REGOLA DI UN CERTO PADRE ALLE VERGINI
Regola di Walbert (o Valdeberto)
per le monache
(Libera traduzione dal testo latino)
Link al testo latino con italiano a fronte
I Quale deve essere la madre badessa del monastero?
II
Come debba essere la priora del monastero.
III
La portinaia del monastero.
III Quale debba essere la celleraria del
monastero.
V L'amore e l'obbedienza reciproca.
VI L'assidua pratica
della confessione.
VII Le confessioni delle sorelle non devo essere
manifeste.
VIII Come si debba
accorrere al segnale del Signore.
IX Come si debba custodire la regola
del silenzio sia durante il lavoro quotidiano, che durante il pasto, e come
si debba leggere a tavola.
X Con quale norma si debbano somministrare
i pasti e che cosa si debba rispettare.
XI A quali opportune ore in inverno
ed in estate si debba pasteggiare.
XII Nei giorni feriali come ci si debba dedicare al lavoro.
XIII Gli
utensili e le cose necessarie.
XIV Come le sorelle debbano dormire nella
stanza comune.
XV
Come ci deve occupare delle sorelle malate?
XVI
Gli eventi che accadono per negligenza o dovuti al caso.
XVII
Nel monastero nessuna monaca deve rivendicare qualcosa come proprio.
XVIII La
scomunica per le colpe.
XIX Come
debba essere la scomunica.
XX A proposito delle sorelle che, pur essendo
state spesso corrette con solleciti rimproveri, non vogliono emendarsi.
XXI
L'accettazione delle sorelle (fuggite dal monastero).
XXII Come le
sorelle siano reciprocamente umili e osservino il loro posto. Come debbano
osservare i precetti anche nelle azioni insignificanti.
XXIII Nessuna
(sorella) difenda un'altra sorella o una parente nel monastero.
XXIV La
formazione delle bambine (nel monastero).
Capitolo I. Quale deve essere la madre badessa del monastero?
La badessa del monastero deve essere nobile, non tanto per nascita quanto
per saggezza e per santità, perché, coltivando la parola per istruire le
anime con giuste istruzioni, deve stare attenta a non contraddire questo
linguaggio con le sue azioni; le (sorelle a lei) subordinate, di fatto, si
modellano sugli atti dei superiori più di quanto ascoltino i loro
insegnamenti. Deve quindi far seguire ai santi discorsi le sante opere: così
colei che prenderà come guida il suo insegnamento e la sua parola potrà
anche imitare il suo comportamento e le sue opere; perché se l'opera in
qualsiasi punto contraddice la parola, la parola inefficace non darà i suoi
frutti.
Dovrà brillare sia con le parole che con le opere, in modo che le sue opere
siano in armonia con la sua parola e la sua parola con le sue opere; dovrà
adornarsi con i fiori del dominio di sé e della castità; così tutte saranno
in grado di lodarla e di desiderare di imitare il suo esempio.
Dovrà adornarsi di una benevola carità, in modo da rallegrare i cuori di
tutti i fedeli. Si mostri piena di sollecitudine verso i pellegrini e gli
ospiti, attenta al curare gli ammalati, generosa in elemosina verso i poveri
e gli indigenti.
Corregga la negligenza delle colpevoli e riporti all'osservanza della vita
religiosa le anime rilassate e scoraggiate. Sparga con misericordia i doni
della sua bontà, senza tuttavia, per eccesso di bontà, favorire le mancanze.
Si mostri buona verso coloro che sono buone premiandole, rigorosa con le
malvagie castigandole: ciò che si realizza per mezzo della sapienza, secondo
la preghiera del Salmista che dice: "Insegnami, Signore, la bontà, la
disciplina e la sapienza" (Sal 118,66, Volg.).
La badessa deve, infatti, fare attenzione a due eccessi: un eccesso di bontà
che alimenta i vizi nei cuori delle (sorelle a lei) subordinate, un eccesso
di severità che finisce per affliggere a causa di una correzione troppo
severa, quelle che sarebbe stato necessario guarire con un lieve rimprovero.
Le imprudenti, le aiuti e le incoraggi con una moderata persuasione,
riversando sui loro ascessi, come medicamento, l'antidoto delle sue cure.
Coloro che hanno un buon comportamento, le sostenga con le sue esortazioni,
dando così loro i mezzi per portare a termine con successo ciò che hanno
intrapreso. Non serve loro a nulla, infatti, l'aver imboccato (questa via),
se non si sforzano di perseverare nel bene incominciato (cfr. Mt 10,22).
Si consideri come la madre di tante anime quante sono le figlie che ha sotto
la sua direzione, e sappia reprimere i vizi di ciascuna secondo il
temperamento di ciascuna. Nel suo desiderio di adattarsi a ciascuna, eviti
di sostituire la tenerezza alla severità e la severità alla tenerezza. Si
prende cura di tutte, per essere ricompensata del progresso di tutte. Così,
quando sfuggirà alla corruzione della vita presente, riceverà un salario
tanto maggiore per la sua fatica, quanto più avrà difeso ed aiutato (le
sorelle) a sconfiggere il nemico.
Capitolo II. Come debba essere la priora del monastero.
La priora del monastero deve essere stabilita in ragione della maturità
della sua condotta e non della sua età avanzata; in effetti, il gran numero
di anni è per molte un argomento di elevazione, ma la vergogna di una vita
tiepida e rilassata le riporta all'immaturità dell'infanzia. Per questo
motivo sarà necessario scegliere una priora che sia seria nella sua
condotta, edotta nelle sue parole, ferma nel carattere, attenta a tutto,
solerte nell'azione, garbata nella correzione, moderata nella punizione,
casta nel suo comportamento, sobria nella sua condotta, onesta nella
gestione, brillante per la sua umiltà, paziente, cordiale, né turbolenta, né
aggressiva. Che non sia contagiata né dall'orgoglio, né dall'arroganza, che
non sia né esuberante né loquace, ma apprezzabile in ogni cosa
nell'osservanza religiosa; sappia aiutare le anime malate e risvegliare il
torpore delle tiepide.
La badessa possa riposare su di lei, in modo che non si allontani in nulla
dai suoi precetti; sia invece sottomessa in tutte le cose e, attenendosi
agli ordini della sua superiora, non faccia e non ordini di fare nulla di
contrario dalla volontà della badessa, ma chieda la sua opinione in tutto
secondo ciò che sta scritto: "Interroga tuo padre e te lo racconterà, i tuoi
vecchi e te lo diranno" (Dt 32,7). Bisogna chiedere sempre, in modo che le
anime subordinate non si oppongano mai all'opinione delle anziane e che le
pecore non si discostino dalla volontà del pastore. Roboamo disprezzò
l'opinione degli anziani, seguendo quella dei giovani. Di quali danni fu
causa, la verità della Scrittura ce lo testimonia: avendo perso il potere su
undici tribù, gliene era rimasta a malapena una con la quale passò il resto
della sua vita, in mezzo a ogni tipo di afflizione, senza considerare la
crudeltà della morte (cfr. 1 Re 12,6-19).
La priora deve prendersi cura di tutti i bisogni del corpo e dell'anima, per
offrire gli aiuti necessari per la vita presente e per elevare il cuore
delle (sorelle a lei) subordinate, eccitandole con pressante ammonizione a
far risuonare le lodi del Creatore. (Le sorelle) che sono umili e sottomesse
per amore di Cristo, le onori dando loro un rango più elevato, ma quelle che
sono orgogliose, le riporti in un posto più umile col flagello della
correzione.
Si prenda cura dei beni del monastero, degli utensili e dei mobili, affinché
le tenebre della negligenza non la coprano mai con la loro ombra. Così, dopo
aver dedicato tutte le sue cure alla santa fatica, riceverà dall'Onnipotente
il frutto del suo impegno (cfr. Sal 127,2).
