nostro cuore e solo allora rimproverare le azioni peccaminose dei malfattori”. (Gregorio Magno, Moralia in Job, 23,13)
Dobbiamo renderci conto che è conveniente che vescovi e sacerdoti predichino in un modo, ed i solitari in un altro. La responsabilità dei primi è di predicare alle persone che sono, per così dire, affidate alle loro cure, attraverso il biasimo, il rimprovero e l’ammonizione [cfr. 2 Tm 4,2].
Ai secondi invece, cioè i solitari, non come a gente che è stata loro affidata, ma per sola carità, conviene che ristorino tutti quelli che si accostano a loro col cibo di parole spirituali, e li consiglino umilmente e segretamente, affinché si convertano al servizio di Dio: tuttavia non bisogna che essi omettano l’esortazione severa, come se volessero guadagnarsi la simpatia della gente. Inoltre, anche noi dobbiamo predicare, pur tacendo, infatti: noi predicheremo, pur tacendo, quando offriremo agli altri il modello di una vita ben vissuta e mostreremo esempi luminosi”
(Estratto da “Directorium Spiritus” vol. I e II, di Antonio Rosmini)
La vita e la condotta dei solitari devono prendere norma ed esempio dall'Apostolo, che disse: «Mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno» [1 Cor 9,22]. L'Apostolo si è presentato per essere imitato da tutti fino a gridare con sicurezza: «Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo» [1 Cor 11,1]. Oh, quanto fu felice, quanto fiducioso nella sua condotta Paolo, che oltrepassò i profeti, gli apostoli e gli altri santi ed ordinò ai cristiani di imitarlo! Ecco perché i solitari, anche se inferiori a Paolo, devono comunque presentarsi a tutti per essere imitati. Poiché, come è cosa preziosa e meravigliosa l’agire bene in mezzo alla moltitudine, l’ispirare molte persone a progredire ed imitare un esempio di buone opere, così è anche cosa pericolosa e distruttiva l’agire negligentemente, rovinando la fede e corrompendo le anime di molti. Dico questo perché purtroppo è più facile trovare chi segue ciò che è peggio, piuttosto che trovare chi segue ciò che è meglio. Perciò, come dev'essere grandemente ammirata e lodata quella persona la cui buona condotta di vita porta molti a progredire, così giustamente è deplorevole quella persona la cui vita è la rovina di molti. Quindi, molti solitari che conducono vite corrotte agiscono per gli altri come un modello per il male, mentre dovrebbero essere un esempio di come vivere una buona vita. I solitari che causano la rovina degli altri con l'esempio della loro cattiva condotta periranno senza dubbio insieme a loro per tutta l'eternità, ma solo se avranno perseverato nel male. Coloro che con il loro esempio o insegnamento corrompono la vita e la condotta delle brave persone sono molto peggiori di coloro che devastano i possedimenti e le proprietà degli altri. Questi ultimi, infatti, ci tolgono cose che ci sono esteriori, anche se ci appartengono, mentre coloro che corrompono i buoni costumi distruggono specialmente noi stessi, poiché la ricchezza degli uomini consiste nei buoni costumi.
Per questo motivo, noi che aspiriamo a condurre la vita solitaria dobbiamo dedicare sempre le nostre energie a fare ciò che può edificare gli altri. Dobbiamo stare attenti che i nostri vizi non danneggino le virtù degli altri, che la nostra tiepidezza non indebolisca il fervore degli altri, che la nostra ira non contamini la pazienza degli altri e che il nostro rancore non la violi, che il nostro orgoglio non corrompa l'umiltà degli altri, che la nostra malattia non contamini la salute degli altri, che il nostro decadimento non contamini la bellezza degli altri, che non spegniamo le lampade accese degli altri e che, ciò non sia mai, siamo esclusi con le vergini stolte dal regno di Dio [cfr. Mt 25,1-13].
Al contrario, mostriamoci di essere il tipo di persone la cui umiltà confonde la superbia degli altri, la cui pazienza spegne il rancore degli altri, la cui obbedienza rimprovera silenziosamente la pigrizia degli altri, il cui fervore spinge all'azione la tiepidezza degli altri. Inoltre, mostriamo a noi stessi di essere il tipo di persone che sono un esempio di luce per tutti. Così comanda il Signore, quando dice: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» [Mt 5,16]. Ed è per questo che san Paolo dice: «In ogni cosa, dunque, offri te stesso come esempio di buone opere» [Tt 2,7], «Nella parola, nella condotta, nella carità, nella fede, nella castità» [1 Tm 4,12]. A questo proposito, l'eccellente maestro Gregorio dice, nella sua esposizione di Ezechiele:
“Coloro che vivono bene in segreto ma non contribuiscono al progresso degli altri sono il carbone. Ma quelli che si dispongono in modo che la loro santità possa essere imitata e che emanano da sé la luce della rettitudine sono lampade, perché ardono per sé stessi e danno luce agli altri".
Gregorio dice anche:
"Coloro che evitano che gli altri sappiano della loro vita ardono per sé stessi, ma non fungono da esempio di luce per gli altri. Coloro, invece, che dispensano esempi di virtù e che manifestano la luce agli altri attraverso una vita di opere buone e con la parola della predicazione, sono giustamente chiamati lampade”.
(Gregorio Magno, Homiliae in Hiezechihelem, 1.5.7: 1.5.8)
Per questo il beato Girolamo dice:
“Un modo di vivere irreprensibile, ma che è muto, quanto è benefico per l'esempio, altrettanto è dannoso per il suo silenzio,”.
(Girolamo, Epistola 69,8)
Quindi è molto chiaro che dobbiamo essere un esempio per tutti sia nella nostra condotta che nelle nostre parole.
Tuttavia, i solitari devono stabilire di vivere vite degne di lode, ma non cercare di essere lodati, per timore che quella stessa lode li faccia cadere nella presunzione e nella vanagloria e per non cadere in rovina a causa del vizio pestilenziale della vanagloria: a tal fine devono conservare sempre nel loro cuore l'esempio dell'Apostolo: «Chi si vanta, si vanti nel Signore» [1 Cor 1,31], ed anche: «Se bisogna vantarsi – ma non conviene –» [2 Cor 12,1]. Dico questo perché raramente accade che coloro che vivono una vita degna di lode non siano conquistati dalla lode umana e affascinati dalla vanagloria. I solitari, quindi, devono sforzarsi di presentarsi sempre come esempi di persone che stanno morendo a tutti i vizi carnali, che vivono spiritualmente e che disprezzano la vanagloria.
«Vi sono alcuni che, forniti di doni insigni di sapienza e scienza, sentendosi infiammati dal desiderio di dedicarsi esclusivamente alla contemplazione, rifuggono dal giovare al prossimo mediante la predicazione, amano la quiete in luoghi appartati, bramano la solitudine per attendere alla speculazione. In verità costoro se invitati rifiutano di assumersi la responsabilità di governo, per lo più essi sottraggono a se stessi quei doni, che sono stati loro concessi non solo per sé, ma anche per gli altri»
(Estratto da “Directorium Spiritus” vol. I e II, di Antonio Rosmini)
Poiché queste persone pensano al proprio vantaggio e non a quello degli altri, sono senza dubbio colpevoli di privare la comunità dei doni che avrebbero potuto apportare. Con quale ragionamento coloro che potrebbero risplendere e giovare agli altri preferiscono il loro ritiro solitario, quando l'Unigenito stesso del Sommo Padre ha voluto giovare a molti ed è uscito dal seno del Padre per il bene comune di tutti noi? Infine, la stessa Verità dice ai suoi discepoli nel Vangelo: «Non può restare nascosta una città che sta sopra un monte» [Mt 5,14], e anche: «Né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa” [Mt 5,15].
«(La Verità) disse quindi a Pietro: — Simone di Giovanni, mi ami tu? — Questi avendo risposto immediatamente che lo amava, si sentì dire: Se mi ami, pasci le mie pecore (Gv 21,17). Se dunque la prova dell’amore consiste nella premura di pascere, chiunque, ricco di virtù, rifiuta il pascolare il gregge di Dio, evidentemente non ama il sommo Pastore.
[San Gregorio Magno dice:]
“Se ci prendiamo cura del prossimo come di noi stessi, è come se proteggessimo entrambi i piedi con i calzari. Colui invece che, pensando al proprio interesse, trascura quello del prossimo, è come se perdesse con vergogna il calzare di un piede”.
(Estratto da “Directorium Spiritus” vol. I e II, di Antonio Rosmini)
[Continua San Gregorio Magno]
“Ci sono persone che, solo per umiltà, rifiutano di essere a capo di altri, per essere preferiti a coloro che considerano superiori a loro stessi: l'umiltà di tali persone — ammesso che sia unita alle altre virtù — sarà vera agli occhi di Dio se non si ostina a rifiutare ciò che è vantaggioso intraprendere. Né sono veramente umili quelle persone che capiscono il segnale della volontà di Dio di dover essere a capo di altri e che tuttavia rifiutano. Dal momento che la posizione di comando è loro imposta, e se sono già noti per avere doni con i quali possono essere a capo e giovare a sé stessi, devono fuggire dal proprio cuore ed obbedire controvoglia.
(Gregorio Magno, Regula Pastoralis, 1,5: 1,6)
Fin qui le parole del beato Gregorio.
Su questo stesso argomento sant'Isidoro dice:
Un uomo di chiesa deve essere crocifisso al mondo mediante la mortificazione della sua carne e, se è sostenuto dalla volontà di Dio, deve anche intraprendere, certamente a malincuore, ma umilmente, il governo dell'ordine ecclesiastico. Satana tende un'imboscata con molti stratagemmi a coloro che danno prova di vivere con buon senso ed in modo utile, ma tuttavia non vogliono essere a capo e giovare agli altri. Anche se viene loro imposta la guida delle anime, rifiutano e pensano che sia più vantaggioso condurre una vita libera da impegni pubblici che dedicarsi al profitto delle anime. Tuttavia sono ingannati e agiscono come il diavolo li ha persuasi, ingannandoli con un'apparenza di bene, e poiché il diavolo li ha rimossi dall'ufficio pastorale, non gioveranno mai a quelle persone che avrebbero potuto essere istruite con le loro parole e con il loro esempio.
Il beato apostolo Paolo si preoccupa, se così posso dire, della nostra vita e condotta e ci ammonisce come un padre dicendo: “Considerate infatti la vostra chiamata”, e così via [1 Cor 1,26]. La ragione per cui dobbiamo guardare alla nostra chiamata è questa: il nostro impegno per la vita solitaria ci servirà poco o niente se stiamo dentro di essa come eravamo nel mondo. Venire alla vita solitaria è l'apice della perfezione, ma non vivere perfettamente in solitudine è il massimo della dannazione. A che serve restare in un luogo tranquillo solo con il corpo ed essere tormentati dall'inquietudine che dimora nel proprio cuore? A che serve, dico, avere il silenzio in una casa, mentre coloro che vi abitano sono assaliti dal tumulto dei vizi e dall’ostilità delle passioni? A che serve se la serenità domina al di fuori di noi e la sciagura domina dentro di noi?
Non siamo venuti alla vita solitaria per poter godere di tutte le cose in abbondanza ed in perfetta quiete. Siamo venuti qui, non per il sollievo o la sicurezza, ma per lotta, ci siamo fatti avanti per combattere, ci siamo affrettati a far guerra ai vizi. Infatti, i nostri vizi sono i nostri nemici. Ma dobbiamo stare attenti a non vincolarci mai con essi. È necessario che stiamo incessantemente in guardia e vegliamo con attenzione, perché questo nemico non farà mai la pace: può essere sconfitto, ma non può essere accolto in amicizia. Questa battaglia, quindi, che abbiamo intrapreso è estremamente faticosa, estremamente dura, estremamente pericolosa, perché è condotta all'interno di un essere umano e termina solo quando la sua vita finisce.
Per questo scopo abbiamo intrapreso questa vita tranquilla, appartata, spirituale, per combattere quotidianamente con attacchi continui contro le nostre passioni, per eliminare la malvagità dal nostro animo, per attenuare la pericolosità della nostra lingua.
Poiché vogliamo erigere un’alta torre, prepariamo le risorse di cui abbiamo bisogno per costruirla, in modo da poter completare l'edificio che abbiamo iniziato, per non diventare lo zimbello dei passanti ed i nostri nemici si rallegrino di noi dicendo: “Costoro hanno iniziato a costruire, ma non sono riusciti a finire il lavoro” [cfr. Lc 14,30]. Possa il Signore allontanare da noi questa ingiuria. Questa torre non è fatta di pietre, ma di virtù dell'anima.
Ha bisogno di risorse, non d'oro e d'argento, ma di un modo di vivere pieno di fede. Infatti molto spesso la ricchezza terrena si frappone a questa costruzione. Perché è difficile servire due padroni e colui che serve mammona non può portare le armi spirituali, ma respinge il soave giogo di Cristo e lo getta via; e ciò che è pesante e gravoso per la sua anima gli sembrerà soave e leggero [cfr. Mt 11,28-30]. Il solitario di quel tipo viene ferito dalle sue stesse armi e, poiché ama il pericolo, precipita nella morte.
Se noi, da parte nostra, desideriamo militare per Dio, dobbiamo servire Lui solo e lasciarci alle spalle le ricchezze terrene. Questo è il segno caratteristico della nostra professione: che non cerchiamo alcun tipo di onore in questa vita, ma ci prepariamo a ciò che è promesso come nostra ricompensa eterna, che ci rallegriamo di essere soggetti agli altri e di essere considerati buoni a nulla, che abbracciamo la povertà volontaria e sradichiamo dal nostro cuore non solo i beni, ma anche il desiderio di essi, poiché non giova a nulla il non avere ricchezze, se si è posseduti dal desiderio di averle. Dobbiamo avere, non tanto quanto la nostra brama desidera, ma solo quanto ci serve. Il desiderio di possedere, infatti, se non è del tutto soppresso, arde più ferocemente nelle piccole cose e tormenta di più nelle cose minime. C'è un altro caso estremamente grave e deplorevole, cioè quando si impiegano con grande attenzione tutte le proprie forze su qualcosa e non si riceve il frutto di quello sforzo.
«A che cosa serve infatti digiunare e vegliare, e poi non correggere il proprio modo di vivere? È come se un vignaiolo strappasse le erbacce e pulisse fuori o intorno alla vigna, e lasciasse invece la vigna stessa abbandonata e incolta, di modo che vi spuntano spine e rovi»
O a cosa serve affliggere il corpo se siamo contaminati dai discorsi malvagi e denigratori della lingua, come dice l'Apostolo: “Se qualcuno ritiene di essere religioso, ma non frena la lingua e inganna così il suo cuore, la sua religione è vana” [Gc 1,26]. Tutti i nostri sforzi non svaniscono così come fumo e ombra e non si dissolvono nel nulla come la cenere della stoppa? Ecco perché è inutile per noi lusingarci di crocifiggere il corpo e tormentare il cuore, se il nostro io esteriore, cioè il nostro corpo, è impegnato in sante fatiche mentre il nostro io interiore non è guarito dalle passioni, cioè dalla detrazione, dall’ira, dal risentimento, dall’ ipocrisia e dagli altri vizi di questo genere.
«Sicuramente un solitario come questo a me sembra simile a un artista che facesse una statua d’oro all’esterno, mentre all’interno questa fosse di fango. Oppure assomiglierebbe ad una casa splendidamente costruita a regola d’arte, che si presenta all’esterno dipinta con vivaci colori, mentre all’interno è piena di serpenti e scorpioni. Di gente simile nel Vangelo si dice: “Guai a voi, ipocriti, che somigliate a sepolcri imbiancati, che all’esterno sono belli a vedersi; dentro di voi invece siete pieni di ipocrisia e iniquità” (Mt 23,27). Anche lo stesso Signore, quale medico premuroso, a questo proposito, a noi che siamo infermi, poco più sopra, dà un consiglio dicendo: “Pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi netto” (Mt 23,26). Vale a dire: monda prima il tuo cuore da ogni ipocrisia e iniquità, da ogni rabbia e detrazione, e allora la tua opera sarà tutta splendida, senza la minima parte di ombra»
(Estratto da “Directorium Spiritus” vol. I e II, di Antonio Rosmini)
Capitolo 24: Sullo stesso argomento del capitolo precedente
Siamo certi, come indica il detto di nostro Signore citato sopra, che se non stiamo ogni giorno in guardia contro le nostre passioni e non le assediamo, diventeremo molto peggiori di quando vivevamo nel mondo, e il nostro ultimo stato sarà peggiore del primo [cfr. Mt 12:45]. Per questo motivo non solo dobbiamo guardarci dai peccati capitali, ma dobbiamo anche sputare ogni giorno quei piccoli atti di negligenza come se fossero il veleno del diavolo. Come le gocce d'acqua si infiltrano nella stiva di una nave attraverso le più piccole fessure, così i più piccoli peccati si infiltrano ogni giorno nella nostra anima. Una nave che è sfuggita alle onde degli abissi sarà riempita dalle gocce più piccole e affonderà, se non è stata salvata in porto. È così per i solitari che hanno sconfitto e superato le onde pericolose che sono le offese di questo mondo. Se, arrivati al porto della solitudine, trascurano di tirare fuori dalla stiva della loro anima i peccati più minuti commessi d'impulso, corrono il pericolo di naufragare proprio nel porto della quiete.
Ma qualcuno dirà: Come si può salvare l'anima? Ecco come: pregando, vegliando, digiunando, facendo astinenza, confessando i propri peccati e dimostrando vera carità, vera umiltà, vera pazienza. Anche se i solitari sono giusti e santi, non saranno mai assolutamente al sicuro in questa vita, perché, come dice la Scrittura: "Gli uomini non sanno se sono degni di amore o di odio, ma tutte le cose sono tenute incerte in futuro" [Qo 9,1-2]. Molte insidie sono ancora tese per catturare i nostri piedi. È come se qualcuno attraversasse un fiume su un ponte molto stretto. Pensa di aver evitato il pericolo peggiore non facendo alcun passo falso. Ma se, quando arriva all'ultimo tratto del ponte, perde anche solo un po' l'equilibrio, può andare incontro alla caduta che temeva mentre era a metà del ponte. Così è per noi. Anche se sembra che abbiamo superato la maggior parte di questa vita senza incidenti, non dobbiamo presumere di essere sicuri, perché la parte finale del pericolo è ancora in agguato. Perciò non dobbiamo giudicare di essere al sicuro finché non siamo arrivati alla fine della vita e non l'abbiamo portata a termine con successo. A che serve se una vigna in fiore mi riempie di ogni speranza, ma poi, a causa degli animali selvatici che la distruggono o della grandine che la devasta, al momento della vendemmia, si infrange tutta la mia speranza?
Ecco perché ogni successo, ogni lavoro che mira alla felicità, si incarna nella fine. Per impedirci di allentare i nostri sforzi perché ci sentiamo troppo sicuri, si può citare il detto del Signore contro la mediocrità che dice: "Se tu fossi caldo o freddo! Ora, invece, poiché siete tiepidi, vi vomiterò dalla mia bocca" [Ap 3, 15-16]. È come se dicesse: Avresti fatto meglio a rimanere nel mondo e ad essere freddo, piuttosto che essere tiepido nella vita solitaria. Ora, invece, poiché vi siete ritirati dal mondo e, per negligenza, non avete voluto prendere il fervore spirituale, siete diventati tiepidi e state per essere sputati e vomitati dalla bocca del Signore. Perciò è essenziale che prestiamo molta attenzione a quel detto della divina Scrittura che dice: "Con ogni vigilanza custodisci il tuo cuore" [Prov 4,23].
Siamo tutti tenuti, quindi, a esaminare e scrutare ogni giorno le azioni degli altri per vedere chi di noi è più desideroso di compiere l'opera di Dio, chi è più fervente nella preghiera, più attento nella lettura, più puro nella castità, più profuso nel versare lacrime, più decoroso nel corpo, più sincero nel cuore; chi è più gentile nell'ira, più modesto nella dolcezza, meno pronto al riso, più fervente nella compunzione, più fermo nella serietà, più gioioso nella carità. In questo modo, rendiamo ogni giorno conto l'uno all'altro del nostro modo di vivere e diciamo: Vediamo se abbiamo trascorso questa giornata senza peccare, senza invidiare, senza brontolare, senza arrabbiarci, senza maldicenze. Vediamo se oggi abbiamo compiuto qualcosa che contribuisca al nostro progresso e all'edificazione degli altri. Vediamo se oggi ci siamo concessi più risate, più cibo o bevande, più riposo o sonno di quanto sia opportuno. Vediamo se abbiamo letto o pregato meno del dovuto. (Cfr. RB 49, 1-7Così facendo, proviamo rimorso sul nostro letto per tutte le nostre trasgressioni [cfr. Sal 4,5], cioè nel nostro cuore. E se Dio ci concede di intravedere qualcosa di buono in noi stessi, rendiamo grazie a Colui dal quale proviene ogni bene. Se invece scopriamo in noi qualcosa di vizioso (non sia mai), attribuiamolo a noi stessi e affrettiamoci a pentirci. (Cfr. RB 4, 42-43)
Le cose che abbiamo appena brevemente delineato valgono in generale per tutti i solitari, e non solo per loro, ma anche per tutti i servi di Dio e per tutti i cristiani cattolici. Inoltre, se due solitari vivono nello stesso luogo, come è stato detto sopra, non devono diventare svogliati nel tempo libero o passare il tempo a diffondere menzogne sugli altri e a raccontare storie oscene. Piuttosto, devono dedicarsi al canto dei salmi, alle letture spirituali e, naturalmente, al lavoro manuale. Devono osservare le ore canoniche con tutta la devozione e in esse compiere l'Ufficio divino. Non appena viene dato il segnale, devono recarsi nel proprio oratorio. Ogni giorno devono venire a conferire insieme e discutere del servizio di Dio e del loro progresso comune e chiedere perdono l'uno all'altro per le loro colpe.
Se un solitario vive completamente solo, anche lui deve conferire ogni giorno con se stesso. Ogni giorno deve sedersi sul seggio del giudizio della sua mente e presentarsi al suo cospetto. In questo modo deve istituire un tribunale nel suo cuore in cui il pensiero è il pubblico ministero, la coscienza il testimone e la paura il boia. Il sangue dell'anima che confessa dovrebbe sgorgare attraverso le lacrime. Infine, che si giudichi in coscienza indegno e peccatore. Questo per quanto riguarda un singolo solitario.
Se, come è stato detto, ci sono due solitari, devono mostrarsi umilmente onore l'uno all'altro. Il giovane per nascita deve riverire colui che è più anziano per età, in ossequio alla sua santità. A sua volta, l'anziano deve insegnare al giovane a vivere bene con la parola e con l'esempio. Chi proviene da una famiglia nobile non deve pensare di essere migliore di chi non è nobile. Sappia che "Dio non fa parzialità" [Rm 2,11]. Allo stesso modo, chi ha acquisito la conoscenza delle dottrine ed è esperto in altre opere buone non deve pensare di essere migliore di chiunque altro. No, deve ringraziare Dio per i doni che gli ha concesso e soppesare sempre ciò che dice l'Apostolo: "Se pensi di essere in piedi, bada di non cadere" [1 Cor 10,12]. Girolamo dice che: "Dobbiamo temere e stare attenti che una tempesta che dura solo un'ora non distrugga la nostra antica gloria e la nostra robusta fermezza". (Commentario Ezechiele, 8,26; PL 25:245)
Poiché hanno il dovere di mostrare carità, devono anticipare umilmente l'altro. Dovrebbero abbassarsi per prendersi cura delle debolezze dell'altro e provvedere alle sue necessità. Ogni giorno, se il luogo è adatto, dovrebbero provvedere a turno al cibo spirituale e corporale. Devono condividere la prosperità e, se necessario, anche le avversità. La volontà dell'uno deve cedere il passo a quella dell'altro. Entrambi devono sottomettere la propria volontà alla volontà, o meglio, alla servitù di Dio. Non devono fare ciò che uno di loro vuole da solo, ma ciò che entrambi decidono. Dovrebbero sempre ricordare il detto del Signore: "Non sono venuto a fare la mia volontà, ma quella del Padre che mi ha mandato" [Giovanni 6:38].
Capitolo 25: Gli strumenti delle buone opere
Le pagine di tutte le Sacre Scritture sono piene di strumenti per le buone opere, e in tutti i campi di quelle stesse Sacre Scritture si trovano armi con cui si possono frenare i vizi e nutrire le virtù. Tuttavia è necessario introdurre in questa regola il discorso di un certo padre sugli strumenti delle opere buone. In esso è contenuto, in forma molto sintetica, ciò che i solitari devono fare e ciò che devono evitare(Cfr. RB cap. 4).
I solitari sono tenuti a
1. innanzitutto amare Dio con tutto il cuore, tutta l'anima e tutte le forze,
2. poi, amare il prossimo come se stessi,
3. poi, non uccidere, cioè non calunniare, perché, come dice l'Apostolo: Chiunque calunnia un fratello o una sorella è un omicida [cfr. 1 Gv 3:15],
4. poi, non commettere adulterio,
5. non rubare,
6. non desiderare,
7. non testimoniare il falso,
8. onorare tutti gli uomini [cfr. 1 Pt 2, 17],
9. e ciò che non si vuole che qualcuno faccia a se stessi, non si deve fare a un altro,
10. rinnegare se stessi per seguire Cristo,
11. castigare il corpo,
12. non abbracciare i piaceri,
13. amare il digiuno,
14. per ristorare i poveri,
15. per vestire gli ignudi,
16. visitare i malati,
17. seppellire i morti.
Dobbiamo chiederci come possa un solitario visitare un malato o un carcerato, o seppellire un morto, visto che non ha modo di uscire dalla sua cella. Senza dubbio, quella persona visita qualcuno che è malato o in prigione, che vede qualcuno che giace su un letto o nelle tenebre dei vizi e che lavora sotto la malattia della sua malvagità. Con le procedure che sono il suo esempio e con l'antidoto che è il suo sano consiglio, rafforza la persona che vede inciampare e indebolirsi nel compiere le opere buone. Seppellisce il morto chi rivolge fedelmente e costantemente al Signore preghiere per colui che è morto. Ma non solo seppellisce qualcuno che è morto, ma, se così si può dire, lo risuscita anche dalla morte: vede una persona impigliata nelle insidie dei suoi peccati e sepolta, per così dire, nelle tenebre della sua malvagità; la risveglia consigliandola vivamente a confessare i suoi peccati e a pentirsene con il pianto, e la esorta con consigli salutari a ritornare sulla via della salvezza. Per questo motivo dobbiamo renderci conto che c'è un merito maggiore nel risvegliare i peccatori dal vizio che nel risvegliare un morto dalla tomba.
