REGULA CUJUSDAM PATRIS AD VIRGINES
Regula Waldeberti |
REGOLA DI UN CERTO PADRE ALLE VERGINI
Regola di Walbert (o Valdeberto)
Libera traduzione dal testo latino |
CAPUT PRIMUM. Abbatissa
monasterii qualis esse debeat?
Abbatissa monasterii
non tam genere quam sapientia et sanctitate nobilis esse debet: ut
quae sermonem ad erudiendas animas justa eruditione lucubrat,
propriis actibus non contradicat: plus etenim subjugatae praelatorum
actuum formam imitantur, quam doctrinae illatae aurem accommodant.
Debet enim sacris eloquiis opera nectere sacra: ut quae ejus
imitatur doctrinam ex voce, imitetur cultum ex opere: ne si in
aliquo voci opus contradixerit, fructus vocis non obtinere valeat
effectum.
Sic ergo sit et voce
ornata et opere, ut et opus voci, et vox consentiat operi; sit
continentiae et castitatis flore compta, et omnium ore laudabilis,
omnium desideriis imitabilis exemplo. Sit charitatis benevolentia
ornata, ut omnium fidelium laetificet corda. Erga peregrinorum et
hospitum sollicitudinem praesto: erga infirmantium curam sollicita;
erga inopum et egenorum juvamen opulenta.
Sic delinquentium
ignaviam corrigat, ut ad cultum religionis lascivas et fessas mentes
reducat. Sic misericorditer bonitatis dona distribuat; quatenus ex
nimia bonitate facinorum fomenta non nutriat. Sit ergo bonis bona
per meritum, sit malis mala per flagellum, quod mediante scientia
agendum est, juxta Psalmistae orationem dicentis: Bonitatem et
disciplinam et scientiam doce me, Domine (Psal. CXVIII). In
utroque etenim abbatissae cavendum est, ne aut nimia bonitate in
subjectarum cordibus vitia nutriat, aut nimia disciplinae
austeritate ea quae leni increpatione sananda fuerant, rigida
correptione diripiantur. Incautis etenim sic blanda persuasione
subveniat, ut eorum saniei antidoti quodammodo medendo curam
infundat: sanis vero moribus ea hortando praebeat, ut quae agere
coeperunt, meliorando usque ad finem perducant.
Nihil etenim
prodest coepisse, si in opere bono quod coeperant non studeant
perseverare.
Habeat ergo tot
animos mater, quot habet in suo regimine filias; ut juxta omnium
mores omnium noverit vitia coercere. Tanta sit in omnes providentia,
ut nec pietas disciplinae, neque disciplina pietati locum tollat.
Agat omnium curam, ut de omnium profectu mercedis recipiat lucra; ut
ex corruptione praesentis vitae quandocunque erepta tantum laboris
recipiat praemium, quantis ad vincendum inimicum praesidiis praebuit
supplementum. |
Capitolo I. Quale deve essere la madre
badessa del monastero?
La badessa del monastero deve essere
nobile, non tanto per nascita quanto per saggezza e per santità,
perché, coltivando la parola per istruire le anime con giuste
istruzioni, deve stare attenta a non contraddire questo linguaggio
con le sue azioni; le (sorelle a lei) subordinate, di fatto, si
modellano sugli atti dei superiori più di quanto ascoltino i loro
insegnamenti. Deve quindi far seguire ai santi discorsi le sante
opere: così colei che prenderà come guida il suo insegnamento e la
sua parola potrà anche imitare il suo comportamento e le sue opere;
perché se l'opera in qualsiasi punto contraddice la parola, la
parola inefficace non darà i suoi frutti.
Dovrà brillare sia con le parole che con
le opere, in modo che le sue opere siano in armonia con la sua
parola e la sua parola con le sue opere; dovrà adornarsi con i fiori
del dominio di sé e della castità; così tutte saranno in grado di
lodarla e di desiderare di imitare il suo esempio.
Dovrà adornarsi di una benevola carità,
in modo da rallegrare i cuori di tutti i fedeli. Si mostri piena di
sollecitudine verso i pellegrini e gli ospiti, attenta al curare gli
ammalati, generosa in elemosina verso i poveri e gli indigenti.
Corregga la negligenza delle colpevoli e
riporti all'osservanza della vita religiosa le anime rilassate e
scoraggiate. Sparga con misericordia i doni della sua bontà, senza
tuttavia, per eccesso di bontà, favorire le mancanze. Si mostri
buona verso coloro che sono buone premiandole, rigorosa con le
malvagie castigandole: ciò che si realizza per mezzo della sapienza,
secondo la preghiera del Salmista che dice: "Insegnami, Signore, la
bontà, la disciplina e la sapienza" (Sal 118,66, Volg.).
La badessa deve, infatti, fare attenzione
a due eccessi: un eccesso di bontà che alimenta i vizi nei cuori
delle (sorelle a lei) subordinate, un eccesso di severità che
finisce per affliggere a causa di una correzione troppo severa,
quelle che sarebbe stato necessario guarire con un lieve rimprovero.
Le imprudenti, le aiuti e le incoraggi con una moderata persuasione,
riversando sui loro ascessi, come medicamento, l'antidoto delle sue
cure. Coloro che hanno un buon comportamento, le sostenga con le sue
esortazioni, dando così loro i mezzi per portare a termine con
successo ciò che hanno intrapreso. Non serve loro a nulla, infatti,
l'aver imboccato (questa via), se non si sforzano di perseverare nel
bene incominciato (cfr. Mt 10,22).
Si consideri come la madre di tante anime
quante sono le figlie che ha sotto la sua direzione, e sappia
reprimere i vizi di ciascuna secondo il temperamento di ciascuna.
Nel suo desiderio di adattarsi a ciascuna, eviti di sostituire la
tenerezza alla severità e la severità alla tenerezza. Si prende cura
di tutte, per essere ricompensata del progresso di tutte. Così,
quando sfuggirà alla corruzione della vita presente, riceverà un
salario tanto maggiore per la sua fatica, quanto più avrà difeso ed
aiutato (le sorelle) a sconfiggere il nemico.
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CAPUT II. Qualis
debeat esse praeposita monasterii.
Praeposita
monasterii non aetate senili, sed moribus constituenda est. Multas
etenim prolixitas annorum attollit, sed dedecus torpentis vitae ad
infantiae immaturitatem tepescendo reducit. Constituenda ergo est
praeposita moribus gravis, sermone solers, ingenio fortis,
consideratione vigil, cursu impigra, correptione pia, disciplina
moderata, actu casta: moribus sobria, dispensatione aequa,
humilitate ornata, patiens, mitis, non turbulenta, non iracunda, non
superbiae vel arrogantiae vitio maculata, non prodiga, non garrula,
sed omni actu religionis ornata, quae sciat languentium moribus
subvenire, et tepescentium ignaviam excitare: super quam abbatissa
requiescat, ut in nullo ab ejus praeceptis deviet; sed in omnibus
subdita, et in jussis senioribus detenta, nihil quod abbatissae
voluntati sit contrarium aut faciat, aut ordinet faciendum, sed
omnia per ejus interrogationem; juxta illud quod scriptum est: Interroga patrem
tuum, et annuntiabit tibi; majores tuos et dicent (Deut.
XXXII). Interrogandum semper est, ut in nullo a seniorum
consilio animae subditae discrepent; in nullo oves a pastoris
voluntate declinent. Sprevit namque seniorum consilia Roboam,
juvenum usus consilio. Quae res qualis dispendii fuerit occasio
Scripturae veritas attestatur, qui, omissa dominatione undecim
tribuum, vix cum una tribu inter tot pressurarum dispendia absque
mortis crudelitate reliquum vitae peregit. Debet namque esse omnium
necessitatum tam corporis quam animae provida: ut et subsidia
praesentis necessitatis porrigat, et corda subditarum ad laudem
Creatoris intonandam ex sedula admonitione excitando erigat; humiles
et propter Christum subjectas honorando in sublime provehat: sese
vero attolentes castigationis flagello ad gradus humilitatis
retrahat. Curam in rebus monasterii, seu vasis, seu supellectilibus
ita habeat intentam, ut in nullo negligentiae tenebris reperiatur
fuscata: ut dum sacri laboris omnem curam adhibet, ab omnipotente
fructum laboris recipiat. Omnibus Sabbatis post horam orationis
nonam tam seniores quam juniores praepositae lectos omnium sororum
visitent, et faciant propter earum negligentias inquirendas, aut si
aliquid inveniatur illicite et sine commeatu retentum.
Itemque post
completam lectos omnium cum luminaribus visitent, ut omnium
expergiscentem sensum vel tepescentem ex oratione agnoscant.
Similiter ad omnes cursus nocturnos hoc est faciendum, ut sciant
quae cum fervore, vel quae cum tepiditate ad cursum assurgunt: et
eas quas tarditate vel segnitie culpabiles repererint, prout culpa
vel aetas fuerit, aut increpatione aut flagello corripiant. |
Capitolo II. Come debba essere la priora
del monastero.
La priora del monastero deve essere
stabilita in ragione della maturità della sua condotta e non della
sua età avanzata; in effetti, il gran numero di anni è per molte un
argomento di elevazione, ma la vergogna di una vita tiepida e
rilassata le riporta all'immaturità dell'infanzia. Per questo motivo
sarà necessario scegliere una priora che sia seria nella sua
condotta, edotta nelle sue parole, ferma nel carattere, attenta a
tutto, solerte nell'azione, garbata nella correzione, moderata nella
punizione, casta nel suo comportamento, sobria nella sua condotta,
onesta nella gestione, brillante per la sua umiltà, paziente,
cordiale, né turbolenta, né aggressiva. Che non sia contagiata né
dall'orgoglio, né dall'arroganza, che non sia né esuberante né
loquace, ma apprezzabile in ogni cosa nell'osservanza religiosa;
sappia aiutare le anime malate e risvegliare il torpore delle
tiepide.
La badessa possa riposare su di lei, in
modo che non si allontani in nulla dai suoi precetti; sia invece
sottomessa in tutte le cose e, attenendosi agli ordini della sua
superiora, non faccia e non ordini di fare nulla di contrario dalla
volontà della badessa, ma chieda la sua opinione in tutto secondo
ciò che sta scritto: "Interroga tuo padre e te lo racconterà, i tuoi
vecchi e te lo diranno" (Dt 32,7). Bisogna chiedere sempre, in modo
che le anime subordinate non si oppongano mai all'opinione delle
anziane e che le pecore non si discostino dalla volontà del pastore.
Roboamo disprezzò l'opinione degli anziani, seguendo quella dei
giovani. Di quali danni fu causa, la verità della Scrittura ce lo
testimonia: avendo perso il potere su undici tribù, gliene era
rimasta a malapena una con la quale passò il resto della sua vita,
in mezzo a ogni tipo di afflizione, senza considerare la crudeltà
della morte (cfr. 1 Re 12,6-19).