Ogni sabato, dopo la preghiera dell'ora nona (cfr. At 3,1), sia le preposite
[1] anziane che quelle giovani visiteranno i
letti di tutte le sorelle per cercare le negligenze e per vedere se ci sono
oggetti tenuti illegalmente e senza permesso.
Allo stesso modo, dopo la compieta, visiteranno i letti di tutte con la luce
per esaminare chi è vigile e chi è tiepida nella preghiera. Bisogna fare la
stessa cosa a tutti gli uffici della notte per sapere quali (sorelle) si
alzano per l'ufficio con fervore, quali con tiepidezza: quelle che saranno
trovate colpevoli di lentezza o noncuranza, siano corrette secondo la loro
colpa e la loro età, sia con un rimprovero, sia con la sferza.
Capitolo III. La portinaia del monastero.
La portinaia o la custode del
monastero devono essere tali da contribuire al bene di tutte, e siano di età
avanzata, in modo che il mondo non dica loro più nulla e non desiderino
certamente nulla delle vanità di questo mondo; altresì, aderendo con tutto
lo slancio dei loro cuori al loro Creatore, ognuna possa dire: "Per me, il
mio bene è stare vicino a Dio; nel Signore Dio ho posto il mio rifugio" (Sal
72,28).
Che cosa possono infatti desiderare degli ornamenti di questo mondo coloro
che, avendo disprezzato i beni deperibili, hanno cominciato ad amare Cristo,
dopo aver riconosciuto in Lui il sommo bene attraverso la contemplazione
dello spirito? Perciò, siano molto salde nella stabilità dello spirito,
affinché possano dire al Signore nella preghiera con il Profeta: "Distogli i
miei occhi dal guardare cose vane, fammi vivere nella tua via" (Sal 118,37).
A tutti coloro che verranno, esse offriranno sempre un esempio che
glorificherà il nome del Signore al di fuori, tramite i visitatori, come
dice il Signore: "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché
vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei
cieli" (Mt 5,16); allo stesso tempo, all'interno, esse si preparano una
ricompensa, tramite le loro sorelle, poiché è nel nome di tutte che si
prendono cura dell'esterno. Siano prudenti nella loro condotta, abbiano
l'umiltà, maestra delle virtù, e così manifestino con l'affabilità delle
loro parole il fascino della perfetta pazienza. Mai una sola o due (sorelle)
abbiano una conversazione senza una terza come testimone. Non alzino mai gli
occhi per osservare laici o chierici ma, col viso umilmente inclinato e gli
occhi abbassati, dicano il necessario.
Tra tutti si prenderanno cura dei poveri, dei pellegrini e degli ospiti,
poiché è nella loro persona che si riceve Cristo, come ha detto Lui stesso:
"Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più
piccoli, l’avete fatto a me "(cfr. Mt 25,40).
Non si permettano di dare qualcosa all'esterno, di servirlo a qualcuno o di
ricevere qualcosa dall'esterno senza il permesso della badessa, e ciò che
hanno ricevuto dall'esterno come regali o come elemosine, che non lo portino
alla celleraria prima di averlo depositato davanti all'oratorio e che
l'intera comunità abbia pregato per il donatore.
Non prestino attenzione ai pettegolezzi che dovessero sentire alla porta,
fatti dai secolari o da chiunque altro: e se, anche non volendo, li
sentissero o li percepissero in parte, non riferiscano nulla alle loro
sorelle. Se trasgrediscono in qualche modo ciò che abbiamo appena detto,
siano punite con la penitenza regolare. Se si manifestano (il loro errore)
con umile giustificazione, siano giudicate secondo l'umiltà della
confessione. Se, al contrario, si aggiunge la colpa dell'ostinazione, la
penitenza sarà maggiore. Essi non conserveranno mai le chiavi delle porte e
del portone d'ingresso
[2] durante la notte, ma di notte le
riporteranno indietro alla badessa e le riceveranno di nuovo la mattina dopo
(l'ufficio) della seconda ora. Anche le cellerarie, le fornaie e le cuoche
faranno lo stesso, così che dal tramonto del sole - o quando un lavoro
necessario sarà completato – e fino alla seconda ora la badessa conservi le
chiavi. Se sorge una necessità, manterranno le chiavi di notte con
l'autorizzazione della badessa e le riceveranno di nuovo dopo l'ufficio
della seconda ora. Dal segnale dei vespri fino alla fine (dell'ufficio)
della seconda ora, nessuna delle porte esterne sarà aperta e nessuno
dall'esterno potrà entrare: se sarà necessario trattare un affare dopo i
vespri, tutto sarà svolto attraverso la finestra della porta. Se, a causa
dell'arrivo di ospiti o pellegrini, le portinaie non potessero unirsi alle
sorelle all'ora del pasto, mangino con le cuoche e le inservienti, o quando
avranno il tempo di mangiare. Le stoviglie e gli altri utensili che devono
usare per il servizio degli ospiti, li trattino e li custodiscano come se
fossero consacrati a Dio, in modo da non essere private della loro
ricompensa da Colui del quale esse hanno distrutto i beni invece di
conservarli, causa la loro negligenza. Non permetteranno assolutamente a
uomini o a donne di mangiare o bere nella recinzione del monastero,
all'interno delle porte, ma serviranno all'esterno, nei locali per gli
ospiti, tutti coloro che si presentano, secondo l'onore dovuto a ciascuno e
secondo gli ordini della badessa.
Ordiniamo che possono mangiare e bere all'interno solo coloro che
sono votate a Dio nel santo stato religioso e legate nell'unità
dell'obbedienza sotto una stessa regola. Le portinaie, animate da zelo verso
Dio, agiscano sempre in modo tale da conservare in ogni cosa le disposizioni
della regola per ricevere, come premio per la loro premurosa sollecitudine
ed la loro operosità, la ricompensa incorruttibile.
Capitolo IV. Quale debba essere la celleraria del monastero.
Per celleraria del monastero, ne sceglieremo tra tutte (le sorelle) della
comunità una saggia e di spirito religioso che, nell'amministrare (i beni
del monastero), non cerchi né il suo interesse né la sua volontà, ma
soddisfi l'intera comunità serenamente e con bontà. Non deve cercare di
compiacere con mezzi che la farebbero cadere nel peccato e che vi
trascinerebbero coloro che consentissero a queste colpe perverse. In altre
parole, ella non darà nulla oltre la misura prescritta a causa di qualche
amicizia o come ringraziamento per un servizio, sapendo che "Il Signore è
giusto e da sempre ha amato la giustizia: il suo volto è rivolto all'equità"
(Sal 10,7, Volg.). Sia quindi gradita a tutte grazie ad un'equa
distribuzione (dei beni assegnati). Ella sia matura nel suo comportamento,
sobria, né avida, né altezzosa, né agitata, né portata all'ingiuria, né
lenta, né pigra, ma accorta in tutte le sue azioni: che serva l'intera
comunità, sia le anziane che le stesse giovani, con l'atteggiamento
amorevole di una madre. Si prende cura di tutto ciò che le è stato affidato,
ma non si permetta di fare nulla senza l'autorizzazione della badessa. Non
turbi le sorelle in alcun modo, né le più anziane, né le più giovani, e se
una delle sorelle le pone una richiesta irragionevole, la rifiuti con una
indulgente risposta, data con voce umile, a chi chiede irragionevolmente.
Serva le sorelle colpite dalla malattia con cura diligente e con premuroso
affetto. Allo stesso modo, si prenda cura dei poveri. In tutto, abbia
davanti ai suoi occhi il timore del Signore, sapendo che lei dovrà rendergli
conto se non agisce in tutto per obbedire ai suoi precetti, ricordandosi
sempre di colui che ha detto: "Se qualcuno mi vuol servire, mi segua" (Gv
12,26). Ad ogni buona opera che facciamo uniamoci, dunque, al timore di Dio.