L'elenco continua:
18. assistere in caso di difficoltà,
19. per consolare chi è addolorato,
20. rendersi estraneo alle azioni del mondo,
21. non anteporre nulla all'amore di Cristo,
22. non mettere in atto la rabbia,
23. non nutrire il malumore,
24. non tenere l'inganno nel cuore,
25. non dare una falsa pace,
26. non abbandonare la carità,
27. non giurare, per evitare di giurare su se stessi,
28. dire la verità con il cuore e con la bocca,
29. non rendere male per male,
30. non ferire nessuno, ma sopportare pazientemente una ferita subita,
31. amare i nemici,
32. di non maledire chi ci maledice, ma di benedire,
33. sopportare la persecuzione per amore della giustizia,
34. non essere orgogliosi,
35. non ubriacarsi di vino,
36. non mangiare troppo,
37. non dormire troppo,
38. non essere pigri,
39. non brontolare,
40. non calunniare,
41. riporre la propria speranza in Dio,
42. attribuire a Dio, e non a se stessi, il bene che si vede in se stessi,
43. ma si sa che il male è sempre fatto da se stessi e lo si attribuisce a se stessi,
44. temere il giorno del giudizio,
45. temere la Gehenna,
46. desiderare la vita eterna con tutto il desiderio spirituale,
47. tenere quotidianamente la morte davanti agli occhi,
48. vigilare ad ogni ora sulle azioni della propria vita,
49. in ogni luogo per sapere con certezza che Dio ne vede uno,
50. infrangere contro Cristo i cattivi pensieri che si affacciano nel cuore,
51. e di rivelarli a un anziano spirituale,
52. guardarsi la bocca dai discorsi cattivi o degenerati,
53. non amare parlare molto,
54. non pronunciare parole inutili o che provocano risate,
55. non amare molto o ridere eccessivamente,
56. ascoltare volentieri le letture sacre,
57. dedicarsi spesso alla preghiera,
58. confessare ogni giorno a Dio in preghiera, con lacrime e sospiri, le cose cattive che si sono fatte un tempo e, da quel momento in poi, correggere quelle cattive azioni,
59. non realizzare i desideri della carne: odiare la propria volontà,
60. obbedire agli ordini degli anziani in ogni cosa, anche se - non sia mai - dovessero fare diversamente, e ricordare il precetto del Signore: "Fate quello che vi dicono, ma non fate quello che fanno" [Mt 23,3],
61. non voler essere chiamati santi prima di esserlo, ma esserlo per poterlo dire più veramente,
62. ogni giorno per adempiere ai comandamenti di Dio con i fatti,
63. amare la castità,
64. non odiare nessuno,
65. non nutrire gelosia o invidia,
66. non amare le controversie,
67. fuggire dall'autoesaltazione,
68. riverire gli anziani,
69. amare i giovani,
70. nell'amore di Cristo, pregare per i propri nemici,
71. fare la pace prima del tramonto con coloro con cui si litiga,
72. e di non disperare mai della misericordia di Dio.
Questi sono gli strumenti dell'artigianato spirituale. Se li usiamo giorno e notte in un modo che non può essere espresso a parole e li consegniamo nel giorno del giudizio, il Signore ci ricompenserà con il salario che ha promesso: "Ciò che occhio non ha visto né orecchio ha udito, ciò che non è entrato nel cuore dell'uomo: le cose che Dio ha preparato per coloro che lo amano" [1 Cor 2,9]. Ora, il laboratorio dove dobbiamo lavorare a tutte queste cose è il chiostro, cioè le celle dei solitari e la stabilità nella reclusione.
Capitolo 26: Osservare i comandamenti di Dio
È dovere di tutti i cristiani, e soprattutto dei solitari, osservare e rispettare i comandamenti di nostro Signore Gesù Cristo. Ma dobbiamo renderci conto che ciò che ci aiuta ancora di più a essere attenti a Dio e a obbedire ai suoi precetti è vivere una vita molto nascosta e isolata. Vivere mescolati a coloro che si comportano come se non si curassero del timore di Dio e che trattano i suoi comandamenti con disprezzo è molto dannoso, come testimonia Salomone quando dice: Non abitare con gli irreligiosi, per non imparare le loro vie e creare insidie per la tua anima [cfr. Prov 22,24-25 e Sir 37,12], e anche: "Non emulare gli ingiusti, per non imitare le loro vie" [Prov 3,31]. Ed è per questo che l'apostolo Pietro dice: Perciò è giusto, del tutto giusto, separare colui che vuole essere salvato da colui che non lo vuole. Allo stesso modo, Paolo pronuncia questa solenne dichiarazione: "Noi vi facciamo questo annuncio, fratelli e sorelle, per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, affinché vi allontaniate da ogni fratello o sorella che cammina in modo disordinato" [2 Tess 3,6]. A questo proposito, Girolamo dice: "Evitate come la peste il chierico diventato uomo d'affari, il povero diventato ricco, l'umile diventato importante, perché la vile conversazione corrompe la buona condotta [cfr. 1 Cor 15, 33]. Tu disprezzi l'oro; quell'altro lo ama. Voi calpestate la ricchezza, l'altro la insegue. Tu hai posto il tuo cuore sulla mitezza, sul silenzio e sulla solitudine; l'altro sulla loquacità". Questo basta a dimostrare che è molto dannoso quando persone che conducono vite diverse si associano e si mescolano.
Allora, poiché non vogliamo ricevere, attraverso i nostri occhi o le nostre orecchie, cattivi inviti al peccato, e poiché vogliamo poterci dedicare liberamente alla preghiera, dobbiamo vivere completamente nascosti e solitari. In questo modo potremo eliminare da noi stessi le abitudini di cui abbiamo parlato sopra, con le quali eravamo soliti agire contro i comandamenti di Dio. In effetti, non è un lavoro da poco allontanarsi e richiamarsi da una precedente cattiva abitudine. Ecco perché il proverbio comune dice: Una cattiva abitudine non si elimina quasi mai, o addirittura mai. Di conseguenza, se vogliamo osservare e rispettare i comandamenti di Dio, sforziamoci innanzitutto di rinnegare noi stessi, di prendere la croce di Cristo e di seguirlo [cfr. Matteo 16:24]. Il Signore stesso ci sfida ad amarlo e ad osservare i suoi comandamenti quando dice: "Se mi amate, osservate i miei comandamenti" [Gv 14,15]. E dice anche: "Chi ha i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama" [Gv 14,21]. Amiamo Dio solo se osserviamo i suoi comandamenti e disprezziamo tutte le cose visibili per amore suo. Al contrario, non amiamo affatto Dio se non osserviamo i suoi precetti. Così dice l'apostolo Giovanni: Chi dice: "Io amo Dio e non osserva i suoi comandamenti", è un bugiardo [cfr. 1 Giovanni 4:20; 2:4]. Senza dubbio, amiamo Dio se osserviamo i suoi comandamenti. È nell'esecuzione dei suoi comandamenti che possiamo sapere se amiamo Dio o no.
Non abbiamo ripreso i comandamenti di Cristo in ordine sparso e non li abbiamo approfonditi in ogni dettaglio, ma li abbiamo trattati solo in parte e solo nella misura in cui è necessario per il nostro scopo e la presente discussione lo richiede. Il tutto può essere compreso dalla parte. Per prima cosa, quindi, dobbiamo considerare le cose che ci possono spingere ad amare Dio e il prossimo, cioè: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutte le tue forze". Questo è il più grande e primo comandamento. Il secondo è simile: Amerai il tuo prossimo come te stesso". Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e anche i profeti" [Matteo 22:37-40; Luca 10:27]. Per questo il beato Gregorio dice: "I precetti del Signore sono molti e sono uno: molti a causa dei diversi modi di eseguirli, uno per il fatto che sono radicati nell'amore". Se tutta la Legge e i Profeti dipendono da questi due precetti, e se c'è un unico beneficio per tutti i comandamenti, e se è evidente che tutti i comandamenti sono uno, allora non dobbiamo trattare tutti i comandamenti di Dio singolarmente in questo capitolo.
Ma vediamo cosa ci è stato comandato di fare: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore". Cosa significa amare Dio con tutto il cuore? Non significa forse che il nostro cuore non deve tendere a nessun altro amore più che all'amore di Dio? Per esempio, se con tutto il nostro desiderio amiamo l'oro o l'argento o i vari beni e onori temporali o le proprietà o gli animali e altre cose del genere, allora non amiamo Dio con tutto il cuore. Per quanto l'amore del nostro cuore sia occupato da cose del genere, è quanto meno c'è del nostro cuore per Dio, ed è quanto meno amiamo Dio. Come una donna casta che ama suo marito non ama nessun altro uomo, così una persona che ama Dio non ama il mondo. Se amassimo il mondo, non ameremmo Dio con tutto il cuore. Quindi, distogliamo il nostro cuore e la nostra mente e tutte le nostre azioni dall'amare le cose visibili e amiamo Dio con tutto il nostro cuore, tutta la nostra anima e tutta la nostra forza.
Ameremo Dio se tutti i sensi che appartengono alla nostra mente sono liberi di concentrarsi su Dio, cioè se il nostro intelletto serve Dio, se la nostra saggezza riguarda Dio, se ogni nostro pensiero riguarda le cose di Dio. Ameremo veramente Dio se penseremo e parleremo sempre di servirlo e faremo del nostro meglio per adempiere ai suoi comandamenti. Dio non vuole essere amato solo a parole, ma con un cuore puro e con opere giuste. Non ci chiede oro o argento o cose del genere, ma se possediamo queste cose, ci ordina di distribuirle ai bisognosi. È noi stessi che cerca, è in noi che desidera riposare. L'unica cosa che Dio esige da noi è che lo amiamo con tutto il cuore, che osserviamo i suoi comandamenti e che conserviamo intatti i nostri templi per lui, affinché egli dimori sempre in noi e noi in lui. Per questo motivo, avviciniamoci a lui e uniamoci a lui desiderandolo.
Il Signore dice poi: "Amerai il tuo prossimo come te stesso". L'Apostolo dice: "Chi ama il prossimo ha adempiuto la Legge" [Rm 13,8]. Al contrario, chi odia è un assassino. Se si ama il prossimo come se stessi, non si uccide quella persona, non si mente a colui che si ama, non si rende falsa testimonianza sul prossimo e non si brama qualcosa che appartiene a quella persona. Inoltre, ciò che non vuoi che qualcuno faccia a te, non lo fai a colui che ami come te stesso.
Poi il Signore dice: "Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e anche i Profeti". Abbiamo già detto sopra che tutti i comandamenti hanno un unico beneficio, ed è chiaro che tutti i comandamenti sono un unico comandamento. Essi si fondono in modo tale che uno non potrebbe esistere senza l'altro. Non possiamo amare Dio se non amiamo il nostro prossimo, e non possiamo amare veramente il nostro prossimo se non amiamo Dio. Come abbiamo detto sopra, è impossibile trattare tutti i comandamenti di Dio in questo capitolo, ma abbiamo menzionato in modo breve e sintetico le cose che possono spronarci ad amare Dio.
Dobbiamo renderci conto che dobbiamo esaminare attentamente non solo i precetti evangelici, ma anche i comandamenti dei profeti e degli apostoli, osservarli fedelmente e obbedirli. Pertanto, dedichiamo tutte le nostre energie ad amare Dio con tutto il cuore, a esaminare i suoi comandamenti e ad averli sempre davanti agli occhi e ad amarli, non in parte, ma interamente, affinché possiamo meritare di raggiungere la beatitudine di cui parla il re, il profeta e l'autore dell'inno: "Beati coloro che esaminano le testimonianze del Signore; con tutto il cuore lo cercano" [Sal 118,2]. Dedichiamoci, fratelli, ad amare il prossimo come noi stessi, affinché, insieme a loro, possiamo meritare di raggiungere e gioire delle gioie che dureranno per sempre.
Capitolo 27: Una deplorevole descrizione di coloro che non osservano i precetti di Cristo
Avevo intenzione di dedicare un altro capitolo ai precetti di nostro Signore Gesù Cristo, ma quando ho ricordato che in questi giorni non c'è quasi nessuno che sia abbastanza forte da osservarli o che sia interessato a farlo, volevo piangere piuttosto che scrivere. Dovremmo davvero addolorarci per il tempo presente, in cui vediamo accumularsi ogni giorno tante azioni assolutamente vergognose. Se volessimo considerarli tutti uno per uno, non riusciremmo a trattenere le lacrime. Tutto è diventato così confuso, tutto si sta sgretolando a tal punto che non si vede nemmeno una traccia di virtù. Osserviamo che ai nostri giorni il mondo è pieno di sporcizia, di lussuria e di altri tipi di malvagità. E ciò che è più miserabile di tutti i mali è che non ci riformiamo né diamo esempio di riforma agli altri. No, siamo come "sepolcri imbiancati che all'esterno sembrano belli agli occhi della gente, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni sorta di sporcizia" [Mt 23,27].
Ci succede quello che succede alle persone che impazziscono o perdono il senno: pronunciano e addirittura fanno molte cose turpi e pericolose. Non provano vergogna né pentimento. Al contrario, sembrano ai loro stessi occhi più distinti e più saggi di coloro che sono sani e saggi. Così è per noi: facciamo tutto ciò che è contrario alla salute e non sappiamo nemmeno cosa sia la salute. Se qualche piccola malattia colpisce il nostro corpo, chiamiamo subito i medici e diamo loro dei soldi e siamo molto attenti a fare tutte le cose appropriate, e non ci fermiamo finché ciò che ci preoccupava non è migliorato. Ma ogni giorno la nostra anima è ferita, lacerata, bruciata, abbattuta e distrutta in ogni modo, e non ce ne preoccupiamo affatto. Ma una cosa è certa: questa mancanza di cura sta corrompendo e rovinando ognuno di noi, e nel frattempo non c'è nessuno che ci offra ciò che ci aiuterà e ci proibisca ciò che ci danneggerà. Anche se siamo tutti bisognosi di cure, non c'è nessuno che fornisca la medicina della predicazione e prescriva la penitenza che ci curerà. Se qualche religioso esterno alla nostra regione arrivasse qui e vedesse il disordine dei precetti di Cristo e del nostro modo di vivere la vita monastica, giudicherebbe qualcun altro più nemico e antagonista dei precetti di Cristo di noi, e non giudicherebbe che ci siamo sforzati di agire in tutto e per tutto contro ciò che Cristo ci ha comandato?
Affinché nessuno pensi che io stia esagerando quando dico queste cose, cito ora delle prove, non da qualsiasi luogo, ma dai comandamenti stessi di Cristo: "Avete sentito che fu detto agli uomini di un tempo: Non ucciderai; chi uccide sarà sottoposto al giudizio. Ma io vi dico che se vi adirate con il vostro fratello o la vostra sorella, sarete passibili di giudizio, e se direte al vostro fratello o alla vostra sorella: Racha, sarai passibile di giudizio, e se dirai: "Stupido", sarai passibile di giudizio: Stupido, sarai sottoposto alla Gehenna di fuoco" [Mt 5,21-22]. Queste sono le parole del Signore Gesù. Ma noi, come gli increduli e gli infedeli, calpestiamo queste parole.
Legge, e ogni giorno infliggiamo innumerevoli ferite ai nostri fratelli e sorelle, come se sperassimo di ottenere una qualche ricompensa per averlo fatto.
Ma vediamo ora quanta differenza c'è tra la giustizia dei farisei e quella dei cristiani. Uccidere qualcuno lo rende passibile di giudizio, mentre l'ira ci rende altrettanto passibili di giudizio. E se l'ira ci rende passibili di giudizio, come osiamo ogni giorno arrabbiarci così facilmente non solo contro i nostri giovani, ma persino contro i nostri coetanei e i più anziani di noi? Come dice lo stesso Signore, dovremo rendere conto non solo dell'ira, ma anche di ogni parola vuota [cfr. Matteo 12:36]. "Racha" significa vuoto e sciocco. Dal momento che i nostri fratelli e sorelle credono in Cristo come noi, come osiamo chiamarli vuoti, sciocchi o pazzi? Il fatto che il Signore abbia detto "racha" e "stolto" dimostra che nemmeno il più piccolo abuso che rivolgiamo a un fratello o a una sorella sarà trascurato. Dobbiamo quindi essere convinti che saremo giudicati per tutto, a meno che non rimediamo al male fatto e non facciamo una penitenza adeguata in questa vita. Perciò Cristo ci ha dato il giudizio che si applica a questi comandamenti facili, affinché possiamo pensare allo stesso modo a tutti gli altri che trasgrediamo.
Inoltre, anteponiamo il timore degli esseri umani al timore di Dio. Se persone più forti o potenti di noi ci feriscono o ci insultano, le sopportiamo volentieri senza lamentarci, ma anche se non abbiamo subito alcun danno, spesso ci arrabbiamo con i nostri pari o inferiori. Chi è immune da questo difetto o estraneo ad esso? Ma se un soldato terreno non osa arrabbiarsi al cospetto del re e non osa mostrare alcun segno del suo risentimento davanti agli occhi del re, come possiamo noi osare arrabbiarci alla presenza del Re eterno e mostrare il nostro risentimento davanti al suo volto? Un re terreno vede i corpi degli esseri umani dall'esterno, ed è solo su questi corpi che ha il suo potere, mentre il Re celeste vede nei luoghi segreti del nostro cuore e ha il potere di distruggere entrambi, corpo e anima, nella Gehenna [cfr. Matteo 10:28]. Di conseguenza, non dobbiamo trascurare questo precetto, nemmeno per quanto riguarda i servi, e non dobbiamo arrabbiarci con loro senza motivo, poiché Cristo ha donato loro la libertà come a noi. E se vediamo qualcuno che trasgredisce un comandamento del Signore, non dobbiamo arrabbiarci con lui. Piuttosto, dobbiamo avere compassione e compassione, come fece colui che disse: "Chi si ammala e io non mi ammalo?". [2 Cor 11,29]. Quanto a ciò che è contenuto nelle parole successive, chi non pensa che si tratti di una favola degli increduli, anche se è stata decretata dalla voce eterna di Dio? Egli dice: "Se però stai offrendo il tuo dono all'altare e ti ricordi che tuo fratello o tua sorella ha qualcosa contro di te, lascia il tuo dono lì davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con tuo fratello o tua sorella, e poi vieni a offrire il tuo dono" [Mt 5,23-24]. E noi cosa facciamo? Mentre veniamo all'altare di Dio, litighiamo tra di noi e coviamo trame nel nostro cuore. Lo facciamo, anche se il nostro Dio e Signore è così preoccupato che ci riconciliamo che permette che i suoi doni vengano lasciati, che le cose imperfette rimangano davanti all'altare e che i suoi Misteri vengano interrotti, finché non andiamo a liberarci dei sentimenti di rabbia, di contesa e di animosità verso i nostri fratelli e sorelle.
Eppure non ce ne vergogniamo. No, coviamo l'astio per giorni e giorni e trasciniamo la nostra rabbia e la nostra cattiva volontà come una lunga corda, ignorando il fatto che la nostra punizione durerà quanto la discordia. Ciò che rende il nostro disordine ancora peggiore è che, se qualcuno ci dice qualcosa di buono sul nostro nemico, non ci crediamo, ma se qualcuno dice qualcosa di cattivo, ci crediamo e lo confermiamo.
Se ci capita di arrabbiarci, il Signore ci ordina di smettere di arrabbiarci prima del tramonto; dice: "Non tramonti il sole sui vostri sentimenti di collera" [Ef 4,26]. Ma noi, al contrario, non ci accontentiamo di trascinare i nostri sentimenti di rabbia oltre il tramonto. Ci tendiamo trappole a vicenda e speriamo di far inciampare i nostri vicini, sia con le parole che con i fatti. Al momento dell'offerta dei doni sacri, abbiamo l'usanza di darci il bacio della pace, ma temo che molti di noi lo facciano solo con le labbra, anche se Cristo desidera la pace non dalla bocca ma dal cuore. Ecco perché dobbiamo credere che Dio si infuria e non si compiace di queste cose. La purezza e la verità sono ciò che è gradito agli occhi di Dio, ma egli detesta e odia tutto ciò che è falso e finto. Per ognuna di queste cose, dovremmo versare lacrime ed essere coperti di confusione. Per motivi di brevità, lasciamo che i restanti precetti siano discussi in modo conciso e approfondito nel capitolo successivo.
Capitolo 28: Si continua lo stesso lamento di cui sopra
Infatti, ciò che viene comandato riguardo al cedere all'avversario e ai desideri proibiti, riguardo all'occhio destro, alla mano destra e al lasciare la moglie, noi mostriamo un tale disprezzo per questi precetti che è come se non fossero mai stati scritti o ascoltati [cfr. Mt 5,29-48]. Per "occhio destro" e "mano destra" intendiamo i nostri parenti e collaboratori; vale a dire che se ci ostacolano nella contemplazione della vera luce, dovremmo amputare tali membra corporee, affinché nei nostri sforzi per conquistare gli altri non periamo noi stessi per l'eternità.
Mi vergogno a sollevare il tema del giuramento, non solo per i giuramenti ma anche per lo spergiuro [cfr. Matteo 5:33-37]. Se effettivamente giurare è un peccato e una trasgressione di un comandamento, cosa dobbiamo dire dello spergiuro? La verità evangelica non ammette il giuramento, anche se ogni parola si rivela affidabile attraverso il giuramento [cfr. Mt 18,16; Eb 6,17]. Ma dopo queste parole, il Signore dice: "Se qualcuno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l'altra; e a chi vuole portarti in tribunale per toglierti la tunica, consegna anche il mantello. E se qualcuno vi obbliga a fare un miglio, fate con lui il secondo miglio. Date a chi vi chiede e non allontanatevi da chi vuole chiedervi un prestito" [Mt 5, 39-42]. Che cosa diremo di queste parole? Per ognuna di esse, non possiamo far altro che versare lacrime e coprirci di confusione, poiché apparteniamo apertamente al campo che si oppone a tutte. Non siamo disposti a soffrire o a sopportare, né a parole né con i fatti, nessuna di queste cose che sono scritte. Se veniamo colpiti in qualche questione, anche se solo una volta o leggermente, ci solleviamo subito come bestie selvatiche contro chi l'ha fatto.
Inoltre, anche se è chiaro che in ogni situazione agiamo in modo contrario a ciò che Cristo ci comanda, tuttavia impariamo da lui un modo di agire ancora più nobile. Egli dice: se qualcuno ti ruba ciò che è tuo, o ti ferisce o ti fa del male, non solo non devi provare risentimento per ciò che ti prende, ma devi amarlo e con tutta la carità tenere a freno te stesso e persino rivolgere incessantemente preghiere a Dio per lui. È come se Cristo dicesse: Sebbene la persona che voleva rubare ciò che era vostro sia animata da uno spirito malvagio, se scopre che siete più desiderosi di dare che di rubare, anche se fosse un selvaggio o un barbaro, si vergognerà della vostra bontà. Sarà domato e abbandonerà il suo furore, tornerà immediatamente in sé e si pentirà di ciò che stava facendo e rabbrividirà per il suo peccato, pur ammirando e amando la virtù evidente nella vostra persona.
Ma dove posso trovare una simile condotta al giorno d'oggi? Chi vive una vita simile che io possa ammirare? Non mi aspetto di trovare qualcuno che voglia sopportare pazientemente questo tipo di ferite. Cristo ci ha comandato di pregare per coloro che ci perseguitano e ci calunniano, ma noi tendiamo le nostre trappole dispettose non solo ai nostri nemici, ma spesso anche ai nostri amici. Cristo ci ha ordinato di benedire coloro che ci maledicono, ma noi non solo ripaghiamo le persone con maledizioni molte volte, ma, se possiamo, le feriamo con colpi in cambio delle loro parole.
Non ti sembra, o mortale, che, come ho detto, le cose che facciamo sono completamente contrarie ai precetti di Cristo? Non combattiamo forse i suoi comandamenti piuttosto che obbedirli? E allora facciamo bene a lamentarci e a deplorare la nostra disobbedienza. Ma qualcuno dice: Cristo ci ordina di fare ciò che è impossibile. Cosa stai facendo, o mortale? Non sai come Davide si comportò con Saul [cfr. 1 Sam 24 e 26]? Cosa ha fatto Stefano, il martire, che ha pregato per coloro che lo stavano lapidando [cfr. At 7,60]? State dimenticando ciò che Cristo stesso ha insegnato e fatto quando ha detto: "Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno" [Luca 23,34]? Per chi vuole osservare i precetti di Cristo, non sono impossibili ma facili, mentre per chi non vuole osservarli e li disobbedisce, sembrano duri e impossibili, anche se il Signore dice: "Il mio fardello è leggero e il mio giogo è piacevole" [Mt 11,30].
Inoltre, cosa devo dire di ciò che è scritto nella preghiera del Signore: "Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori" [Matteo 6:12]? Chi di noi oserebbe rivolgere a Dio queste parole con fiducia? Anche se non facciamo nulla ai nostri nemici e ai nostri debitori, conserviamo comunque in noi, immagazzinata nel nostro cuore, la ferita dell'ira. E anche se non ferite colui che vi ferisce, tuttavia vi allontanate e non vi piace guardare quella persona. Senza dubbio la ferita rimane nel vostro petto e il dolore aumenta nel vostro cuore. È questo il tipo di buona volontà che volete che Dio vi mostri: che Dio non vi ferisca, ma si allontani da voi e tenga a mente i vostri peccati e non voglia guardarvi? Perciò, per come volete che Dio sia nei vostri confronti quando chiedete perdono per i vostri peccati, è così che dovreste mostrarvi nei confronti di coloro che vi hanno fatto del male, come ha detto uno dei saggi: "Uno tratta un altro con rabbia e cerca la guarigione presso Dio" [Sir 28,3]. E se gli uomini non sono misericordiosi gli uni verso gli altri, come potranno ottenere l'espiazione dei loro peccati?
A questo punto, vorrei tacere e mettere fine alle mie parole, perché sono troppo imbarazzato e umiliato per andare oltre. Ma a che serve tacere, visto che anche noi siamo silenziosamente incriminati dagli stessi comandamenti di Cristo a cui ci opponiamo? Come possiamo nasconderci, visto che Colui che conosce i nostri cuori li giudicherà? Cosa dire, dunque, del comandamento che ci ordina di non accumulare tesori sulla terra? Alcuni sentono il precetto al contrario, per così dire. È come se fosse stato detto loro: Accumulate ogni sorta di tesoro sulla terra. E così abbandonano il cielo e si aggrappano alla terra; vanno matti per accumulare denaro; con tutto il cuore odiano Dio ma amano mammona. Quanto a quel detto: "Non pensare al domani" [Mt 6,34], non conosco nessuno che lo senta e certamente nessuno che lo osservi. Ecco perché mi imbarazza dire qualcosa su questo comandamento.
Quando Cristo parla e pronuncia le sue parole, è nostro dovere, per una sorta di patto, non dubitare ma credere. Ma anche se in questo passo Cristo fornisce i motivi e le ragioni dei suoi comandamenti e li sostiene con gli esempi più appropriati, non ci sentiamo in imbarazzo. Il motivo per cui usa le metafore degli uccelli che non arano e non seminano e dei gigli che non filano è perché nessuno abbia dubbi. Eppure, come le nazioni, o forse anche un po' più disperati delle nazioni, siamo consumati dal pensiero delle cose terrene. Su questo comandamento, come ho detto, mi imbarazza dire molto. Passo alla questione successiva. Forse altrove troverò un po' di sollievo per la mia vergogna.
Cosa segue dunque queste parole? "Non giudicate, perché non siate giudicati" [Matteo 7:1]. Pensavo di trovare sollievo per la mia vergogna, ma invece ho trovato la mia umiliazione aumentata. Se non fossimo accusati di nessun altro peccato, questo solo sarebbe più che sufficiente per mandarci alla Gehenna. In effetti, nei casi che riguardano le colpe altrui, ci sediamo come giudici severi e molto severi, ma non vediamo i legni conficcati nei nostri stessi occhi [cfr. Mt 7,3-5]. Non troverete quasi nessuno esente da questo peccato, né una persona del mondo, né un monaco e nemmeno un solitario. Non siamo nemmeno terrorizzati da ciò che dice anche il Signore: "Con il giudizio che usate per giudicare sarete giudicati" [Mt 7,2]. Ora ditemi, quanto sforzo ci vuole per non giudicare qualcun altro? Ma anche se possiamo obbedire senza sforzo al comandamento di Dio, ci sforziamo di trasgredirlo. In effetti, nostro Signore ha dichiarato che i suoi comandamenti non hanno nulla di gravoso, come ho detto poco fa: "Il mio giogo è piacevole e il mio fardello è leggero" [Matteo 11:30]. Ma noi abbiamo ribaltato le cose e reso pesante ciò che lui ha definito leggero. Anche se ci possono essere cose che richiedono un po' di fatica, tuttavia tutto ciò che Egli ha comandato è leggero, anche se si tratta di una fatica. E se è una fatica, come può essere leggera? È leggera, dico, perché l'immenso peso della gloria futura rende leggera la fatica del tempo presente [cfr. 2 Cor 4,17].