La priora deve prendersi cura di tutti i
bisogni del corpo e dell'anima, per offrire gli aiuti necessari per
la vita presente e per elevare il cuore delle (sorelle a lei)
subordinate, eccitandole con pressante ammonizione a far risuonare
le lodi del Creatore. (Le sorelle) che sono umili e sottomesse per
amore di Cristo, le onori dando loro un rango più elevato, ma quelle
che sono orgogliose, le riporti in un posto più umile col flagello
della correzione.
Si prenda cura dei beni del monastero,
degli utensili e dei mobili, affinché le tenebre della negligenza
non la coprano mai con la loro ombra. Così, dopo aver dedicato tutte
le sue cure alla santa fatica, riceverà dall'Onnipotente il frutto
del suo impegno (cfr. Sal 127,2).
Ogni sabato, dopo la preghiera dell'ora
nona (cfr. At 3,1), sia le preposite
[1]
anziane che quelle giovani visiteranno i letti di tutte le sorelle
per cercare le negligenze e per vedere se ci sono oggetti tenuti
illegalmente e senza permesso.
Allo stesso modo, dopo la compieta,
visiteranno i letti di tutte con la luce per esaminare chi è vigile
e chi è tiepida nella preghiera. Bisogna fare la stessa cosa a tutti
gli uffici della notte per sapere quali (sorelle) si alzano per
l'ufficio con fervore, quali con tiepidezza: quelle che saranno
trovate colpevoli di lentezza o noncuranza, siano corrette secondo
la loro colpa e la loro età, sia con un rimprovero, sia con la
sferza.
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CAPUT III. De
monasterii portaria.
Portaria seu
ostiaria monasterii tales esse debent, quae omnium simul mercedem
aedificent, aetate senili, quibus mundus silet; quae jam ex
praesentibus pompis nihil desiderent: sed in toto cordis affectu
Creatori inhaerentes singulae dicant: Mihi autem adhaerere Deo
bonum est, ponere in Deo spem meam (Psal. LXXII). Quid enim ex
praesentibus phaleramentis desiderent, quae perfunctoriis contemptis
Christum amare coeperunt; in quem summum bonum contemplatione mentis
manere conspexerunt? Sint ergo mentis suae statu firmissimae, ut
Domino cum Propheta orando dicant: Averte oculos nostros, ne
videant vanitatem, in via tua vivifica nos (Psal. CX). Tale
semper supervenientibus ostendant exemplum, ut et foris ab extraneis
nomen Domini glorificetur; juxta quod Dominus ait: Sic luceat lux
vestra coram hominibus, ut videant opera vestra bona, et glorificent
Patrem vestrum qui in coelis est (Matth. V): et intus a
consodalibus suis mercedis praeparent lucra, dum omnium vice foris
gerunt curam. Sic cautae moribus cum virtutum magistra humilitate
existant, ut omnis patientiae blandimenta ex colloquio affabili
ostendant. Nunquam singulae vel binae sine tertia teste loquantur.
Nunquam oculos in sublime attollentes laicos vel clericos intente
aspiciant: sed remisso cum humilitate vultu inclinatis oculis
necessaria colloquantur. Pauperum, peregrinorum, et hospitum curam
inter omnia habentes: quia in his Christus recipitur, sicut ipse
ait: Quaecunque his minimis fecistis, mihi fecistis (Matth.
XXV). Foras aliquid dare, vel cuilibet ministrare, vel a
foris aliquid accipere, nullatenus sine commeatu abbatissae facere
praesumant. Et quodcunque a foris accipiunt ex donis vel eleemosynis
aliorum, nullatenus antea ad cellarium portent, quam ante oratorium
deferentes omnis simul congregatio pro eo orent, qui hoc exhibuit.
Fabulis, quas ad
portam vel a saecularibus, vel a quibuslibet audierint, nullatenus
autem accommodent: et si nolentes audierint vel intellexerint,
nullatenus consodalibus suis referant. Si horum aliquid, quae
diximus, transgressae fuerint, regulari poenitentia castigentur. Si
humili satisfactione patefaciant, prout humilitas confitentis
cernitur, ita delinquentis culpa judicetur. Si vero contumaciae
crimen occurrit, et modum poenitentiae augebit. Claves ostiorum vel
portae nullatenus penes se nocte retineant, sed ad abbatissam nocte
deferentes praesentent, et mane post secundam recipiant. Idipsum et
cellariae, et pistrices, et cocae implere studeant; ut ab occasu
solis, vel cum fuerit opus necessitatis perfectum, usque ad secundam
abbatissa claves retineat; nisi necessitas evenerit, ut per
commeatum abbatissae nocte retineantur, et post secundam denuo
tribuantur. A signo vespertino usque ad secundam impletam,
nullatenus portarum fores aperiantur: neque ullus a foris introitus
patefiat: sed si necessitas talis advenerit, ut post vesperam sit
deliberandum, per fenestram quae in eadem porta fuerit totum
deliberetur.
Si talis necessitas hospitum vel peregrinorum
advenerit, ut hora refectionis cum sororibus esse non possint, post
cum cocis vel ministris, vel cum reficiendi spatium habuerint,
reficiant. Vasa vel reliqua utensilia, quae ad opus hospitum
bajulant, ac si sacrata Deo gubernent atque custodiant: ne per
ipsarum neglectum ab ipso mercedem non recipiant, cujus res
diripiendo non reservant. Intra septa monasterii vel ostia, nullum
virorum omnino vel feminarum edere vel bibere permittant: sed
omnibus advenientibus foris in hospitali, prout honor exigit, per
abbatissae ordinationem ministrent. Intus vero tantummodo quae
sacram Deo voverunt religionem, et in unitate obedientiae sub una
regula sunt ligatae, edere vel bibere censemus. Sic semper ostiariae
agant, ut in omnibus zelum Dei habentes regulae tenorem conservent;
ut pro studii sui vel curae labore incorruptam recipiant mercedem. |
Capitolo III. La portinaia del monastero.
La
portinaia o la custode del monastero devono essere tali da
contribuire al bene di tutte, e siano di età avanzata, in modo che
il mondo non dica loro più nulla e non desiderino certamente nulla
delle vanità di questo mondo; altresì, aderendo con tutto lo slancio
dei loro cuori al loro Creatore, ognuna possa dire: "Per me, il mio
bene è stare vicino a Dio; nel Signore Dio ho posto il mio rifugio"
(Sal 72,28).
Che cosa possono infatti desiderare degli
ornamenti di questo mondo coloro che, avendo disprezzato i beni
deperibili, hanno cominciato ad amare Cristo, dopo aver riconosciuto
in Lui il sommo bene attraverso la contemplazione dello spirito?
Perciò, siano molto salde nella stabilità dello spirito, affinché
possano dire al Signore nella preghiera con il Profeta: "Distogli i
miei occhi dal guardare cose vane, fammi vivere nella tua via" (Sal
118,37).
A tutti coloro che verranno, esse
offriranno sempre un esempio che glorificherà il nome del Signore al
di fuori, tramite i visitatori, come dice il Signore: "Così
risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le
vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli"
(Mt 5,16); allo stesso tempo, all'interno, esse si preparano una
ricompensa, tramite le loro sorelle, poiché è nel nome di tutte che
si prendono cura dell'esterno. Siano prudenti nella loro condotta,
abbiano l'umiltà, maestra delle virtù, e così manifestino con
l'affabilità delle loro parole il fascino della perfetta pazienza.
Mai una sola o due (sorelle) abbiano una conversazione senza una
terza come testimone. Non alzino mai gli occhi per osservare laici o
chierici ma, col viso umilmente inclinato e gli occhi abbassati,
dicano il necessario.
Tra tutti si prenderanno cura dei poveri,
dei pellegrini e degli ospiti, poiché è nella loro persona che si
riceve Cristo, come ha detto Lui stesso: "Tutto quello che avete
fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto
a me "(cfr. Mt 25,40).
Non si permettano di dare qualcosa
all'esterno, di servirlo a qualcuno o di ricevere qualcosa
dall'esterno senza il permesso della badessa, e ciò che hanno
ricevuto dall'esterno come regali o come elemosine, che non lo
portino alla celleraria prima di averlo depositato davanti
all'oratorio e che l'intera comunità abbia pregato per il donatore.
Non prestino attenzione ai pettegolezzi
che dovessero sentire alla porta, fatti dai secolari o da chiunque
altro: e se, anche non volendo, li sentissero o li percepissero in
parte, non riferiscano nulla alle loro sorelle. Se trasgrediscono in
qualche modo ciò che abbiamo appena detto, siano punite con la
penitenza regolare. Se si manifestano (il loro errore) con umile
giustificazione, siano giudicate secondo l'umiltà della confessione.
Se, al contrario, si aggiunge la colpa dell'ostinazione, la
penitenza sarà maggiore. Essi non conserveranno mai le chiavi delle
porte e del portone d'ingresso
[2]
durante la notte, ma di notte le riporteranno indietro alla badessa
e le riceveranno di nuovo la mattina dopo (l'ufficio) della seconda
ora. Anche le cellerarie, le fornaie e le cuoche faranno lo stesso,
così che dal tramonto del sole - o quando un lavoro necessario sarà
completato – e fino alla seconda ora la badessa conservi le chiavi.
Se sorge una necessità, manterranno le chiavi di notte con
l'autorizzazione della badessa e le riceveranno di nuovo dopo
l'ufficio della seconda ora. Dal segnale dei vespri fino alla fine
(dell'ufficio) della seconda ora, nessuna delle porte esterne sarà
aperta e nessuno dall'esterno potrà entrare: se sarà necessario
trattare un affare dopo i vespri, tutto sarà svolto attraverso la
finestra della porta. Se, a causa dell'arrivo di ospiti o
pellegrini, le portinaie non potessero unirsi alle sorelle all'ora
del pasto, mangino con le cuoche e le inservienti, o quando avranno
il tempo di mangiare. Le stoviglie e gli altri utensili che devono
usare per il servizio degli ospiti, li trattino e li custodiscano
come se fossero consacrati a Dio, in modo da non essere private
della loro ricompensa da Colui del quale esse hanno distrutto i beni
invece di conservarli, causa la loro negligenza. Non permetteranno
assolutamente a uomini o a donne di mangiare o bere nella recinzione
del monastero, all'interno delle porte, ma serviranno all'esterno,
nei locali per gli ospiti, tutti coloro che si presentano, secondo
l'onore dovuto a ciascuno e secondo gli ordini della badessa.
Ordiniamo che possono mangiare e bere all'interno solo coloro
che sono votate a Dio nel santo stato religioso e legate nell'unità
dell'obbedienza sotto una stessa regola. Le portinaie, animate da
zelo verso Dio, agiscano sempre in modo tale da conservare in ogni
cosa le disposizioni della regola per ricevere, come premio per la
loro premurosa sollecitudine ed la loro operosità, la ricompensa
incorruttibile.