Ella deve essere così attenta in tutte le cose in modo che non incorra in
alcuna condanna per la sua negligenza. Fugga assolutamente dal flagello
dell'avarizia e dell'avidità. Allo stesso modo non sia avara, così come
neanche prodiga. In altre parole, così come lei non deve sottrarre i doni di
Dio onnipotente nascondendoli per avidità, allo stesso modo non deve
sprecare il bene comune distribuendo più della ragione, ma deve soppesare
tutto con misura e discernimento. E se non ha nulla da dare di ciò che le
viene chiesto, risponderà con una parola gentile e senza asprezza,
manifestando con il tono della sua risposta la dolcezza del suo cuore,
secondo ciò che sta scritto: "Favo di miele sono le parole gentili" (Pr
16,24), e ancora: "Una parola non vale più di un dono ricco?" (Si 18,17).
Ella saprà che il compito affidato alle sue cure le varrà una ricompensa
solo se si impegna a fare tutto con umiltà e gentilezza. Se non ha di che
dare a chi le chiede, non risponderà che non ce l'ha, ma dirà con un tono
pieno di fede: "Il Signore darà". Ciò che deve dare, lo concederà senza
indugio affinché il ritardo stesso non sia un'occasione di scandalo o fonte
di malcontento; ricorderà senza sosta i precetti del Signore, che non
sopporta che qualcuno dei suoi sia scandalizzato (cfr. Mt 18,6).
Capitolo V. L'amore e l'obbedienza reciproca.
Con quale zelo le monache nel monastero debbano amarsi in Cristo, il Signore
ce lo rivela attraverso il Vangelo di Giovanni quando dice: "Questo è il mio
comandamento: che vi amiate gli uni gli altri (come io ho amato voi).
Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri
amici" (Gv 15,12-13), e ancora: "Da questo tutti sapranno che siete miei
discepoli: se avete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35). Ci è stato
quindi comandato di amarci gli uni gli altri per contribuire alla salvezza
gli uni gli altri, e per imitare con un reciproco affetto colui che, secondo
l'Apocalisse "Ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue"
(Ap 1.5). Che una sorella ami così sua sorella per amore di Cristo, in modo
da non allontanare Cristo a causa di un affetto mondano. Poiché il vero
amore secondo Cristo consiste nel non fare del male al prossimo. (La
sorella) che è nostro prossimo sia dunque amata non secondo l'affetto della
carne, ma secondo il servizio dell'amore. Sia amata secondo la purezza,
amata secondo lo spirito religioso, amata con dolcezza, amata nella carità,
affinché in ogni amore si trovi sempre Cristo e che l'amore non rimanga
secondo il mondo ma secondo Dio. Questo è il precetto del Signore: "Amerai
il prossimo tuo come te stesso" (Mt 22,39). Se una sorella ama sua sorella
come se stessa, non contrarrà mai la macchia del peccato, ma adornata con la
pratica della gentilezza e dell'affetto, riceverà le ricompense eterne.
L'affetto rimanga perciò sempre nel suo cuore per estinguere il veleno della
gelosia dell'antico nemico: è per lui che, all'inizio, quando ingannò il
nostro primo padre, la morte fu introdotta nel mondo secondo ciò che sta
scritto: "Per l'invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo" (Sap
2,24). Una sorella deve amare sua sorella per non essere contaminata dalla
macchia insanguinata dell'odio e cadere nel crimine dell'omicidio, come
testimonia l'apostolo Giovanni che dice: "Chiunque odia il proprio fratello
è omicida" (1 Gv 3,15). (La sorella) ami sua sorella, temendo di non essere
assolta dalle proprie colpe per aver tenuto dentro di sé qualche motivo di
discordia, come testimonia il Signore nel Vangelo: "Se voi non perdonerete
agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe" (Mt 6,15).
Perdoniamo al prossimo, affinché l'Onnipotente ci perdoni. Dice (il
Signore): "Date e vi sarà dato" (Lc 6,38). Oh, come è giusto questo scambio!
Oh, quanto è buona questa misericordia! ricevere donando, donare ricevendo!
Nessun germe di contrasto sia trattenuto, nulla che possa alimentarlo.
L'Apostolo ci esorta dicendo: "Rivestitevi dunque di sentimenti di
tenerezza, di bontà... perdonandovi gli uni gli altri, ... come il Signore
vi ha perdonato (in Cristo)" (Col 3,13). Non ci è stato comandato di dare
qualcosa di diverso da quello che chiediamo sia dato a noi. Questo è anche
ciò che diciamo pregando: "Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li
rimettiamo ai nostri debitori" (Mt 6,12). Perdonando ai nostri debitori,
siamo liberati dal nostro debito. Perdoniamo quindi il prossimo con
dilezione ed amore, affinché Dio ci liberi dai nostri peccati nella sua
bontà e misericordia. Amen.
Capitolo VI. L'assidua pratica della confessione.
Con quale frequenza e con quale cura
è necessario praticare la confessione, la tradizione di molti Padri,
sostenuta dalle Scritture, lo ha dimostrato. Dobbiamo sempre praticare la
confessione, al fine di conservare sempre come nuovo lo stato della nostra
anima, che le seduzioni oscure del peccato invecchiano ed oscurano ogni
giorno, come ci ha insegnato la Scrittura, dicendo: "Più di ogni cosa degna
di cura custodisci il tuo cuore, perché da esso sgorga la vita" (Pr 4,23);
Allo stesso modo il beato Davide diceva al Signore nella sua preghiera: "Ti
ho fatto conoscere il mio peccato, non ho coperto la mia colpa. Ho detto:
«Confesserò al Signore le mie iniquità» e tu hai tolto la mia colpa e il mio
peccato" (Sal 31,5). Quanto è efficace una pura e pronta confessione!
Immediatamente la preghiera ottiene certamente ciò che chiede. Chi ha
confessato contro se stesso per sottrarsi al peso dei suoi peccati, ha
pianto su di sé nel confessarsi, ha reso gloria ricevendo il perdono;
piangendo ha rivelato la sua colpa, consegnandola ha ritrovato la speranza.
Infatti, non ha anticipato la fiducia della speranza, poiché ricordava di
aver detto una volta nello Spirito Santo, illuminato dal Signore, "Presso di
te è il perdono e per merito della tua legge ho confidato in te, o Signore"
(Sal 129,4, Volg.), e ancora: "Perché con il Signore è la misericordia e
grande è con lui la redenzione"(Sal 129,7). Egli riconosce che c'è
l'abbondanza della redenzione in colui presso il quale la misericordia è
eterna. Cerchiamo allora la misericordia là dove sappiamo che c'è
l'abbondanza della redenzione. Si lasci che il dolore cresca dopo la caduta,
per trovare il rimedio per la colpa. Confessate a vicenda le vostre colpe,
affinché l'Onnipotente possa perdonare i nostri peccati. Le Scritture ci
esortano dicendo: "Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e
pregate gli uni per gli altri" (Gc 5,16). Quanto si mostra grande la bontà
del giudice indulgente riversata su di noi, dal momento che i vincoli del
peccato che circondano i nostri miseri atti sono dissolti dalla preghiera
reciproca! Perciò diamoci a vicenda il conforto della preghiera, affinché,
pregando le une per le altre, siamo ben disposte al rimedio. Infatti, i
frutti sono più abbondanti quando l'ammissione delle colpe procura la
salvezza. "Affida al Signore la tua via", dice il Salmista, "ed egli agirà"
(Sal 36,5). Se l'anima è nutrita dalla rivelazione dei suoi peccati, allora
essi siano rivelati con un'applicazione quotidiana alla confessione; in
questo modo, con questa medicina quotidiana, le ferite saranno guarite. Ma
quali sono le ore giuste per lavare via queste carenze quotidiane? Noi lo
chiariremo. Tutto ciò che, per debolezza, lo spirito o la carne hanno
commesso dopo la compieta, durante l'oscurità della notte, dovrà essere
espiato con la confessione dopo la preghiera della seconda ora. Tutto ciò
che durante il giorno la tiepidezza ha fatto commettere dalla condotta,
dalla vista, dall'udito, dal pensiero, dovrà essere dichiarato per essere
purificato alla fine dell'ufficio di nona. Ed ogni macchia contratta
dall'anima dopo l'ora nona deve essere confessata prima di compieta. La
badessa, tuttavia, deve stare attenta, entrando nella sala comune dopo l'ora
seconda, a non permettere a nessuna di uscire alla fine della preghiera
senza essersi confessata. Si farà la stessa cosa dopo la nona e prima di
compieta.