Poi dice: "Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci" [Mt 7,6]. Corrotti come siamo dall'amore per la lode e dal vizio della vanagloria, capovolgiamo anche questo precetto. Non esercitiamo alcuna discrezione e mettiamo a nudo i segreti dei misteri a persone che non hanno una comprensione pura, a persone che non hanno una fede sana e, peggio ancora, a persone che sono coinvolte nelle azioni sporche dei peccatori.
Sarebbe un'impresa immensa discutere ogni singolo comandamento che la gente disprezza in vari modi, come questo: "Tutto quello che volete che gli uomini facciano a voi, fatelo a loro" [Mt 7,12]. Ma noi facciamo esattamente il contrario: facciamo alle persone tutto ciò che non vogliamo che soffrano. Allo stesso modo, noi che abbiamo il comando di camminare sulla strada stretta, camminiamo sempre su quella larga [cfr. Mt 7, 13-14]. Le stesse persone che sembrano aver preso la loro croce e seguito Cristo si affannano a scoprire la strada larga e spaziosa. Come si comportano le persone che si preparano a lasciare il mondo? Quando si informano attentamente sui monasteri o sui luoghi di reclusione o sui luoghi in cui vivere, si preoccupano soprattutto della tranquillità e della comodità. La loro prima preoccupazione e le loro prime parole sono queste: È tranquillo il luogo in cui devo andare? Potrò trovare lì tutto ciò di cui ho bisogno? La prima cosa, come ho detto, che si preoccupano di chiedere è se manca qualcuna di queste cose che la strada ampia e spaziosa richiede. Cosa stai facendo, o mortale? Cosa stai dicendo? Ti è stato comandato di percorrere la strada stretta e angusta, e allora perché ti informi sulla quiete e sull'abbondanza?
Forse qualcuno potrebbe pensare che dicendo queste cose io stia solo trovando dei difetti, quindi ora racconterò la mia storia. Quando cominciai a pensare di rinunciare al mondo e di intraprendere una vita in solitudine, so quanto attentamente riflettei nella mia mente su dove avrei vissuto e su come, nella mia solitudine, mi sarei procurato le cose di cui avrei avuto bisogno per il corpo. Non ero negligente nel chiedere dove avrei trovato vestiti e luci, dove avrei trovato legna e verdure e cose del genere. Pensavo continuamente e dettagliatamente a come provvedere al riposo del corpo. Ahimè, come ci inganna sottilmente l'artigiano del male, il diavolo, e con quale cecità totale copre gli occhi della nostra mente! Vogliamo salire al regno dei cieli e ci chiediamo se incontreremo qualche difficoltà sul cammino. Ci affrettiamo verso la vetta e le ricchezze del cielo, quelle ricchezze, dico, che "occhio non ha visto, né orecchio ha udito, né cuore umano ha concepito" [1 Cor 2,9], eppure ci informiamo attentamente sul riposo del corpo.
Come ho detto sopra, sarebbe un'impresa immensa discutere di ogni singolo comandamento di Cristo in questo luogo. Tuttavia, spetta a noi piangere e lamentarci per ognuno di questi comandamenti che violiamo e disprezziamo, affinché, con l'aiuto di Dio, possiamo meritare di essere lavati e purificati dai peccati che abbiamo commesso disobbedendo e disprezzando quegli stessi comandamenti di Cristo.
Capitolo 29: Compunzione del cuore
La compunzione del cuore è umiltà d'animo, con lacrime e ricordo dei peccati e timore del giudizio. Dalla virtù dell'umiltà nasce la compunzione del cuore; dalla compunzione del cuore nasce il pentimento, e dal pentimento si ottiene il perdono dei peccati.
Ci sono quattro tipi di sentimenti per cui la mente di una persona giusta prova compunzione e un sano disgusto. Essi sono: ricordare i peccati del passato, ricordare le punizioni a venire, considerare come si è in pellegrinaggio nella miseria di questa vita presente e desiderare di raggiungere la terra natia in alto e di poterci arrivare il prima possibile. Quando queste quattro cose sono presenti nel cuore, allora si può credere che Dio sia presente nel cuore umano per grazia.
Inoltre, se vogliamo che il nostro desiderio di compunzione del cuore sia perfetto, dobbiamo innanzitutto aver ritirato sia la mente che il cuore da ogni disturbo e fluttuazione causati dalle cose visibili e aver raggiunto quel silenzio in cui c'è la massima quiete, la tranquillità ininterrotta e la pura serenità. È su questo punto che dovremmo concentrare tutta la nostra attenzione e tenere sempre fisso lo sguardo della mente. Dobbiamo tenere davanti agli occhi della nostra mente il giorno della morte e richiamare alla mente i nostri peccati passati. Dovremmo ricordare coloro che gemono all'inferno e cosa significa per le anime che vi si trovano, in quale amaro silenzio, in quale disperato lamento, in quale paura, in quale tortura, in quale terrore e dolore. Per loro dovremmo versare infinite lacrime. Ma riflettiamo sul giorno della resurrezione e su quel terrificante, spaventoso e spaventoso giudizio di Cristo, sulla ricompensa data ai giusti e sul castigo che attende i peccatori e che essi subiranno al cospetto di Dio. Ricordiamo tutti i supplizi, il fuoco inestinguibile, il verme che non muore e la fossa delle tenebre [cfr. Marco 9,43-44]. E soprattutto temiamo lo stridore di denti e i tormenti senza fine. Ma anche le cose buone e la gioia che attendono i giusti alla presenza di Dio e dei suoi angeli nella gloria eterna. Pensiamo anche a quanto siano gloriosi quei cori di angeli, alla comunione di cui godono gli spiriti beati e a quanto sia maestosa la visione di Dio. Teniamo sempre nel cuore il ricordo di queste due cose: addoloriamoci per il giudizio pronunciato sui peccatori, ma rallegriamoci per le cose buone che attendono i giusti. Se lo facciamo, allora la perfetta compunzione che nasce dal timore consegnerà l'anima alla compunzione che nasce dall'amore".
Capitolo 30: I due tipi di compunzione
Esistono due tipi di compunzione: quella che viene irrorata dall'alto e quella che viene irrorata dal basso. Si riceve quella che viene dal basso quando nel pianto si temono le torture dell'inferno. Si riceve quella irrigata dall'alto quando ci si affligge con le lacrime perché si desidera il regno celeste. Bisogna tenere presente che chi è dedito al riso e allo scherzo smodato non sarà in grado di raggiungere la compunzione del cuore. Le persone che si sforzano di ascendere alla perfezione non dovrebbero scherzare come bambini sciocchi o scoppiare a ridere con labbra dissolute. Dovrebbero piuttosto mostrare la loro felicità mentale semplicemente sorridendo. Ridere forte è una follia. Il gioco è per i bambini, il lutto è per i perfetti. Lo scherzo e il riso rendono una persona giusta disattenta e tiepida nel servire Dio.
Quanto male fanno il riso e lo scherzo! Al contrario, quanti benefici portano il pianto e il lutto! Chi ama ridere ora, dopo piangerà molto amaramente, mentre chi piange volentieri ora, dopo si rallegrerà all'infinito. Il nostro Salvatore ha definito beati coloro che piangono e ha detto che coloro che sono felici ora piangeranno nell'ultimo giorno [vedere Luca 6:21, 25]. L'apostolo Giacomo dice: "Siate affranti e piangete; il vostro riso si trasformi in lutto e la vostra gioia in dolore" (Gc 4,9). Salomone dice che: "Il riso sarà mescolato al dolore" [Prov 14,13].
E Gregorio dichiara:
"Nessuno può al tempo stesso gioire qui con il mondo e regnare laggiù con Cristo". (Homiliae in Evangelia XL; 1.12.4)
Inoltre, si legge nelle conferenze dei Padri:
"Un anziano vide uno che rideva e gli disse: Al cospetto del cielo e della terra dovremo rendere conto di tutta la nostra vita, e tu ridi?"(Vitae Patrum 5.3.23; PL 73,864)
Di conseguenza non dovremmo dilettarci in scherzi e risate infantili, ma nella lettura sacra e nel canto di melodie spirituali. I nostri cuori possono anche essere troppo duri per produrre lacrime, ma non appena la dolce musica dei salmi inizia a suonare, il nostro spirito si sintonizza con la compunzione del cuore. Ci sono molte persone che sono così commosse dalla dolce musica del canto da piangere i loro peccati, e sono tanto più predisposte a produrre lacrime grazie all'influenza della dolcezza che risuona nella voce che canta i salmi.
Tuttavia, dobbiamo cercare di conservare in noi il vigore delle lacrime, anche quando i tempi della compunzione sono passati, per quanto possiamo con la grazia di Dio. Altrimenti, dopo aver sperimentato la compunzione del cuore, il pensiero che scorre ci dissolverà, la vuota felicità ci ruberà la mente e la nostra anima perderà, a causa del flusso incauto dei pensieri, il profitto ottenuto dalla compunzione del cuore.
Perché l'anima merita di ottenere ciò che aveva chiesto? Perché dopo le lacrime si è mantenuta nello stesso vivace stato d'animo. Non sorprende, quindi, che sia scritto: "Il suo volto non era più cambiato verso cose diverse" [1 Sam 1,18]. Poiché non dimenticò ciò che chiedeva, non fu privata del favore che invocava. Ma noi, che dopo il battesimo abbiamo contaminato la nostra vita, dobbiamo ribattezzare la nostra coscienza con le lacrime. Pertanto, se versiamo lacrime senza sosta ma non smettiamo di peccare, abbiamo il lamento ma non la purificazione. Ma dove le lacrime scorrono in abbondanza, lì i pensieri sporchi non si avvicinano. La compunzione è salute dell'anima; la compunzione è illuminazione della mente; la compunzione è perdono dei peccati; la compunzione fa dimorare lo Spirito Santo in noi.
Capitolo 31: Riguardo alla riverenza ed alla persistenza nella preghiera
Dobbiamo sapere al di là di ogni dubbio e credere veramente che con la perseveranza nella preghiera possiamo ottenere il perdono di tutti i nostri peccati, a condizione che le nostre azioni non contraddicano la nostra preghiera o che le nostre labbra smentiscano ciò che abbiamo nel cuore - È meglio pregare con il cuore in silenzio e senza il suono della voce che pregare solo con le parole senza una mente concentrata. Dopotutto, Dio non assiste alle parole imploranti, ma guarda al cuore che prega. Infatti, le preghiere disattente non possono ottenere ciò che vogliono nemmeno da un essere umano. Se vogliamo presentare richieste a persone potenti, non abbiamo la presunzione di farlo, se non con umiltà e rispetto. A maggior ragione, quindi, dobbiamo supplicare il Signore Dio di tutte le cose con umiltà di cuore e pura devozione. E dobbiamo renderci conto che saremo ascoltati non per le tante chiacchiere, ma per la purezza del cuore. Di conseguenza, la preghiera deve essere breve e pura, a meno che non sia prolungata da un desiderio ispirato dalla grazia di Dio".
Pertanto, quando ci alziamo per pregare, dobbiamo sospirare e piangere. Dobbiamo ricordare quanto sono gravi i peccati che abbiamo commesso e quanto sono dolorose le punizioni dell'inferno che temiamo. È sicuramente lontana da Dio quell'anima che, durante la preghiera, è assorta nei pensieri del mondo. Solo allora si prega davvero, quando i nostri pensieri non sono altrove. Ma sono rare le persone che fanno queste preghiere, e anche se qualcuno le fa, è difficile che le preghiere siano sempre così. Il diavolo fa del suo meglio per suggerire alla nostra mente pensieri legati agli affari del mondo proprio quando ci vede pregare. Al contrario, dobbiamo perseverare e non smettere di pregare fino a quando non avremo superato i pensieri di distrazione su questioni mondane che il nemico ha introdotto segretamente nella nostra mente. Ogni volta che si è affetti da qualche vizio, è necessario dedicarsi alla preghiera, perché la preghiera frequente frena l'attacco dei vizi. E se siete feriti, non smettete di pregare per coloro che vi hanno ferito, perché come la medicina non serve a nulla se la lama è ancora dentro, così la preghiera non serve a nulla se continuate a tenere il dolore nella mente e a covare l'odio nel cuore.
Quando preghiamo, il nostro desiderio di Dio deve essere così forte da non perdere la speranza che la nostra preghiera venga esaudita. La nostra preghiera è vuota se non abbiamo una speranza fiduciosa. L'Apostolo ci dice: "Ciascuno chieda con fede e non vacilli. Perché chi dubita è come un'onda dell'oceano che viene mossa dal vento e si disperde" (Gc 1,6). La nostra incertezza nasce dal fatto che sentiamo di essere ancora attaccati al desiderio di peccare. L'Apostolo dice: "La petizione perseverante di un giusto è molto potente" [Gc 5,16]. Il motivo per cui la preghiera è potente è che con essa i demoni vengono vinti e viene impedito loro di entrare e andare in giro dove vogliono. Nella Storia tripartita leggiamo:
Ai tempi di Giuliano l'Apostata, un demone fu mandato da lui in Occidente per andare velocemente e riportargli da lì una certa risposta. Ma quando il demone giunse in un certo luogo dove viveva un certo monaco, rimase fermo sul posto per dieci giorni; non poteva andare oltre perché il monaco non smetteva di pregare né di notte né di giorno. Il demone tornò da colui che lo aveva mandato senza aver portato a termine il suo compito. Al suo ritorno, Giuliano gli disse: Perché ci hai messo tanto? Il demone rispose: Sono stato ritardato e sono tornato senza aver compiuto il mio lavoro. Ho aspettato dieci giorni il monaco Publio, per vedere se smetteva di pregare e potevo andare avanti, ma non si è fermato e mi è stato impedito di andare avanti e sono tornato senza aver compiuto il lavoro. Allora il sacrilego Giuliano si indignò e disse: Quando andrò là, mi vendicherò di lui. Pochi giorni dopo, per la provvidenza di Dio, Giuliano morì. Subito uno dei prefetti che era al suo servizio andò a vendere tutto quello che aveva e venne da quell'anziano e si fece grande monaco. Rimase con lui finché non si addormentò nel Signore. (Cfr. Vitae Patrum, 6.2.12; PL 73:1003)
Da questo racconto ci è dato di capire che la preghiera costante dei servi di Dio non solo salva gli esseri umani, ma vince persino i dardi del diavolo. Per mezzo di preghiere molto pure, Dio ci dona tutto ciò di cui abbiamo bisogno e, senza dubbio, mette in fuga tutto ciò che è dannoso. Di conseguenza, dobbiamo pregare senza interruzione con la bocca e con il cuore.
Capitolo 32: Come si può pregare senza sosta
Un servo di Dio, specialmente un solitario, è obbligato a pregare, a leggere e a lavorare senza interruzioni. Altrimenti uno spirito maligno può invadere la mente che è inattiva. Infatti, è con le preghiere che ci purifichiamo, con la lettura che ci intimiamo, e con la fatica che affatichiamo il corpo con il lavoro, affinché non diventi orgoglioso.
Ora dobbiamo chiederci come sia possibile che qualcuno preghi senza interruzioni. Alcuni vogliono dire che una persona che osserva le ore canoniche prega senza interruzioni. Ma non dobbiamo smettere di pregare durante le altre ore. Piuttosto, come dice l'Apostolo, dobbiamo pregare senza interruzione [cfr. 1 Tess 5,17]. Con la misericordia del Signore potremo adempiere a questo precetto: se non possiamo pregare costantemente con la lingua, allora dobbiamo pregare con il cuore, e se non possiamo pregare incessantemente né con la bocca né con il cuore, allora le nostre azioni devono essere tali da pregare sempre Dio a nostro favore.
Ne abbiamo un esempio nelle conferenze dei padri.
Abba Lucius interrogò alcuni fratelli e disse: Quale lavoro manuale fate? Essi risposero: Non facciamo alcun lavoro manuale, ma, come dice l'Apostolo, preghiamo senza interruzione. L'anziano disse loro: Non mangiate? Risposero: Sì, mangiamo. Ed egli disse loro: Allora, mentre mangiate, chi prega per voi? E pose loro una seconda domanda: Non dormite? Essi risposero: Sì, dormiamo. E l'anziano continuò: Quando dormite, chi prega per voi? Non riuscirono a trovare una risposta. E continuò: Perdonatemi, fratelli, ma non state facendo quello che avete detto. Ora vi mostrerò come, lavorando con le mie mani, prego senza interruzioni. Mi siedo e, con l'aiuto di Dio, bagno alcune foglie di palma, faccio una stuoia e dico: "Abbi pietà di me, o Dio, secondo la tua grande compassione, e secondo la moltitudine delle tue misericordie cancella la mia iniquità" [Sal 50,1]: Questa è preghiera, non è vero? Gli risposero: Sì. Ma lui disse: Quando continuo a lavorare tutto il giorno e a pregare con la bocca o con il cuore, guadagno sei monete, più o meno. Due di queste le do ai poveri fuori dalla porta e il resto lo spendo per le mie necessità e per quelle dei miei discepoli. Ma colui che ha preso quei due denari prega per me mentre mangio o dormo. È così che, per grazia di Dio, si compie in me ciò che è scritto: "Pregate senza interruzione" [1 Tess 5,17]. (Cfr. Vitae Patrum, 5.12.9; PL 73:942)
Ecco perché, come è stato detto, dobbiamo pregare incessantemente con la bocca o con il cuore, o fare un lavoro che preghi Dio a nostro favore.
Ciò che il Signore ha detto, tuttavia, sembra contraddire questo comando dell'Apostolo: "Quando pregate, non parlate molto, come fanno i pagani" [Matteo 6:7]. Ma notate che il Signore non ha detto: Non pregate molto, ma piuttosto: Non parlate molto, come fanno i gentili, che pregano con la lucida verbosità della facile eloquenza. Volete pregare Dio senza interruzioni? Allora perdonate un fratello o una sorella che pecca contro di voi; cercate la lode non dagli esseri umani, ma da Dio; chiudete la porta della stanza del vostro cuore di fronte alla folla di vuote fantasie e impedite che la vostra preghiera sia bloccata in qualsiasi modo, fissando lo sguardo della vostra mente sull'amore di Dio.
Capitolo 33: Tutti i pensieri vuoti sono illusioni operate dai demoni
Nel modo di vivere dei servi di Dio, non c'è virtù che richieda tanto lavoro quanto la preghiera. Quando le persone desiderano pregare il loro Dio, i demoni si affrettano sempre a interrompere la loro preghiera, perché sanno che nessun'altra attività li ostacola tanto quanto la preghiera rivolta a Dio. Infatti, anche se le persone che vivono secondo uno stile di vita religioso svolgono ogni altra attività incessantemente, hanno comunque un po' di riposo. Ma la preghiera, come si è detto, non ha riposo.
A questo proposito leggiamo nelle vite dei padri:
Una volta, un demone bussò di notte alla porta della cella del beato Macario e gli disse: Alzati, abba Macario, e andiamo all'assemblea dove i fratelli si riuniscono per le veglie". Ma lui, che per grazia di Dio era pieno di prudenza, non poteva essere ingannato. Capì che si trattava di un trucco del diavolo e disse: O bugiardo e nemico della verità, cosa hai a che fare con l'assemblea e la congregazione dei santi? Ma il demonio disse: Ti è forse nascosto, o Macario, che nessuna congregazione di monaci fa qualcosa senza di noi? Macario disse: Che il Signore te lo ordini, impuro. Ma il demone continuò: Vieni e vedrai le nostre opere". Dette queste parole, il demone se ne andò. L'abate tornò a pregare e chiese a Dio di mostrargli se ciò di cui il demone si era vantato fosse vero. Si recò quindi all'assemblea dove i fratelli celebravano le veglie. Di nuovo supplicò il Signore in preghiera di mostrargli la verità della questione. Improvvisamente vide in tutta la chiesa creature come piccoli etiopi che correvano di qua e di là e volavano. I piccoli etiopi che correvano giocavano con ognuno di quelli che erano seduti lì. Se premevano con due dita sugli occhi di qualcuno, questo si addormentava immediatamente. Se gli mettevano un dito in bocca, lo facevano sbadigliare. Quando i fratelli si prostravano per pregare dopo un salmo, le creature continuavano a correre intorno, e davanti a un fratello prostrato in preghiera si trasformavano in ciò che sembrava una donna. Davanti a un altro apparivano come persone che costruivano qualcosa o trasportavano qualcosa o facevano varie cose. Qualunque cosa i demoni recitassero nel loro gioco, era ciò che quelli che pregavano stavano meditando nel loro cuore. Ma quando cominciarono a fare questo genere di cose davanti ad alcuni fratelli, ricevettero una specie di spinta e furono sbalzati e buttati a terra, per cui non osarono più stare davanti a loro e nemmeno passare vicino a loro. Si divertivano anche a giocare sulla schiena e sul collo di altri fratelli. Quando il santo Macario vide queste cose, gemette profondamente e disse piangendo: Alzati, Signore, perché i tuoi nemici siano dispersi e fuggano dal tuo volto [cfr. Sal 67,2], poiché la nostra anima è piena di illusioni [cfr. Sal 122,4], Quando la preghiera fu terminata, chiamò a sé ciascuno dei fratelli davanti ai quali i demoni avevano giocato con le loro diverse illusioni. Chiese a ciascuno di loro di dirgli se, durante la preghiera, avesse pensato di costruire o trasportare o fare le varie cose per le quali aveva visto i demoni creare immagini per ciascun fratello. Ognuno di loro confessò che era stato nel proprio cuore, proprio come lui li accusava. Allora si capì che tutti i pensieri inutili e superflui che ciascuno concepisce durante il sonno o la salmodia o la preghiera sono illusioni che vengono dai demoni. Ma da coloro che vigilavano attentamente sul loro cuore, gli Etiopi furono facilmente respinti. La mente che è unita a Dio e che è concentrata su di lui, soprattutto durante il tempo della preghiera, non accoglie nulla di estraneo, nulla di superfluo.
(Cfr. Vitae Patrum, 3.43; PL 73:765)
Capitolo 34: Dio e gli angeli sono sempre presenti a coloro che cantano i salmi
Pur sapendo che Dio è ovunque con la forza della sua divinità e pur credendo che i suoi occhi guardano i buoni e i cattivi, crediamo senza ombra di dubbio che sia particolarmente presente a noi quando partecipiamo all'Ufficio divino. Così siamo sempre attenti a ciò che dice il profeta: "Servite il Signore con timore" [Sal 2,11], e: "Cantate con saggezza i salmi" [Sal 46,8]. Dobbiamo credere che gli spiriti angelici sono più presenti a noi quando adempiamo ai doveri che dobbiamo a Dio, cioè quando sintonizziamo l'orecchio sulle letture sacre o prestiamo attenzione alla salmodia o ci dedichiamo alla preghiera o celebriamo i riti solenni della Messa. Per questo il profeta dice: "Al cospetto degli angeli canterò salmi per te" [Sal 137,1]. Di conseguenza, quando ci riuniamo per l'Ufficio divino o per celebrare i riti solenni della Messa, dobbiamo dedicare tutta la nostra abilità ed energia a tenere costantemente presente come dobbiamo essere al cospetto di Dio e dei suoi angeli. E mettiamoci a cantare i salmi in modo che la nostra mente sia in armonia con la nostra voce, come dice l'Apostolo: "Canterò salmi con il mio spirito; canterò anche salmi con la mia mente" [1 Cor 14,15].
Dobbiamo però stare attenti a non celebrare l'Ufficio divino con negligenza o a metà o in modo indecoroso, e non dobbiamo essere pigri e arrivare in ritardo. Se lo facciamo - che non accada mai - allora subiremo la condanna che dice: Maledetto chi fa l'opera di Dio con negligenza [cfr. Dt 27, 15]. Dobbiamo stare molto attenti a non commettere nulla di vergognoso o indecente o sconveniente o perverso né nei pensieri né nelle parole né nelle azioni. Dobbiamo piuttosto compiere il nostro dovere celeste con timore e riverenza, poiché siamo stati resi degni di stare alla presenza di Dio e dei suoi angeli. Allora il Signore, quando verrà da noi, non troverà in noi nulla da condannare, ma piuttosto qualcosa da premiare.
Capitolo 35: La lode dei salmi e la disposizione delle ore alle quali dobbiamo cantare i salmi
Il canto incessante dei salmi consola i cuori tristi, rende le menti più ben disposte, delizia coloro che provano disgusto, infonde nuova vita a chi non ha vita e invita i peccatori a lamentarsi. Anche se i nostri cuori sono duri, tuttavia, non appena la dolcezza dei salmi inizia a risuonare, sintonizza tutto il nostro io a progredire nella pietà. La dolcezza dei salmi ammorbidisce ogni durezza di cuore e, così come siamo guidati dalle preghiere che recitiamo, allo stesso modo ci dilettiamo nel dedicarci ai salmi. Soltanto in questa vita si versa la preghiera come rimedio ai peccati, ma il canto dei salmi rappresenta la lode perpetua di Dio e la gloria eterna. Così è scritto: "Beati quelli che abitano nella tua casa, Signore; nei secoli dei secoli ti loderanno" [Sal 83,5]. Chi compie la regolarità di questo lavoro con fedeltà e attenzione diventa, per così dire, compagno degli angeli. Per questo motivo è necessario compiere gli uffici che il nostro servizio comporta in ore e tempi prestabiliti, ossia l'ufficio del mattino, le prime, le terze, le seste, le none, i vespri e la compieta. A proposito di queste ore diurne il profeta Davide dice: "Sette volte durante il giorno ti ho lodato" [Sal 118,164], ma a proposito delle Veglie notturne lo stesso profeta dice: "A mezzanotte mi sono alzato per confessarti" [Sal 118,62]; e dice anche: "Di notte mi sono ricordato del tuo nome, o Signore" [Sal 118,55], e dice anche: "Se mi sono ricordato di te sul mio letto, al mattino presto" [Sal 62,7].
Di conseguenza, in momenti diversi dagli Uffici divini della notte e dalle altre ore del giorno, non dobbiamo tralasciare di pregare, ma durante gli intervalli tra le ore, dobbiamo sempre pregare o leggere o fare qualche lavoro manuale e così evitare che il nostro cuore e i nostri pensieri si annoino. È proprio quello che, come leggiamo, faceva il beato Antonio.
Una volta era seduto nel deserto, e la sua mente incontrava pensieri di noia e confusione, perché in quel momento non stava ancora lavorando continuamente. Disse a Dio: O Signore, voglio essere salvato, ma i miei pensieri non me lo permettono. Cosa devo fare in questa situazione e come posso salvarmi? Dopo poco tempo si alzò e andò fuori, e vide qualcuno che gli assomigliava, seduto lì a lavorare. Alla fine vide la persona alzarsi dal lavoro e pregare, poi sedersi di nuovo e fare una stuoia di foglie di palma e poi di nuovo alzarsi per pregare. Ora si trattava di un angelo del Signore che era stato mandato per correggere e consigliare Antonio. Dopo aver visto queste cose, egli udì la voce dell'angelo che diceva: "Fai questo e sarai salvato": Fa' questo e sarai salvato". Quando ebbe sentito questo, fu pieno di gioia e di fiducia. E agendo così da allora in poi, trovò la salvezza che cercava.
(Cfr. Vitae Patrum, 5.7.1; PL 73:893)
Anche noi, con l'aiuto di Dio, ci salveremo agendo in questo modo.
Non abbiamo cercato di definire il numero e la lunghezza dei salmi che dobbiamo cantare ogni giorno. Lungi da me porre limiti a ciò che l'Apostolo ci ordina di fare senza interruzioni. Lasciate che la coscienza di ciascuno sia testimone, perché ognuno di noi in ogni momento ha Dio come scrutatore del proprio cuore, al quale nulla è nascosto [cfr. Rm 8,27; 1 Cr 28,9]. Siamo anche tenuti a pregare incessantemente per i nostri benefattori e per tutti gli uomini, per i re e per tutti coloro che occupano posizioni elevate, affinché possiamo condurre una vita tranquilla e serena [cfr. 1Tim 2,2]. Inoltre, dobbiamo sapere con certezza che, quanto più saremo perseveranti nel pregare, tanto più gioiosa sarà la ricompensa che riceveremo nella beatitudine eterna.