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CAPUT IV. Qualis debet esse cellaria
monasterii.
Monasterii cellaria sapiens et religiosa
ex omni congregatione eligenda est: quae nec sibi, nec
suis voluntatibus, sed toti congregationi aequanimiter et pie
placeat dispensando. Nec inde placere studeat, unde et se in ruinam
peccati, et alias transgressionis noxam consentiendo introducat: id
est, nihil extra debitam mensuram pro qualibet familiaritate, pro
gratia meriti dispensando distribuat: sciens, quia justus Dominus
justitiam a saeculo dilexit, aequitatem vidit vultus ejus (Psal. XL).
Sit ergo omnibus justa dispensatione grata: sit moribus matura, sit
sobria, non edax, non elata, non turbulenta, non injuriosa, non
tarda vel pigra, sed in omnibus actibus bene composita: quae
congregationi omni, id est, tam senioribus quam etiam junioribus pro
affectu et materno ordine debeat ministrare. Curam de omnibus sibi
commissis rebus habeat: nihil tamen sine commeatu abbatissae facere
praesumat. Sorores tam seniores aetate quam juniores nullatenus
conturbet; et si aliqua sororum ab ea irrationabiliter aliquid
poposcerit, leni responsione cum voce humilitatis contra rationem
petenti deneget. In infirmitate positis sororibus diligenti cura et
promptissimo affectu ministret. Similiter pauperum curam gerat: in
omnibus timorem Domini proponens, et sciens se illi exinde rationem
reddituram, si non pro ejus praeceptis implendis haec omnia faciat,
memor semper illius qui dixit: Qui mihi ministrat, me sequatur
(Joan. XII). Omni ergo operi bono quod facimus, Domini timorem
jungamus. Sic in omnibus curam agat, ut in nullo negligentiae damna
incurrat. Avaritiae et cupiditatis pestem omnino fugiat.
Similiter sicut non avara, sic non sit prodiga, id est, sicut dono
omnipotentis Dei sub avaritiae vitio occultando subtrahere non
debet, sic sine justa dispensatione nimis fenerando communem
substantiam non debet diripere; sed omnia per discretionem
temperando pensare. Et si non habeat quod ab ea quaeritur, quod
tribuat, sermone leni sine ulla asperitate in responsione procedat;
ut dulcedo cordis et vocis responsione patefiat: juxta illud quod
scriptum est: Favus mellis sermones boni (Prov. XVI). Et
illud: Sermo bonus super datum bonum (Eccli. XVIII). Ita sibi
commissum opus ad mercedem noverit pertinere, si omnia cum
humilitate et pietate studuerit facere.
Et quamvis quod
petitur non sit unde tribuatur, nullatenus respondeat se non habere;
sed dicat fideli voce, Dominus dabit (Matth.
XII). Ea vero quae danda sunt, sine mora tribuantur; ne
scandali occasio, aut offensionis casus ex ipsa tarditate generetur;
memor semper praeceptorum Domini, qui neminem suorum patitur
scandalizari. |
Capitolo IV. Quale debba essere la
celleraria del monastero.
Per celleraria del monastero, ne
sceglieremo tra tutte (le sorelle) della comunità una saggia e di
spirito religioso che, nell'amministrare (i beni del monastero), non
cerchi né il suo interesse né la sua volontà, ma soddisfi l'intera
comunità serenamente e con bontà. Non deve cercare di compiacere con
mezzi che la farebbero cadere nel peccato e che vi trascinerebbero
coloro che consentissero a queste colpe perverse. In altre parole,
ella non darà nulla oltre la misura prescritta a causa di qualche
amicizia o come ringraziamento per un servizio, sapendo che "Il
Signore è giusto e da sempre ha amato la giustizia: il suo volto è
rivolto all'equità" (Sal 10,7, Volg.). Sia quindi gradita a tutte
grazie ad un'equa distribuzione (dei beni assegnati). Ella sia
matura nel suo comportamento, sobria, né avida, né altezzosa, né
agitata, né portata all'ingiuria, né lenta, né pigra, ma accorta in
tutte le sue azioni: che serva l'intera comunità, sia le anziane che
le stesse giovani, con l'atteggiamento amorevole di una madre. Si
prende cura di tutto ciò che le è stato affidato, ma non si permetta
di fare nulla senza l'autorizzazione della badessa. Non turbi le
sorelle in alcun modo, né le più anziane, né le più giovani, e se
una delle sorelle le pone una richiesta irragionevole, la rifiuti
con una indulgente risposta, data con voce umile, a chi chiede
irragionevolmente. Serva le sorelle colpite dalla malattia con cura
diligente e con premuroso affetto. Allo stesso modo, si prenda cura
dei poveri. In tutto, abbia davanti ai suoi occhi il timore del
Signore, sapendo che lei dovrà rendergli conto se non agisce in
tutto per obbedire ai suoi precetti, ricordandosi sempre di colui
che ha detto: "Se qualcuno mi vuol servire, mi segua" (Gv 12,26). Ad
ogni buona opera che facciamo uniamoci, dunque, al timore di Dio.
Ella deve essere così attenta in tutte le cose in modo che non
incorra in alcuna condanna per la sua negligenza. Fugga
assolutamente dal flagello dell'avarizia e dell'avidità. Allo stesso
modo non sia avara, così come neanche prodiga. In altre parole, così
come lei non deve sottrarre i doni di Dio onnipotente nascondendoli
per avidità, allo stesso modo non deve sprecare il bene comune
distribuendo più della ragione, ma deve soppesare tutto con misura e
discernimento. E se non ha nulla da dare di ciò che le viene
chiesto, risponderà con una parola gentile e senza asprezza,
manifestando con il tono della sua risposta la dolcezza del suo
cuore, secondo ciò che sta scritto: "Favo di miele sono le parole
gentili" (Pr 16,24), e ancora: "Una parola non vale più di un dono
ricco?" (Si 18,17). Ella saprà che il compito affidato alle sue cure
le varrà una ricompensa solo se si impegna a fare tutto con umiltà e
gentilezza. Se non ha di che dare a chi le chiede, non risponderà
che non ce l'ha, ma dirà con un tono pieno di fede: "Il Signore
darà". Ciò che deve dare, lo concederà senza indugio affinché il
ritardo stesso non sia un'occasione di scandalo o fonte di
malcontento; ricorderà senza sosta i precetti del Signore, che non
sopporta che qualcuno dei suoi sia scandalizzato (cfr. Mt 18,6).
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CAPUT V. De se
invicem diligendo, vel sibi invicem obediendo.
Diligere se ad
invicem in Christo monachae in monasterio quanta cura debeant, per
Evangelium Joannis Dominus demonstrat, cum dicit: Hoc est
praeceptum meum, ut diligatis invicem. Majorem dilectionem nemo
habet, quam ut animam suam ponat quis pro amicis suis (Joan. XV).
Et illud: In hoc cognoscent omnes, quia mei discipuli estis, si
invicem diligatis (Ibid. XIII). Diligere ergo praecipimur ad
invicem, ut invicem salvemur: ut per mutuam dilectionem eum
imitemur, qui nos dilexit, juxta Apocalypsin, et lavit nos
a peccatis nostris in sanguine suo (Apoc.
I). Si ergo soror sororem propter Christum diligat, ut
Christum a se per temporalem dilectionem non repellat.
Quia vera et
secundum Christum dilectio est proximae malum non operari. Diligatur
ergo proxima non carnis affectu, sed pietatis ministerio: diligatur
puritate, diligatur religione, diligatur mansuetudine, diligatur
charitate: ut in omni semper amore Christus inveniatur; et non
secundum saeculum, sed secundum Deum maneat amor. Sic enim a Domino
praecipitur: Diliges proximum tuum sicut teipsum (Matth.
XXII). Si soror sororem diligat sicut semetipsam; nunquam
peccati maculam incurret, sed cultu pietatis ac dilectionis ornata
aeterna praemia accipiet. Maneat ergo semper in corde dilectio, ut
antiqui hostis livoris virus exstinguat; per quem in primordio
protoplasto decepto mortis patefecit introitum, sicut scriptum est: Invidia
autem diaboli mors introivit in orbem terrarum (Sap. II).
Diligatur proxima, ne odii macula cruenta homicidii crimen incurrat,
sicuti Joannes apostolus testatus est dicens: Qui odit fratrem
suum homicida est (I Joan. III). Diligatur proxima, ne per
aliqua discordiae fomenta retenta proprii facinoris vinculo non
solvatur: sicut Dominus in Evangelio testatus est, dicens: Si non
dimiseritis hominibus peccata eorum, nec Pater vester coelestis
dimittet vobis peccata vestra (Matth.
VI). Remittamus
proximis, ut ab Omnipotente remittatur nobis. Date, inquit,
et dabitur vobis (Luc. III). O quam justa commutatio! o quam
pia miseratio, dando accepisse, accipiendo donasse! Nulla jurgiorum
incrementa, nullave nutrimenta retineantur. Sic et Apostolus
hortatur dicens: Estote invicem benigni, misericordes, donantes
invicem, sicut et Deus in Christo donavit vobis (Col. III).
Nihil aliud dare praecipimur, nisi quod nobis dari petimus. Sic et
orando dicimus: Dimitte nobis debita nostra, sicut et nos
dimittimus debitoribus nostris (Matth.
VI). Debitoribus
demittendo nos relaxamur a debito. Solvamus ergo per dilectionem et
amorem proximos, ut nos a nostris criminibus pietate et misericordia
solvat Deus. Amen. |
Capitolo V. L'amore e l'obbedienza
reciproca.