Per quanto riguarda le sorelle che sono tenute in stato di penitenza per
gravi colpe, non staranno in chiesa con quelle che si comunicano, ma
canteranno l'ufficio a parte in un'altra chiesa
[3]; quando l'ufficio sarà finito, usciranno
davanti alle porte della chiesa dove coloro che si comunicano effettuano
l'ufficio e sarà loro intimato di rimanere lì; mentre la comunità esce,
prostrate a terra, chiederanno che si supplichi Dio per loro, così che i
loro gravi errori possano essere cancellati dalla contrizione dei loro
cuori, ricordando il versetto: "Un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non
disprezzi" (Sal 50,19), e (ancora): "Nella nostra umiliazione il Signore si
è ricordato di noi" (Sal 135,23). La penitente dica incessantemente nella
preghiera: "Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie
colpe" (Sal 50,11). Così, l'ira del giudice accusatore e pronto alla
vendetta sarà placata da questa umile preghiera scaturita dalla pietà del
cuore.
Capitolo VII. Le confessioni delle sorelle non devono essere manifeste.
Né la badessa, né la priora, né alcuna delle sorelle anziane a cui è stata
affidato dalla badessa l'incarico di ricevere le confessioni delle sorelle,
devono in ogni caso rendere note le colpe, grandi o piccole che siano, se
non al solo giusto giudice che lava via i peccati di tutti coloro che li
confessano. Poiché colei che, vergognandosi, ha confessato le sue ferite,
non le ha confessate per ricevere il disprezzo, ma per ritrovare la salute,
prendendo come testimone il Dio giusto dal quale ella attende la guarigione.
L'anziana tenga per sé ciò che le viene detto tenendolo nascosto con la
massima dignità, in tutta gravità e moderazione, in modo da non rischiare di
offuscare la purezza del proprio cuore mentre cosparge il medicamento sulla
ferita di un'altra. Che nessuna delle sorelle abbia la presunzione di
ricevere una confessione o di dare una penitenza senza aver ricevuto
l'ordine dalla badessa, in modo che il male commesso non sia nascosto alla
badessa, ma che ella sia consapevole di tutto ciò che succede. Se c'è una
sorella che cerca di violare questo punto della regola, sia corretta con la
dura esperienza della penitenza, per aver lasciato che la badessa ignorasse
un focolaio di peccato.
Capitolo VIII. Come si debba accorrere al segnale del Signore.
Ogni volta che si sente il segnale dell'ufficio divino, alle ore del giorno
o della notte, immediatamente, in tutta fretta, come se fosse l'araldo del
re a dare il segnale, bisogna alzarsi lasciando tutto il lavoro che si aveva
tra le mani. Così, non si anteponga nulla all'opera di Dio, ma il cuore,
attento al grido dell'araldo e sollecita all'opera di Dio, si affretti ad
accorrere in tutta gravità e dolcezza per far risuonare la gloria della sua
maestà e rendere grazia alla sua bontà. E se qualcuna si muove con
noncuranza e arriva dopo la fine del primo salmo cantato nell'ufficio,
sappia che sarà fatta indietreggiare dal suo posto fino alla fine
dell'ufficio e, mettendosi nell'ultimo posto, cioè nel luogo designato per
le negligenti di questo tipo, stia lì in piedi ed aspetti lì, con timore e
confusione; dopo la fine dell'ufficio chieda perdono con una prolungata
soddisfazione di fronte alle sue sorelle durante l'uscita della comunità.
Non devono essere messe in disparte al di fuori (della chiesa) affinché,
vinte dal sonno, non dormano o non diano allo spirito malvagio qualche
occasione di avvicinarsi a loro. Inoltre, prendendo il suo posto
all'interno, (la sorella negligente) non perde completamente ciò che è
iniziato e, vista da tutte, è umiliata dalla confusione e dal timore. E
quando le altre escono, una volta terminato l'ufficio, rimanendo nella
chiesa a causa del suo ritardo, ella canterà dodici salmi oltre a quelli
dell'ufficio. Ma se ha perso l'intero ufficio, specialmente nelle ore della
notte in cui nessun altro compito crea impedimenti, (la sorella) subirà una
giorno di privazione (della parola)
[4]. Colei che ha ricevuto l'incarico - una
sorella zelante e diligente, riconosciuta capace di questo compito - deve
annunciare le ore dell'ufficio secondo le disposizioni della badessa in modo
che l'opera di Dio non sia ritardata. Se per qualsiasi motivo si allontana
dall'esatto ordine e le ore non vengono osservate nel loro ordine, ella
subirà un giorno di privazione (della parola).
Capitolo IX. Come si debba custodire la regola del silenzio sia durante il
lavoro quotidiano, che durante il pasto, e come si debba leggere a tavola.
La regola del silenzio deve essere osservata in ogni momento e le sacre
Scritture lo manifestano quando dicono al Profeta: "Onorare la giustizia
darà il silenzio e la pace" (Is 32,17, variante). In effetti, è necessario
astenersi da discorsi inutili, futili, scurrili, perversi e malevoli. Di
questi diceva il profeta nella sua preghiera: "Poni, Signore, una guardia
alla mia bocca, sorveglia la porta delle mie labbra. Non piegare il mio
cuore a parole malvage" (Sal 140,3-4, Volg.). È quindi necessario astenersi
da inutili chiacchiere, affinché l'anima non riceva la condanna per la
negligenza di una mente incontrollata; poiché renderemo conto, secondo il
comandamento del Signore, non solo di una parola impudica e ingiuriosa, ma
anche di una parola oziosa (cfr. Mt 12,36). A cosa deve applicarsi una
monaca, se non ad attaccarsi a Dio solo, in cui lei ha fissato una volta per
tutte il suo desiderio, sia con le parole della sua bocca, sia col desiderio
della sua anima? Pertanto, a tutte le ore del giorno, eccetto durante i
pasti, dalla seconda ora fino a compieta, per tutto ciò che richiedono i
bisogni della santa regola si parlerà con l'autorizzazione della badessa. Ma
dall'ora di compieta, una volta detta la preghiera per il sonno, nessuna
sorella assolutamente si permetta di parlare, a meno che non lo esiga
un'assoluta necessità del monastero. Parlerà colei chi avrà ricevuto
l'ordine della badessa, o anche della priora, che ha la responsabilità delle
altri. A tavola, assolutamente nessuna, a parte la badessa o colei a cui la
badessa l'abbia ordinato, si permetterà di parlare per qualche necessità
comune; ma tutte, con animo attento, rendendo grazie al Creatore nei loro
cuori, si rallegrino di aver ricevuto una buona dose di cibo e di bevanda.
Per quanto riguarda la portinaia che, per giusti motivi, avrà chiesto di
parlare con la badessa, le sarà permesso di parlare, perché potrebbe esserci
una necessità che non può essere ritardata. Prima del pasto si legga sempre
un capitolo della regola o anche di più, se piace alla badessa: così, mentre
il cibo ripristina la carne, la lettura sazia l'anima. Tutto ciò deve essere
fatto con serietà di spirito e con dolce moderazione, affinché il Signore si
compiaccia in tutte queste cose.