I solitari devono essere coscienziosi nel rifornire i loro oratori durante la notte con luci fatte da loro stessi o offerte dai fedeli.
Capitolo 36: Se qualcuno deve osare di ricevere il corpo del Signore o cantare la messa ogni giorno
Non mi affido alla mia opinione ma al giudizio dei santi padri quando dico che credo che si possano fare entrambe le cose, cioè celebrare la Messa ogni giorno e ricevere ogni giorno con timore e tremore i santissimi Misteri del Corpo e del Sangue del Signore. Ma solo coloro che sono puliti da ogni contaminazione della carne o dello spirito e che lo fanno con grande timore e paura, perché coloro che desiderano ricevere tale Ospite dentro di loro devono essere non solo casti nel corpo, ma anche puliti di cuore. C'era una volta un venerabile padre di nome Apollonio, il quale
era solito consigliare ai frati di ricevere, se possibile, ogni giorno i Misteri di Cristo nella Comunione, per paura che chi se ne allontanava si allontanasse da Dio. Diceva che chi riceve spesso la Comunione, senza alcun dubbio, riceve spesso il Salvatore stesso, perché egli stesso dice: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui" [Gv 6,57]. Poiché questa commemorazione della passione del Signore deve essere celebrata coscienziosamente dai servi di Dio, la prima cosa che devono tenere a mente è che ognuno faccia ogni sforzo per essere trovato preparato e non essere giudicato indegno dei Misteri del Signore. (Rufinus, Historia monachorum, 7 "de Apollonio; PL 21:418-19)
Su quest'ultima questione, il beato Gregorio dice nel Libro dei Dialoghi: "Dobbiamo disprezzare l'età presente con tutta la nostra mente, offrire a Dio sacrifici quotidiani di lacrime e immolare le oblazioni quotidiane del suo Corpo e del suo Sangue. Sono soprattutto queste vittime sacrificali che salvano l'anima dalla rovina eterna" (Gregorio Magno, Dialoghi, 4.58; PL 77:425). Ma quando offriamo questi sacrifici, dobbiamo immolarci con la contrizione del nostro cuore. Lo dico con fiducia: se noi stessi siamo oblazioni per Dio prima della nostra morte, allora dopo la nostra morte non ci mancheranno le oblazioni che ci salveranno. Per questo è bene che, qualunque cosa speriamo che gli altri facciano per noi dopo la nostra morte, noi stessi la facciamo mentre siamo in vita. È più bello uscire dalla prigione da persona libera che, una volta tolte le catene, cercare ancora la libertà.
Nello stesso libro, il Papa continua a parlare di questo argomento:
C'era un uomo di vita venerabile, Cassio, vescovo di Narnia, che aveva l'abitudine di offrire ogni giorno sacrifici a Dio. Non passava giorno che non immolasse un sacrificio di propiziazione a Dio. Mentre si immolava con le sue lacrime, ricevette un comando del Signore attraverso una visione vissuta da uno dei suoi sacerdoti: Fai quello che stai facendo, esegui quello che stai eseguendo. Non si fermi il tuo piede, non si fermi la tua mano". Il giorno del compleanno degli apostoli verrete da me e vi darò la vostra ricompensa". Sette anni dopo, mentre celebrava la solennità della Messa proprio nel giorno del compleanno degli apostoli e aveva ricevuto i Misteri della Santa Comunione, uscì dal corpo. (Gregorio Magno, Dialoghi, 4.56; PL 77:424)
Questo evento ci fa capire quale protezione sia immolare ogni giorno le vittime sacrificali del santissimo Corpo e Sangue di nostro Signore Gesù Cristo. È evidente quanto sia salutare ricevere una tale medicina. Ecco perché un certo venerabile poeta ha detto:
È una grande protezione nutrirsi della sacra libagione, se nessun peccato appesantisce il cuore del partecipante. (Prospero di Acquitania, Epigrammatum ex Sententiis s. Augustini, 72; PL 51:520)
E su questo stesso tema, l'eminente dottore Agostino disse:
"Un cristiano non deve temere nulla di più che essere separato dal corpo di Cristo. Infatti, se si è separati dal corpo di Cristo, non si è membri di lui. Se non sei membro di lui, allora il tuo spirito non è infuso di vita. Come dice l'Apostolo: "Chi non ha lo spirito di Cristo non gli appartiene" [Rm 8,9]".(In Iohannis Evangelium Tractatus, 27,6; PL 55,1618)
Ne consegue che tutti noi dovremmo consultare la nostra fede e poi fare ciò che crediamo devotamente di dover fare. Sappiamo che quei due non litigarono tra loro, e nessuno si antepose all'altro - sto parlando di Zaccheo e del centurione. Il primo accolse con gioia il Signore, mentre il secondo disse: "Non sono degno, Signore, che tu venga sotto il mio tetto" [Luca 7:6]. Entrambi onoravano il Salvatore, ma in modi diversi e, per così dire, contrari. Entrambi erano dispiaciuti per i loro peccati ed entrambi cercavano misericordia. Allo stesso modo, una persona onora il Sacramento del Corpo e del Sangue del Signore e non osa riceverlo ogni giorno, mentre un'altra, allo stesso modo, onora il Sacramento e non osa ometterlo nemmeno per un giorno.
Come dice il beato Gregorio,
"nell'affrontare l'illusione che a volte si verifica in sogno, c'è grande bisogno di discrezione nel distinguere il motivo per cui ciò è accaduto alla mente di chi dorme. A volte accade per un'eccessiva indulgenza, a volte per una superfluità naturale o per una malattia, a volte per un pensiero. Quando si verifica a causa di una superfluità naturale o di una malattia, questa illusione non è affatto da temere", (Pseudo Gregorio, Epistola, 11.64; PL 77,1198)
come dice il profeta: "Il Signore sa come siamo fatti" [Sal 102,14]. Quando ciò accade, è sufficiente lavarsi con acqua. Poi potrà partecipare ai Sacramenti divini.
Ma quando la bramosia dello stomaco lo trascina e mangia più del dovuto, con il risultato di sovraccaricare i ricettacoli dei liquidi, la persona incorre in una certa colpa, ma non tale da impedirgli di ricevere i Sacramenti o di celebrare le solennità della Messa, quando per esempio un giorno di festa lo richiede o è costretto a esercitare il suo ministero, poiché non c'è nessun altro sacerdote nel luogo, o l'amore per l'offerta del sacrificio lo costringe a risolverlo. Se ci sono altri presenti che possono compiere il Mistero, l'illusione che si è verificata a causa dell'eccessiva indulgenza non deve impedirgli di ricevere il sacro Mistero, ma, a mio parere, deve umilmente astenersi dall'immolare il divino Sacramento fino a quando non si sarà riconciliato con degne lacrime e si sarà lavato con l'acqua e potrà così accostarsi di nuovo ai sacri Misteri.
Se, invece, l'illusione della mente del dormiente deriva da pensieri immondi che ha avuto da sveglio, allora la sua colpa è evidente a se stesso. Egli vede da quale radice è scaturita la contaminazione, poiché ciò che ha pensato mentre era cosciente lo ha messo in atto mentre era incosciente. Quando ciò accade, deve ritirarsi umilmente dai Misteri divini e lavare prima con l'acqua la sporcizia del corpo e pulire con la penitenza la ferita del cuore. Infine, con la misericordia del Signore, può essere riconciliato con i Sacramenti vivificanti. Nel Vangelo, infatti, il Signore dice: "Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore" [Mt 5,28]. Dice "nel suo cuore", non nel suo corpo. Allo stesso modo la Scrittura ci avverte altrove: "Stai molto attento a proteggere il tuo cuore" [Prov 4, 23].
Ci sono persone in cui si verificano spesso illusioni di questo tipo, ma il cui spirito, anche quando dorme, non è contaminato da immaginazioni sconce. In questo caso, una cosa è chiara: la mente stessa non è colpevole ed è, per suo giudizio, esente da colpe, poiché non ricorda di aver visto nulla mentre il corpo dormiva. Infatti, come disse uno dei padri, "se qualcosa del genere accade nel sonno senza che le donne lo immaginino, non è un peccato". La grande quantità di fluidi del corpo, quando ha riempito i suoi recipienti, deve essere dispersa attraverso i suoi canali. Ma quando la vista delle donne e gli allettamenti della carne si verificano durante il sonno, se ciò avviene a causa di pensieri inutili e seducenti, allora è peccato".
Inoltre, va notato che ci sono tre movimenti corporei. Uno è naturale. Il secondo deriva dalla sazietà, quando il corpo è nutrito e riscaldato dal cibo e dalle bevande, che danno origine al calore e al sangue e che eccitano il corpo a cercare il piacere. Per questo il Signore dice: "Guardate che i vostri cuori non siano appesantiti dal mangiare troppo e dall'ubriachezza" [Luca 21:34]. Il terzo moto proviene dai complotti e dall'invidia dei demoni. Ecco perché dobbiamo frenare proprio questa sovrabbondanza e questo fluire dei piaceri con un grande autocontrollo, con molti digiuni e con continue preghiere. Come dice il beato Agostino: "Come un nemico ferito non ci fa alcun male, così la carne mortificata non disturba la nostra anima".
Infine, le persone che vivono una vita di piaceri, se una malattia del corpo lo richiede, si astengono senza indugio da tutte quelle cose che il medico ha ritenuto dannose. Perché allora non lo facciamo anche noi, che dovremmo cercare la salute dell'anima e dello spirito? Il Signore dovrebbe avere dei ministri che non sono toccati da alcuna corruzione della carne e che risplendono di casto autocontrollo nella mente e nel corpo.
Capitolo 38: Costanza nella lettura e nella preghiera
Dobbiamo praticare la costanza nella lettura e la perseveranza nella preghiera. La costanza nella lettura fortifica la persona contro il peccato, come dice il profeta: "Nel mio cuore ho nascosto i tuoi discorsi, perché non pecchi contro di te" [Sal 118,11]. Sono queste le armi, la lettura e la preghiera, che vincono il diavolo e conquistano la beatitudine eterna. Sono le armi che sottomettono i vizi e alimentano le virtù. Nella lettura e nella preghiera potete guardarvi come in una specie di specchio e vedere che tipo di persona siete, dove siete diretti e come state progredendo. Di conseguenza, se volete stare sempre con Dio, dovete leggere spesso e pregare spesso. Quando preghiamo, infatti, parliamo con Dio e quando leggiamo, Dio parla con noi.
La lettura delle Sacre Scritture ci conferisce un duplice dono: in primo luogo, forma la comprensione della mente e, in secondo luogo, allontana la persona dalla vanità del mondo e la conduce verso l'amore di Dio. La lettura assidua suscita il timore della Gehenna, purifica l'anima e incita il cuore del lettore a desiderare le gioie del cielo. Come la carne si nutre di cibi carnali, così l'uomo interiore si nutre e si sostiene delle parole divine, come dice il profeta: "Come sono dolci alla mia gola le tue parole, Signore, più del miele e del favo alla mia bocca" [Sal.118:103].
È chiaro che tutte le Scritture sono state scritte per salvarci e insegnarci, affinché, grazie all'incoraggiamento che ne traiamo, possiamo progredire nelle buone azioni. Come un cieco inciampa più spesso di chi vede, così chi ignora la legge di Dio pecca più spesso per ignoranza di chi la conosce. Molte persone sono dotate di una rapida comprensione, ma trascurano di dedicarsi alla lettura, e ciò che avrebbero potuto sapere leggendo non lo sanno a causa della loro negligenza.
Ci sono molte persone che leggono e tuttavia digiunano da ciò che leggono. Di loro il profeta dice: "Seminate molto e raccogliete poco; mangiate e non vi saziate; bevete e non vi ubriacate" [Ag 1,6]. Seminate molto nel vostro cuore ma ricevete poco, quando conoscete molte cose sui comandamenti celesti attraverso la lettura o l'ascolto, ma siete negligenti nel metterle in pratica e quindi producete poco. Mangiate e non siete sazi quando ascoltate le parole di Dio, ma desiderate la ricchezza o la gloria del mondo. Bevete e non vi ubriacate quando ascoltate la voce che legge o predica, ma non cambiate idea. Avete bevuto e non siete stati ubriacati quando avete desiderato acquisire le cose che appartengono a questo mondo.
Sappiamo che la mente delle persone che bevono si confonde a causa dell'ubriachezza. Le persone che sono diventate ubriache hanno indubbiamente cambiato idea; non cercano più le cose terrene e non amano più le cose vuote e transitorie che amavano prima. La persona più benedetta di tutte è quella che legge le Scritture divine e converte le parole in azioni. Ora nessuno può conoscere appieno il significato delle Sacre Scritture se non attraverso la lettura. Come la terra produce un raccolto tanto più abbondante quanto più accuratamente viene coltivata, così, quanto più frequentemente si legge la Sacra Scrittura, tanto più abbondante sarà la comprensione che se ne ricava.
I solitari non dovrebbero leggere i libri dei gentili, per paura che le favole divertenti e sciocche o le finzioni dei poeti che vi si trovano possano eccitare la mente a desiderare piaceri sbagliati. Inoltre, non devono frugare nei segreti di Dio, come dice la Scrittura: "Non cercare cose troppo alte per te e non indagare su questioni troppo potenti per te" [Sir 3,22]. Per questo l'Apostolo aggiunge con stupore: "Quanto sono profonde le ricchezze della conoscenza e della sapienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e imperscrutabili le sue vie!". [Rm 11,33].
Di conseguenza, dobbiamo essere molto cauti nel meditare le cose che leggiamo e anche molto cauti nel frugare nel loro significato. Secondo gli ordini dell'Apostolo, atteniamoci a ciò che è giusto e confutiamo ciò che è contrario alla verità. Istruiamoci a tal punto in ciò che è buono che, con l'aiuto di Dio, resteremo indenni da ciò che è malvagio.
Capitolo 39: Il lavoro manuale quotidiano dei solitari
Se a volte smettiamo di pregare e di leggere, dobbiamo applicarci a lavorare con le mani. Ecco perché è scritto: L'ozio è nemico dell'anima. Quando il nostro antico nemico trova qualcuno che è ozioso, lo trascina facilmente nel peccato. Infatti, i nostri santi padri e gli apostoli vivevano del lavoro delle loro mani. Per questo l'Apostolo scrive ai Tessalonicesi: "Voi stessi sapete come dovete imitarci. Infatti, quando eravamo tra voi, non perdevamo il nostro tempo e non mangiavamo il pane degli altri senza pagarlo. Anzi, lavorando e faticando, abbiamo lavorato notte e giorno con le nostre mani, per non essere di peso a nessuno di voi. Non come se non avessimo il potere di farlo, proprio come fanno gli altri, ma perché ci offrissimo come modello per essere imitati da voi. Infatti, quando eravamo ancora con voi, ordinavamo che, se qualcuno non voleva lavorare, non mangiasse" [2 Tess 3,7-10]. Ora, poiché questo santo apostolo che predicava il Vangelo non voleva mangiare il pane senza pagarlo, ma si guadagnava il cibo con il lavoro e la fatica, cosa ci fa pensare che abbiamo il diritto di lasciare le mani inoperose e mangiare il pane senza pagarlo? Dopotutto, non solo non siamo stati incaricati di predicare la Parola, ma non ci è stata affidata la cura di una sola anima, se non la nostra.
Quindi, dobbiamo lavorare con le nostre mani perché è bene provvedere al nostro sostentamento e avere qualcosa da dare a coloro che soffrono per la mancanza. Così diceva San Cesario: "Dovete dedicarvi alla lettura e alla preghiera in modo tale da mettere anche le vostre mani al lavoro". In effetti, dovreste dedicare la maggior parte della giornata al lavoro sacro. Ma dobbiamo chiederci perché il Maestro delle genti, il Predicatore del Vangelo, dice di non mangiare il pane degli altri senza pagarlo, dal momento che sapeva che il Signore aveva ordinato che "coloro che annunciano il Vangelo devono vivere del Vangelo" [1 Cor 9,14], e anche: Gli operai valgono il loro salario e il loro cibo [cfr. Luca 10:7; Matteo 10:10]. Egli lavorava con le sue mani per guadagnarsi il sostentamento, perché era indegno accettare qualcosa da coloro che perseguivano avidamente l'errore. Pecca e perde la libertà di predicare chi accetta un compenso da chi dà per non essere rimproverato. Per questo l'Apostolo dice: "Mi è permesso di fare tutto, ma non tutto è bene che io faccia" [1 Cor 6,12]. Parlava così perché gli era permesso di ricevere le spese da coloro ai quali predicava, ma poiché sapeva che gli pseudo-apostoli cercavano un pretesto per ricevere le loro spese, non voleva prendere nulla da quelle persone, per evitare che la vitalità della verità evangelica si svuotasse a causa dello stomaco. In effetti, non si può censurare seriamente colui dal quale si accetta un pagamento.
Anche se l'Apostolo, nella situazione sopra menzionata, scelse di lavorare con le sue mani per guadagnarsi il sostentamento, tuttavia, ogni volta che ne aveva bisogno, accettava il cibo dai fedeli. Una volta, quando stava sopportando una grande privazione, i fratelli gli mandarono il necessario per aiutarlo nella privazione. Egli rispose e li ringraziò: "Siete stati gentili a condividere le mie privazioni. Ho imparato ad arrangiarmi in qualsiasi circostanza mi trovi. So come avere fame e come avere abbondanza; ho imparato a soffrire la mancanza. Posso fare tutto in Colui che mi rafforza. Ma tu sei stato davvero molto gentile a mandare qualcosa per provvedere alle mie necessità" [Fil 4,14.11-13]. Questo passo mostra che Paolo a volte accettava dai fedeli ciò che gli serviva per mantenersi.
Per questo motivo, il beato Agostino ci consiglia:
"Chi non può mantenersi lavorando con le proprie mani, come Paolo, accetti dal popolo il sostentamento di cui ha bisogno, ma non trascuri l'infermità degli altri". (Sermones, 46,5; PL 38,272)
Dice: "Se nella nostra casa o nella nostra comunione c'è qualcuno che è malato, non proibisco ai religiosi e alle religiose di inviare a questa persona ciò che ritengono opportuno inviare", e non proibisco loro di accettarlo. Del resto, anche il Signore, a cui gli angeli servivano, aveva una borsa, e accettava le cose offerte dai fedeli, e distribuiva ai suoi discepoli e alle altre persone bisognose ciò che richiedevano.
Nonostante quanto appena detto, i solitari devono lavorare incessantemente con le proprie mani, anche se possono procurarsi il sostentamento altrove. È quello che fece Paolo, il primo e il più virtuoso degli eremiti. "Quando si trovava nella distesa del deserto, aveva una scorta sicura di cibo, perché mangiava solo i frutti delle palme e le bacche delle piante. Tuttavia, raccoglieva foglie di palma e si obbligava costantemente a completare una quota giornaliera, come se dovesse mantenersi con essa. Quando la sua grotta si riempiva del lavoro di un anno intero, prendeva ciò che aveva lavorato con tanta cura ogni anno e lo dava alle fiamme". Come è stato detto, non lavorava per procurarsi il cibo di cui aveva bisogno. Piuttosto, agiva in quel modo per castigare il suo corpo, per purificare il suo cuore, per stabilizzare i suoi pensieri e per perseverare nella sua cella. Era solito dire che "senza il lavoro manuale, un solitario non può continuare a rimanere in un luogo o raggiungere la vetta della perfezione".(Giovanni Cassiano; Istituzioni cenobitiche, 10.24; PL 49:394-396)
Proprio l'opposto è stato un altro
fratello che venne da Abba Silvano sul Monte Sinai. Quando vide i fratelli lavorare, disse loro: "Non lavorate per il cibo che perisce, ma per quello che dura fino alla vita eterna" [Giovanni 6:27]. "Maria ha scelto la parte migliore" [Luca 10,42]. Allora l'anziano disse al suo discepolo: Vai a chiamare quel fratello e mettilo in una cella senza niente dentro. Quando giunse l'ora nona, quel fratello si affrettò alla porta per vedere se gli altri lo mandassero a chiamare per mangiare. E poiché nessuno gli parlava, si alzò, andò dall'anziano e gli disse: Abba, i fratelli hanno mangiato oggi? E l'anziano gli rispose: Sì, hanno già mangiato. Allora egli disse: E perché non mi hai chiamato? L'anziano rispose: Tu sei una persona spirituale e non hai bisogno di questo tipo di cibo. Noi invece siamo carnali e vogliamo mangiare. Per questo lavoriamo con le mani. Ma tu, tu hai scelto la parte buona; tutto il giorno leggi e non vuoi mangiare cibo carnale". Quando il fratello ebbe sentito questo, si prostrò a terra e fece umilmente penitenza e disse: Perdonami, abba. E l'anziano gli disse: Penso che Maria avesse certamente bisogno di Marta. È attraverso Marta che Maria viene lodata. (Vitae Patrum, 5.10.69; PL 73:924)
Vediamo quindi che i solitari hanno bisogno di lavorare con le mani e di lavorare per quello che mangiano, perché le persone che si godono la tranquillità, a meno che non la alternino con il lavoro manuale e a meno che non vivano spiritualmente, stanno vivendo una vita da bestiame.
Ora, se si devono vendere delle cose fatte da solitari, le persone per le cui mani passeranno devono assicurarsi che non osino praticare alcuna frode. Ricordino sempre Anania e Saffira, per non subire nell'anima la morte che quei due subirono nel corpo [cfr. At 5,1ss]. Per quanto riguarda i prezzi, non deve insinuarsi il male dell'avarizia. Piuttosto, gli oggetti dovrebbero sempre essere offerti a un prezzo un po' più basso di quello che possono offrire altre persone laiche, "affinché in ogni cosa sia glorificato Dio" [1 Pt 4, 11].
Capitolo 40: In certe ore i solitari devono essere occupati nel lavoro manuale
Perciò i solitari dovrebbero essere occupati in alcuni momenti prestabiliti nella preghiera e nella lettura e in altri momenti nel lavoro manuale. Questo è il modo in cui proponiamo di ordinare entrambi i tempi: Tutto il tempo dall'alba fino a quasi la terza ora dovrebbe essere dedicato alla preghiera e alla lettura. Dalla terza ora fino a circa la nona dovrebbero fare qualsiasi lavoro necessario, a meno che, durante l'estate, non vogliano riposare un po' sul letto, e dovrebbero sempre combinare la preghiera con il lavoro. Dalla nona ora fino alla sera devono dedicarsi nuovamente alla preghiera e alla lettura. Se le circostanze del luogo o la povertà lo richiedono, dovrebbero dedicare più tempo al lavoro manuale. Ma tutto deve essere fatto con moderazione, a causa dei deboli di cuore.
La domenica e i giorni di festa devono dedicarsi solo alla preghiera e alla lettura. Allo stesso modo, di notte, devono compiere le sacre veglie e le preghiere più pure con la massima devozione.
I solitari deboli dovrebbero svolgere un lavoro che impedisca loro di essere inattivi, ma che non li appesantisca con sforzi estenuanti. Ma coloro che sono così malati o così appesantiti dalla vecchiaia da non poter né leggere né lavorare, dovrebbero dedicarsi con la massima devozione, per quanto le forze glielo permettano, alla sola preghiera. Soprattutto, chiediamo che se qualcuno non è soddisfatto di questa disposizione, elabori un piano che gli sembri più soddisfacente.
Diremo in seguito, per la misericordia di Dio, a che ora devono prendere i pasti.
Capitolo 41: I solitari non devono avere nulla di proprio e devono accettare le offerte dei fedeli
Perciò i solitari non devono avere nulla di proprio, eccetto gli utensili e i mobili più poveri senza i quali non potrebbero vivere affatto. Devono procurarsi una quantità ragionevole di cibo e di abiti semplici con il proprio lavoro o con le offerte dei fedeli. Tutto ciò che è al di sopra di queste cose, devono darlo ai poveri. Come indicato nel capitolo precedente, è permesso accettare le cose che la gente offre loro per alleviare il proprio bisogno e quello dei poveri. Per questo leggiamo nel libro di Prosper:
Dio vuole che coloro che lo venerano rinuncino a tutto ciò che il mondo offre, in modo che, una volta eliminata la brama per le cose mondane, la carità divina possa crescere in loro e raggiungere la perfezione. Le decime e le primizie, i primogeniti e i sacrifici per il peccato e le offerte votive, che il Signore aveva ordinato di offrirgli, stabilì che fossero distribuite tra i sacerdoti e i ministri. Poiché le loro necessità di vita dovevano essere soddisfatte da persone molto devote, essi potevano servire con mente libera il Creatore e il Pastore stesso e progredire nel suo culto senza essere ostacolati da alcuna ansia corporea. Se fossero stati coinvolti in affari terreni, non sarebbero stati in grado di sorvegliare incessantemente il loro ufficio. (Giuliano Pomerio, De Vita Contemplativa, 2.16.3; PL 59:461)
In questa stessa opera leggiamo anche che san Paolino e il beato Ilario lasciarono tutto ciò che avevano alle loro famiglie o lo vendettero e ne distribuirono il ricavato ai poveri. Tuttavia, in seguito, quando furono nominati vescovi, non disprezzarono le risorse della Chiesa, ma le distribuirono molto fedelmente.
Questi uomini così santi, questi prelati così perfetti, gridano con le loro azioni manifeste che noi possiamo e dobbiamo fare ciò che loro hanno fatto. Queste persone erano senza dubbio molto istruite sia nelle lettere profane che in quelle divine. Se essi, che avevano lasciato tutti i loro beni, avessero pensato che i beni della Chiesa dovessero essere disprezzati, non li avrebbero mai conservati. Per questo ci è dato di capire che tanti grandi personaggi, che desideravano diventare discepoli di Cristo, rinunciarono a tutto ciò che avevano per possedere le risorse della Chiesa, non come proprietari ma come amministratori. Per questo sapevano che i beni della Chiesa non erano altro che le offerte votive dei fedeli, il prezzo pagato dai peccatori e il patrimonio dei poveri. Non rivendicavano i beni della chiesa per uso personale, come se appartenessero a loro. Li consideravano affidati a loro e li dividevano tra i poveri. (Giuliano Pomerio, De Vita Contemplativa, 2.9.1-2; PL 59:453-54).
Dice anche: "Quando un sacerdote accetta dal popolo ciò che deve essere distribuito, non solo non ha cupidigia, ma si guadagna anche la lode della sua pietà. È affidabile nel distribuire ciò che ha ricevuto, perché ha lasciato tutti i suoi beni o li ha uniti a quelli della chiesa. Nel suo amore per la povertà, si annovera nel numero dei poveri e, come un povero, vive volontariamente delle risorse con cui assiste i poveri". (Giuliano Pomerio, De Vita Contemplativa, 2.11; PL 59:455).
A questo proposito, leggiamo nella Regola dei canonici:
"I monaci e i solitari, che hanno seguito il precetto evangelico rinunciando e separandosi da tutto, hanno consegnato il loro patrimonio a Cristo. Perciò è giusto che ricevano un sostegno temporale dalle risorse della Chiesa. Poiché desiderano le cose celesti con tutto il desiderio della loro mente, devono essere sostenuti in questo pellegrinaggio a spese del Signore, affinché il bisogno di qualche necessità non li costringa in alcun modo a tornare a ciò che hanno rifiutato". Qui si dice anche che: "I chierici che vivono in comunità, che sono poveri volontariamente o per nascita, devono ricevere il necessario per vivere, perché non è stata la brama di possedere che li ha portati ad accettare tali cose. Piuttosto sono stati costretti a farlo per poter vivere". (Amalario di Metz, Regula Canonicorum, 1.115; PL 105:914 e 1.118; PL 105:897)
Inoltre, se ci sono alcuni che non vogliono avere né i propri beni né quelli della Chiesa, i prelati dovrebbero esercitare una supervisione provvidenziale e fornire ciò di cui hanno bisogno con le risorse della Chiesa. I prelati dovrebbero notare ciò che dice Prospero: "Ciò che la Chiesa ha, lo metta in comune con tutti coloro che non hanno nulla".(Giuliano Pomerio, De Vita Contemplativa, 2,9.1; PL 59.454). Non dovrebbero avere meno cura per coloro che sono oppressi dalla malattia e dalla vecchiaia.