Con quale zelo le monache nel monastero
debbano amarsi in Cristo, il Signore ce lo rivela attraverso il
Vangelo di Giovanni quando dice: "Questo è il mio comandamento: che
vi amiate gli uni gli altri (come io ho amato voi). Nessuno ha un
amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici" (Gv
15,12-13), e ancora: "Da questo tutti sapranno che siete miei
discepoli: se avete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35). Ci è
stato quindi comandato di amarci gli uni gli altri per contribuire
alla salvezza gli uni gli altri, e per imitare con un reciproco
affetto colui che, secondo l'Apocalisse "Ci ama e ci ha liberati dai
nostri peccati con il suo sangue" (Ap 1.5). Che una sorella ami così
sua sorella per amore di Cristo, in modo da non allontanare Cristo a
causa di un affetto mondano. Poiché il vero amore secondo Cristo
consiste nel non fare del male al prossimo. (La sorella) che è
nostro prossimo sia dunque amata non secondo l'affetto della carne,
ma secondo il servizio dell'amore. Sia amata secondo la purezza,
amata secondo lo spirito religioso, amata con dolcezza, amata nella
carità, affinché in ogni amore si trovi sempre Cristo e che l'amore
non rimanga secondo il mondo ma secondo Dio. Questo è il precetto
del Signore: "Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Mt 22,39). Se
una sorella ama sua sorella come se stessa, non contrarrà mai la
macchia del peccato, ma adornata con la pratica della gentilezza e
dell'affetto, riceverà le ricompense eterne. L'affetto rimanga
perciò sempre nel suo cuore per estinguere il veleno della gelosia
dell'antico nemico: è per lui che, all'inizio, quando ingannò il
nostro primo padre, la morte fu introdotta nel mondo secondo ciò che
sta scritto: "Per l'invidia del diavolo la morte è entrata nel
mondo" (Sap 2,24). Una sorella deve amare sua sorella per non essere
contaminata dalla macchia insanguinata dell'odio e cadere nel
crimine dell'omicidio, come testimonia l'apostolo Giovanni che dice:
"Chiunque odia il proprio fratello è omicida" (1 Gv 3,15). (La
sorella) ami sua sorella, temendo di non essere assolta dalle
proprie colpe per aver tenuto dentro di sé qualche motivo di
discordia, come testimonia il Signore nel Vangelo: "Se voi non
perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre
colpe" (Mt 6,15). Perdoniamo al prossimo, affinché l'Onnipotente ci
perdoni. Dice (il Signore): "Date e vi sarà dato" (Lc 6,38). Oh,
come è giusto questo scambio! Oh, quanto è buona questa
misericordia! ricevere donando, donare ricevendo! Nessun germe di
contrasto sia trattenuto, nulla che possa alimentarlo. L'Apostolo ci
esorta dicendo: "Rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di
bontà... perdonandovi gli uni gli altri, ... come il Signore vi ha
perdonato (in Cristo)" (Col 3,13). Non ci è stato comandato di dare
qualcosa di diverso da quello che chiediamo sia dato a noi. Questo è
anche ciò che diciamo pregando: "Rimetti a noi i nostri debiti come
anche noi li rimettiamo ai nostri debitori" (Mt 6,12). Perdonando ai
nostri debitori, siamo liberati dal nostro debito. Perdoniamo quindi
il prossimo con dilezione ed amore, affinché Dio ci liberi dai
nostri peccati nella sua bontà e misericordia. Amen.
|
CAPUT VI. De assidue danda
confessione.
Confessio quam
crebra et sagaci cura danda sit, multorum Patrum juxta Scripturarum
seriem traditio demonstravit. Danda ergo confessio semper est, ut
veterescentem mentis statum, et peccatorum tenebris quotidianis
illecebris fuscatum, rudem semper custodiat, sicut Scriptura docuit
dicens: Omni custodia serva cor tuum: quia ex ipso vita procedit
(Prov. IV). Sic quippe beatus David orando Domino dicebat. Delictum
cognitum tibi feci, et injustitias meas non operui; dixi: Confitebor
adversum me injustitiammeam, et tu remisisti impietatem peccati mei
(Psal. XXXI). Quantum valet pura et non tarda confessio, ut sic
secura eam subsequatur impetratio! Confessus se adversum, ut
facinorum molem pelleret; de se ingemuit confitendo, glorificavit
remissionem recipiendo: dolendo patefecit crimen, dando
redintegravit spem. Non enim praecessit spei fiduciam, quia
meminerat se olim per Spiritum sanctum a Domino illuminatum
dixisse: Quia apud te est propitiatio, et propter legem tuam
sustinui te, Domine (Psal. CXXIX). Et iterum: Quia apud
Dominum misericordia est, et copiosa apud eum redemptio. Apud
quem misericordiam perennem agnoscit, apud eum copiosam et
redemptionem. Quaeramus ergo ibi misericordiam, ubi redemptionem
manere jam novimus copiosam. Crescat dolor post ruinam, ut culpae
inveniatur medicina. Confitemini invicem delicta, ut nostra nobis
Omnipotens dimittat peccata. Sic nos Scriptura dicendo hortatur: Confitemini
alterutrum peccata vestra, et orate pro invicem (Jac. V). Quanta
clementis judicis pietas erga nos diffusa dignoscitur, ut quod
actibus aerumnosis facinus contractum fuit, mutua prece solvatur!
Detur ergo mutuae orationis solatium; ut invicem orando cupiatur
praesidium. Magis etenim copia fructuum habetur, quando ex
revelatione delictorum salus acquiritur. Revela, inquit
Psalmista, Domino viam tuam, et ipse te enutriet.
(Psal. XXXVI). Si revelando peccata nutritur anima,
quotidiano ergo studio per confessionem revelentur, ut quotidiana
medicina vulnera sanentur.
Sed quibus horis congruentibus quotidiana delicta
sunt abluenda, a nobis inserendum est. Quidquid post completorium
per opacae noctis spatia mens vel caro per facilitatem deliquerit,
post secundam per confessionem curandum est expiari. Quidquid vero
diurno actu, vel visu, auditu, cogitatu, tepescendo deliquit, nonae
horae expleto cursu ut purgetur censendum est. Post vero quidquid ab
hora nona mens maculae attraxerit, ante completam confitendum est.
Illud tamen abbatissa studere debet, ut post secundam scholam
ingrediens peracta oratione nullam foras egredi permittat, nisi
prius detur confessio. Similiter et post nonam, vel ante
completorium faciendum est. Hae vero sorores, quae pro gravibus
culpis in poenitentia detinentur, in Ecclesia cum caeteris quae
communicant non stent; sed in alia Ecclesia secrete cursum cantent:
et expleto cursu egredientes ante fores Ecclesiae, in qua
communicantes cursum explent, stare praecipiantur: et egrediente
congregatione supra humum prostratae rogent pro se Dominum exorari,
ut gravia commissa contritione deleantur cordis; meminentes illud: Cor
contritum et humiliatum Deus non spernit (Psal.
L). Et, in humilitate nostra memor fuit nostri
Dominus (Psal. CXXXV). In oratione posita semper poenitens
dicat: Averte faciem tuam a peccatis meis, et omnes iniquitates
meas dele (Psal. L): ut ira arguentis judicis, et in proximo
vindictam reddentis, per piae mentis affectum hanc humili oratione
sedetur. |
Capitolo VI. L'assidua pratica della
confessione.
Con
quale frequenza e con quale cura è necessario praticare la
confessione, la tradizione di molti Padri, sostenuta dalle
Scritture, lo ha dimostrato. Dobbiamo sempre praticare la
confessione, al fine di conservare sempre come nuovo lo stato della
nostra anima, che le seduzioni oscure del peccato invecchiano ed
oscurano ogni giorno, come ci ha insegnato la Scrittura, dicendo:
"Più di ogni cosa degna di cura custodisci il tuo cuore, perché da
esso sgorga la vita" (Pr 4,23); Allo stesso modo il beato Davide
diceva al Signore nella sua preghiera: "Ti ho fatto conoscere il mio
peccato, non ho coperto la mia colpa. Ho detto: «Confesserò al
Signore le mie iniquità» e tu hai tolto la mia colpa e il mio
peccato" (Sal 31,5). Quanto è efficace una pura e pronta
confessione! Immediatamente la preghiera ottiene certamente ciò che
chiede. Chi ha confessato contro se stesso per sottrarsi al peso dei
suoi peccati, ha pianto su di sé nel confessarsi, ha reso gloria
ricevendo il perdono; piangendo ha rivelato la sua colpa,
consegnandola ha ritrovato la speranza. Infatti, non ha anticipato
la fiducia della speranza, poiché ricordava di aver detto una volta
nello Spirito Santo, illuminato dal Signore, "Presso di te è il
perdono e per merito della tua legge ho confidato in te, o Signore"
(Sal 129,4, Volg.), e ancora: "Perché con il Signore è la
misericordia e grande è con lui la redenzione"(Sal 129,7). Egli
riconosce che c'è l'abbondanza della redenzione in colui presso il
quale la misericordia è eterna. Cerchiamo allora la misericordia là
dove sappiamo che c'è l'abbondanza della redenzione. Si lasci che il
dolore cresca dopo la caduta, per trovare il rimedio per la colpa.
Confessate a vicenda le vostre colpe, affinché l'Onnipotente possa
perdonare i nostri peccati. Le Scritture ci esortano dicendo:
"Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli
uni per gli altri" (Gc 5,16). Quanto si mostra grande la bontà del
giudice indulgente riversata su di noi, dal momento che i vincoli
del peccato che circondano i nostri miseri atti sono dissolti dalla
preghiera reciproca! Perciò diamoci a vicenda il conforto della
preghiera, affinché, pregando le une per le altre, siamo ben
disposte al rimedio. Infatti, i frutti sono più abbondanti quando
l'ammissione delle colpe procura la salvezza. "Affida al Signore la
tua via", dice il Salmista, "ed egli agirà" (Sal 36,5). Se l'anima è
nutrita dalla rivelazione dei suoi peccati, allora essi siano
rivelati con un'applicazione quotidiana alla confessione; in questo
modo, con questa medicina quotidiana, le ferite saranno guarite. Ma
quali sono le ore giuste per lavare via queste carenze quotidiane?
Noi lo chiariremo. Tutto ciò che, per debolezza, lo spirito o la
carne hanno commesso dopo la compieta, durante l'oscurità della
notte, dovrà essere espiato con la confessione dopo la preghiera
della seconda ora. Tutto ciò che durante il giorno la tiepidezza ha
fatto commettere dalla condotta, dalla vista, dall'udito, dal
pensiero, dovrà essere dichiarato per essere purificato alla fine
dell'ufficio di nona. Ed ogni macchia contratta dall'anima dopo
l'ora nona deve essere confessata prima di compieta. La badessa,
tuttavia, deve stare attenta, entrando nella sala comune dopo l'ora
seconda, a non permettere a nessuna di uscire alla fine della
preghiera senza essersi confessata. Si farà la stessa cosa dopo la
nona e prima di compieta.
Per quanto riguarda le sorelle che sono
tenute in stato di penitenza per gravi colpe, non staranno in chiesa
con quelle che si comunicano, ma canteranno l'ufficio a parte in
un'altra chiesa
[3]; quando l'ufficio sarà finito,
usciranno davanti alle porte della chiesa dove coloro che si
comunicano effettuano l'ufficio e sarà loro intimato di rimanere lì;
mentre la comunità esce, prostrate a terra, chiederanno che si
supplichi Dio per loro, così che i loro gravi errori possano essere
cancellati dalla contrizione dei loro cuori, ricordando il versetto:
"Un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi" (Sal 50,19),
e (ancora): "Nella nostra umiliazione il Signore si è ricordato di
noi" (Sal 135,23). La penitente dica incessantemente nella
preghiera: "Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le
mie colpe" (Sal 50,11). Così, l'ira del giudice accusatore e pronto
alla vendetta sarà placata da questa umile preghiera scaturita dalla
pietà del cuore.
|
CAPUT VII. De non manifestandis
sororum confessionibus.