Nei giorni di festa del Signore, cioè la Natività del Signore, la solennità
della Pasqua, dell'Epifania e della Pentecoste, o quando si celebrino altre
importanti feste del Signore o dei santi martiri, se la badessa lo permette,
non proibiamo di parlare a tavola, a condizione che ciò avvenga a voce bassa
e sobria, per timore che una voce risonante che prorompe in uno strepito non
sia ritenuta più rivelatrice di pigrizia che di gioia. E la conversazione
consiste nel parlare insieme delle Scritture, in modo da portare all'anima
un guadagno, non una perdita (cfr. Mt 16,26). Coloro che hanno ricevuto una
penitenza della privazione della parola devono osservarla ad ogni costo,
così esse meriteranno di ricevere il frutto di un'autentica mortificazione.
Ovunque si trovino, due sorelle non si permettano di parlare senza la
presenza di una terza, ma parleranno del necessario stando sempre in tre.
Capitolo X. Con quale norma si debbano somministrare i pasti e che cosa si
debba rispettare.
Per quanto riguarda le razioni da servire e da non superare ai pasti, spetta
alla sapienza della badessa valutare come regolarle con uguaglianza e
sobrietà in modo che lo spirito religioso regni in tutte le cose, come si
addice alle serve di Dio. Occorre quindi servire a tutte un'uguale quantità
di bevande e di cibo, adattate ai tempi, che siano giorni di festa, giorni
di digiuno o giorni feriali. Nei giorni feriali, decidiamo che bastano due
portate, eccetto se abbiamo ricevuto in dono della frutta: (queste portate)
infarcite di legumi o di olio, oppure guernite con una qualunque pasta di
farina. A tutte sarà data una misura uguale, a meno che la debolezza
dell'età, che rende poco resistenti, o la malattia, o la novità e
l'inesperienza di un recente ingresso nel monastero, non possano
sopportarla; ciò deve essere giudicato dalla badessa. Come bevanda, deve
essere distribuita la solita misura di bevanda fermentata, cioè di birra; se
la badessa lo decide, se il lavoro o un giorno di festa, o l'umanità per
accogliere un ospite lo richiede, verrà aggiunto del vino. Se ci devono
essere due pasti, si applica la stessa regola ad eccezione del vino.
Nei giorni di festa, in onore della sacra solennità, i corpi saranno
ristorati con una maggior scelta di cibi, vale a dire tre o quattro portate,
in modo che tuttavia, se i piatti sono più numerosi siano meno ricchi, così
che i corpi vengano ristorati da sufficiente cibo, ma non subiscano il danno
di un'eccessiva sazietà. Quando le sorelle sono sedute a tavola, nessuna di
loro alzi lo sguardo per guardare un'altra mentre mangia o guardi il cibo o
la bevanda di un'altra con sguardo malevolo. Quando il cibo è servito sul
tavolo, nessuna mangi prima che il segnale della benedizione sia suonato. La
badessa, da parte sua, farà attenzione a dare il segnale non appena il cibo
sarà servito e tutte, quando sentiranno il segnale, chiederanno ad una sola
voce la benedizione; la badessa risponda loro immediatamente, dicendo: "Il
Signore si degni di dare la sua benedizione". Questo deve essere osservato
per ciascuno dei piatti e quando si distribuiscono i frutti e la bevanda.
Deliberiamo sopra tutto ciò: che nessuna possa dare ad un'altra parte della
sua porzione, né riceverne da un'altra, con l'eccezione della badessa o
della superiora a cui la badessa ha affidato la guida. Se qualcuna
trasgredisce ciò che abbiamo appena stabilito, per ignoranza di novizia o
per temerarietà, sia corretta secondo la disciplina della regola per la sua
arrogante leggerezza.
Capitolo XI. A quali opportune ore in inverno ed in estate si debba
pasteggiare.
Dall'inizio della santissima solennità, vale a dire dall'inizio della Santa
Pasqua che celebra la risurrezione dell'Agnello immacolato, fino alla sacra
solennità della Pentecoste, quando lo Spirito Santo fu diffuso sugli
Apostoli, cioè nello spazio di cinquanta giorni, ci si ristorerà alla sesta
ora. Si cenerà anche la sera, poiché la natura di questo tempo sacro
richiede che nessuno, anche nella Chiesa, si mostri triste. Ma da Pentecoste
fino all'inizio della Quaresima, a meno che un lavoro faticoso non lo
richieda o che l'arrivo degli ospiti non lo obblighi, si prenderà un solo
pasto alla nona ora, tranne che nei giorni di grandi solennità o se un
lavoro pesante richiede che si prendano due pasti. Dall'inizio della
Quaresima fino alla santissima solennità di Pasqua, tranne la domenica, il
pasto si terrà la sera, in modo che il tempo della refezione termini prima
dell'inizio della notte, intanto che c'è luce. Al momento del servizio, (le
sorelle) si alzeranno una da ogni tavolo e si avvicineranno all'apertura
della cucina con sobrietà, in modo da non causare alcun rumore di piedi o di
piatti o altri rumori. (Queste sorelle) serviranno prima tutte insieme alla
tavola delle anziane, poi porteranno i piatti al loro tavolo. (La sorella)
preposta alla mensa organizzerà il modo in cui avrà luogo il servizio
reciproco, a turno, o mediante le più giovani se ce ne sono.
Capitolo XII. Nei giorni feriali come ci si debba dedicare al lavoro.
Bisogna certamente lavorare in ogni tempo, eccetto che nei giorni di festa,
per avere abbastanza per provvedere alle proprie necessità e con cui poter
aiutare i poveri. Tuttavia, è necessario applicarsi al lavoro manuale senza
perdere il frutto della lettura, ma all'ora stabilita ci si applichi al
lavoro e poi ci si dedichi alla lettura divina. Il lavoro manuale inizia
alla seconda ora e finisce alla nona; dalla nona ora ci si dedichi alla
lettura; se talvolta ci fosse un lavoro da fare per se stessi, come cucire o
lavare i panni, o qualsiasi altra cosa, lo si faccia con il permesso della
badessa o della priora. E se, a causa di un lavoro più faticoso o per il
caldo dell'estate, si dovesse andare prima a lavorare, la badessa dovrà
tenerne conto e decidere in modo che, se le circostanze o il peso del lavoro
più faticoso lo richiedono, secondo ciò che deciderà nella sua prudenza, le
sorelle si riposino dal lavoro a partire dalla sesta ora e, dopo il riposo o
il pasto, riprendano il lavoro fino a sera. Anzitutto la badessa, se
presente, o la priora se la sostituisce, vigili a non lasciare che una
monaca si abbandoni a chiacchiere oziose oltre a ciò che è necessario
chiedere. Durante lo stesso lavoro manuale si conservi il ricordo dell'opera
di Dio e cioè, mentre all'esterno le mani sono occupate in opere di
interesse temporale, all'interno lo spirito, accompagnando la voce, trovi
gioia nel ricordare i salmi e le scritture. Se qualcuna viola questa regola
dilettandosi nelle chiacchiere, costei subirà il castigo del silenzio. Le
penitenti, se ce ne sono, accenderanno i fuochi nella sala comune, due a
due, ogni settimana. Allo stesso modo, prepareranno tutto il necessario per
lavare il capo delle sorelle ogni sabato e per i bagni nelle feste solenni.
Se ci sono altri lavori di basso livello, le penitenti ne saranno incaricate
in modo che, eseguendo questi compiti, con uno spirito umiliato ed un cuore
contrito (Sal 50,19), nel timore di Dio, siano lavate più rapidamente dalle
loro colpe dalla misericordia di Dio Onnipotente.