Dopo aver trattato questi argomenti, dobbiamo tenere presente ciò che leggiamo negli Atti degli Apostoli: "Portarono il prezzo dei loro beni e li deposero ai piedi degli apostoli. Questi li distribuirono a ciascuno individualmente, secondo il bisogno di ciascuno" [At 4,34-35]. E: "Non c'era nessuno tra loro che fosse bisognoso" [At 4,34]. E anche: "Nessuno chiamava nulla a sé, ma tenevano tutto in comune" [At 4,32]. Perciò i solitari non devono dare nulla per proprio conto, ma essere distributori fidati. Le cose che devono dare ai poveri non devono assolutamente destinarle al proprio uso. Se lo fanno, allora - che non accada mai - come Giuda, che rubò dalla borsa del Signore, incorreranno nella condanna alla dannazione. Piuttosto, dovrebbero meritare di ricevere una ricompensa indescrivibile per la loro fedele amministrazione da Colui di cui sono noti ministri.
Capitolo 42: Le ore in cui i solitari devono prendere i loro pasti
Credo che si debba stabilire a che ora i solitari debbano consumare i pasti. Altrimenti alcuni potrebbero seguire la propria volontà e vivere in modo più lassista del necessario. Di conseguenza, ritengo che i due orari dei pasti possano essere organizzati come segue. Dall'ottava di Pasqua a quella di Pentecoste, devono mangiare due volte al giorno. Durante questi giorni, quindi, digiunino il mercoledì e il venerdì fino a metà pomeriggio, perché, come si mettono le briglie in bocca ai cavalli, così i nostri corpi devono essere frenati dai digiuni. Da Pentecoste al primo settembre, digiunino il mercoledì, il venerdì e il sabato fino a metà pomeriggio. Nei giorni restanti, facciano il pasto a mezzogiorno e cenino verso sera. Dal primo settembre fino all'inizio della Quaresima, devono sempre consumare il pasto a metà pomeriggio, a meno che qualcuno non voglia prolungare il digiuno fino a sera. Durante la Quaresima fino a Pasqua, dovrebbero prendere il pasto verso sera. I vespri, tuttavia, dovrebbero essere organizzati in modo tale da non aver bisogno della luce della lampada mentre mangiano, ma da poter finire tutto quando è ancora giorno. (Cfr. RB 41)In ogni stagione, l'ora del pasto principale o della cena dovrebbe essere regolata in modo da poter fare tutto alla luce del giorno. Inoltre, a coloro che desiderano digiunare in ogni stagione, eccetto la domenica e gli altri giorni di festa, non deve essere proibito di farlo, poiché questo è ciò che hanno fatto i nostri santi padri Antonio e Benedetto, e anche Macario e altri.
In ogni stagione, la vita dei solitari dovrebbe mantenere un'osservanza quaresimale. Ma poiché questo tipo di virtù si trova in poche persone, esortiamo che durante i giorni di Quaresima custodiscano la loro vita in tutta purezza e lavino in questi giorni santi tutte le negligenze delle altre stagioni. Il modo giusto per farlo è astenersi da tutte le cattive abitudini e dedicarsi alla preghiera con le lacrime, alla lettura, alla compunzione del cuore e al lavoro di astinenza. Perciò, in questi giorni, aumentiamo un po' la misura abituale del nostro servizio: preghiere private e astinenza da cibo e bevande. In questo modo ognuno di noi offrirà a Dio qualcosa di più della quantità assegnataci e lo farà di sua spontanea volontà e nella gioia dello Spirito Santo; cioè, priviamo il nostro corpo di cibo e bevande, di sonno e riposo, di chiacchiere e scherzi, e con la gioia del desiderio spirituale guardiamo alla santa Pasqua. (Cfr. RB 49,1-8)
Infine, in ogni stagione, appena si alzano dal pasto, che sia quello di mezzogiorno o la cena, si siedano, se sono in due, e uno di loro legga le conferenze o le vite dei padri o qualcos'altro che li edifichi. Quando sono state lette quattro o cinque pagine, o comunque il tempo lo permette, se è mezzogiorno, possono riposare un po' sul letto o fare qualche lavoro manuale. Durante il periodo del digiuno, invece, terminata la lettura, se si sono già svolti i vespri, appena si alzano dalla lettura, vadano a celebrare la compieta. Quando lasciano la Compieta, non dicano più nulla, a meno che, per qualche necessità, il superiore o uno dei fratelli non voglia dire qualcosa a qualcuno. Ma questo deve essere fatto con la massima serietà e con l'opportuna moderazione. Se, invece, un solitario è solo, deve fare lo stesso. Anzi, in ogni momento i solitari devono essere molto attenti a mantenere il silenzio, soprattutto durante le ore notturne. (Cfr. RB 42) Se uno di loro vuole pregare in privato durante la notte o fare qualcos'altro, che lo faccia in modo da non disturbare l'altro.
Capitolo 43: La tavola dei solitari
Quando i solitari hanno di che mangiare e bere, sia con il proprio lavoro che con le offerte dei fedeli, devono sempre invitare alla loro tavola i poveri e i pellegrini, e devono sapere che Cristo è ospite insieme a loro. Se non ci sono poveri, allora spetta a loro decidere chi dei fratelli sia bene invitare per carità. In tutta carità, mettano davanti a coloro che hanno invitato tutto ciò che Dio ha dato loro. Da parte loro, i solitari devono guardarsi non solo dal mangiare cibi scelti, ma anche dal mangiare troppo. Quando non hanno ospiti, devono vivere pesando e misurando ciò che mangiano. Ma quando ci sono altri insieme a loro, devono evitare la vanagloria e mostrare di osservare le normali abitudini in fatto di cibo e bevande. Tuttavia, non devono andare oltre quanto stabilito dalla regola.
Riteniamo che due piatti cucinati siano sufficienti per il pasto quotidiano, per tenere conto delle debolezze delle diverse persone, in modo che chi non può mangiare un tipo di cibo possa preparare il suo pasto con l'altro. E se c'è frutta o verdura fresca, si può aggiungere un terzo piatto. Ecco come dovrebbe essere il loro cibo: a volte verdure e ortaggi, a volte formaggio e uova, e a volte, come grande prelibatezza, possono avere piccoli pesci.
Girolamo dice:
"Ciò che non si assapora dopo la deglutizione, per te è uguale a pane e verdura". (Epistola 58,6; PL 22,583)
Una libbra intera di pane è sufficiente per un giorno, sia che si tratti di un solo pasto, sia che si tratti di un pasto di mezzogiorno e di una cena. C'è chi ne ha bisogno di più e chi di meno, perché i diversi corpi sono dotati di forze diverse. Non è facile discutere della qualità e della quantità di cibo, perché tutti gli uomini non possono attenersi a una regola uniforme. Tuttavia, devono sforzarsi di non finire sempre di mangiare perché sono pieni, ma perché lo vogliono. La sovralimentazione non deve riempire lo stomaco; al contrario, la non sovralimentazione deve ridurlo. È a questo che si riferisce l'Apostolo: "Non occupatevi della carne nei suoi desideri" [Rm 13,14]. Non ha proibito ogni e qualsiasi cura della carne; ha solo proibito di soddisfare i suoi desideri.
Devono astenersi completamente dalla carne di animali a quattro zampe e di volatili. A chi è in preda a una grave malattia è consentito mangiare carne solo per aiutarlo a riprendersi. Una volta che sono diventati più forti, devono astenersi dalla carne come al solito.
Capitolo 44: Evitare l'eccesso di indulgenza
Per quanto possibile, quindi, i solitari dovrebbero fuggire dalle prelibatezze e dalla sovrabbondanza di cibo. Devono trattenersi non solo dal desiderare cibi costosi, ma anche dal mangiare troppo cibo comune. Soprattutto, bisogna evitare l'eccesso di cibo, per evitare che l'indigestione li colga, poiché nulla è così sconveniente per un cristiano come l'eccesso di cibo. Per questo il Signore dice: "Guardate che i vostri cuori non siano appesantiti dall'eccessiva indulgenza e dall'ubriachezza" [Luca 21:34].- Nulla infiamma ed eccita tanto le membra genitali quanto il cibo digerito e la convulsione dell'eruttazione. (Girolamo, Epistola 54,10; PL 22,555) Molti cibi indeboliscono non solo il nostro cuore, ma anche il nostro corpo e la nostra anima. Spesso, per la nostra smania di mangiare, la forza naturale dello stomaco viene rovinata e, a causa della sovrabbondanza di cibo, soffriamo di un eccesso di sangue, di itterizia e di molte malattie. Di conseguenza, ognuno di noi dovrebbe concedersi la quantità di cibo necessaria al sostentamento del corpo e non quella richiesta dal desiderio della carne. È giusto, quindi, che la nostra carne sia sottomessa alla nostra anima, proprio come una serva è sottomessa alla sua signora. Quando il nostro stomaco è carico di cibo, non possiamo vegliare bene, ma il sonno ci opprime. Perdiamo il frutto delle veglie e infliggiamo il massimo danno alla nostra anima. Come un soldato è appesantito da un carico troppo pesante e non riesce a combattere, così i solitari non riescono a vegliare quando sono accaldati e arrossati per aver mangiato troppo.
Il diavolo è felicissimo quando vede i servi di Dio rimpinzarsi di troppo cibo, come leggiamo a proposito di un certo venerabile uomo, San Filiberto. Quando si trovava in un certo monastero e aveva preso su di sé il dolce giogo e il leggero fardello di Cristo, fece tali progressi nell'osservanza religiosa da diventare un esempio anche per gli uomini più perfetti nell'astinenza e nelle altre virtù. Ora, poiché il suo antico nemico gli negava questa astinenza, un certo giorno assalì la determinazione di Filiberto in modo che mangiasse più del dovuto. In seguito, quella stessa notte, mentre era sazio di cibo, piacque a Dio svelare il nemico e mostrarlo in sogno a san Filiberto. Il diavolo cominciò ad accarezzare allegramente il ventre del santo e a dire: "Qui va tutto bene, qui va tutto bene". Allora il soldato del Signore riconobbe i missili del nemico. Si fortificò con il bastione della croce e si dedicò a triplicare il rigore della sua astinenza. Questo episodio mostra il tipo e la portata delle trappole che il nemico usa per cercare di far inciampare i servitori di Dio e quanto lo renda felice la sovralimentazione.
Perciò sforziamoci di trattenere il cibo in modo tale che, anche se il nemico avesse avuto motivo di rallegrarsi per la nostra ingordigia, possa essere respinto con confusione a causa della nostra astinenza. Tutto deve essere fatto nella giusta misura e con discrezione, perché un'eccessiva astinenza dai cibi non solo spezza le forze del corpo, ma diminuisce anche l'attenzione dell'anima. Indebolisce la capacità di pensare della mente e riduce la vitalità della preghiera. Di conseguenza, tutto ciò che viene fatto nella giusta misura è salutare; ciò che viene fatto in eccesso e oltre la giusta misura è dannoso e trasforma l'entusiasmo per qualcosa nel suo contrario.
Ecco perché sant'Antonio diceva:
"C'è chi abbatte il proprio corpo con l'astinenza, ma poiché non ha discrezione, si allontana da Dio". (Vitae Patrum, 5.10,1; PL 73,912)
Su questo stesso tema, il beato Gregorio dice:
"Spesso accade che, quando qualcuno consuma la carne con l'astinenza più del necessario, appare esteriormente umile, ma proprio questa umiltà lo porta ad essere interiormente estremamente orgoglioso". "Per questo motivo, coloro che sono in astinenza devono essere avvertiti di prestare molta attenzione a se stessi e di fare in modo che, mentre fuggono dal vizio della gola, non cadano nell'orgoglio o nella vanagloria". (Regula Pastoralis, 3,19; PL 77,82)
Al contrario, devono essere avvertiti di custodire sempre la loro astinenza senza cambiarla e di non credere mai che la loro astinenza sia una questione di estrema virtù davanti al Giudice segreto. Se così fosse, potrebbero pensare di meritare una grande ricompensa e il loro cuore potrebbe lasciarsi trasportare dall'autoesaltazione. Castighiamo dunque i nostri corpi e anche i suggerimenti dei nostri corpi con il rigore di un'astinenza molto severa, in modo da essere purificati dai desideri carnali e da fiorire di sante virtù.
Capitolo 45: La quantità di bevanda dei solitari
La quantità di bevande che San Benedetto stabilì per i monaci, la stessa quantità che noi, consapevoli della debolezza dei deboli, stabiliamo per i solitari, cioè un'emina di vino al giorno per ciascuno. Ma coloro ai quali Dio concede la capacità di astenersi devono sapere che avranno la loro ricompensa, come dice l'Apostolo: "Ciascuno ha un dono speciale da Dio, uno questo e un altro quello" [1 Cor 7,7].
Se la povertà del luogo o del lavoro o la debolezza richiedono di bere di più, possono scegliere di farlo, ma in ogni caso devono fare attenzione che non si insinuino eccessi o ubriacature. Infatti, leggiamo che il vino non è per i monaci e i solitari, ma poiché ai nostri giorni i monaci e i solitari non possono essere convinti di questo, concordiamo almeno che non bevano in eccesso, ma con parsimonia, perché il vino rende apostati anche i saggi [cfr. Sir 19,2]. Ma quando la povertà del luogo impone di non trovare nemmeno la misura di cui sopra, ma molto meno, o addirittura nessuna, coloro che vi abitano benedicano Dio e non si rattristino; anzi, si rallegrino di essere liberi da una simile piaga. Soprattutto, li ammoniamo a non brontolare.
Per quanto riguarda l'astinenza dal vino, l'Apostolo ha stabilito questa regola fissa: "Non ubriacatevi di vino, nel quale c'è dissolutezza" [Ef 5,18]. È come se dicesse: non è la natura, ma il bere troppo vino che genera e alimenta la dissolutezza. Quindi, non proibisco ai solitari di usare il vino, ma proibisco loro di ubriacarsi. Sebbene un uso moderato del vino renda più forte uno stomaco debole, tuttavia l'ubriachezza indebolisce sia lo spirito che il corpo. Infine, l'Apostolo ordina al suo discepolo Timoteo: "Non bere solo acqua, ma usa un po' di vino, a causa dei tuoi dolori di stomaco e delle tue frequenti malattie" [1 Tim 5, 23]. Questo dimostra che coloro che prendono il vino, non per ubriacarsi ma solo per la salute del corpo, non agiscono contro l'astinenza. Questo non è offerto loro dalla volontà, ma permesso dalla loro debolezza. Ma se non sono deboli, dovrebbero astenersi dal vino, affinché il bere vino, che sostiene un corpo debole, non incendi quello sano.
Sicuramente nessuno ha detto che è peccato usare il vino e fare uso dell'olio, ma in quelle regioni dove non c'è olio, si può talvolta usare il grasso, se necessario.
Capitolo 46: Evitare l'ubriachezza: l'elogio della sobrietà
Soprattutto i solitari devono evitare il vizio dell'ubriachezza, poiché è scritto: L'ubriacone è schiavo di ogni vizio. (Origene, Homiliae in Leviticus, III; Giovanni Crisostomo, Homiliae in Matthaeum, LVIII) Chi è prigioniero di molto vino non ha la forza di vincere un solo peccato. Ecco perché Salomone disse: "Il vino è una cosa volgare, e l'ubriachezza porta scompiglio. Chi se ne diletta non sarà saggio" [Prov 20,1], e anche: "Non guardare il vino quando il suo colore dorato brilla nel bicchiere. Va giù liscio, ma finisce per mordere come un serpente e come un serpente versa il suo veleno" [Prov 23, 31-32]. "Dove regna l'ubriachezza, non c'è segreto" [Prov 31, 4].
A questo proposito il beato Girolamo dice:
"L'ubriachezza è sempre la madre delle azioni disdicevoli, la radice dei crimini, l'occasione delle colpe e l'origine di tutti i vizi" (Sedulio Scoto, Collectaneum miscellaneum, 8,5,3; CCCM 67,59-60). "Uno stomaco che brucia di vino schiumeggia rapidamente in desideri lussuriosi".(Girolamo, Epistola 69,99; PL 22,663)
Perciò fuggiamo dall'ubriachezza, per non cadere nel peccato della dissolutezza. Bevendo vino, molte persone si sono procurate grandi infermità fisiche e non hanno potuto riacquistare la salute di un tempo, perché non hanno frenato l'ardore dell'appetito. Se si esagera con il vino, la bocca si arma per pronunciare maledizioni e per litigare con i vicini; la mente si confonde e la lingua balbetta. Quando questo tipo di uomo pensa di bere, in realtà si ubriaca. Come un pesce che si affretta con le fauci avide a ingoiare l'esca si ritrova improvvisamente l'amo in bocca, così l'ubriaco prende in sé il suo nemico, il vino, e, ahimè, un essere umano razionale viene catturato come un animale irrazionale. Niente è più evidentemente un demone dell'ubriachezza. Beviamo, dunque, non quanto richiede l'appetito, ma quanto richiede la fragilità della nostra natura. Il Signore ha creato il vino per noi, non per ubriacarci, ma per rallegrare il nostro cuore [cfr. Sal 103,15]. Infatti, come l'ubriachezza è la madre di ogni vizio, la sobrietà è la madre di ogni virtù. La sobrietà è infatti una medicina benefica per il corpo e per l'anima. Conserva la memoria, rende più acuti i sensi, purifica la mente, doma i vizi, annienta la lussuria, prolunga la vecchiaia, rivela i segreti del divino Sacramento, rende casti e saldi in tutto. E così, in ogni cosa mostriamo di essere sobri, affinché attraverso ogni cosa la sobrietà mostri che siamo sani e casti.
Capitolo 47: Se tutti devono ricevere in egual misura le necessità della vita
Il beato Agostino, uomo discreto in ogni materia, dice: "Il cibo e il vestito non devono essere dati a tutti in egual misura, ma piuttosto secondo il bisogno di ciascuno". Allo stesso modo leggiamo negli Atti degli Apostoli: 'Questi furono distribuiti, secondo il bisogno di ciascuno'", "e tra loro nessuno era bisognoso" [At 4,34-35]. (Agostino, Epistola 211,5; PL 33,960)
Con questo non vogliamo dire che con Dio c'è considerazione per le persone, ma piuttosto per le debolezze. Così chi ha meno bisogno deve ringraziare Dio, mentre chi ha più bisogno deve essere umiliato dalla sua debolezza e non diventare altezzoso per la misericordia ricevuta. Anche loro devono ringraziare Dio, perché Dio è da benedire in tutto.
A questo proposito, c'è un esempio nelle conferenze dei padri. Anche se è lungo, penso che sia utile a questo proposito.
Una volta arrivò dalla città di Roma un monaco che aveva un'alta posizione nel palazzo e che era solito abitare a Scete, vicino alla chiesa. Ora aveva con sé uno dei suoi servi, che si occupava dei suoi bisogni. Il sacerdote della chiesa, vedendo la debolezza di quell'uomo e rendendosi conto che era abituato alle cose belle, era solito mandargli parte di ciò che Dio gli concedeva. Quando visse in questo modo a Scete per venticinque anni, divenne un contemplativo molto rinomato, cioè uno che aveva la vista spirituale. Uno dei grandi monaci d'Egitto venne a conoscenza della sua fama e si recò da lui nella speranza di trovare un'osservanza corporea ancora più severa. Quando questo monaco entrò, l'altro lo salutò, pregarono insieme e si sedettero. Quando l'egiziano vide che era vestito con abiti morbidi e aveva un vello steso sotto di sé e un piccolo cuscino sotto la testa, e che aveva i piedi puliti con piccole scarpe, si scandalizzò di lui dentro di sé, perché in quel luogo non era consuetudine seguire quel tipo di osservanza, ma al contrario osservare una rigorosa astinenza. Ora l'anziano romano aveva la contemplazione, cioè la grazia della vista spirituale, e capì che il monaco egiziano si era scandalizzato di lui, così disse al suo servo: Fa' che oggi sia un giorno speciale per l'abba che è venuto". Cucinò le poche verdure che aveva, si alzarono all'ora giusta e mangiarono. L'anziano aveva anche un po' di vino, a causa della sua debolezza, e lo bevvero. Quando si fece sera, dissero dodici salmi e andarono a dormire. Lo stesso fecero durante la notte. Quando si alzarono al mattino, l'egiziano gli disse: Prega per me", e se ne andò, non edificato da lui. Quando si fu allontanato un po', l'anziano romano, volendo curarlo, lo inseguì e lo richiamò. Quando fu arrivato, lo accolse di nuovo con gioia.
Gli chiese: Da quale provincia vieni? Rispose: Sono egiziano.
Ed egli disse: Da quale città? Ma lui rispose: Non sono affatto di una città e non ho mai vissuto in una città.
L'anziano gli disse: Prima di diventare monaco, che tipo di lavoro facevi nella tenuta dove vivevi? Lui rispose: Curavo i campi.
Gli disse: Dove hai dormito? L'egiziano rispose: Nel campo.
Il romano chiese: Avevi qualche tipo di letto? Lui rispose: Come avrei potuto avere un letto nel campo?
L'anziano chiese: "Come hai dormito? L'egiziano rispose: Sulla terra nuda.
Il romano disse: Che cosa mangiavi nei campi o che tipo di vino bevevi? Rispose: Mangiavo pane secco e qualsiasi cibo salato che trovavo, e bevevo acqua.
A queste risposte l'anziano romano disse: Vi è costata una grande fatica". E aggiunse: C'era nella tenuta un bagno dove potersi lavare? L'egiziano rispose: No, ma quando volevo, mi lavavo nel fiume.
Quando dunque l'anziano gli chiese tutte queste cose e scoprì come viveva e lavorava, volle trarne qualche beneficio e gli raccontò della sua vita passata e di come viveva quando era un secolare. Disse: Il mio misero io, che tu vedi, sono della grande città di Roma. A palazzo avevo una posizione importante presso l'imperatore. Quando l'egiziano ebbe udito le prime parole, fu subito colto da compassione e ascoltò con molta attenzione ciò che l'altro diceva.
L'anziano continuò: E così ho lasciato Roma e sono venuto in questa solitudine. E continuò: Questa persona che vedete aveva case spaziose e grandi e molto denaro, ma io le ho disprezzate e sono venuto a stare in questa piccola cella sbilenca. Ora ascoltate: inoltre avevo letti coperti d'oro e lenzuola molto costose, al posto delle quali Dio mi ha dato questa stuoia di papiro e questo vello. I miei indumenti erano di valore incalcolabile, e al loro posto uso queste povere cose. Ho speso molto oro per comprare il mio cibo, e al suo posto Dio mi ha dato queste poche verdure e questa piccola coppa di vino. Molti servi erano al mio servizio, e al posto di tutti loro Dio ha fatto in modo che questo si dispiacesse così tanto per me da prendersi cura dei miei bisogni. Al posto di un bagno profondo, uso un po' d'acqua per i piedi e scarpe piccole, a causa della mia debolezza. Inoltre, al posto delle canne, della cetra e di altri strumenti che usavo nei miei banchetti, canto dodici salmi al giorno e lo stesso faccio la sera. Per i peccati che ho commesso prima, offro a Dio il mio piccolo servizio. Perciò ti chiedo, abba, di non scandalizzarti della mia debolezza.
Quando l'egiziano ebbe udito queste cose e si fu ravveduto, disse: Guai a me, perché da grandi difficoltà e fatiche nel mondo sono arrivato allo stile di vita di un monaco e godo del riposo, e le cose che prima non avevo ora le ho. Voi, invece, avete lasciato molti piaceri nel mondo e, di vostra spontanea volontà, siete venuti in questa situazione di difficoltà. Hai lasciato molta gloria e abbondanti ricchezze e hai scelto l'umiltà e la povertà.
L'egiziano trasse grande profitto da questa esperienza, lo salutò e partì. Da quel momento in poi, divenne suo amico e veniva da lui per trarne beneficio. Quel romano era perspicace su ciò che è buono ed era pieno del miglior aroma dello Spirito Santo. (Vitae Patrum, 5.10.76; PL 73:925)
Così vediamo che è necessaria una grande discrezione tra nobili e non nobili, tra robusti e deboli, tra vecchi e giovani. Chi viene dai piaceri del mondo e chi non li ha mai provati non può osservare lo stesso rigore nell'astinenza. I robusti e i deboli non possono astenersi nella stessa misura. Di conseguenza, dobbiamo seguire il consiglio dell'Apostolo: "Chi non mangia non deve disprezzare chi mangia e chi mangia non deve giudicare chi non mangia" [Rm 14,3]. Piuttosto, devono sostenersi amorevolmente l'un l'altro e tenere conto delle reciproche debolezze.
Capitolo 48: Solitari malati e vecchi
Prima di ogni altra cosa, bisogna prendersi cura dei malati e degli anziani, in modo da servirli proprio come farebbe Cristo. Al momento del giudizio, egli stesso dirà ai giusti: "Ero malato e mi avete visitato" e: "Quello che avete fatto a uno dei miei più piccoli, l'avete fatto a me" [Matteo 25:36, 40]. Ma coloro che sono fragili e malati dovrebbero rendersi conto che vengono serviti per l'onore di Dio e non affliggere i fratelli che li servono con richieste eccessive o parole frivole.
Ma anche se sono molto esigenti, devono essere sopportati con pazienza, perché è da loro che si ottiene una ricompensa più ampia nel regno di Dio. Perciò i superiori e gli altri frati devono essere estremamente attenti a non trascurare i malati. Li sostengano con la loro compassione, con visite costanti, con le consolazioni delle Sacre Scritture e forniscano loro, con le proprie risorse, il sostegno di cui hanno bisogno.
Sia designato un fratello timorato di Dio, attento e responsabile. Egli deve essere compassionevole nel dispensare loro ciò di cui hanno bisogno e offrire loro l'uso del bagno tutte le volte che è opportuno. Se lo desiderano, possono mangiare carne per recuperare la salute, ma solo finché non stanno meglio.
Le celle dei malati, durante il periodo della loro infermità, non devono essere tenute sotto sigillo, in modo che possano essere visitate dai frati. Tuttavia devono fare attenzione a non uscire oltre il limite stabilito, se sono state chiuse e sigillate dal vescovo, perché non è un sigillo di cera o di piombo a custodirle, ma il sigillo di Cristo. Nel Libro dei Dialoghi leggiamo ciò che fece un certo venerabile uomo, di nome Martino.
Quando si trovava su una certa montagna, in una grotta che non era stata sigillata, si legò il piede con una catena di ferro e ne fissò l'altra estremità a una roccia. In questo modo non poteva andare oltre la lunghezza della catena. Quando Benedetto, uomo di vita venerabile, lo seppe, si preoccupò di mandare il suo discepolo da lui con questo comando: Se sei un servo di Cristo, non ti reggere con una catena di ferro, ma con la catena di Cristo". Quando udì questo messaggio, Martino si liberò subito di quella catena, ma da allora non mise mai piede oltre il luogo in cui era solito arrivare quando il suo piede era incatenato. Continuò a tenersi confinato nello stesso spazio in cui prima rimaneva quando era legato. (Gregorio Magno, Dialoghi, 3.16; PL 77:261)
Questo è il modo in cui i reclusi dovrebbero comportarsi. Tuttavia, non appena iniziano a riprendersi dalla malattia, la porta della cella deve essere sigillata nel modo consueto ed essi devono tornare a vivere da soli.