Abbatissa vel praeposita, vel quaelibet
seniorum sororum cui ab abbatissa fuerit commissum ut confessiones
recipiat, crimina minora vel maxima nullatenus manifestent, nisi
solo justo judici, qui omnium confitentium crimina lavat. Illa enim
quae confessa est sua vulnera verecunde, non ad opprobrium
recipiendum, sed ad salutem redintegrandam confessa est, justum
habens testem Deum, a quo et mederi exspectat. Ea vero senior quae
recipit, cum gravitate et moderatione penes se occultando
honestissime teneat, ne dum alterius vulneri medicinam infundit,
suae mentis corrumpat nitorem. Nulla tamen monacharum vel
confessionem recipere, vel poenitentiam dare sine ordinatione
abbatissae praesumat; ne vitium commissum abbatissae celetur, sed
omnia per ejus notitiam agantur. Si vero inventa fuerit, quae hoc
propositum regulae violare conetur, gravi poenitentiae scientia
corripiatur; quia delicti fomitem abbatissae voluit occultare. |
Capitolo VII. Le confessioni delle
sorelle non devono essere manifeste.
Né la badessa, né la priora, né alcuna
delle sorelle anziane a cui è stata affidato dalla badessa
l'incarico di ricevere le confessioni delle sorelle, devono in ogni
caso rendere note le colpe, grandi o piccole che siano, se non al
solo giusto giudice che lava via i peccati di tutti coloro che li
confessano. Poiché colei che, vergognandosi, ha confessato le sue
ferite, non le ha confessate per ricevere il disprezzo, ma per
ritrovare la salute, prendendo come testimone il Dio giusto dal
quale ella attende la guarigione. L'anziana tenga per sé ciò che le
viene detto tenendolo nascosto con la massima dignità, in tutta
gravità e moderazione, in modo da non rischiare di offuscare la
purezza del proprio cuore mentre cosparge il medicamento sulla
ferita di un'altra. Che nessuna delle sorelle abbia la presunzione
di ricevere una confessione o di dare una penitenza senza aver
ricevuto l'ordine dalla badessa, in modo che il male commesso non
sia nascosto alla badessa, ma che ella sia consapevole di tutto ciò
che succede. Se c'è una sorella che cerca di violare questo punto
della regola, sia corretta con la dura esperienza della penitenza,
per aver lasciato che la badessa ignorasse un focolaio di peccato.
|
CAPUT VIII. Qualiter ad signum
Dominicum surgendum est.
Quandocunque vel diurnis vel nocturnis
horis ad opus divinum signum insonuerit, mox cum summa festinatione
surgendum est, ac si praeco regis insonet, omni opere quod in
manibus habebatur postposito; ut nihil operi Dei praeponatur: sed
mens ad sonitum praeconis intenta, et operi Dei innixa, cum omni
gravitate et mansuetudine ad intonandam gloriam majestatis ejus, et
pietati ejus gratias referendas festina currat. Et si morose et
segniter veniat post primi psalmi qui in cursu canitur finem,
noverit se a suo ordine dum cursus expletur revocari, et in loco
ultimo positam, id est, in eo loco qui talibus negligentibus fuerit
deputatus, astare, et ibi cum verecundiae metu exspectare, et post
expletum cursum prolixa venia ante coetum sororum egredientium
satisfacere. Nam foris omnino non segregentur, ne a somno detentae
dormiant, aut in aliquo maligno hosti adeundi detur occasio. Intus
etenim posita nec totum perdit quod coeperat, et verecundia ac
metu frangitur, dum ab omnibus videtur. Et quando caeterae expleto
officio foras egrediuntur, illa in ecclesia pro ipsa tarditate
posita duodecim psalmos super cursus seriem cantet. Si vero ex toto
cursum suum perdiderit, praecipue nocturnis horis, in quibus nullum
alium opus impendit, suppositione damnetur. Horas vero ad cursum
procurare juxta dispensationem abbatissae debet, cuicunque ordinatum
fuerit; id est, quae mente sollicita et impigra fuerit ad hoc opus
idonea inventa, ut opus Dei non tardetur. Si vero qualibet occasione
a justo ordine deviatum fuerit, ut non secundum suum ordinem horae
custodiantur, suppositione damnetur. |
Capitolo VIII. Come si debba accorrere al
segnale del Signore.
Ogni volta che si sente il segnale
dell'ufficio divino, alle ore del giorno o della notte,
immediatamente, in tutta fretta, come se fosse l'araldo del re a
dare il segnale, bisogna alzarsi lasciando tutto il lavoro che si
aveva tra le mani. Così, non si anteponga nulla all'opera di Dio, ma
il cuore, attento al grido dell'araldo e sollecita all'opera di Dio,
si affretti ad accorrere in tutta gravità e dolcezza per far
risuonare la gloria della sua maestà e rendere grazia alla sua
bontà. E se qualcuna si muove con noncuranza e arriva dopo la fine
del primo salmo cantato nell'ufficio, sappia che sarà fatta
indietreggiare dal suo posto fino alla fine dell'ufficio e,
mettendosi nell'ultimo posto, cioè nel luogo designato per le
negligenti di questo tipo, stia lì in piedi ed aspetti lì, con
timore e confusione; dopo la fine dell'ufficio chieda perdono con
una prolungata soddisfazione di fronte alle sue sorelle durante
l'uscita della comunità. Non devono essere messe in disparte al di
fuori (della chiesa) affinché, vinte dal sonno, non dormano o non
diano allo spirito malvagio qualche occasione di avvicinarsi a loro.
Inoltre, prendendo il suo posto all'interno, (la sorella negligente)
non perde completamente ciò che è iniziato e, vista da tutte, è
umiliata dalla confusione e dal timore. E quando le altre escono,
una volta terminato l'ufficio, rimanendo nella chiesa a causa del
suo ritardo, ella canterà dodici salmi oltre a quelli dell'ufficio.
Ma se ha perso l'intero ufficio, specialmente nelle ore della notte
in cui nessun altro compito crea impedimenti, (la sorella) subirà
una giorno di privazione (della parola)
[4].
Colei che ha ricevuto l'incarico - una sorella zelante e diligente,
riconosciuta capace di questo compito - deve annunciare le ore
dell'ufficio secondo le disposizioni della badessa in modo che
l'opera di Dio non sia ritardata. Se per qualsiasi motivo si
allontana dall'esatto ordine e le ore non vengono osservate nel loro
ordine, ella subirà un giorno di privazione (della parola).
|
CAPUT IX. Qualiter in monasterio
silentii regulam vel diurno opere, vel ad mensam debeant custodire:
vel ad mensam quomodo sit legendum.
Regulam silentii
omni tempore servandam sanctarum Scripturarum series declaravit, dum
per Prophetam dicitur: Cultus justitiae silentium et pax. Tacendum
namque est ab otiosis et frivolis, et scurrilibus, et pravis et
malitiosis fabulis; de quibus Propheta orabat dicens: Pone,
Domine, custodiam ori meo, et ostium circumstantiae labiis meis. Non
declines cor meum in verba mala (Isa. XXXII; Psal. CXL).
Cessandum quippe est a fabulis superfiuis, ne damnationis per
ineffrenatae mentis ignaviam anima fructum capiat: quia non solum de
scurrili et injurioso sermone, sed etiam de otioso, juxta Domini
praeceptum, rationem sumus reddituri. Quid aliud debeat monacha
studere, quam soli Deo, in quo semel desiderium fixit, et oris
sermone et animae desiderio vacare? Omnibus ergo horis diurnis,
praeterquam ad mensam, ab hora secunda usque ad completam quidquid
utilitas sacrae regulae poposcerit, per abbatissae commeatum
loquendum est. Ab hora vero completionis, cum oratio ad somnum
capiendum datur, nulla omnino loqui praesumat, nisi grandis
necessitas monasterii poposcerit. Cui ab abbatissa fuerit ordinatum,
loqui studeat, vel etiam a praeposita, quae curam aliarum portat. Ad
mensam vero nulla penitus praeter abbatissam, vel cui abbatissa
praeceperit, pro communi necessitate sororum loqui praesumat: sed
omnes intento animo gratias reddentes creatori in cordibus suis cibi
ac potus solidae mensurae largitione fruantur. Portaria vero quae
pro necessariis causis alloquium expetierit abbatissae, loqui
permittatur: quia forsitan talis supervenerit necessitas, quae moram
habere non debeat. Ante mensam vero semper capitulum regulae unum
aut amplius, si abbatissae placuerit, legatur: ut cum cibus carnem
reficit, lectio animam satiet. Haec omnia cum gravitate animi et
moderatione leni fiant, quatenus in his omnibus Dominus delectetur.
Festis vero Domini diebus, id est, Nativitate Domini, vel Paschae
solemnitate, ac Theophania, vel Pentecostes, vel si qua sunt alia
Domini vel sanctorum martyrum praecipua sacra celebranda, si ex
permisso abbatissae fuerit, ad mensam loqui non negamus: sic tamen,
ut pressa non dissoluta voce loquantur; ne garrula voce in sonum
prorumpentes, magis desidia quam laetitia judicetur. Et ipsa
confabulatio talis sit ex colloquio Scripturarum, quae animae lucrum
faciat, non damnum. Silentium vero in poenitentia accipientes
omnimodis studeant custodire, ut de vera mortificatione mereantur
fructum recipere.
Duae vero, in quocunque loco fuerint positae,
nullatenus sine tertia teste loqui praesumant: sed tres semper
positae necessaria colloquantur. |
Capitolo IX. Come si debba custodire la
regola del silenzio sia durante il lavoro quotidiano, che durante il
pasto, e come si debba leggere a tavola.
La regola del silenzio deve essere
osservata in ogni momento e le sacre Scritture lo manifestano quando
dicono al Profeta: "Onorare la giustizia darà il silenzio e la pace"
(Is 32,17, variante). In effetti, è necessario astenersi da discorsi
inutili, futili, scurrili, perversi e malevoli. Di questi diceva il
profeta nella sua preghiera: "Poni, Signore, una guardia alla mia
bocca, sorveglia la porta delle mie labbra. Non piegare il mio cuore
a parole malvage" (Sal 140,3-4, Volg.). È quindi necessario
astenersi da inutili chiacchiere, affinché l'anima non riceva la
condanna per la negligenza di una mente incontrollata; poiché
renderemo conto, secondo il comandamento del Signore, non solo di
una parola impudica e ingiuriosa, ma anche di una parola oziosa
(cfr. Mt 12,36). A cosa deve applicarsi una monaca, se non ad
attaccarsi a Dio solo, in cui lei ha fissato una volta per tutte il
suo desiderio, sia con le parole della sua bocca, sia col desiderio
della sua anima? Pertanto, a tutte le ore del giorno, eccetto
durante i pasti, dalla seconda ora fino a compieta, per tutto ciò
che richiedono i bisogni della santa regola si parlerà con
l'autorizzazione della badessa. Ma dall'ora di compieta, una volta
detta la preghiera per il sonno, nessuna sorella assolutamente si
permetta di parlare, a meno che non lo esiga un'assoluta necessità
del monastero. Parlerà colei chi avrà ricevuto l'ordine della
badessa, o anche della priora, che ha la responsabilità delle altri.