Quando si va al lavoro, si canti questo versetto: "Sia su di noi la dolcezza
del Signore, nostro Dio: rendi salda per noi l’opera delle nostre mani,
l’opera delle nostre mani rendi salda" (Sal 89,17). Alla fine del lavoro, si
dica questo versetto: "Ci benedica Dio, il nostro Dio, ci benedica Dio e lo
temano tutti i confini della terra" (Sal 66,7-8). Le fornaie eseguano a
turno il loro lavoro comune, ma in modo che non siano meno di tre, a causa
della necessità di parlare. Se fosse necessario che restassero in questo
luogo, non siano meno di quattro e una di loro, un'anziana il cui spirito
religioso ispira fiducia, sia messa alla loro testa ed abbia anche la
facoltà di parlare. Il pane che preparano a turno, la loro anziana lo
consegni alla celleraria, così che, assicurate da una perfetta sorveglianza,
non debbano incorrere in alcun rimprovero. Allo stesso modo, coloro che
rimarranno al birrificio per fare la birra, avranno tra di loro un'anziana
che le comanda e che custodisca tutte le cose secondo la regola stabilita
per la fornaia.
Le cuoche cucineranno a turni di una settimana in modo che, ogni settimana,
ce ne siano tre designate per questo servizio, o più (di tre) se necessario,
affinché un lavoro imposto senza discrezione non porti come frutto la
mormorazione, là dove si dovrebbe guadagnare una ricompensa. Coloro che
entrano in carica chiederanno all'intera comunità delle sorelle di pregare
per loro e diranno durante la preghiera: "Il nostro aiuto è nel nome del
Signore che ha fatto cielo e terra" (Sal 123,8) e "Aiutaci, o Dio, nostra
salvezza" (Sal 78,9). Quelle che escono, laveranno i piedi a tutte le
sorelle e renderanno alla priora tutte le stoviglie che hanno dovuto usare.
Chiederanno nello stesso modo che si preghi per loro e diranno questo
versetto durante la preghiera: "Perché tu, Signore, mi hai aiutato e
consolato" (cfr. Sal 85,17). Per ciascuna delle loro negligenze le cuoche
come le cellerarie ricevano, nei giorni feriali, una correzione di
venticinque colpi sulla mano, per timore che, trascurando le colpe minori,
siano portate a cadere in quelle più dannose.
Capitolo XIII. Gli utensili e le cose necessarie.
La badessa si prenda cura degli utensili del monastero e di tutto ciò che è
necessario al lavoro comune. Saranno scelte nella comunità delle sorelle di
grande zelo e di ben provata coscienza, a cui sarà affidato il compito di
dare a ciascuna ciò che è necessario secondo le circostanze. Si prenderanno
cura degli utensili e di tutto ciò che la badessa ha affidato loro con lo
zelo attento ispirato dal timore, in modo da ricevere la loro ricompensa per
l'incarico loro affidato e non incorrere in una sentenza di condanna,
custodendo queste parole davanti agli occhi delle loro anime: "Maledetto chi
compie fiaccamente l’opera del Signore" (Ger 48,10).
XIV Come le sorelle debbano dormire nella stanza comune.
A tutte le ore del giorno e della notte, le anime religiose e consacrate a
Dio tengono costantemente il loro cuore pronto per Dio in modo che, anche se
le membra sono intorpidite dal sonno, l'anima rimanga sveglia, applicata con
tutto il suo ardore a lodare il Creatore secondo questo detto: "Mi sono
addormentata, ma veglia il mio cuore" (Ct 5,2). Tuttavia, un'attenta
vigilanza è particolarmente necessaria perché, se mancasse per negligenza la
sollecitudine della madre, le sorelle subordinate potrebbero subirne un
danno a causa della loro debolezza. Ecco perché decidiamo che dormiranno a
due a due nel loro letto, eccetto le malate e le anziane, in modo che non si
parlino o si guardino in faccia a vicenda, ma dormano giacendo con le spalle
girate una contro l'altra; si eviterà così che l'antico nemico, la cui avida
gola cerca di ferire le anime, scagli qualche freccia ingannevole ed ecciti
dei desideri mortali tramite le loro conversazioni. Ci si assicurerà che una
di loro sia sempre un'anziana, il cui spirito religioso sia certo. Per
quanto riguarda le più giovani, vogliamo che non dormano mai insieme, per
non essere trascinate dalla passione a (commettere) qualche colpa nel
combattimento della carne. Pertanto, se è possibile, una sola stanza le
riunisca tutte per dormire, eccetto quelle che devono essere collocate in
una stanza separata, perché la malattia o l'età avanzata lo richiedono o
perché una colpa comporta questa penalità o nel caso di una nuova arrivata
non ancora messa alla prova. Tutte dormiranno vestite e con la cintura. Una
lampada rimanga accesa tutta la notte nella stanza in cui si dorme.
Alzandosi in fretta per l'ufficio, le sorelle si faranno sulla fronte il
segno della croce e diranno nello stesso tempo silenziosamente: "O Dio,
vieni a salvarmi, Signore, vieni presto in mio aiuto" (Sal 69,2).
XV Come ci deve occupare delle sorelle malate?
Quale debba essere la cura prestata a coloro che sono colpite da malattie,
anche le parole del Maestro lo manifestano quando dice: "Tutto quanto volete
che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro" (Mt 7,2). Benché sia
un
dovere per tutti, questo comandamento deve tuttavia essere applicato prima
di tutto alla cura degli ammalati, perché il Signore ha detto: "Ero malato e
mi avete visitato" (Mt 25,36). Dobbiamo quindi sforzarci di prenderci cura
delle sorelle ammalate come se credessimo di servire Cristo in persona.
Perché colei che si prende cura delle malate per Cristo, in verità serve
Cristo nelle malate. Tuttavia, la badessa si assicuri che le malate abbiano
una cella separata con tutto il necessario, in modo che colei che sopporta
la sofferenza nella sua debole carne (cfr. Mt 26,41) non debba subire alcuna
pena esteriore. E se il tempo - ad esempio il tempo della Quaresima -
richiede alle altre sorelle di modificare il loro regime di vita, alle
malate verrà sempre accordata una razione più abbondante di bevande e di
cibo. Ci si impegnerà assiduamente affinché possano utilizzare i bagni e le
cure mediche. Alle (sorelle) sane, specialmente le più giovani, i bagni
verranno concessi più raramente. La badessa deve trattare le malate come lei
spera di essere trattata dal Signore, in modo che le malate non siano
trascurate né dalla celleraria, né dalla sorella che le serve. Per quanto
riguarda quelle che sono debilitate dalla vecchiaia, si abbia cura che non
vengano trascurate in alcun modo ma tutto ciò che è stato ritenuto
necessario a ciascuna, secondo il giudizio della badessa, dovrà essere
accordato alla loro debolezza con amorevole rispetto. Non possono, infatti,
essere assoggettate alle disposizioni della regola, ma piuttosto occorre
comportarsi con loro con affettuosa bontà.
Capitolo XVI. Gli eventi che accadono per negligenza o dovuti al caso.
La badessa nel suo giudizio dovrà tener conto della gravità della negligenza
che in molte occasioni è all'origine di molte colpe. Vale a dire se nel
refettorio, nella cucina, nel dormitorio o in qualsiasi attività, qualcosa è
stato rotto, perso o danneggiato per negligenza, tutte le cose devono essere
apprezzate nella loro misura e corrette tenendo conto dell'età delle
sorelle, sia giovani, sia anziane, sia sorelle nel pieno della forza. Perché
se il vizio della negligenza non è corretto in cose di poca importanza, il
cuore viziato dalle piccole colpe cadrà in trasgressioni più grandi. Se la
sorella, caduta in uno di questi casi, fa subito una confessione sincera
alla badessa o alla priora, e se è provato che l'incidente si è verificato
suo malgrado, basterà che non neghi - se è possibile - il male che ha fatto
e commesso e che ripari scusandosi e chiedendo perdono. Se, al contrario, la
cosa viene saputa non per la sua confessione, ma per la denuncia di
un'altra, sarà sottoposta a una penitenza proporzionata alla gravità della
colpa, perché non ha manifestato questa colpa con una confessione sincera.
Ma se una sorella ha commesso una di quelle gravi colpe che causano maggiori
danni all'anima, ella la manifesterà alla badessa in segreto, mediante una
sincera confessione e di sua spontanea volontà, per timore che, mentre non
osa rivelare a tempo debito la colpa della sua anima, nasconda dentro di sé,
oltre all'accusa della sua colpa, anche il volto del diavolo.