Come abbiamo detto, il superiore deve fare molta attenzione che i vecchi e gli ammalati non vengano trascurati dal cantiniere, poiché i maestri sono responsabili di qualsiasi mancanza dei loro discepoli. Si deve sempre tenere conto della loro fragilità e non si deve certo applicare loro il rigore della regola per quanto riguarda il cibo o altre necessità. Piuttosto, si deve mostrare loro un'amorevole considerazione e, se necessario, anticipare le ore canoniche.
Capitolo 49: L'abbigliamento e le calzature dei solitari
È necessario che i solitari obbediscano all'autorità delle Sacre Scritture e siano vigili nel riflettere sugli esempi dei santi padri, affinché l'umiltà che portano nel cuore la mostrino più devotamente nei fatti, nell'abbigliamento, persino nel modo di camminare. Dovrebbero voler brillare più per il loro santo stile di vita e la loro eccezionale condotta che per l'abbellimento dei loro abiti. Quanto debbano trattenersi da un'attenzione superflua ed eccessiva per l'abbigliamento si può imparare da molti esempi dei santi padri.
Il beato Gregorio dice:
"Non pensate di essere senza peccato nel desiderare e nel desiderare abiti costosi, perché, se questo non fosse un peccato, allora il Signore non avrebbe lodato Giovanni per l'austerità del suo abbigliamento" [cfr. Mt 11,8].- E dice anche: "Nessuno desidera indossare abiti speciali se non per ottenere una vuota gloria, cioè per sembrare più onorevole degli altri. Le persone non vogliono indossare abiti costosi in un luogo dove non possono essere visti dagli altri. Noi desideriamo indossare abiti costosi solo per ottenere una vuota gloria".(Homiliae in Evangelia, 1.6,3)
Su questo stesso argomento Basilio disse:
"Se davvero ci sforziamo di essere i più piccoli e gli ultimi di tutti, dobbiamo certamente pensare che siamo ultimi di tutti anche nell'abbigliamento"! (Regulae fusius tractatae, 22,1)
E Cassiano dice:
L'abbigliamento di un solitario dovrebbe essere di tipo tale "da vestire il corpo e coprire semplicemente la vergogna della nudità e tenere lontano il freddo dannoso, ma non alimentare alcuna occasione di vanità. Dovrebbe essere così ordinario che nessuna novità di colore o di stile lo faccia risaltare tra gli altri fratelli spirituali".(De institutis coenobiorum, 1,2,1; PL 9,64-65)
E Isidoro dice:
Gli abiti dei solitari non sono né molto poveri né molto costosi, poiché un abito molto "costoso attira la persona verso la lascivia, mentre uno troppo povero o genera dolore nel cuore o dà origine alla malattia della vanagloria".(Regula monachorum, 13; PL 103,566)
Finora abbiamo parlato della qualità dell'abbigliamento. Ora, però, parliamo della sua quantità. I solitari non devono avere molti indumenti o superflui. Dovrebbero imitare il detto del nostro Dio ai suoi discepoli: "Non dovete avere due tuniche" [Luca 9:3]. Non dobbiamo intendere queste "due tuniche" come un riferimento al numero due. Ciò che significa è che se indossiamo alcune cose e ne conserviamo altre per avarizia, allora queste ultime sono superflue e ci viene comandato di darle ai poveri.
Per questo San Girolamo dice:
"Tutto ciò che può proteggere il nostro corpo e assistere la nostra fragilità umana, può essere chiamato una tunica, e tutto ciò di cui abbiamo bisogno come nutrimento immediato, si chiama cibo per un giorno". Questo è il significato del precetto del Signore: non pensare al domani, cioè al futuro [cfr. Mt 6,34]. E l'Apostolo dice: "Se abbiamo cibo e vestiti, accontentiamoci di questi"[1Tim 6,8-9]". "Chi vuole arricchirsi, infatti, cade nella tentazione e nelle insidie del diavolo e in molti desideri inutili e dannosi che fanno precipitare l'uomo nella rovina e nella distruzione" .(Epistola 120,1; PL 22,985)
Per questo motivo, ricorriamo alla regola del beato Benedetto e permettiamo ai solitari di avere tanti vestiti quanti ne permette ai monaci. Vale a dire, per consentire l'uso notturno e il lavaggio dei vestiti, se sono monaci, dovrebbero avere due tuniche e due cofani. Se invece non hanno ancora assunto lo stile di vita monastico, non devono indossare mantelli ma mantelline, sottili d'estate e di lana d'inverno. Devono avere un mantello foderato di pelliccia, due indumenti intimi tessuti e due paia di gambali. Chiunque può usare i gambali, specialmente coloro che sono coinvolti nel ministero dell'altare. Tuttavia, gli altri gradi del clero possono decidere autonomamente se indossarli o meno. Devono inoltre avere calzature: stivali, scarpe e sandali. Devono affidarsi al proprio giudizio per assicurarsi di avere indumenti adatti alla natura del luogo e al clima, perché nelle regioni fredde sono più necessari che in quelle calde. Inoltre, i sacerdoti devono avere particolare cura nel mantenere puliti i paramenti sacerdotali e la biancheria dell'altare, cioè ognuno deve avere una casula, due albi, due amici, due stole con manipoli, e anche due corporali e due teli di lino. Essi devono tenere puliti questi oggetti, come si addice a un tale ministero.
Capitolo 50: Il giaciglio dei solitari
Come per altre questioni, anche per quanto riguarda la biancheria da letto, i solitari devono attenersi alla norma della discrezione, cioè non devono volere biancheria costosa ma economica. Il loro abbigliamento, le loro calzature e la loro biancheria da letto non devono essere né eccessivamente ordinati né troppo trasandati. Come abbiamo detto, devono attenersi alla virtù della discrezione e mantenersi tra i due estremi. Per il loro giaciglio sono sufficienti questi elementi: una stuoia e un rivestimento di peli di capra, una coperta di lana o un copriletto spesso e un cuscino. Devono dormire vestiti e con la cintura, in modo da essere sempre pronti. (Cfr. RB 22, 5-6) Mentre riposano sui loro letti, devono ripetere spesso con il profeta: "Ogni notte laverò il mio letto, bagnerò il mio giaciglio con le mie lacrime" [Sal 6,7]. E anche: "Di notte mi sono ricordato del tuo nome, Signore, e ho osservato la tua legge" [Sal 118,55].
Se non si sono già alzati, devono alzarsi senza indugio quando viene dato il segnale e affrettarsi all'opera di Dio, ma con tutta la gravità e il decoro.
Quando si sono alzati, devono prima farsi il segno della croce sulla fronte e dire in silenzio: "O Dio, vieni in mio aiuto; o Signore, affrettati a soccorrermi" [Sal 69,1]. Mentre cantano questo versetto, si rechino subito all'oratorio. Stando prostrati a terra, preghino umilmente con lacrime e sospiri. Quando hanno finito di pregare, si prendano cura dei bisogni della natura. Quando sono tornati all'oratorio, devono iniziare l'ufficio notturno in modo solenne e riverente. Quando partono per andare altrove o quando tornano, devono sempre cantare con la bocca e con il cuore qualche parte del Salterio, in modo da poter dire con sicurezza, come il profeta: "Benedirò il Signore in ogni momento, la sua lode sempre sulla mia bocca" [Sal 33,1].
Capitolo 51: Devono radersi in determinati momenti, in modo da non essere pelosi
Nel radersi la barba e nel tagliarsi i capelli, i solitari devono attenersi alla norma della discrezione. Nelle vite dei padri leggiamo che c'era un certo uomo santo di nome Apollonio,
che rimproverava severamente coloro che si lasciavano crescere la barba e i capelli. Diceva: È certo che queste persone cercano la lode degli uomini e si lasciano crescere la barba e i capelli per mettersi in mostra, anche se ci è stato comandato di celebrare anche i nostri digiuni in privato, affinché siano noti solo a Dio che vede ciò che è in privato e che ripaga in pubblico. Ma mi sembra che queste persone non si accontentino di essere ripagate da Colui che vede in privato, ma vogliano mostrarsi agli esseri umani. (Rufino: Historia Monachorum, 7, “de Apollonio;” PL 21:419)
Allo stesso modo si dice che il beato Gregorio abbia rivolto questo proverbio a un certo Romano: "Se la santità fosse nella barba, allora nessuno sarebbe più santo di una capra".
Di conseguenza, ritengo ragionevole e opportuno che i solitari, e in particolare coloro che si occupano dei sacri Misteri, si radano e si spuntano i capelli ogni quaranta giorni, come dice l'Apostolo: "Spogliamoci del vecchio essere umano con le sue azioni e rivestiamoci di quello rinnovato alla conoscenza di Dio" [Col 3,9-10], cioè spogliamoci dei peccati della nostra carne come dei capelli del nostro capo, e così risplendiamo con i nostri sensi rinnovati. Questo rinnovamento deve avvenire nella nostra mente, ma deve anche manifestarsi sul nostro capo, dove si pensa che risieda la mente.
All'interno della cella di reclusione dovrebbe esserci anche una vasca e, ogni volta che è opportuno, i sacerdoti dovrebbero fare dei bagni per purificare i loro corpi. Ma forse qualcuno potrebbe dire: Sant'Antonio non ha mai fatto il bagno. A queste persone si può rispondere in poche parole: Sant'Antonio forse non ha mai fatto il bagno, ma non ha mai cantato la Messa. E così il bagno è lasciato ai sacerdoti, affinché siano puliti e degni quando celebrano i sacri Misteri.
Capitolo 52: I discepoli dei solitari e la loro obbedienza
I discepoli dei solitari dovrebbero essere spesso ammoniti a vivere in modo da dare agli altri il buon esempio e a sottomettersi umilmente ai comandi dei loro padroni. Perciò, non appena i loro padroni ordinano loro qualcosa, come se l'ordine venisse da Dio, non si permettono di ritardare l'esecuzione. Ma questa obbedienza sarà gradita a Dio e gradita agli esseri umani solo se ciò che viene ordinato non viene eseguito né in ritardo, né tiepidamente, né con la risposta di qualcuno che non vuole. In effetti, l'obbedienza resa ai superiori è mostrata a Dio, poiché egli stesso ha detto: "Chi ascolta voi ascolta me" [Luca 10,16]. Se i discepoli obbediscono di malavoglia e brontolano, non solo con la bocca, ma anche nel cuore, anche se eseguono gli ordini del superiore, non saranno comunque graditi a Dio che osserva il cuore di chi brontola. Per una tale azione, non otterranno alcun merito. Al contrario, incorreranno nella punizione prevista per i brontoloni, a meno che non si accontentino e migliorino.
Perciò queste persone mettono subito da parte i propri affari e rinunciano alla propria volontà, come ha dichiarato il Signore: "Non sono venuto a fare la mia volontà, ma quella di Colui che mi ha mandato" [Giovanni 6:38]. Abbandonano ciò che hanno, lasciano in sospeso ciò che stavano facendo e, con il passo vivace dell'obbedienza, seguono con i fatti la voce di colui che li comanda.
Un esempio è dato dalle conferenze dei padri:
Abba Sylvanus aveva un discepolo di nome Marco che eccelleva nell'obbedienza. Quest'uomo era uno scriba. L'anziano lo amava perché era così obbediente. Aveva anche altri undici discepoli che erano scoraggiati perché l'anziano amava Marco più di loro. Quando gli anziani della zona vennero a sapere che egli lo amava più degli altri discepoli, si offesero. Un giorno vennero da lui. Abba Sylvanus li accolse, poi uscì e cominciò a bussare alle porte delle celle di ciascuno dei suoi discepoli, dicendo: Fratello, vieni, perché ho bisogno di te". Nessuno di loro lo seguì subito. Ma si avvicinò alla cella di Marco e gli disse: Vieni, fratello, perché ho bisogno di te". Ora stava scrivendo e non aveva finito la lettera "O" e venne. E gli anziani dissero: In verità, abba, colui che tu ami, lo amiamo anche noi, perché il Signore lo ama. (Vitae Patrum, 5.14.5; PL 73:948)
Ho citato questo esempio perché i discepoli imparino a compiere l'obbedienza senza indugio.
I discepoli non devono essere orgogliosi, né ritardatari, né indisciplinati, né inclini a bere troppo vino o a mangiare troppo. Devono piuttosto vivere con onore e rettitudine e temere Dio. Coloro che amministrano fedelmente ai loro padroni le cose che Dio ha dato nella loro stagione e che le amministrano senza rattristare i loro padroni, tengono presente il detto divino: "Chi scandalizza uno dei piccoli che credono in me", e così via [Mt 18,6-7]. Dovrebbero anche ricordare ciò che dice l'Apostolo: "Chi fa un buon ministero si guadagna una buona reputazione" [1 Tim 3, 13], e anche: "Dio ama chi dona con gioia" [2 Cor 9, 7]. Chi non dispone di risorse che sono state donate dovrebbe offrire una buona parola in risposta, come è scritto: "Una buona parola è superiore al miglior dono" [Sir 18,17].
Devono considerare tutti i loro vasi e le loro risorse come se fossero i vasi sacri dell'altare. Non devono trascurare nulla. Non devono essere ansiosi di accumulare beni o essere spreconi e sperperare le risorse degli altri. Piuttosto, devono fare tutto con moderazione e secondo gli ordini dei maestri.
I solitari non dovrebbero voler avere molti discepoli, perché non potranno mai superare l'avarizia quando sono intenti a sostenere molte persone. Che ognuno abbia uno o due discepoli, o al massimo tre. Dovrebbero, cioè, avere pochi discepoli che vivono con loro, ma molti a cui insegnare. Tuttavia, non stiamo dicendo che debbano istruire tutti quelli che vengono, perché anche se questo è permesso, non è vantaggioso. Per questo l'Apostolo dice: "Tutto mi è permesso, ma non tutto mi è utile" [1 Cor 6,12].
Capitolo 53: Riguardo al buon zelo che i solitari devono avere verso i loro discepoli
Come dice San Benedetto: Come c'è uno zelo buono che separa la persona dai vizi e la conduce a Dio e alla vita eterna, così c'è uno zelo amaro che separa da Dio e conduce all'inferno. Verso i loro discepoli i solitari devono esercitare questo zelo che porta alla vita eterna con l'amore più fervente. Devono cioè essere molto pazienti nel sopportare le loro debolezze, sia di corpo che di comportamento, e se capita che facciano qualcosa di sbagliato, devono correggerli con tutta la moderazione.
Quando correggono i loro discepoli, devono agire con prudenza e fare in modo di essere amati piuttosto che temuti. Non devono arrivare agli estremi, per evitare che, cercando di togliere la ruggine, il vaso si rompa. Devono sempre diffidare della propria fragilità e ricordare che la canna ammaccata non deve essere spezzata [cfr. Is 42,3]. Con questo non intendiamo dire che debbano permettere che i vizi vengano favoriti, né che debbano fingere di non accorgersi dei peccati di coloro che sbagliano, ma che, non appena i peccati cominciano a manifestarsi, devono, per quanto possibile, tagliarli alla radice. Devono sempre ricordare che il sacerdote Heli fu condannato per la malvagità dei suoi figli [cfr. 1 Sam 2,12ss]. Di conseguenza, si attengano al consiglio dell'Apostolo, che dice: "Discutete, esortate, rimproverate con ogni pazienza e insegnamento" [2 Tm 4,2], cioè usate argomenti fermi con gli indisciplinati; esortate gli obbedienti e i mansueti a fare maggiori progressi; rimproverate i negligenti e gli sprezzanti, ma fate tutto con pazienza. Ma coloro che sono impudenti, testardi e orgogliosi, o che sono disobbedienti, se la loro età lo permette, devono essere frenati castigandoli con percosse e con punizioni fisiche, come è scritto: "Colpisci tuo figlio con la verga e salverai la sua anima dall'inferno" [Prov 23,14]. Soprattutto, devono assicurarsi di fornire cataplasmi curativi adatti al tipo di ferita. Ma devono fare attenzione che, mentre si occupano di riformare gli altri con le loro ammonizioni, si trovino loro stessi riformati da tutti i loro vizi, per evitare che, mentre predicano agli altri, si rivelino essi stessi - non sia mai - degenerati [cfr. 1 Cor 9, 27].
Capitolo 54: Come i solitari devono digiunare
Abbiamo bisogno di digiuni, come le ferite hanno bisogno di medicine, a patto però che siano autenticati dalla testimonianza di due cose: dalla preghiera e dall'elemosina.
Così dice il beato Agostino:
"È bene digiunare, ma è meglio fare l'elemosina. L'elemosina è buona da sola senza il digiuno, ma il digiuno non è buono da solo senza l'elemosina. Il digiuno senza l'elemosina è come una lampada senza olio. E come una lampada accesa senza olio può emettere fumo ma non luce, così il digiuno senza elemosina tormenta la carne ma non illumina l'anima con la luce della carità".(In realtà è Cesario di Arles, PL 83,1219-20)
Ma dobbiamo capire come si possa comandare ai solitari di fare l'elemosina, dal momento che hanno offerto al Signore nella fede non solo i loro beni, ma anche se stessi. La risposta non viene da me, ma dal Signore attraverso il profeta; egli dice: "Spezza il tuo pane per l'affamato", e così via [Is 58,7]. Non ha detto: "Dai tutto il tuo pane all'affamato", ma "Spezza il tuo pane per l'affamato". Per questo l'Apostolo dice: "Non è che gli altri siano ristorati mentre voi siete afflitti, ma che, per equilibrio, la vostra abbondanza provveda al bisogno degli altri, in modo che la loro abbondanza possa poi provvedere al vostro bisogno" [2 Cor 8, 1314]. E altrove è scritto: "Se avete molto, date molto; se invece avete poco, date ancora un po'" [Tob 4,8-9]. Ci sono tre tipi di elemosina che dovremmo praticare incessantemente.
"La prima è corporale: dare quello che si può ai bisognosi. Il secondo è spirituale: perdonare chi ci ha fatto del male". (Isidoro di Siviglia, Sententiarum libri, III 60,15; PL 83,734)
Il terzo è correggere coloro che sbagliano e ricondurre sulla via della verità coloro che si stanno allontanando. A questi tre, però, dobbiamo unire la preghiera, e allora il nostro digiuno sarà perfetto. Così è stato detto: "La preghiera con il digiuno è buona" [Tob 12,8]. Per mezzo dei digiuni e delle preghiere, i misteri celati in cielo vengono svelati e i segreti noti solo a Dio vengono aperti.
In effetti, nessuno può raggiungere la virtù perfetta prima di aver dominato l'intestino vorace. I digiuni devono essere moderati e non indebolire troppo lo stomaco, perché una quantità moderata e ragionevole di cibo fa bene al corpo e all'anima. Dobbiamo chiederci se i solitari debbano digiunare per due o tre giorni alla volta.
Il beato Girolamo dà questa risposta:
"Una piccola quantità di cibo e uno stomaco sempre affamato è preferibile ai digiuni di tre giorni, ed è molto meglio mangiare con parsimonia ogni giorno che in rare occasioni mangiare fino a sazietà". La pioggia migliore è quella che cade dolcemente sul terreno; un diluvio improvviso trasforma un campo coltivato in un burrone", (Epistola 54,10; PL 22,555)
si legge nelle conferenze dei padri:
Abba Joseph chiese ad Abba Pastor: Come deve digiunare una persona? Egli rispose: È bene che un monaco o un solitario mangi ogni giorno e che riduca un po' la quantità di cibo, in modo che non si sazi. E Abba Joseph disse: Ma quando eri giovane, non digiunavi per due giorni alla volta? L'anziano rispose: Credimi, l'ho fatto, e anche per tre giorni o per un'intera settimana. Ma i grandi anziani verificarono tutte queste cose e scoprirono che è bene mangiare ogni giorno, ma mangiare poco, in modo che una persona abbia fame ogni giorno. Ci hanno indicato questa facile strada reale. (Vitae Patrum, 5.10.44; PL 73:920)
Perché i digiuni di due o tre giorni mostrano vanagloria. Un altro fratello ha posto questa domanda: "A che cosa servono i digiuni e le veglie che una persona compie? L'anziano gli rispose: Sono cose che servono a umiliare l'anima". Ecco perché Davide diceva: "Nel digiuno ho umiliato l'anima; la mia preghiera è cambiata nel mio petto" [Sal 34,13]. Vediamo che i nostri giusti e i profeti, quando volevano ottenere qualcosa da Dio, si affliggevano con il digiuno, e in questo modo si rallegravano di ottenere ciò che chiedevano. Anche noi dovremmo umiliare la nostra anima con il digiuno; allora otterremo da Dio ciò che chiediamo.
Non pensiamo quindi di essere migliori di coloro che non possono digiunare nella misura in cui lo facciamo noi; altrimenti essi potrebbero avere una porzione maggiore di umiltà e di altre virtù ed essere giustamente ritenuti migliori di noi che digiuniamo e ci asteniamo.
"Il digiuno corporale non ci renderà più perfetti se non è unito a un digiuno dell'anima. L'anima ha dei cibi che le sono nocivi. Se è stata ingrassata con essi, allora anche senza mangiare troppo, precipita nel precipizio dell'eccesso". (Giovanni Cassiano, Istituzioni cenobitiche, 5.21.1-2; PL 49,238)
Orgoglio, vanagloria, maldicenza, invidia e altri vizi simili sono i cibi dell'anima. Perciò non serve a nulla astenersi dal cibo carnale e rimpinzarsi di cibi come questi. Di conseguenza, se vogliamo che l'astinenza e il digiuno ci siano utili, dobbiamo stare alla larga da questi e da tutti i vizi e sforzarci di salire, con l'aiuto della grazia di Dio, fino alla vetta delle sante virtù.
Capitolo 55: I solitari devono interrompere il digiuno per il bene degli ospiti
Riguardo all'accoglienza dei fratelli che vengono in visita per qualche motivo caritatevole, il beato Prospero dice questo:
Se, a causa delle persone che arrivano, interrompo il digiuno e mangio un pasto, allora non sto rompendo il digiuno, ma adempio al dovere della carità. Se invece, a causa della mia astinenza o del mio digiuno, rattristo i fratelli spirituali quando so che sarebbero stati contenti se avessi allentato il digiuno, allora la mia astinenza deve essere chiamata vizio, non virtù. Il motivo è questo: la stessa astinenza e la continuazione del digiuno, se non vengono messe da parte quando le circostanze lo richiedono, mi gonfieranno e rattristeranno il mio fratello, che la carità mi ordina di servire, e dimostreranno sicuramente che non c'è in me una traccia di carità celeste. (Giuliano Pomerio, De vita contemplativa, 2.24; PL 59:470)
Per questo San Benedetto dice: Tutti gli ospiti che arrivano devono essere accolti come Cristo, perché egli dirà: "Ero straniero e mi avete accolto" [Mt 25,35]. E il giusto onore deve essere mostrato a "tutti, specialmente ai membri della famiglia della fede" [Gal 6,10] e ai pellegrini. E poco più avanti dice: Il digiuno deve essere interrotto da un monaco o da un solitario a favore di un ospite, a meno che non si tratti di un giorno di digiuno speciale che non può essere violato. Tuttavia, negli altri casi devono osservare i digiuni abituali. Ma la massima cura e sollecitudine va mostrata ai poveri e soprattutto ai pellegrini, perché soprattutto in loro Cristo viene accolto. La soggezione ai ricchi garantisce loro l'onore. (Cfr. RB 53)
A questo proposito, nelle conferenze dei padri è riportato il seguente esempio:
Abba Sylvanus era andato con il suo discepolo Zaccaria a visitare un certo monastero. Prima di partire, i monaci li fecero mangiare, per amore della carità. Era un giorno di digiuno. Dopo la partenza, il discepolo trovò dell'acqua lungo la strada e volle bere. Abba Sylvanus lo guardò e gli disse: Zaccaria, non bere. Non sai che oggi c'è il digiuno? Ma il discepolo disse: Ma padre, non abbiamo mangiato oggi al monastero e non abbiamo bevuto? L'anziano disse: Quel mangiare è stato fatto per carità, ma manteniamo il digiuno, figliolo. (Vitae Patrum, 5.4.40; PL 73:870)
Questo racconto chiarisce che, se esercitiamo la nostra discrezione, possiamo raggiungere entrambi gli obiettivi, cioè in certi momenti possiamo mangiare per carità con gli ospiti che arrivano, senza però abbandonare la regola del digiuno. Per questo motivo San Cassiano interrogò un anziano su questa questione: "Perché tra voi il digiuno giornaliero viene indiscriminatamente rotto per amore degli ospiti? L'anziano rispose: Il mio digiuno è sempre con me, ma presto mi congederò da voi e non potrò sempre trattenervi, e così adempio al dovere di carità verso di voi". E aggiunse: I figli dello sposo non possono digiunare finché lo sposo è con loro. Ma quando egli se ne andrà, allora digiuneranno [cfr. Mt 9,15]. Così anche noi, quando ci saremo congedati da voi, osserveremo giustamente la regola del nostro digiuno". (Giovanni Cassiano, Istituzioni cenobitiche, 5.24.1; PL 49:243-44)
La carità è l'amore per Dio e per il prossimo con tutto il cuore e con tutta la mente. La carità detiene il primato tra le altre virtù, poiché senza di essa nessuno ha il potere di salire alla vetta della perfezione. Solo allora siamo perfetti, quando siamo pieni di carità, quella che l'Apostolo ci ordina di avere, quando dice: "Ma soprattutto abbiate la carità, che è il vincolo della perfezione" [Col 3,14], e anche: "Amatevi gli uni gli altri con amore fraterno" [Rm 12,10]. Così l'apostolo Pietro dice: "Prima di ogni cosa, però, abbiate sempre la carità tra di voi, perché la carità copre una moltitudine di peccati" [1 Pt 4, 8]. E l'apostolo Giovanni dice: "Dio è carità, e tutti quelli che rimangono nella carità rimangono in Dio e Dio in loro" [1 Gv 4,16]. Per questo motivo, l'unità della carità deve essere mantenuta da tutte le persone sante, e in particolare dai solitari, poiché più si allontanano dal mondo, maggiore è il loro bisogno di avere amore per Dio e per il prossimo. Solo allora saranno servi dell'amore di Dio, quando non saranno separati dalla carità del prossimo. Per questo la Verità stessa dice: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" [Gv 13,35].
L'ampiezza della carità che i nostri santi padri avevano gli uni per gli altri è mostrata dal seguente esempio:
Una volta un certo fratello venne dal santo Macario e gli portò, per carità, un solo acino d'uva. Macario ringraziò Dio per il servizio reso dal fratello e, agendo per carità, lo portò subito a un altro fratello che sembrava più debole di lui. Ma questo fratello, pensando più al prossimo che a se stesso, portò quello stesso acino a un altro fratello, e questo fratello a sua volta lo portò a un altro, e questo lo portò a un altro ancora. Così quell'uva fu portata in giro per tutte le celle sparse in lungo e in largo nel deserto, e nessuno sapeva chi l'avesse mandata. Macario si rallegrò di vedere tra i fratelli tanta carità e tanto autocontrollo, e si impegnò ancora di più nelle pratiche della vita spirituale. (Vitae Patrum, 3.42; PL 73:965)
Credo che tra quei santi fratelli ci fosse una carità perfetta, perché nessuno di loro cercava ciò che era suo, ma ciò che era dell'altro. Infatti, tale è la forza della carità, come testimonia l'Apostolo, che né il martirio, né il disprezzo del mondo, né la generosità nell'elemosina servono a qualcosa senza di essa [cfr. 1 Cor 13,13]. Di conseguenza, se vogliamo arrivare sani e salvi nella nostra patria celeste, dobbiamo sforzarci di avere una vera carità verso Dio e verso il prossimo, perché, come nessuno può raggiungere una meta senza una strada, così senza la carità, che si chiama strada, non possiamo camminare ma solo smarrirci. Inoltre, ogni bene deriva dalla carità e dall'umiltà. Come il fuoco non può esistere senza calore e luce, così la carità non può esistere senza umiltà e vera obbedienza. Dobbiamo però renderci conto che l'umiltà e l'obbedienza e le altre virtù iniziano con il corpo e cessano con il corpo, anche se i meriti che ottengono rimangono per sempre, mentre la carità inizia nell'età presente ma rimane con Dio nell'età futura.