A tavola, assolutamente nessuna, a parte la badessa o colei a cui la
badessa l'abbia ordinato, si permetterà di parlare per qualche
necessità comune; ma tutte, con animo attento, rendendo grazie al
Creatore nei loro cuori, si rallegrino di aver ricevuto una buona
dose di cibo e di bevanda. Per quanto riguarda la portinaia che, per
giusti motivi, avrà chiesto di parlare con la badessa, le sarà
permesso di parlare, perché potrebbe esserci una necessità che non
può essere ritardata. Prima del pasto si legga sempre un capitolo
della regola o anche di più, se piace alla badessa: così, mentre il
cibo ripristina la carne, la lettura sazia l'anima. Tutto ciò deve
essere fatto con serietà di spirito e con dolce moderazione,
affinché il Signore si compiaccia in tutte queste cose.
Nei giorni di festa del Signore, cioè la
Natività del Signore, la solennità della Pasqua, dell'Epifania e
della Pentecoste, o quando si celebrino altre importanti feste del
Signore o dei santi martiri, se la badessa lo permette, non
proibiamo di parlare a tavola, a condizione che ciò avvenga a voce
bassa e sobria, per timore che una voce risonante che prorompe in
uno strepito non sia ritenuta più rivelatrice di pigrizia che di
gioia. E la conversazione consiste nel parlare insieme delle
Scritture, in modo da portare all'anima un guadagno, non una perdita
(cfr. Mt 16,26). Coloro che hanno ricevuto una penitenza della
privazione della parola devono osservarla ad ogni costo, così esse
meriteranno di ricevere il frutto di un'autentica mortificazione.
Ovunque si trovino, due sorelle non si permettano di parlare senza
la presenza di una terza, ma parleranno del necessario stando sempre
in tre.
|
CAPUT X. De ratione mensae qualiter
administrandum vel observandum sit.
Mensae administratio vel observatio
quanta aequalitate vel sobrietate percurrere debeat, abbatissae
scientia est trutinandum: ut in omnibus, sicut decet Dei ministras,
religionis vigeat fomes. Ministrandum namque est omnibus aequali
libratione tam potus quam cibus, prout tempus, sive solemnitates,
sive abstinentiae, sive quotidiani usus poposcerint.
Quotidianis etenim diebus sufficere decernimus duo
fercula, exceptis pomorum donis: de leguminibus vel de oleribus
conferta, seu farinae qualibet conspersione. Omnibus etenim aequa
mensura ministrandum; praeter si aetas infirmior, quae sustinere non
valeat, aut aegritudo corporis, aut novellae conversationis novitas
improbata sufferre non queat, quod abbatissae judicio pensandum est.
Potus vero sicerae liquoris, id est, cervisiae mensura solita
tribuatur: si voluntas abbatissae fuerit, si labor, vel festus dies,
vel hospitis adventus pia precatio exagitaverit, vini potio augenda
est. Et si duabus vicibus reficiendum sit, praeter vini potionem
similis regula servetur. Festis vero diebus, pro reverentia sacrae
solemnitatis, pluribus cibis, id est, tennis vel quaternis ferculis
sunt corpora reficienda: sic tamen, ut si plura sunt cibaria numero,
sint minora; ut corpora necessario cibo reficiantur, non nimia
saturitate damnentur. Sedentes vero ad mensam sorores nulla alteram
comedentem sublimatione oculorum respiciat, nec alterius mensuram
cibi vel potus iniqua consideratione intueatur. Quando in mensam
cibus administratur, nulla prius cibum comedat, quam signum ad
benedicendum insonet. Abbatissa vero vigilet, ut confestim cum cibus
ministratus fuerit, signum tangere procuret; et omnes cum signum
audierint, una voce benedictionem rogent, quarum vocem abbatissa
subsequatur dicens: Dominus dignetur benedicere. Hoc ad omnia
fercula, vel pomorum ac potus administrationem observandum est.
Illud praecipue decernimus, ut nulla
alteri dare ex mensura sua, vel accipere ab altera praesumat,
praeter abbatissam, vel praepositam cui ab abbatissa commissum est.
Si vero aut novitate, aut temeritate aliqua haec, quae supra
diximus, fuerit transgressa, disciplina regulae corrigatur pro
praesumptae temeritatis audacia. |
Capitolo X. Con quale norma si debbano
somministrare i pasti e che cosa si debba rispettare.
Per quanto riguarda le razioni da servire
e da non superare ai pasti, spetta alla sapienza della badessa
valutare come regolarle con uguaglianza e sobrietà in modo che lo
spirito religioso regni in tutte le cose, come si addice alle serve
di Dio. Occorre quindi servire a tutte un'uguale quantità di bevande
e di cibo, adattate ai tempi, che siano giorni di festa, giorni di
digiuno o giorni feriali. Nei giorni feriali, decidiamo che bastano
due portate, eccetto se abbiamo ricevuto in dono della frutta:
(queste portate) infarcite di legumi o di olio, oppure guernite con
una qualunque pasta di farina. A tutte sarà data una misura uguale,
a meno che la debolezza dell'età, che rende poco resistenti, o la
malattia, o la novità e l'inesperienza di un recente ingresso nel
monastero, non possano sopportarla; ciò deve essere giudicato dalla
badessa. Come bevanda, deve essere distribuita la solita misura di
bevanda fermentata, cioè di birra; se la badessa lo decide, se il
lavoro o un giorno di festa, o l'umanità per accogliere un ospite lo
richiede, verrà aggiunto del vino. Se ci devono essere due pasti, si
applica la stessa regola ad eccezione del vino.
Nei giorni di festa, in onore della sacra
solennità, i corpi saranno ristorati con una maggior scelta di cibi,
vale a dire tre o quattro portate, in modo che tuttavia, se i piatti
sono più numerosi siano meno ricchi, così che i corpi vengano
ristorati da sufficiente cibo, ma non subiscano il danno di
un'eccessiva sazietà. Quando le sorelle sono sedute a tavola,
nessuna di loro alzi lo sguardo per guardare un'altra mentre mangia
o guardi il cibo o la bevanda di un'altra con sguardo malevolo.
Quando il cibo è servito sul tavolo, nessuna mangi prima che il
segnale della benedizione sia suonato. La badessa, da parte sua,
farà attenzione a dare il segnale non appena il cibo sarà servito e
tutte, quando sentiranno il segnale, chiederanno ad una sola voce la
benedizione; la badessa risponda loro immediatamente, dicendo: "Il
Signore si degni di dare la sua benedizione". Questo deve essere
osservato per ciascuno dei piatti e quando si distribuiscono i
frutti e la bevanda. Deliberiamo sopra tutto ciò: che nessuna possa
dare ad un'altra parte della sua porzione, né riceverne da un'altra,
con l'eccezione della badessa o della superiora a cui la badessa ha
affidato la guida. Se qualcuna trasgredisce ciò che abbiamo appena
stabilito, per ignoranza di novizia o per temerarietà, sia corretta
secondo la disciplina della regola per la sua arrogante leggerezza. |
CAPUT XI. Quibus congruentibus horis
hyeme, vel aestatis tempore, sit reficiendum.
Ab adventu sacratissimae solemnitatis, id
est, ab introitu sancti Paschae, quo immaculati Agni resurrectio
celebratur, usque ad sacratam solemnitatem Pentecostes, qua
apostolis Spiritus sanctus fuit diffusus, id est, quinquaginta
dierum spatio, ad sextam horam est reficiendum: similiter et vesperi
erit coenandum, quia sacri temporis ratio exigit, ut nullus nec in
Ecclesia positus tristitiam demonstret. A Pentecoste vero, si gravis
labor non exigat, aut hospitum non cogat adventus, usque ad
Quadragesimae inchoationem, ad nonam, id est, semel reficient;
exceptis magnarum solemnitatum eventibus, aut si labor grandis
exegerit, ut duabus reficiant vicibus. Ab inchoatione Quadragesimae
usque ad sacratissimam solemnitatem Paschae, exceptis Dominicis
diebus, ad vesperum reficiendum est; ut ante noctis inchoationem cum
statione lucis refectionis impleatur hora. Quando vero
administrandum est, singulae ex singulis mensis assurgant, et sic ad
coquinae fenestram cum sobrietate venient, ut nullum strepitum
pedum, vel vasorum, vel cujuslibet soni excitent, et primum ad
seniorum mensam simul omnes ministrent, sic demum ad suam mensam qua
sederint deferant fercula. Praeposita mensae gubernet, quomodo ex
ipsa mensa mutuatim vicibus, vel aetate juniores si fuerint, debeant
ministrare. |
Capitolo XI. A quali opportune ore in
inverno ed in estate si debba pasteggiare.
Dall'inizio della santissima solennità,
vale a dire dall'inizio della Santa Pasqua che celebra la
risurrezione dell'Agnello immacolato, fino alla sacra solennità
della Pentecoste, quando lo Spirito Santo fu diffuso sugli Apostoli,
cioè nello spazio di cinquanta giorni, ci si ristorerà alla sesta
ora. Si cenerà anche la sera, poiché la natura di questo tempo sacro
richiede che nessuno, anche nella Chiesa, si mostri triste. Ma da
Pentecoste fino all'inizio della Quaresima, a meno che un lavoro
faticoso non lo richieda o che l'arrivo degli ospiti non lo
obblighi, si prenderà un solo pasto alla nona ora, tranne che nei
giorni di grandi solennità o se un lavoro pesante richiede che si
prendano due pasti. Dall'inizio della Quaresima fino alla santissima
solennità di Pasqua, tranne la domenica, il pasto si terrà la sera,
in modo che il tempo della refezione termini prima dell'inizio della
notte, intanto che c'è luce. Al momento del servizio, (le sorelle)
si alzeranno una da ogni tavolo e si avvicineranno all'apertura
della cucina con sobrietà, in modo da non causare alcun rumore di
piedi o di piatti o altri rumori. (Queste sorelle) serviranno prima
tutte insieme alla tavola delle anziane, poi porteranno i piatti al
loro tavolo. (La sorella) preposta alla mensa organizzerà il modo in
cui avrà luogo il servizio reciproco, a turno, o mediante le più
giovani se ce ne sono. |
CAPUT XII. Quomodo quotidianis diebus
manibus sit operandum?