Capitolo XVII. Nel monastero nessuna monaca deve rivendicare qualcosa come
proprio.
Nel monastero non si deve avere
nulla di proprio, ma piuttosto disprezzare tutto per il nome del Signore.
Che cosa potrebbe, infatti, rivendicare come suo, tra i beni di questo
mondo, l'anima fedele per la quale il mondo è crocifisso ed essa per il
mondo" (cfr. Gal 6,14)? Dato che essa è morta per il mondo una volta per
tutte, perché dovrebbe ricominciare a vivere per il mondo con l'avidità dei
beni temporali o con qualche tormentato desiderio, lei che, avendo
disprezzato il mondo, aveva iniziato a vivere per Dio (cfr. Rm 6,10)? È
quindi necessario, in ogni monaca, sradicare questa vizio alla radice, in
modo che non rivendichi o dica suo alcun oggetto, né vestiti, né calzature o
qualsiasi altra cosa, se non ciò che le è stato comandato di custodire per
ordine della badessa, come se essa fosse custode del bene altrui e non
padrona di un bene che le appartenesse. E di tutto ciò che le è stato
affidato dalla badessa per i suoi bisogni materiali, che si tratti di
vestiti o di qualsiasi altra cosa, ella non si permetterà di dare o prestare
qualcosa a nessuna, a meno che la badessa non lo ordini. Che cosa potrebbe,
infatti, dare ad un'altra sorella dei beni di questo mondo dato che, a causa
di Cristo, essa ha abbandonato tutte le sue volontà in potere della badessa?
Di conseguenza tutto ciò che è nel monastero sia comune a tutti, come
leggiamo negli Atti degli Apostoli: "Fra loro tutto era comune" (Atti 4,32).
Tuttavia, considerando queste cose come un bene comune, nessuna si
permetterà di dare o ricevere nulla senza l'ordine della badessa, per paura
che, cadendo nella trappola pericolosa della cupidigia o della temerarietà,
ella condivida il destino di Giuda il traditore, l'unico tra gli Apostoli
che si dice avesse la borsa, dove teneva i fondi provenienti da scambi o da
vendite (cfr. Gv 12,61; 13,29). Se una sorella viene sorpresa a compiacersi
in questo vizio e se dopo una prima, una seconda e una terza correzione,
rifiuta di fare ammenda, sarà sottoposta alla disciplina regolare.
Capitolo XVIII. La scomunica per le colpe.
Se una sorella, su istigazione del diavolo, è apparsa ostinata, arrogante o
disobbedienti o mormoratrice o se, caduta in qualche colpa, cerca di violare
i precetti delle anziane o la norma della santa regola, secondo il precetto
di Signore sarà ripresa in segreto dalle anziane una o due volte. Se non fa
ammenda, sia biasimata da tutta la comunità. E se in seguito non vuole
emendarsi, allora, secondo ciò che richiede l'importanza della sua colpa,
sarà giudicata secondo la regola, cioè sarà sottoposta alla scomunica, se ne
ha già una comprensione sufficiente. Ma se persevera nell'ostinazione di un
cuore indurito e persiste nel suo peccato e nella sua malignità, allora sarà
soggetta a punizioni corporali.
Capitolo XIX. Come debba essere la scomunica.
La gravità della colpa chiarisce quale debba essere la misura della
scomunica a coloro che sanno ponderare con un giusto giudizio. Infatti, alle
colpe lievi è necessario applicare una leggera correzione ed alle più gravi
una punizione più intensa. Questo è il motivo per cui la valutazione spetta
alla badessa. Se una sorella è colpevole di reati minori, sarà privata del
posto a tavola fino all'ora stabilita. Ma per le colpe più gravi, si
determinerà una durata di giorni, settimane o mesi per una correzione
prolungata. Tuttavia, si applichi questa regola: se la scomunica si estende
per più di sette giorni, fino a quando lo stato di penitenza rimane in
vigore, la sorella non sarà priva solo del suo posto a tavola, ma anche
tenuta in disparte nella chiesa. Vale a dire che non canterà salmi nel posto
che prima era il suo, né manterrà il suo turno finché, con un'umile
soddisfazione fatta con la contrizione del cuore, essa si meriti il perdono
della badessa e delle anziane. Per quanto riguarda la sorella scomunicata
che, per colpe più gravi, è rinchiusa in una cella o esclusa dalla vita
della comunità, essa non avrà alcun diritto di avere colloqui o visite, se
non di colei alla quale la badessa lo avrà ingiunto. Se qualcuna
trasgredisce questa regola, sarà soggetta a regolare penitenza.
Capitolo XX. A proposito delle sorelle che, pur essendo state spesso
corrette con solleciti rimproveri, non vogliono emendarsi.
Se una sorella, spesso rimproverata, si rifiuta di fare ammenda, sarà punita
con la scomunica in base al suo grado di colpa. Se anche allora la
correzione di colei che la riprende non ha alcun effetto, sarò sottoposta
alla punizione delle verghe. Se poi si rifiuta di fare ammenda e, al
contrario, gonfiata dal fermento dell'orgoglio, difende la condotta e gli
atti per cui è punita, allora la badessa, secondo la sua esperta gestione,
infliggerà una punizione, perché sta scritto: "È infelice chi rifiuta la
disciplina" (Sap 3,11). Guidata dalla sua esperienza, (la badessa)
applicherà la sua cura per guarire l'ascesso. Se questa ferita mortale non
guarisce né con il rimedio della punizione, né con l'unguento della bontà e
della dolcezza, sarà necessario reciderla con un'incisione. E se anche
allora l'apertura dell'ascesso non ha eliminato il tumore, la sorella
incorrerà nella sentenza della scomunica o nella punizione con un castigo
corporale. E se non si sottomette, né con la paura della scomunica, né con
la punizione della flagellazione, si aumenti ulteriormente il fuoco della
carità, Allora tutta la comunità riunita implorerà per lei il Signore di
tutti attraverso la preghiera, affinché la sorella imprigionata nelle reti
del diavolo sia assistita dalla misericordia e dalla bontà del Signore. Se
anche così non vuole correggersi, rimanga separata da tutte, eccetto dalle
sue guardiane, nel recinto del monastero, nella condizione di penitente e
sia castigata con varie punizioni fino a che non darà a tutte delle indubbie
prove della sua umiltà. Perché spesso la salvezza è accordata anche a coloro
che l'hanno rifiutata. Deve essere separata dalla comunità in modo che non
contamini le innocenti con il suo vizio. Una sorella di tenera età, che non
conosce la gravità della scomunica, non dovrà essere corretta mediante la
scomunica, ma con il flagello.
Capitolo XXI. L'accettazione delle sorelle (fuggite dal monastero).
Se mai - ciò che non è consentito nello stato religioso cristiano - una
sorella lascia il recinto del monastero per fuggire all'esterno, ma poi,
ricordando il suo precedente stato religioso e colta dal timore di un
giudizio eterno ritorna, dovrà prima promettere al monastero un emendamento
totale; in seguito, se il suo pentimento è riconosciuto accettabile, solo
allora sia ricevuta entro le mura del monastero. E se ripeterà ciò due o tre
volte, sarà circondata dalla stessa bontà; tuttavia, accolta nell'ultima
fila tra le penitenti, verrà messa alla prova per qualche tempo fino a
quando la sua condotta sarà trovata accettabile. Ma se, dopo essere stata
così ricevuta per la terza volta, si macchia della colpa della fuga, sappia
che d'ora in poi le sarà impedita ogni via di ritorno.
Capitolo XXII. Come le sorelle siano reciprocamente umili e osservino il
loro posto. Come debbano osservare i precetti anche nelle azioni
insignificanti.