Il Signore si è degnato di invitarci, con il proprio esempio, alla vetta della vera umiltà. Egli dice: "Imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime" [Mt 11,29], e l'apostolo Pietro dice: "Umiliatevi sotto la potente mano di Dio, ed egli vi esalterà" [1 Pt 5,6]. Con questo ci viene dato di capire che quanto più ci abbassiamo in profondità per amore di Cristo, tanto più avanziamo verso l'alto, e quanto più appariamo gloriosi nel nostro orgoglio tra gli esseri umani, tanto più saremo insignificanti davanti a Dio. Il Signore dice la stessa cosa nelle parole: "Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato" [Luca 14:11]. Dicendo questo, ci mostra che ogni esaltazione è una sorta di orgoglio.(Cfr. RB 7, 1-2) Poiché Dio si è fatto umile per la nostra salvezza, un essere umano dovrebbe vergognarsi di essere orgoglioso, perché, come dice Salomone: "Dove c'è stata superbia, lì ci sarà anche l'insulto, ma dove c'è stata umiltà, lì ci sarà anche la sapienza" [Prov 11,2]. E su questa persona si poserà lo Spirito Santo, come dice il Signore attraverso il profeta: Su chi si poserà il mio Spirito se non su colui che è umile e silenzioso e che trema alle mie parole? [cfr. Is 66,2].
Di conseguenza, se non siete umili e tranquilli, la grazia dello Spirito Santo non può dimorare in voi. Se mantenete l'umiltà nella vostra condotta, le cose segrete vi vengono svelate e anche ciò che è nascosto negli enunciati divini. La coscienza dei solitari deve essere sempre umile e dolorosa. Perché? Perché non diventi orgogliosa attraverso la sua umiltà e perché, attraverso una benefica tristezza, il cuore non diventi dissoluto e si dedichi a piaceri indecenti.
Inoltre, attraverso l'umiltà gli spiriti impuri sono resi soggetti ai servi di Dio, come leggiamo nelle conferenze dei padri: "Una persona che era tormentata da un demone e spumeggiava violentemente vide un certo anziano che era un solitario. Alzò la mano e lo colpì sulla guancia, ma l'anziano seguì il precetto del Signore e gli rivolse l'altra. Subito il demone non poté sopportare di essere bruciato dall'umiltà dell'anziano. Urlò e si lamentò e lasciò quella persona"(Vitae Patrum, 5,15,53; PL 73:963).
Un'altra volta
Abba Macario stava attraversando il deserto e sulla strada gli si avvicinò un diavolo che aveva una falce da mietitore. Il demonio voleva colpirlo con la falce, ma non ci riuscì. Il demone disse: Sto sopportando una grande violenza da parte tua, o Macario, perché non riesco a prevalere su di te. Guarda, tutto quello che fai tu, lo faccio anch'io. Tu digiuni e io non mangio nulla; tu vegli e io non dormo affatto. Ma c'è una cosa in cui mi sconfiggi". E Abba Macario gli disse: Che cos'è? E il diavolo rispose: La tua umiltà mi vince. Grazie ad essa non prevalgo contro di te. (Vitae Patrum, 5.15.26; PL 73:959)
Quanto è grande la forza dell'umiltà! Non solo salva gli esseri umani, ma vince i demoni. Il beato Antonio mostrò quanto fosse grande la forza dell'umiltà quando disse: "Vedevo tutte le insidie di Satana disposte per terra, e gemevo e dicevo: Chi pensi che le possa superare? E ho sentito una voce che mi diceva: Umiltà".
Pieghiamo dunque il collo del nostro cuore in vera umiltà. Allora potremo passare indenni attraverso tutte le insidie di Satana. Avremo vera umiltà se, quando gli altri hanno peccato contro di noi, li perdoneremo prima che chiedano perdono. Avremo la vera umiltà se, quando siamo stati feriti, non ci arrabbieremo e non permetteremo agli altri di arrabbiarsi, ma piuttosto pregheremo di cuore per loro.
Ora, se siete disposti ad approfondire il tema dell'umiltà, rivolgetevi alla Regola di San Benedetto. Lì troverete i dodici passi dell'umiltà spiegati molto lucidamente". (RB, cap 7)
L'obbedienza è chiamata conformità perché una persona obbedisce o si conforma umilmente a colui che comanda. Sono giustamente chiamati obbedienti coloro che, grazie all'umiltà dell'obbedienza, si sottomettono a Dio con tutta l'anima e in umiltà adempiono ai suoi precetti. Sono chiamati giustamente obbedienti anche coloro che cercano, per quanto le loro forze lo permettano, di adempiere umilmente ai precetti del loro maestro. Cristo nostro Signore "non commise peccato e non ci fu inganno nella sua bocca" [1 Pt 2,22], ma si fece per noi obbediente al Padre fino alla morte e ci lasciò così l'esempio di seguire le sue orme [cfr. Fil 2,8; 1 Pt 2,21].
Perciò, il solitario deve obbedire volentieri a tutto ciò che chi gli comanda gli dice di fare per amore della religione. E se dovesse risultare che gli è stato detto di fare cose onerose o impossibili, dovrebbe ricevere volentieri e con tutta la dolcezza l'ordine di chi lo ha impartito. Ma se si rende conto che ciò che gli viene detto di fare va completamente al di là delle sue forze, non deve opporsi all'ordine e ripudiarlo, ma spiegare con umiltà e pazienza a chi gli ha detto di farlo perché la cosa è impossibile, in vista di una modifica dell'ordine. In questo modo, ciò che era pesante può essere alleggerito, evitando il peccato di contraddizione.
I nostri santi padri sono arrivati alla vetta della perfezione attraverso il lavoro dell'obbedienza. A questo punto possiamo inserire la storia di uno tra i tanti che praticarono un'obbedienza meravigliosa.
Un certo laico rinunciò al mondo; quando arrivò in monastero, lasciò tre figli in città. Dopo aver trascorso tre anni in monastero, i suoi pensieri cominciarono a richiamare spesso i figli e si rattristava molto a causa loro. Quando l'abate si accorse della sua tristezza, gli disse: Che cosa ti succede? Perché sei triste? Ed egli gli disse che aveva tre figli in città e che voleva portarli al monastero. L'abate gli ordinò di portarli. Quando giunse in città, scoprì che due dei suoi figli erano già morti e che ne era rimasto solo uno. Prese questo figlio e lo portò al monastero. L'abate era in panetteria. Quando lo vide arrivare, lo salutò. Prese il bambino che il padre conduceva, lo abbracciò e lo baciò. L'abate disse al padre: Lo ami? Lui rispose: Sì. E di nuovo l'abate gli disse: Lo ami molto? Ed egli rispose: Sì. Quando l'abate lo seppe, gli disse: Se lo ami, prendilo e gettalo subito nel forno mentre sta bruciando". Il padre lo prese e lo gettò nel forno acceso. Subito il forno divenne come rugiada. Per questo motivo, in quel momento ricevette la gloria, proprio come il patriarca Abramo. (Vitae Patrum, 5.14.18; PL 73:952)
Quale grande obbedienza ebbe quel santo uomo che non risparmiò il proprio figlio ma, per ordine dell'abate, lo consegnò alle fiamme [cfr. Rm 8,32; Gen 22,16]! Penso che se l'abate gli avesse ordinato, per obbedienza, di andare nel forno, lo avrebbe fatto. Ma noi abbiamo disobbedito ai comandi di Dio e dei suoi santi e anche dei nostri maestri e ci siamo allontanati da Dio. Tuttavia, attraverso la fatica dell'obbedienza, torniamo a Colui che ha detto: "Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò" [Matteo 11:28]. (Cfr. RB, Prologo 2)
Capitolo 59: La virtù della pazienza
La vera pazienza consiste nel sopportare con costanza le ferite nel presente e non cercare vendetta nel futuro, ma piuttosto perdonare di cuore chi le ha inflitte. Ci sono infatti persone che sopportano pazientemente le ferite per un po', in modo da potersi poi vendicare più facilmente. Queste persone non hanno la vera pazienza. Le persone veramente pazienti amano coloro che sopportano. Tollerare odiando non è la virtù della gentilezza, ma un velo per la rabbia. Con la pazienza cerchiamo la virtù della gentilezza e la capacità di perdonare, non l'opportunità di vendicarci. Come dobbiamo soffrire le ferite che ci vengono inflitte dagli altri, così dobbiamo soffrire pazientemente le afflizioni e le infermità che ci capitano. Siamo messi alla prova dai flagelli di Dio per mostrare con quale disposizione d'animo ci comportiamo bene e con quale forza d'animo sopportiamo le tentazioni che ci assalgono. Per questo l'Apostolo dice: Dio vi mette alla prova per vedere se lo amate [cfr. Dt 13,3]. Sappiamo che i servi di Dio vengono messi alla prova in tre modi. In primo luogo, sono messi alla prova da Dio attraverso i flagelli; in secondo luogo, dal diavolo attraverso le illusioni e i vari stratagemmi; in terzo luogo, dal prossimo attraverso le ferite, i maltrattamenti e le persecuzioni. Beata la persona che sopporta tutte queste prove con pazienza. A proposito di questa persona la Scrittura dice: "Beato chi soffre le prove" e il resto [Gc 1,12].
Tuttavia, possiamo essere martiri senza la spada se manteniamo davvero la pazienza nel nostro intimo. Quanto meno mostriamo pazienza, tanto meno mostriamo apprendimento. Per questo è stato detto da Salomone: "Il tuo apprendimento si conosce dalla tua pazienza" [Prov 19,11]. Soprattutto, superiamo con pazienza gli abusi di chi parla male di noi. Spezziamo le frecce degli abusi con lo scudo della pazienza. Sosteniamo la spada della lingua con l'elmetto della pazienza. E se la gente ci infligge cose cattive, non adiriamoci mai con loro, ma piuttosto piangiamo per loro, perché Dio è adirato con loro.
Vediamo quanta pazienza aveva quel santo anziano di cui ora parleremo.
C'era nel deserto un certo grande anziano che viveva del lavoro delle sue mani. E c'era un altro fratello, suo vicino, che spesso entrava e rubava quello che l'anziano aveva nella sua cella. L'anziano lo vide e non lo rimproverò, ma si costrinse a lavorare più del solito con le sue mani, dicendo: "Credo che ne abbia bisogno": Credo che ne abbia bisogno. L'anziano si strinse lo stomaco e mangiò poco pane. Quando l'anziano stava per morire, i fratelli vennero e si misero attorno a lui. Egli guardò quello che lo derubava e gli disse: Vieni qui vicino a me. Gli prese le mani, le baciò e disse: Rendo grazie a queste mani, fratello, perché grazie ad esse andrò nel regno dei cieli". Ma quel fratello fu colpito dal rimorso. Fece penitenza e divenne egli stesso un monaco provetto, ispirandosi alle azioni di quel grande anziano. (Vitae Patrum, 5.16.19; PL 73:973)
La pazienza di quel santo monaco è certamente lodevole, ma molto più lodevole è la pazienza di Cristo. Quell'anziano ha visto il fratello rubare e ha taciuto, ma Cristo ha sopportato insulti, maltrattamenti, derisioni, schiaffi, sputi, frustate, la corona di spine e la croce, e non ha rivolto a nessuno una parola ingiuriosa. Quell'anziano ringraziò e baciò le mani del ladrone, ma Cristo, legato alla croce, pregò per i suoi persecutori. In tutte queste cose ci ha lasciato un esempio di pazienza. Per questo motivo, sforziamoci di essere pazienti verso tutti e in tutto, perché, come dice Cristo: "Con la vostra pazienza possederete le vostre anime" [Luca 21:19]. Siamo miti, come dice il profeta: "I miti erediteranno la terra e si delizieranno nell'abbondanza del pane" [Sal 36,11]. Quindi, se siete miti, gentili e pazienti, siete imitatori del Figlio di Dio. E se accogliete la pace nella stanza degli ospiti della vostra mente, state preparando in voi stessi una dimora per Cristo, perché Cristo è pace ed è abituato a riposare in pace.
La discrezione è la madre di tutte le virtù. Perciò in ogni lavoro, sia spirituale che corporeo, i solitari devono attenersi alla giusta misura dettata dalla discrezione, senza faticare troppo e quindi stancarsi nel cuore e nel corpo. Devono osservare la giusta misura in tutto ciò che fanno, in modo che con pronta volontà desiderino impegnarsi ancora di più nelle opere buone. Che si tratti di veglia, di digiuno, di astinenza o di altre cose simili, devono farle in modo così moderato che la loro forza d'animo non venga meno e la resistenza del corpo non si esaurisca.
A questo proposito un certo padre era solito dire: "Il nostro corpo è fragile come un capo d'abbigliamento. Se ce ne prendiamo cura, durerà, ma se non lo facciamo, cadrà a pezzi in breve tempo". (Vitae Patrum, 5.5.40; PL 73:886) E poi:
Un uomo che stava cacciando animali selvatici nella foresta si imbatté in Abba Antonio e lo vide rallegrarsi con i fratelli, e ciò lo dispiacque. Ma l'anziano volle dimostrargli che a volte bisogna assecondare i fratelli, e così gli disse: Per favore, metti una freccia nel tuo arco e tirala. Egli lo fece. Poi gli disse di nuovo: Tirala. Ed egli la tirò. Tirala ancora, e così fece. Il cacciatore gli disse: Se lo tiro troppo, l'arco si romperà. Abba Antony gli disse: È lo stesso per le opere di Dio: se ci sforziamo troppo, i fratelli si stancano presto. È bene che per un po' di tempo si allenti il loro rigore. Quando il cacciatore sentì questo, fu colpito dal rimorso. Trasse grande profitto dalla parola dell'anziano e se ne andò. I fratelli si rafforzarono e tornarono al loro posto. (Vitae Patrum, 5.10.2; PL 73:912)
I solitari dovrebbero tenere a mente queste e altre testimonianze di discrezione. Dovrebbero esercitare un tale discernimento e una tale moderazione in ogni cosa, affinché essi stessi non si arrendano per la stanchezza eccessiva e affinché gli altri non fuggano dal cammino che hanno iniziato.
Il silenzio è la forza dell'umiltà e il segno della gravità, il promotore delle virtù e il custode delle anime. Così dice Salomone: "Se custodisci la tua bocca e la tua lingua, proteggerai la tua anima dalle difficoltà" [Prov 21,23]. Di conseguenza, quanto più ci si frena con il silenzio, tanto più si fissa il punto di compunzione nel cielo, e quanto più si imbriglia la lingua con il freno del silenzio, tanto più si eleva la mente alle cose celesti.
Per questo i solitari devono amare il silenzio e trattenere la loro lingua dal pronunciare qualcosa di cattivo o di malvagio o in qualche modo insensato. Dovrebbero dire con il profeta: "Ho detto: Io custodirò le mie vie per non offendere con la mia lingua" [Sal 38,2], e anche: "Ho posto una guardia sulla mia bocca" [Sal 38,2], e: "Non ho detto nulla, sono stato umiliato e ho taciuto sulle cose buone" [Sal 38,3].- Voi custodite bene le vostre vie, cioè le azioni della vostra vita, se non commettete offese con la vostra lingua. Stai ponendo una guardia sicura sulla tua bocca se la tua lingua non lascia uscire un flusso impudente di chiacchiere maliziose, oziose e incessanti. Per evitare che la nostra lingua cada in discorsi maligni, facciamo tutti la guardia alla nostra bocca e prestiamo particolare attenzione a ciò che il profeta dice di coloro che parlano in modo malvagio: "Il Signore disperda le labbra bugiarde e la lingua vanagloriosa" [Sal 11,4]. E ascoltiamo ciò che Salomone dice di chi parla troppo: "Parlando troppo non sfuggirai al peccato" [Prov 10,19], e: "Chi usa molte parole ferisce la propria anima" [Sir 20,8]. A questo proposito il profeta dice: "Se vuoi avere una vita vera ed eterna e desideri vedere giorni buoni, tieni lontana la tua lingua dal male e non lasciare che le tue labbra dicano inganni" [cfr. Sal 33,13-14]. E l'Apostolo dice: "Se gli uomini pensano di essere religiosi e non frenano la loro lingua, ma ingannano il loro cuore, la loro religione è inutile" [Gc 1,26].
Il beato Ambrogio dice: "Alcune persone fanno finta di tacere, ma il loro cuore le condanna apertamente. Queste persone parlano molto. Ma ci sono altre persone che parlano dalla mattina alla sera, ma lo fanno con discrezione. Queste persone fanno un grande silenzio". (Vitae Patrum, 5.10.51; PL 73,931)
Stava parlando di coloro che non parlano mai se non per il bene di chi li ascolta. Sta mantenendo bene il silenzio chi non parla se non quando gli viene chiesto qualcosa. Quindi, i solitari non dovrebbero andare oltre il minimo nel parlare. Devono sempre avere misura nelle loro parole ed equilibrio nei loro discorsi. Le loro parole devono essere sempre moderate e devono amare più l'ascolto che la parola. Non devono dare una risposta prima di aver ascoltato. Così è scritto: "Chi risponde prima di aver ascoltato dimostra di essere uno stolto" [Prov 18,13].
Come dice San Benedetto (Cfr. RB 6, 6-8): Parlare e insegnare si addicono al maestro; tacere e ascoltare sono propri del discepolo. E se si deve chiedere qualcosa al maestro, la richiesta deve essere fatta con tutta umiltà e rispettosa sottomissione. Ma la volgarità, le chiacchiere inutili e gli scherzi li condanniamo ad essere eternamente banditi in tutti i luoghi, e per questo tipo di chiacchiere non permettiamo al discepolo di aprire la bocca.
Anche se il beato Girolamo dice che "dire la verità non è malignare" (Epistola 117,1; PL 22,954), tuttavia i solitari devono evitare ad ogni costo di malignare gli altri, come avverte l'apostolo Giacomo: "Fratelli e sorelle, non malignate gli uni degli altri, perché chi maligna il proprio fratello o la propria sorella o giudica il proprio fratello o la propria sorella, maligna la Legge e giudica la Legge" [Gc 4,11]. E Salomone dice: "Allontana da te una bocca viziosa, e le labbra maligne siano lontane da te" [Prov 4,24], e anche: "Non associarti a coloro che malignano gli altri, perché all'improvviso incombe la loro distruzione" [Prov 24, 21-22]. Girolamo dice che:
"Abbi cura di non avere la lingua pruriginosa o le orecchie pruriginose, cioè non malignare e non ascoltare chi lo fa", (Epistola 54; PL 22,538)
poiché chi maligna e chi ascolta volentieri chi maligna hanno commesso entrambi lo stesso peccato. A questo proposito Isidoro dice:
"Non malignare un peccatore, ma abbi compassione". Non devi malignare qualcosa in un altro, ma piuttosto temere che si trovi in te".(Isidoro di Siviglia, Synonymorum Liber, 2,25; PL 83,857)
E nelle vite dei Padri si legge:
"È meglio mangiare carne e bere vino ogni giorno che lacerare la carne dei fratelli parlando male di loro" (Vitae Patrum, III, 134; PL 73,786).
Infine, come dice San Basilio:
Ci sono due modi in cui possiamo parlare o ricordare i peccati degli altri senza malignare. A volte, cioè, può essere necessario prendere consiglio con altri su come correggere qualcuno che ha peccato. In questo caso, possiamo tirare fuori i peccati di quella persona e parlarne apertamente senza essere maligni. Inoltre, a volte può essere necessario dissuadere e avvertire qualcuno di non mettersi con una persona cattiva. In questo caso, possiamo, senza malignare, rivelare i peccati di quell'altra persona. Troviamo che l'Apostolo stesso ha fatto questo, perché dice a Timoteo: "Alessandro il ramaio mi ha fatto molto male. Anche tu devi evitarlo, perché si è opposto con forza alla mia predicazione. Dio lo ripagherà come meritano le sue azioni malvagie" [2Tim 4,14-15]. A parte questi casi necessari, però, se si dice qualcosa contro un'altra persona o la si deride o la si denigra, si parla con malizia, anche se sembra che ciò che si dice sia vero. (Basilio, Regulae brevius tractatae, 25; PL 103:806)
Capitolo 63: Consolazione dei solitari di fronte a discorsi malevoli
I solitari non devono rattristarsi se, senza alcuna colpa, sono malvisti da alcuni dispettosi, poiché il Signore, per consolarci, si è degnato di indicare la disgrazia che egli stesso ha subito, come dice: "Se chiamavano il padre di famiglia Belzebù, quanto più i suoi servi?". [Matteo 10:25], e anche: "Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che gli appartiene, ma poiché non siete del mondo, il mondo vi odia" [Gv 15,19], e l'Apostolo dice: "Non meravigliatevi se il mondo vi odia" [1 Gv 3,13]. Ci sono molti che lodano la vita solitaria forse più di quanto dovrebbero. Per evitare che siano colti di sorpresa dall'orgoglio di queste lodi, Dio onnipotente permette che le persone cattive irrompano su di loro con commenti denigratori e discorsi di rimprovero. Così, se nel cuore dei solitari sorge qualche colpa a causa di ciò che la gente dice nelle loro lodi, i solitari possono essere richiamati alla penitenza attraverso le osservazioni denigratorie dei cattivi. Tuttavia, in mezzo alle parole di chi ci loda e di chi ci censura, dobbiamo sempre guardare dentro di noi. Se non troviamo in noi stessi il bene che viene detto su di noi, questo dovrebbe renderci molto tristi. E se non troviamo in noi stessi il male che si dice di noi, dovremmo scoppiare di grande gioia. Così dice il beato Giobbe: "Ecco il mio testimone è nei cieli e il mio confidente è nell'alto" [Giobbe 16:20]. Se avete in cielo la testimonianza della vostra vita, non dovete temere le malelingue degli uomini, come dice Paolo: "La nostra gloria è questa: la testimonianza della nostra coscienza" [2 Cor 1, 12]. Se non ci fossero state persone che lo accusavano di cattiveria e lo chiamavano seduttore, non avrebbe detto: "Famosi e infami, chiamati seduttori e veritieri" [2 Cor 6,8]. E cosa dobbiamo fare del nostro Salvatore, che i Giudei chiamavano posseduto dal diavolo, bestemmiatore e persecutore?
Il beato Arnulfo, pur essendo vescovo, divenne in seguito un solitario. Sopportò con animo tranquillo gli attacchi malevoli di persone dispettose. Leggiamo nel resoconto dei suoi atti: Un certo uomo di nome Noddo osò, insieme alle sue coorti, parlare male del beato Arnulfo. Questo Noddo disse che egli non era un adoratore di Dio, ma piuttosto una persona dedita al piacere. Quando questo calunniatore andò a letto con uno dei suoi compagni, Dio ordinò che le fiamme circondassero e avvolgessero tutti i loro vestiti. Essi si precipitarono fuori da dove si trovavano e gridarono per avere dell'acqua, ma l'acqua che fu gettata su di loro non estinse il fuoco che Dio aveva mandato. I loro indumenti intimi bruciavano ferocemente intorno ai genitali e alle natiche, e non riuscivano a togliersi le vesti in fiamme. Cos'altro accadde loro? Poiché non potevano fare altro, corsero fuori e, come maiali, si rotolarono urlando in una fanghiglia. Tuttavia, il fuoco che Dio aveva mandato bruciava sempre di più i loro genitali. Alla fine, temo, si realizzò in loro ciò che era scritto: "Quelli che maltrattano il prossimo in segreto, li perseguiterò" [Sal 100,5]. Il giudizio di Dio ordinò così che essi sperimentassero in se stessi il castigo per le cose con cui avevano malignato il santo uomo. - Ma il santo vescovo e solitario non si rattristò per le malelingue né si rallegrò per la rivendicazione che Dio gli aveva procurato. No, come Dio aveva ordinato, li amò e pregò per loro. Questo esempio insegna anche a noi a non rattristarci per le maldicenze e a rallegrarci per le calunnie, ricordando ciò che è scritto: "Gli apostoli uscirono rallegrati dalla presenza del consiglio, perché avevano meritato di essere insultati per il nome di Gesù" [At 5,41]. Se loro non si rattristarono per le calunnie e le percosse, allora noi non dobbiamo rattristarci per le parole e le malelingue. Che altro fanno i calunniatori se non soffiare nella polvere e sporcare i loro stessi occhi? Devono essere chiamati e rimproverati con pazienza, come dice il comando del Signore: "Se tuo fratello pecca contro di te, rimproveralo. E se ti dice: "Mi dispiace", perdonalo. E se pecca contro di te sette volte al giorno e sette volte ti dice: Mi dispiace, perdonalo" [Luca 17:3-4]. Quindi, se farete così, salverete voi stessi e libererete dalla fossa del peccato il vicino che vi stava malignando.
Capitolo 64: Pensieri e illusioni diaboliche
Così come i solitari devono astenersi dalle opere cattive e dai discorsi corrotti, allo stesso modo devono proteggere il loro cuore dai pensieri perversi. Il beato Girolamo ci avverte a questo proposito quando dice:
"Non permettere che i cattivi pensieri crescano nel tuo cuore". (Girolamo, Epistola 22,6, PL 22,398)
E altrove:
"Soffoca l'inizio del pensiero e le altre cose non ti sopraffaranno. Il corpo non può essere corrotto se prima non è stato corrotto lo spirito, e la carne non può fare nulla se non ciò che lo spirito vuole. Perciò prima purificate lo spirito dai pensieri perversi, e la carne non si lascerà sopraffare dal peccato per sempre".(Isidoro di Siviglia, Synonymorum Liber, 2,7; PL 83,847)
I buoni pensieri vengono sempre da Dio, mentre i cattivi pensieri a volte provengono da noi stessi e a volte sono suscitati dalle sollecitazioni del diavolo. Il diavolo non può ingannare nessuno se non chi vuole dare al diavolo il suo consenso. Se combattiamo contro il diavolo, egli fuggirà da noi, come dice l'apostolo Giacomo: "Resistete al diavolo ed egli fuggirà da voi" [Gc 4,7].