Operandum namque est omni tempore,
praeter dies festos; ut habeatur vel propriae necessitatis usus, vel
egenis unde detur suffragium. Sic tamen operi manuum insistendum
est, ut lectionis fructus non omittatur, sed statuto tempore operi
detur intentio, ac deinceps lectioni divinae vacetur. Operatio
manuum ab hora secunda sumat exordium, et in horam nonam finem
accipiat: ab hora vero nona lectio usitetur, si aliquando proprium
aliquod opus faciendum aut vestimenti consuendi vel lavandi, aut
quodlibet aliud opus, per abbatissae vel praepositae commeatum
faciet. Et si forte opus fortius supervenerit, ut maturius arripiant
operari, vel propter ferventem aestum, hoc abbatissae arbitrio
considerandum est, ut secundum quod tempus exigit, aut fortioris
laboris pondus, vel ad sextam, ut juste judicaverit, ab opere sit
quiescendum, et post quietem vel refectionem usque ad vesperum sit
operandum. Illud inter omnia vel abbatissa si praesens fuerit
coerceat, aut praeposita quae ejus vice relinquitur, ut nullam
penitus monacham fabulis otiosis praeter necessariam interrogationem
vacare permittat; sed in ipso opere manuum operis Dei recordatio
teneatur: id est, ut dum exterius per temporalem opportunitatem
manus operibus occupantur, interius mens cum linguae meditatione
psalmorum ac scripturarum recordatione dulcescat. Ac si violatrix
hujus regulae fabulatione delectetur, silentii poena castigetur.
Focos vero in schola poenitentes, si fuerint, binae et binae per
hebdomadas facient. Similiter ad caput sororum lavandum per singula
sabbata, vel balnearum usus per festas solemnitates praeparent, aut
si sunt alia extrema facienda, poenitentes facient: ut dum mente
humili et contrito corde haec propter timorem Domini faciunt, ab
omnipotentis Dei misericordia celerius a suis delictis laventur.
Quando ad opera eundum est, istud capitulum psallatur: Sit
splendor Domini Dei nostri super nos; et opera manuum nostrarum
dirige super nos; et opus manuum nostrarum dirige (Psal. LXXXIX).
Quando vero finitur opus, istud dicatur capitulum: Benedicat nos
Deus, Deus noster, et benedicat nos Deus, et metuant eum omnes fines
terrae (Psal. LXVI). Pistrices vero alternatim per vices opus
commune faciant: sic tamen, ut minus tribus non sint propter
loquendi necessitatem. Et si necesse fuerit ut ibidem maneant, minus
quatuor non sint, et una ex eis senior sit praeposita, cujus
religioni credatur, quae et loquendi licentiam habeat. Et panem quem
faciunt per vices senior quae ex eis est, cellariae repraesentet; ut
omni custodia tutae in nullo reprehensibiles reperiantur.
Similiter et quae in
braxatorium ad cervisiam faciendam inhabitaverint, una ex eis senior
sit praeposita, quae secundum regulam pistricis omnia custodiat.
Cocae vero per hebdomadas coquinent, ut in unaquaque hebdomada tres
vel amplius, si necesse fuerit, ad coquinandum deputentur;
ne impositus sine discretione labor, unde mercedem mercari debuit,
inde murmurationis fructum reportet. Ingredientes autem pro se orari
rogent omnem coetum sororum, orantes in oratione dicant: Adjutorium
nostrum in nomine Domini, qui fecit coelum et terram (Psal. CXXIII),
et: Adjuva nos, Deus salutaris noster (Psal. LXXVIII).
Exeuntes vero lavent omnium sororum pedes; et omnia vasa quae ad
necessarium usum habuerunt, lavata praepositae repraesentent.
Similiter pro se orari rogent, et hunc versum in oratione dicant: Quoniam
tu, Domine, adjuvisti me, et consolatus es me (Psal. LXXXIII).
Propter singulas negligentias tam cocae quam cellariae viginti
quinque palmarum percussionibus quotidianis diebus emendentur, ne
minimas parvi pendentes culpas in majoribus procliviores
reperiantur. |
Capitolo XII. Nei giorni feriali come ci
si debba dedicare al lavoro.
Bisogna certamente lavorare in ogni
tempo, eccetto che nei giorni di festa, per avere abbastanza per
provvedere alle proprie necessità e con cui poter aiutare i poveri.
Tuttavia, è necessario applicarsi al lavoro manuale senza perdere il
frutto della lettura, ma all'ora stabilita ci si applichi al lavoro
e poi ci si dedichi alla lettura divina. Il lavoro manuale inizia
alla seconda ora e finisce alla nona; dalla nona ora ci si dedichi
alla lettura; se talvolta ci fosse un lavoro da fare per se stessi,
come cucire o lavare i panni, o qualsiasi altra cosa, lo si faccia
con il permesso della badessa o della priora. E se, a causa di un
lavoro più faticoso o per il caldo dell'estate, si dovesse andare
prima a lavorare, la badessa dovrà tenerne conto e decidere in modo
che, se le circostanze o il peso del lavoro più faticoso lo
richiedono, secondo ciò che deciderà nella sua prudenza, le sorelle
si riposino dal lavoro a partire dalla sesta ora e, dopo il riposo o
il pasto, riprendano il lavoro fino a sera. Anzitutto la badessa, se
presente, o la priora se la sostituisce, vigili a non lasciare che
una monaca si abbandoni a chiacchiere oziose oltre a ciò che è
necessario chiedere. Durante lo stesso lavoro manuale si conservi il
ricordo dell'opera di Dio e cioè, mentre all'esterno le mani sono
occupate in opere di interesse temporale, all'interno lo spirito,
accompagnando la voce, trovi gioia nel ricordare i salmi e le
scritture. Se qualcuna viola questa regola dilettandosi nelle
chiacchiere, costei subirà il castigo del silenzio. Le penitenti, se
ce ne sono, accenderanno i fuochi nella sala comune, due a due, ogni
settimana. Allo stesso modo, prepareranno tutto il necessario per
lavare il capo delle sorelle ogni sabato e per i bagni nelle feste
solenni. Se ci sono altri lavori di basso livello, le penitenti ne
saranno incaricate in modo che, eseguendo questi compiti, con uno
spirito umiliato ed un cuore contrito (Sal 50,19), nel timore di
Dio, siano lavate più rapidamente dalle loro colpe dalla
misericordia di Dio Onnipotente.
Quando si va al lavoro, si canti questo
versetto: "Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio: rendi
salda per noi l’opera delle nostre mani, l’opera delle nostre mani
rendi salda" (Sal 89,17). Alla fine del lavoro, si dica questo
versetto: "Ci benedica Dio, il nostro Dio, ci benedica Dio e lo
temano tutti i confini della terra" (Sal 66,7-8). Le fornaie
eseguano a turno il loro lavoro comune, ma in modo che non siano
meno di tre, a causa della necessità di parlare. Se fosse necessario
che restassero in questo luogo, non siano meno di quattro e una di
loro, un'anziana il cui spirito religioso ispira fiducia, sia messa
alla loro testa ed abbia anche la facoltà di parlare. Il pane che
preparano a turno, la loro anziana lo consegni alla celleraria, così
che, assicurate da una perfetta sorveglianza, non debbano incorrere
in alcun rimprovero. Allo stesso modo, coloro che rimarranno al
birrificio per fare la birra, avranno tra di loro un'anziana che le
comanda e che custodisca tutte le cose secondo la regola stabilita
per la fornaia.
Le cuoche cucineranno a turni di una
settimana in modo che, ogni settimana, ce ne siano tre designate per
questo servizio, o più (di tre) se necessario, affinché un lavoro
imposto senza discrezione non porti come frutto la mormorazione, là
dove si dovrebbe guadagnare una ricompensa. Coloro che entrano in
carica chiederanno all'intera comunità delle sorelle di pregare per
loro e diranno durante la preghiera: "Il nostro aiuto è nel nome del
Signore che ha fatto cielo e terra" (Sal 123,8) e "Aiutaci, o Dio,
nostra salvezza" (Sal 78,9). Quelle che escono, laveranno i piedi a
tutte le sorelle e renderanno alla priora tutte le stoviglie che
hanno dovuto usare. Chiederanno nello stesso modo che si preghi per
loro e diranno questo versetto durante la preghiera: "Perché tu,
Signore, mi hai aiutato e consolato" (cfr. Sal 85,17). Per ciascuna
delle loro negligenze le cuoche come le cellerarie ricevano, nei
giorni feriali, una correzione di venticinque colpi sulla mano, per
timore che, trascurando le colpe minori, siano portate a cadere in
quelle più dannose. |
CAPUT XIII. De
utensilibus vel supellectilibus.
Utensilia
monasterii, et quaecunque sunt ad commune opus necessaria,
abbatissae cura disponantur. Et tales in congregatione quaerantur,
quarum et sollicitudo animi viget, et conscientiae firmitas sit
probata; et ipsis cura committatur, ut quae cuique necessaria
fuerint opportunitate exigente tribuantur. Et sic ipsa utensilia,
seu quaecunque eis ab abbatissa commissa fuerint, cum sollicito
timoris studio gubernentur, ut mercedem commissae curae recipiant,
et non judicium damnationis incurrant, anteponentes illud mentis
oculis: Maledictus qui facit opus Dei negligenter (Jer. XLVIII). |
Capitolo XIII. Gli utensili e le cose
necessarie.
La badessa si prenda cura degli utensili
del monastero e di tutto ciò che è necessario al lavoro comune.
Saranno scelte nella comunità delle sorelle di grande zelo e di ben
provata coscienza, a cui sarà affidato il compito di dare a ciascuna
ciò che è necessario secondo le circostanze. Si prenderanno cura
degli utensili e di tutto ciò che la badessa ha affidato loro con lo
zelo attento ispirato dal timore, in modo da ricevere la loro
ricompensa per l'incarico loro affidato e non incorrere in una
sentenza di condanna, custodendo queste parole davanti agli occhi
delle loro anime: "Maledetto chi compie fiaccamente l’opera del
Signore" (Ger 48,10). |
CAPUT XIV. Qualiter
in schola debeant dormire.
Cum semper
religiosae et Deo dicatae animae, tam diurnis quam nocturnis horis
paratam Deo mentem praeparant, ut quamvis sopore membra torpescant,
anima vigore Creatoris intenta praeconiis pervigil maneat, juxta
illud: Ego enim dormio, et cor meum vigilat (Cant.
V): tamen solerti custodia specialiter intuendum, ne
per negligentiam maternae sollicitudinis subjecta membra damna
capiant imbecillitatis. Proinde ergo decernimus, ut binae et binae,
praeter infirmas et seniores, in lectulis dormiant, sic tamen,ut ad
invicem non loquantur, neque se ad invicem, id est, facie ad faciem
respiciant; sed una post aliam quiescens dormiat; ne antiquus
hostis, qui ore libenti animas vulnerare cupit, aliquid fraudis
jaculando immittat; ut colloquendo mortalia excitet desideria. Sic
tamen fiat, ut una ex illis semper senior sit: de cujus religione
non dubitetur. Juvenculas vero nullatenus simul quiescere censemus,
ne in aliquo carnis adversitate aestu delicto rapiantur. Omnes enim,
si fieri potest, una domus ad dormiendum capiat, praeter si
infirmitas aut senilis aetas poposcerit, aut culpa damnaverit, aut
novitas probata non fuerit, ut in cella separentur. Omnes vestitae
et cinctae dormiant. In schola qua dormitur per totam noctem lucerna
ardeat. Ad cursum vero cum festinatione surgentes, signum crucis
fronti inferatur: simulque sub silentio dicatur: Deus, in
adjutorium meum intende; Domine, ad adjuvandum me festina. |
IV Come le sorelle debbano dormire nella
stanza comune.