Con quale affetto e quale prestazione di carità devono amarsi le anime che
vivono nel monastero, le istituzioni dei santi Padri l'hanno insegnato: ma
con quali atti e quali servizi questo deve manifestarsi, spetta a noi
specificarlo. Inoltre, il gran numero delle virtù forma un cerchio molto
ampio e l'anima che se ne circonda conquista facilmente la vittoria sul
nemico. Ci sono, infatti, molti dettagli che appaiono in effetti molto
piccoli e che, tuttavia, mostrano, a seconda che li si osservi o li si
trascuri, la tiepidezza o il fervore del cuore; così, il fatto di inclinare
la testa o di salutarsi con parole affabili rivela se le disposizioni sono
quelle di un cuore duro o di un cuore abitato dallo spirito di concordia o
da un'autentica bontà. I servi e le serve di Cristo devono quindi fare
attenzione a mantenere nei loro cuori ciò che non separa dalla vera umiltà e
carità, nelle quali consiste la totalità delle virtù. Poiché senza vera
umiltà non c'è vera carità, né senza vera carità c'è vera umiltà. Cerchiamo
quindi di gettare le fondamenta per raggiungere la vetta delle virtù.
Innanzitutto bisogna manifestare l'umiltà negli atti e nei sentimenti,
affinché su di essa si edifichi una grande carità. Quando (le sorelle) si
incontrano nel loro andirivieni o in qualsiasi luogo, si inchinino in tutta
umiltà e si chiedano l'un l'altra la benedizione. Se una di loro è più
anziana, la più giovane chiederà per prima la benedizione, poi l'anziana
farà lo stesso. All'ufficio manterranno il loro posto, come ha stabilito la
badessa, sia per cantare un salmo, o per recitare le letture, o alla
comunione, per non cadere nel vizio dell'ambizione o dell'arroganza andando
oltre il luogo loro assegnato. La badessa, però, deve garantire che il loro
posto corrisponda all'ordine di entrata in monastero, a meno che una vita
più religiosa faccia meritare a qualcuna di essere promossa ad un rango
superiore o se, a causa di una grave colpa, sia costretta a retrocedere dal
suo posto. Ma se una sorella cerca di prendere il posto di una più anziana,
venga respinta con un'umiliante penitenza, per aver cercato l'onore di un
posto che non le era dovuto e per aver agito in uno spirito non di religione
ma di ambizione, nel tentativo di impadronirsi di questo onore che non le
era dovuto. Quando le sorelle sono riunite insieme, se arriva un'altra
sorella le più giovani di grado si alzino e lascino il posto a una più
anziana. Le più giovani non dovranno mai contraddire orgogliosamente una più
anziana, ma risponderanno con perfetta umiltà a chi le interroga o le
rimprovera. Se una giovane vede un'anziana cadere in una qualche mancanza
non le farà un rimprovero, ma se ne rattristerà e la manderà dalla badessa o
dalla priora a confessarsi: un'anziana farà lo stesso per una giovane. Chi
viene alla confessione si prostrerà per terra, dichiarandosi colpevole:
quando avrà ricevuto l'ordine di alzarsi, farà la sua confessione. Quando si
chiede il permesso di fare un lavoro prima si chieda perdono, poi si chieda
il permesso di eseguire il lavoro in questione. Quando si viene dalla
badessa, ci si avvicini umilmente chiedendo il permesso; allo stesso modo,
chiedendo il permesso di andarsene, le sarà chiesto di dare la benedizione.
Nessuna monaca parlerà lei stessa alla badessa di ciò di cui ha bisogno, ma
tutte faranno attenzione a far sapere alla badessa attraverso la priora ciò
che è loro necessario. Se arriva un prete o un religioso e, con
l'autorizzazione della badessa, si deve andare ad incontrarlo, (le sorelle),
stando a distanza e piegando umilmente il ginocchio, chiedano a bassa voce
la benedizione. E se una sorella riceve l'ordine della badessa di conversare
con loro, essa parlerà con tutta l'umiltà, la modestia e la sobrietà
possibili: si manifesti in tutto la virtù dell'umiltà e della sobrietà.
Capitolo XXIII. Nessuna (sorella) difenda un'altra sorella o una parente nel
monastero.
Stabiliamo che non è permesso in alcun modo nel monastero di difendere una
sorella o una parente. Perché dovrebbe difendere un'altra, colei che ormai
non vive più per se stessa (cfr. Gal 2,20) ma per Cristo, rimanendo
crocifissa per imitarlo (cfr. Rm 14,7-8; Gal 6,14)? colei che ha perso la
propria vita (cfr. Mc 8,35) per darle più abbondantemente la salvezza? E
colei che ha perso le proprie volontà per la volontà di Cristo da adempiersi
in lei, perché dovrebbe diventare l'avvocato dei peccati degli altri, lei ha
inchiodato i suoi alla croce (cfr. Gal 5,24)? E se ha davvero inchiodato (i
suoi peccati) alla croce e non vive più per il mondo, ma per Cristo, perché
dovrebbe difendere in nome di un legame di familiarità quelle che ricadono
nel mondo per le loro colpe? Quindi lei abbia un amore uguale verso una
parente e verso un'altra sorella a cui non è congiunta con legami del
sangue. Di conseguenza in tutte l'amore rimanga racchiuso nel cuore e
nessuna cerchi di proteggere una sorella soggetta alla disciplina regolare,
in modo che questo vizio di difendersi non si comunichi alle altre. Spetterà
quindi a colei che è responsabile della correzione di sottoporre alla
disciplina quelle che corregge con lo zelo dell'amore, non per soddisfare la
propria volontà, ma per correggere i vizi.
Capitolo XXIV. La formazione delle bambine (nel monastero).
Abbiamo appreso da molti esempi con quale con cura e fermezza dobbiamo
educare le bambine nel monastero. Devono essere assistite con tutto
l'affetto della bontà e l'impiego della disciplina, affinché nella loro
tenera età non siano contaminate dal vizio dell'ozio o della leggerezza, da
cui poi non possano più esserne corrette se non molto difficilmente. Si
abbia così tanta cura verso di loro che non rimangano mai senza un'anziana
che impedisca loro di deviare da una parte o dall'altra della retta via ma,
sempre moderate dalla sua fermezza e formate dall'insegnamento del timore e
dell'amore di Dio, siano addestrate all'osservanza della vita religiosa. Si
esercitino alla lettura in modo da poter imparare nella loro giovane età ciò
che sarà loro utile quando saranno adulte. Nel refettorio abbiano la loro
propria tavola, vicino alla tavola delle anziane. Tuttavia, due o più
anziane, il cui spirito religioso sia sicuro, stiano a tavola con loro
affinché, avendo sempre il timore davanti ai loro occhi, siano educate
temendo le anziane. Spetterà al giudizio della badessa decidere a che ora
prendano i loro pasti ed il loro sonno, così che in tutte le cose sia
osservata la discrezione, che è la tutela delle virtù.
[1] Le preposite, ovvero le
sorelle responsabili della disciplina, sono indicate col termine
latino al plurale "praepositae".
Lo stesso termine al singolare "praeposita"
indica la priora.
[2] Secondo la
Vita di san Colombano nel
monastero di
Éboriac
vi erano tre porte d'ingresso.
[3] Molto probabilmente vi erano
due chiese all'interno del monastero.
[4] Nella
Patrologia Latina del
Migne si trova il termine "suppositio",
mentre in altri manoscritti si trova, più correttamente, "superpositio".
Secondo A. de Vogüé, "Histoire
littéraire du mouvement monastique dans l'antiquité: Première
partie: Le monachisme latin", Editions du Cerf, 2006, il termine
"superpositio",
menzionato ben 22 volte nella Regola Cenobiale di Colombano, sembra
significare una privazione della parola, o forse talvolta del
nutrimento, per un giorno. Al capitolo 6 della Regola Cenobiale si
trova anche il termine specifico "superpositio
silentii" per indicare la privazione della parola.
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27 maggio 2018 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net