Su questo tema leggiamo nelle conferenze dei padri:
Un tempo il beato Macario viveva da solo in un luogo deserto, e nelle vicinanze c'era un'altra solitudine in cui vivevano molti fratelli. Il più anziano vide Satana che veniva in forma umana e intendeva passare davanti alla sua cella. L'anziano vide che indossava una vecchia tunica di lino logora e che da tutti i buchi pendevano delle fiale. L'anziano gli disse: Dove vai? Egli rispose: Vado a far visita ai fratelli. L'anziano disse: E perché hai quelle fiale? Rispose: Sto portando ai fratelli un assaggio. L'anziano gli disse: Queste fiale che porti, hanno tutte un sapore? Egli rispose: Sì. Se a qualcuno non piace una, gliene offro un'altra, e se non gli piace quella, gliene offro una terza, e così via. Uno di questi gli piacerà sicuramente. Dopo aver detto queste cose, proseguì per la sua strada. L'anziano lo osservò e tenne d'occhio la strada, finché non tornò. E quando l'anziano lo vide, gli disse: "Salute a te: Salute a te. Ed egli rispose: Come posso essere in salute? L'anziano disse: Che cosa vuoi dire? Rispose: Tutti hanno raggiunto la santità per mezzo di me, e nessuno mi dà il suo consenso. E l'anziano disse: Non hai amici lì? Ed egli rispose: Ho solo un fratello lì, ed è l'unico che mi dà il suo consenso. Quando mi vede, si gira come il vento. Ma l'anziano gli disse: Come si chiama quel fratello? Egli rispose: Teoctisto. E dopo aver detto queste cose, se ne andò per la sua strada. Ma abba Macario si alzò e andò a trovare i fratelli. Quando sentirono che stava arrivando, presero dei rami di palma e gli andarono incontro. Ognuno di loro preparò la propria cella, poiché non sapevano con chi avrebbe scelto di stare. L'anziano si informò su chi di loro si chiamasse Teoctisto e, dopo averlo trovato, entrò nella sua cella. Teoctisto lo accolse con gioia. Ma quando cominciarono a parlare in privato, l'anziano gli disse: "Come stai, fratello? Come stai, fratello? Ed egli rispose: Con l'aiuto delle tue preghiere, sto bene. E l'anziano disse: I tuoi pensieri non ti tormentano? Egli rispose di nuovo: Sto bene. Si vergognava di dirglielo. E l'anziano gli disse: Guarda da quanti anni vivo la vita di un monaco in questo luogo e tutti mi onorano. Eppure nella mia vecchiaia sono tormentato da uno spirito di fornicazione". E Teoctisto rispose: Credimi, abba, lo sono anch'io. L'anziano finse di essere assillato anche da altri pensieri, finché non fece confessare il fratello. Poi disse: Come fai a digiunare? E il fratello rispose: Fino all'ora nona. L'anziano gli disse: Digiuna fino a sera, astieniti e leggi i Vangeli in modo da impararli a memoria. E medita le altre Scritture con il cuore, e se ti si presenta un pensiero cattivo, non guardare mai verso il basso ma sempre verso l'alto, e subito il Signore ti aiuterà". Quando l'anziano ebbe messo in riga il fratello, tornò alla sua solitudine. Quando guardò in alto, vide di nuovo quel diavolo e gli disse: "Dove vai adesso? Dove vai ora? Ed egli rispose: A visitare i fratelli. E continuò per la sua strada. Ma quando tornò, l'anziano gli disse: Come stanno quei fratelli? Egli rispose: Terribili. L'anziano disse: Perché? Ed egli rispose: Perché sono tutti santi, e quel che è peggio è che l'unico che era mio amico e mi obbediva, anche lui - non so come - mi si è rivoltato contro. Ora non mi dà il suo consenso, ma è diventato più santo di tutti gli altri, e così ho giurato di non mettere piede in quel luogo per molto tempo". Dopo aver detto queste cose, se ne andò per la sua strada e lasciò l'anziano. Ma il santo anziano entrò nella sua cella adorando e ringraziando Dio. (Vitae Patrum, 5.18.9; PL 73:981)
Da questo racconto impariamo che, a meno che una persona non si sottometta volontariamente ai desideri del diavolo, questi non ha alcun potere su un essere umano. E, come si evince dal racconto, Satana non sa da quale passione può essere sedotta l'anima. Ecco perché vi semina le sue erbacce. A volte semina i semi della fornicazione, altre volte quelli della maldicenza o degli altri vizi. Fa lo stesso con le passioni e, se vede che una persona si allontana da una passione, gliela procura. Ora, nulla frustra il demonio come quando i suoi stimoli vengono rivelati, e nulla lo rende così felice come quando i suoi pensieri vengono tenuti nascosti. Poiché nostro Signore Gesù Cristo ci ha dato il potere di calpestare serpenti e scorpioni, cioè i cattivi pensieri, purifichiamo il nostro cuore con l'umile confessione e schiacciamo i piccoli, i nostri pensieri, contro Cristo, poiché di noi è detto: "Beato chi prenderà e schiaccerà i tuoi piccoli contro la roccia" [Sal 136,9], e anche: "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio" [Mt 5,8].
Capitolo 65: Le varie tentazioni dei solitari
Così vediamo che le menti dei solitari sono soggette a molte tentazioni distruttive in questa vita. Tuttavia, il diavolo non li tenta oltre ciò che la volontà di Dio permette. Tentandoli, il diavolo li istruisce su come progredire. Anche se non lo vuole, il diavolo agisce comunque per il loro bene quando con le sue tentazioni non li intrappola ma li istruisce. Come abbiamo detto, il diavolo tenta la mente dei solitari in molti modi. A volte li tenta con il pungolo della povertà e, quando non riesce a smuoverli con il pungolo della povertà, usa la ricchezza per sedurli. Quando non riesce a vincere con la calunnia e il disonore, cerca di usare la lode e l'onore. Se non ha successo con la salute corporea, manda la malattia. E se non riesce a sedurli con i piaceri, cerca di abbatterli con le afflizioni che si verificano nonostante le loro preghiere. Cerca di usare alcune gravi infermità contro coloro che sta tentando; se riesce a rendere vili i solitari per mezzo di esse, allora può disturbare l'amore che hanno per il Signore.
Ma anche se il vostro corpo sta andando in rovina, sta bruciando con febbri gravi ed è martoriato da tormenti insopportabili, chiunque voi siate che state subendo queste cose, ricordate le punizioni del mondo a venire, il fuoco eterno e i tormenti senza fine. Se li terrete a mente, non cederete a ciò che vi accade nel mondo presente. Anzi, rallegratevi perché Dio vi ha visitato e tenete sulla vostra lingua il detto più famoso: "Punendo, il Signore mi ha punito e non mi ha dato in pasto alla morte" [Sal 117,18], e: "Colui che il Signore ama lo disciplina; castiga ogni figlio che accoglie" [Eb 12,6]. Se siete di ferro, vi libererete della ruggine una volta che il fuoco vi avrà attaccato. Se siete giusti e sopportate queste cose, siete chiamati da cose grandi a cose ancora più grandi. Siete oro, ma è per mezzo del fuoco che sarete più purificati. Vi è stato dato un angelo di Satana, una spina nella carne [cfr. 2 Cor 12,7]? Rallegratevi, perché vedete a chi assomigliate: Paolo, l'apostolo, e avete meritato di ricevere un dono come il suo. Ascoltate come l'apostolo si gloriò delle sue debolezze; anche voi gloriatevi e dite: "Volentieri dunque mi glorio delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo dimori in me" [2 Cor 12,9], e anche: "Quando sono debole, allora sono forte" e potente [2 Cor 12, 10]. Se siete castigati dalle febbri o dal freddo pungente, ricordate ciò che dice la Scrittura: "Siamo passati attraverso il fuoco e l'acqua" [Sal 65,12]. Non vi resta che essere condotti al refrigerio [cfr. Sal 65,12]. Gridate con il profeta: "Nelle avversità mi hai fatto crescere" [Sal 4,2]. Grazie a difficoltà come queste sarete perfetti. Se vi capita di perdere gli occhi, non prendetevela a male; avete perso uno strumento di superbia [cfr. Sir 23,5], ma siate desiderosi di guardare la gloria di Dio con occhi interiori. Siete diventati sordi? Non rattristatevi, perché l'udito che avete perso è inutile. Qualche afflizione ha reso zoppe le vostre mani? Tenete le vostre mani interiori pronte a contrastare le tentazioni del nemico. La malattia attanaglia tutto il vostro corpo? Allora la salute della persona interiore sta crescendo. Perché la malattia del corpo non è altro che la salute della mente. Se la malattia è tale che non potete alzarvi per pregare e cantare i salmi, non siate tristi per questo, perché la vostra malattia sta pregando per voi. Se state digiunando, non cercate una scusa per voi stessi dicendo: Hai abusato della tua salute, per questo ti sei ammalato. In fondo, anche chi non digiuna si ammala. Avete iniziato un'opera buona? Non fatevi distogliere dalle difficoltà che il nemico vi pone. È stato stabilito che dobbiamo digiunare e faticare a causa di piaceri vergognosi. Tutte queste cose ci aiutano a distruggere i desideri del corpo.
È bene che il giusto sia tentato, ma con una tentazione che provochi dolore, non che ecciti la lussuria. Perciò chi soffre il male deve imparare a non lamentarsi, anche se non sa perché sta soffrendo il male. Devono pensare che lo stanno subendo giustamente, perché sono giudicati da Colui i cui giudizi non sono mai ingiusti. Chi si lamenta quando viene castigato accusa la giustizia di Colui che giudica, mentre chi riconosce giustamente che sta sopportando le sofferenze mandate dal Giudice giusto, anche se non conosce il motivo della sua sofferenza, è giustificato perché accusa se stesso e loda la giustizia di Dio. Beato chi sopporta con pazienza tutte queste cose.
Capitolo 66: Le tentazioni dei sogni
Capita spesso che i demoni si avventino sui solitari di notte. Li terrorizzano e li gettano nella confusione mentre dormono. Quelli che tentano interiormente durante la veglia, ma che non riescono a vincere, li attaccano furiosamente mentre dormono. A volte attaccano apertamente e fanno violenza ai corpi umani e li picchiano, come fecero con il beato Antonio. Dio permette che questo accada perché ne derivi la punizione dei malvagi e la sopportazione e la gloria dei giusti. Molto spesso gli spiriti immondi scorgono alcune persone che vogliono amare il mondo. Quando queste persone dormono, gli spiriti le ingannano con una vuota speranza di prosperità. Nel Libro dei Dialoghi di Gregorio Magno (Dialogorum Libri, IV, 51; PL 44,412) leggiamo che "questo accadde a una certa persona. Mentre tutta la sua attenzione era rivolta ai suoi sogni, gli fu promesso in sogno che avrebbe goduto di una grande longevità. Mentre accumulava una grande quantità di denaro per mantenersi durante una vita molto lunga, morì all'improvviso lasciando intatto tutto il suo denaro e non portando con sé nessuna opera buona".
A volte Satana si trasforma in un angelo di luce, non solo mentre dormiamo, ma anche mentre siamo svegli, per poter ingannare qualcuno e fargli credere a un'illusione. Così leggiamo nelle conferenze dei padri a proposito di
un certo anziano che era seduto nella sua cella. Mentre subiva le tentazioni, vedeva i demoni in bella vista e li disprezzava. Ma quando il diavolo vide che era stato battuto dall'anziano, venne a mostrarsi a lui e gli disse: "Vuoi vedere Cristo? L'anziano rispose e disse: Io anatemizzo te e colui di cui parli. Da parte mia, credo nel mio Cristo che ha detto: "Se qualcuno vi dice: Ecco, il Cristo è qui o è là, non credeteci" [Mt 24,23]. E il diavolo disse: Io sono il Cristo". Quando l'anziano lo vide, chiuse gli occhi. E il diavolo gli disse: Perché hai chiuso gli occhi? L'anziano disse: Non voglio vedere Cristo qui. Voglio vederlo nella vita beata". All'udire queste parole, il diavolo lo lasciò. (Vitae patrum, 5.15.70; PL 73:965-66)
Questo racconto mostra quanti stratagemmi usa il nemico per cercare di ingannare i servi di Dio. Ma coloro che sono consapevoli di non aver commesso nessuna o poche trasgressioni o che non sono mai o raramente tormentati da terrori notturni, anche se sono sbilanciati al momento della tentazione, si svegliano presto e rifiutano queste vuote illusioni per concentrare la loro attenzione su Dio.
Ora, a volte accade che i servi di Dio vedano certe cose nascoste e mistiche nelle visioni. I peccatori, invece, che inquinano il loro cuore con gravi peccati, sono fuorviati dalla paura ispirata dalla loro coscienza e vedono cose terrificanti. Mentre queste persone sono sveglie, il diavolo le trascina verso i peccati e, mentre dormono, le stanca e non le lascia mai riposare. Agli occhi dei peccatori il demonio è terrificante; agli occhi dei giusti il terrore del demonio è esiguo.
Va notato che esistono diversi tipi di sogni. A volte i sogni nascono perché lo stomaco è pieno o vuoto. A volte nascono dai pensieri, come è scritto: "I sogni seguono molte preoccupazioni" [Eccl 5, 2]. Spesso accade che ciò che pensiamo durante il giorno lo richiamiamo alla mente durante la notte. A volte i sogni nascono dall'illusione provocata dagli spiriti immondi, come dice Salomone: "I sogni e le vuote illusioni fanno smarrire molte persone" [Sir 34,7]. A volte, invece, i sogni derivano da una rivelazione, come si legge nella Legge a proposito di Giuseppe, figlio di Giacobbe, al quale fu predetto in sogno che sarebbe stato posto al di sopra dei suoi fratelli [cfr. Gen 37,5-8]. Nel Vangelo si dice che Giuseppe, sposo della beata Maria, fu avvertito in sogno che doveva fuggire con il bambino in Egitto [cfr. Mt 2, 13]. A volte, a dire il vero, i sogni sono prodotti dalla rivelazione e dal pensiero allo stesso tempo, come dice Daniele: "Tu, o re, ti sei messo a riflettere sul tuo letto su ciò che sarebbe accaduto dopo queste cose, e Colui che rivela i misteri ti sta mostrando ciò che sta per accadere" [Dan 2, 29]. Per meglio ingannare le persone, i demoni spesso predicono molte cose vere, in modo che alla fine possano ingannare o intrappolare l'anima con qualche bugia. Ma anche se alcuni sogni possono essere veri, è meglio non crederci, per paura che a volte nascano dall'illusione del diavolo e possano ingannare il cuore delle persone semplici. Dobbiamo ricordare la testimonianza della Scrittura che dice: "Se vi dicono e accade, non credete" [cfr. Dt 13,2-5; Mt 24,23-28]. I sogni sono come dei presagi e chi vi presta attenzione in realtà interpreta dei presagi. Da parte loro, i solitari dovrebbero usare discrezione e circospezione nel discernere tra illusioni e rivelazioni, arrivando così a conoscere ciò che ricevono dallo Spirito buono e ciò che subiscono dallo spirito maligno.
Capitolo 67: I solitari non devono cercare di compiere segni e miracoli
I solitari non devono cercare segni e miracoli, perché c'è il pericolo di mettersi in mostra e di vanagloria. Coloro che vogliono dimostrare il loro valore con segni e miracoli si riveleranno inutili. Il nostro Signore e Salvatore non ha detto: Dai segni e dai miracoli li riconoscerete, ma: "Dai loro frutti li riconoscerete" [Matteo 7:20]. Allo stesso modo, non ha promesso che nel giorno del giudizio avrebbe premiato chi faceva segni e miracoli, ma piuttosto chi obbediva ai suoi precetti. Egli dirà loro: "Venite, benedetti del Padre mio, prendete possesso del regno", e così via [Mt 25,34]. Egli chiamò beati non coloro che operavano segni e miracoli, ma coloro che erano umili di spirito e miti, che piangevano e che compivano opere del genere. La beatitudine non si trova nell'operare segni, ma nell'eseguire i comandamenti di Dio. Sono la vita buona e le opere degne, anche senza segni e miracoli, a meritare una corona, ma uno stile di vita malvagio, anche se opera segni e prodigi, non evita il castigo. Di conseguenza, è inutile cercare segni e miracoli. Anzi, è pericoloso.
I solitari non dovrebbero fare nulla per esibizione. Ecco un esempio che dimostra quanto male ci sia nel fare qualcosa per finta.
C'era una volta un giovane monaco che vide alcuni anziani che stavano facendo un viaggio e, per mettersi in mostra, ordinò agli asini selvatici di venire a portarli fino a casa. Quegli anziani raccontarono questo fatto al beato Antonio. E Abba Antonio disse: Mi sembra che quel monaco sia come una nave carica di ogni bene, ma non si sa se riuscirà o meno a raggiungere il porto". Poco tempo dopo, Abba Antonio cominciò improvvisamente a piangere, a tirarsi i capelli e a piangere. Quando i suoi discepoli se ne accorsero, dissero: Perché piangi, abba? Egli rispose: È appena caduto un grande pilastro della chiesa. Stava parlando di quel giovane monaco. Andate da lui, fratelli, disse, e vedete cosa sta facendo. Così i suoi discepoli andarono e trovarono quel monaco seduto a lamentarsi di un peccato che aveva commesso. Quando vide i discepoli dell'anziano, disse loro: Dite all'anziano di pregare Dio di darmi solo dieci giorni di tregua. Morì cinque giorni dopo. (Vitae Patrum, 5.8.1; PL 73:905)
Per questo motivo, i solitari devono fare attenzione a non fare nulla per esibizione. Inoltre, dovrebbero fuggire la malattia della vanagloria che colpisce i solitari, non solo nei peccati carnali, ma anche in quelli spirituali. Infatti, chi non può essere ingannato dai peccati carnali è più gravemente ferito da quelli spirituali che vengono dopo. Chi il diavolo non riesce a far cadere nella vanagloria con l'aspetto esteriore di abiti costosi ed eleganti, cerca di ingannarlo con abiti sporchi e trasandati. Chi non può abbattere con l'onore, lo sconfigge con l'umiltà, e chi non può innalzare con l'abbellimento della conoscenza e del bel parlare, lo abbatte con la gravità del silenzio. Se qualcuno digiuna pubblicamente, è colpito dalla vanità di diventare famoso. Se qualcuno nasconde il digiuno per non dare sfogo alla vanagloria, cade nello stesso peccato di autoesaltazione. Una persona è colpita dalla preghiera, un'altra dalle lunghe veglie. Molti, nel tentativo di fuggire la vanagloria, ci cadono dentro. Molte persone vogliono essere lodate per disprezzare le lodi e, per un'incredibile inversione, cercano la lode anche mentre la evitano. Ecco perché i nostri santi padri "usano un'immagine appropriata per descrivere questo vizio: una cipolla. Se si toglie uno strato di pelle, si scopre che è coperto da un altro. Ogni volta che si toglie una buccia, se ne ricopre un'altra". (Giovanni Cassiano, Istituzioni cenobitiche, 11.5; PL 49:404) Di conseguenza, i solitari dovrebbero seguire il consiglio dell'Apostolo e andare avanti "con le armi della giustizia a destra e a sinistra" [2 Cor 6,7] e proseguire attraverso la gloria e l'ignominia, attraverso l'infamia e la buona reputazione. Come dice Salomone: Non si allontanino né a destra né a sinistra [cfr. Prov 4,27], in altre parole, non si esaltino per le virtù e i successi della "mano destra" né si pieghino sulla strada dei vizi della "mano sinistra". Devono piuttosto attenersi al centro, a Colui che è la Via, la Verità e la Vita, e camminare con tanto successo da meritare di raggiungere la meta.
Capitolo 68: La triplice grazia dei carismi
La discussione precedente ci ha portato al punto in cui possiamo riferire ciò che abbiamo da dire sui carismi spirituali. La tradizione dei nostri anziani ci ha insegnato che questi carismi sono tre.
Il primo caso di guarigione è quello in cui la grazia dei segni si manifesta su alcune persone sante e giuste per il merito della loro santità. Per esempio, è noto che gli apostoli e molte persone sante operavano segni e prodigi con l'autorità del Signore, che diceva: "Curate i malati, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demoni. Avete ricevuto a costo zero, date a costo zero" [Mt 10,8].
Il secondo caso è quello in cui, per edificare la fede o della chiesa o di coloro che portano i malati o di coloro che devono essere curati, la forza salutare esce anche da peccatori e persone indegne. Di queste persone il Signore dice nel Vangelo: "In quel giorno molti mi diranno: Signore, Signore, non abbiamo forse profetizzato nel tuo nome, scacciato demoni e fatto molti miracoli? E allora io dichiarerò loro: Non vi conosco. Allontanatevi da me, operatori di iniquità" [Mt 7, 22-23]. Ed è per questo che avverte i suoi discepoli: "Non rallegratevi perché i demoni vi sono stati sottomessi, ma perché i vostri nomi sono stati scritti nei cieli" [Lc 10, 20].
Il terzo tipo di cura viene addirittura simulato con la collusione e la collaborazione dei demoni. Nonostante qualcuno sia colpevole di reati pubblici, tuttavia, a causa della meraviglia suscitata dai segni, si pensa che sia un santo e un servitore di Dio. È certo che le persone che pensano di avere le grazie per curare e che si esaltano nell'orgoglio del proprio cuore saranno duramente schiacciate. Ecco perché il Signore dice nel Vangelo: "Sorgeranno pseudocristiani e pseudoprofeti e faranno grandi segni e prodigi, tanto che, se fosse possibile, anche gli eletti sarebbero indotti in errore" [Marco 13:22].
Di conseguenza, le persone dovrebbero essere degne di lode tra noi, non perché ammiriamo i segni che compiono, ma perché adornano la loro condotta con la virtù. In verità, è un miracolo più grande eliminare il fuoco della lussuria dalla propria carne che espellere gli spiriti impuri dal corpo degli altri. Ed è un segno più meraviglioso frenare i moti combattivi dell'ira con la virtù della pazienza che comandare i demoni o scacciare le malattie dal corpo degli altri. Ed è una virtù più eccellente curare la debolezza della propria anima che quella del corpo altrui.
Quanto più un'anima è al di sopra della carne, tanto più vicina è la sua salvezza. E c'è un merito maggiore nel sollevare un peccatore dal vizio che un morto dalla tomba. Ecco perché non leggiamo mai che i santi padri abbiano mai aspirato a compiere segni. Al contrario, pur possedendo la capacità di operare tali segni per opera dello Spirito Santo, non vollero mai esercitarla, tranne forse quando una necessità imprescindibile li costrinse a farlo, come accadde al beato Macario, che era discepolo di sant'Antonio. Si dice che una volta,
quando c'era stato un omicidio in una località vicina, un uomo innocente era stato accusato dell'omicidio. Colui che era stato accusato ingiustamente era fuggito nella cella di Macario. Erano presenti anche persone che denunciavano l'innocente. Giuravano e dicevano che si sarebbero messi in pericolo se non avessero arrestato l'assassino e non lo avessero consegnato alla giustizia. L'uomo accusato del crimine giurò di non essere colpevole di quel sangue. Quando questa battaglia andò avanti per molto tempo, san Macario chiese dove giaceva la presunta vittima. Quando gli indicarono il luogo, si recò alla tomba con tutti coloro che erano venuti a denunciare l'uomo. Lì si inginocchiò e invocò il nome di Cristo. Disse ai presenti: Ora il Signore mostrerà se quest'uomo che state denunciando è colpevole. Alzò la voce e chiamò il morto per nome. Quando questi gli rispose dal sepolcro, gli disse: Per fede in Cristo ti ordino di dire se sei stato ucciso da colui che viene accusato a causa tua. Allora il morto alzò la voce e rispose dal sepolcro che non gli era stato fatto alcun male. All'udire ciò, tutti rimasero stupefatti e caddero a terra. Prostrati ai suoi piedi, lo pregarono di chiedere al morto chi lo avesse ucciso. Egli rispose: Non lo chiederò. Mi basta che un innocente sia liberato. Non spetta a me consegnare il colpevole. (Vitae Patrum, 3.41; PL 73:764)
Vediamo che nessuno avrebbe mai saputo quanta potenza e grazia c'era in lui, a meno che il bisogno di una persona in pericolo e l'amore sincero per Cristo non lo avessero costretto a fare questo miracolo. Dovremmo renderci conto che, come un tesoro esposto all'aperto si consuma rapidamente, così qualsiasi potere, se è pubblico, sarà sradicato. E come la cera si scioglie quando viene accostata al fuoco, così un'anima che si innalza con lodi vuote perde la forza dei suoi poteri. Ecco perché i solitari, se sono consapevoli di qualche opera buona in loro stessi, devono nasconderla e, quando hanno fatto tutto ciò che Dio comanda, devono dire: "Siamo servi inutili" [Luca 17:10]. Lo stesso vale per i poteri: se sentono di avere dei poteri in loro, devono tacere e nasconderli. Dio svelerà le loro opere e le farà conoscere a tutti quando verrà il Signore "che metterà in luce le cose nascoste nelle tenebre e renderà pubblici i consigli dei cuori, e allora ciascuno avrà lode da Dio" [1 Cor 4, 5]. Allora egli ripagherà tutti individualmente come le loro opere meritano.
Una volta che i solitari sono stati rinchiusi, è del tutto contrario alle regole ecclesiastiche che, per orgoglio o per questioni mondane, siano così sfortunati da tornare nel mondo e diventare così preda dei demoni. Nel Vangelo il Signore testimonia quanto sia grave l'offesa dei solitari che diventano apostati, cioè che tornano sui loro propositi precedenti: "Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volta indietro è adatto al regno di Dio" [Lc 9,62], e l'apostolo Paolo dice: "Nessuno che sia soldato per Dio si immischia in affari secolari, per far piacere a chi lo ha arruolato" [2 Tim 2,4]. Non sono liberi dalle insidie del diavolo coloro che, dopo essere stati rinchiusi, vogliono impelagarsi negli affari mondani. È a queste persone che si applica la vera e terrificante affermazione del beato Pietro: "Meglio sarebbe stato per loro non aver mai conosciuto la via della giustizia, piuttosto che, dopo averla conosciuta, voltare le spalle al santo comandamento che era stato loro trasmesso." [2 Pt 2, 21], e anche: "Il cane è tornato al suo vomito e la scrofa lavata è tornata a rotolarsi nel fango" [2 Pt 2, 22].
Pertanto, coloro che cedono alla persuasione del demonio e tentano di agire in questo modo, a meno che non vi siano costretti da una necessità inevitabile, dovrebbero in ogni caso essere scomunicati dal loro vescovo o da altri prelati, fino a quando non torneranno alla loro precedente decisione che, per amore di Dio, avevano scelto in origine. In fondo, non è l'inizio di un buon lavoro che si cerca nei solitari, ma la fine, perché è su come finiamo che ognuno di noi sarà giudicato, non su come abbiamo vissuto in precedenza. Così dice il Signore attraverso il profeta: Vi giudicherò in base al tipo di persona che ho trovato in voi [cfr. Ezechiele 7,3].
Quel che è peggio, c'è chi inizia bene il proprio percorso di vita consacrata ma lo finisce male, come Giuda, che ha iniziato bene ma ha finito male, mentre Paolo ha iniziato male ma ha finito bene. Molti iniziano, ma sono rari quelli che raggiungono l'apice della perfezione. Per questo il premio non è promesso a chi inizia, ma è dato a chi persevera, come dice il Signore: "Chi persevera fino alla fine sarà salvato" [Mt 10,22].
Ma se tu, solitario, pensi di essere così sicuro da poter abbandonare ogni tanto la vita solitaria perché hai percorso bene la strada della tua determinazione e hai lavorato molto duramente, ti comporti come uno che salpa l'ancora e fa salpare una nave carica di carico dal porto e che lascia che una tempesta la prenda e poi la guidi su scogli e rocce. Se ragionate così, dovreste vedere quanto incerte e scivolose sono le vie che gli esseri umani percorrono in questa vita, come dice Salomone: "Gli uomini non sanno se sono meritevoli di amore o di odio, ma tutte le cose si mantengono incerte nel futuro" [Eccl 9,1-2].
Di conseguenza, nessuno deve essere sicuro del passato, perché anche se lo stile di vita dei solitari è lodevole, tuttavia gli esseri umani rimangono incerti sul fine a cui sono stati destinati. Il loro inizio sarà felice e benedetto, il loro stile di vita sarà gradito a Dio, solo se eviteranno ogni naufragio di errori e tentennamenti e arriveranno sani e salvi al fine e alla perfezione che si sono scelti.
Di conseguenza, i solitari devono essere diligenti nella lettura e assidui nella meditazione di questa regola che è stata raccolta in poche parole dai fiori delle Sacre Scritture e rafforzata qua e là dagli esempi dei santi padri. Dovrebbero scorrerla parola per parola, memorizzarla e, con l'aiuto della grazia di Dio, viverla per quanto possibile. Allora potranno arrivare alla gloria che occhio non ha visto, né orecchio ha udito, né è entrata nel cuore dell'uomo, la gloria che Dio ha preparato per coloro che lo amano [cfr. 1 Cor 2,9], con l'aiuto di Colui che vive e regna, Dio, nei secoli dei secoli. Amen.
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27 dicembre 2023 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net