A tutte le ore del giorno e della notte,
le anime religiose e consacrate a Dio tengono costantemente il loro
cuore pronto per Dio in modo che, anche se le membra sono
intorpidite dal sonno, l'anima rimanga sveglia, applicata con tutto
il suo ardore a lodare il Creatore secondo questo detto: "Mi sono
addormentata, ma veglia il mio cuore" (Ct 5,2). Tuttavia, un'attenta
vigilanza è particolarmente necessaria perché, se mancasse per
negligenza la sollecitudine della madre, le sorelle subordinate
potrebbero subirne un danno a causa della loro debolezza. Ecco
perché decidiamo che dormiranno a due a due nel loro letto, eccetto
le malate e le anziane, in modo che non si parlino o si guardino in
faccia a vicenda, ma dormano giacendo con le spalle girate una
contro l'altra; si eviterà così che l'antico nemico, la cui avida
gola cerca di ferire le anime, scagli qualche freccia ingannevole ed
ecciti dei desideri mortali tramite le loro conversazioni. Ci si
assicurerà che una di loro sia sempre un'anziana, il cui spirito
religioso sia certo. Per quanto riguarda le più giovani, vogliamo
che non dormano mai insieme, per non essere trascinate dalla
passione a (commettere) qualche colpa nel combattimento della carne.
Pertanto, se è possibile, una sola stanza le riunisca tutte per
dormire, eccetto quelle che devono essere collocate in una stanza
separata, perché la malattia o l'età avanzata lo richiedono o perché
una colpa comporta questa penalità o nel caso di una nuova arrivata
non ancora messa alla prova. Tutte dormiranno vestite e con la
cintura. Una lampada rimanga accesa tutta la notte nella stanza in
cui si dorme. Alzandosi in fretta per l'ufficio, le sorelle si
faranno sulla fronte il segno della croce e diranno nello stesso
tempo silenziosamente: "O Dio, vieni a salvarmi, Signore, vieni
presto in mio aiuto" (Sal 69,2). |
CAPUT XV. De cura
infirmantium qualis esse debeat?
Harum cura quae
infirmitatibus detinentur qualis esse debet, proprietas auctoris
declarat, cum dicit: Quaecunque vultis ut vobis faciant homines,
et vos facite eis similiter (Matth. VII). Licet hoc in omnibus
sit agendum, praecipue tamen in infirmantium cura haec praeceptio
est exhibenda; quia Dominus dixit: Infirmus fui, et venistis ad
me (Matth.
XXV). Ita ergo cura infirmis quaerenda est, ac si
praesenti Christo ministrare putetur. Revera etenim quaecunque pro
Christo infirmis curam impendit, Christo in infirmis ministrat. Sit
tamen abbatissae cura ut separatim cellam habeant cum omnibus
opportunitatibus; ut nullum exteriorem laborem sentiat, quae in
infirma carne poenam portat. Et si tempus poposcerit, sicut tempus
Quadragesimae, ut caeterae vitam immutent, infirmis semper cedendum
est; ut tam potus quam cibaria uberius ministrentur. Balnearum usus,
vel cura medendi summo adhibeatur studio. Sanis vero, praecipue vero
juvenculis, tardius concedatur. Abbatissa talem curam de infirmis
habeat, qualem se recipere a Domino sperat; ut nec a cellaria, nec a
ministra aliquam negligentiam infirmae sentiant. Decrepita vero
aetate fessis talis sit cura, quatenus nulla in eis negligentia, sed
juxta arbitrium abbatissae, prout cuicunque necessarium esse
viderit, consideratione pia earum imbecillitati concedatur. Non enim
hae possunt regulae tenori subjacere, sed potius pietatis in eas
impendendus est affectus. |
XV Come ci deve occupare delle sorelle
malate?
Quale debba essere la cura prestata a
coloro che sono colpite da malattie, anche le parole del Maestro lo
manifestano quando dice: "Tutto quanto volete che gli uomini
facciano a voi, anche voi fatelo a loro" (Mt 7,2). Benché sia
un dovere per tutti, questo comandamento
deve tuttavia essere applicato prima di tutto alla cura degli
ammalati, perché il Signore ha detto: "Ero malato e mi avete
visitato" (Mt 25,36). Dobbiamo quindi sforzarci di prenderci cura
delle sorelle ammalate come se credessimo di servire Cristo in
persona. Perché colei che si prende cura delle malate per Cristo, in
verità serve Cristo nelle malate. Tuttavia, la badessa si assicuri
che le malate abbiano una cella separata con tutto il necessario, in
modo che colei che sopporta la sofferenza nella sua debole carne
(cfr. Mt 26,41) non debba subire alcuna pena esteriore. E se il
tempo - ad esempio il tempo della Quaresima - richiede alle altre
sorelle di modificare il loro regime di vita, alle malate verrà
sempre accordata una razione più abbondante di bevande e di cibo. Ci
si impegnerà assiduamente affinché possano utilizzare i bagni e le
cure mediche. Alle (sorelle) sane, specialmente le più giovani, i
bagni verranno concessi più raramente. La badessa deve trattare le
malate come lei spera di essere trattata dal Signore, in modo che le
malate non siano trascurate né dalla celleraria, né dalla sorella
che le serve. Per quanto riguarda quelle che sono debilitate dalla
vecchiaia, si abbia cura che non vengano trascurate in alcun modo ma
tutto ciò che è stato ritenuto necessario a ciascuna, secondo il
giudizio della badessa, dovrà essere accordato alla loro debolezza
con amorevole rispetto. Non possono, infatti, essere assoggettate
alle disposizioni della regola, ma piuttosto occorre comportarsi con
loro con affettuosa bontà. |
CAPUT XVI. De casibus qui per
negligentiam aut eventu superveniunt
Negligentiae culpa, qua per multos casus
in multis delinquitur, abbatissae judicio pensanda est, id est, in
refectorio, in coquina, in dormitorio, vel in qualibet utilitate aut
fregerit, aut perdiderit, aut negligenter dimiserit, omnia secundum
suum modulum sunt pensanda, et juxta aetatem vel teneram, vel
senilem, vel viridem, sunt corrigenda. Quia si in minimis
negligentiae vitium non corrigitur, mens vitiata in minoribus
culpis, in majora dilabitur delicta. Si soror, quae in his casibus
dilapsa, statim abbatissae vel praepositae puram dederit
confessionem; et compertum fuerit non suae voluntatis fuisse, quod
casu accidit; hoc tantummodo sufficiat, ut hoc quod deliquit et
perpetravit, si possibile fuerit, non deneget, et emendet cum veniae
satisfactione. Si vero non sua confessione, sed alterius proditione
cognitum fuerit, prout culpae magnitudo poposcerit, poenitentiae
subjacebit; quia culpam per puram confessionem non manifestavit. Si
vero ex majoribus culpis, quod ad animae majorem pertinet
damnationem, aliquamcommiserit, hoc secretius per puram confessionem
volens suae manifestet abbatissae: ne dum tempore animi culpam
detegere verecundat, cum reatu culpae faciem diaboli interius
recondat. |
Capitolo XVI. Gli eventi che accadono per
negligenza o dovuti al caso.
La badessa nel suo giudizio dovrà tener
conto della gravità della negligenza che in molte occasioni è
all'origine di molte colpe. Vale a dire se nel refettorio, nella
cucina, nel dormitorio o in qualsiasi attività, qualcosa è stato
rotto, perso o danneggiato per negligenza, tutte le cose devono
essere apprezzate nella loro misura e corrette tenendo conto
dell'età delle sorelle, sia giovani, sia anziane, sia sorelle nel
pieno della forza. Perché se il vizio della negligenza non è
corretto in cose di poca importanza, il cuore viziato dalle piccole
colpe cadrà in trasgressioni più grandi. Se la sorella, caduta in
uno di questi casi, fa subito una confessione sincera alla badessa o
alla priora, e se è provato che l'incidente si è verificato suo
malgrado, basterà che non neghi - se è possibile - il male che ha
fatto e commesso e che ripari scusandosi e chiedendo perdono. Se, al
contrario, la cosa viene saputa non per la sua confessione, ma per
la denuncia di un'altra, sarà sottoposta a una penitenza
proporzionata alla gravità della colpa, perché non ha manifestato
questa colpa con una confessione sincera. Ma se una sorella ha
commesso una di quelle gravi colpe che causano maggiori danni
all'anima, ella la manifesterà alla badessa in segreto, mediante una
sincera confessione e di sua spontanea volontà, per timore che,
mentre non osa rivelare a tempo debito la colpa della sua anima,
nasconda dentro di sé, oltre all'accusa della sua colpa, anche il
volto del diavolo.
|
CAPUT XVII. De eo quod nulla monacha
monasterio debeat proprium aliquid vindicare.
Proprii aliquid in monasterio nihil
habendum; sed potius propter nomen Domini omnia contemnenda.
Quid enim proprium
aliquid suum fidelis anima de rebus mundi vindicet, cui mundus
crucifixus est, et ipsa mundo? Quae semel mundo mortua, cur per
aliquam temporalium rerum cupiditatem, vel desiderium aerumnosum,
denuo incipietvivere mundo, quae, contempto mundo, coeperat jam
vivere Deo? Amputandum ergo est hoc vitium radicitus ab omni
monacha, ut nullam rem vel in vestimentis, seu in calceamentis, vel
in quibuslibet rebus sibi vindicet, vel suum esse dicat, nisi
quantum ex abbatissae jussione penes se praecipitur retinere, ac si
custos alterius, non propriae rei domina. Et ea quae sibi ab
abbatissa fuerint commendata, id est, ad necessitatem praesentem,
aut in vestimento, aut in qualibet re, nihil exinde aut dare aut
commodare cuiquam praesumat; nisi tantum ab abbatissa illi fuerit
ordinatum. Quid enim de rebus mundi alteri sorori conferat, quae
suas in omnibus voluntates propter Christum in abbatissae tradidit
potestatem? Omnia ergo quae in monasterio habentur sint omnibus
communia; juxta quod in Actibus apostolorum legimus: Et erant, inquit, eis
omnia communia (Act. IV). Sic tamen communia sunt habenda, ut
nulla aut dare aut accipere, nisi abbatissa ordinante, praesumat: ne
cupiditatis aut temeritatis malum incurrens in laqueum, Judae
proditoris consortio numeretur, qui solus in numero apostolorum
loculos habuisse refertur, ubi commutantium ac vendentium commercia
ponebantur. Quod si huic vitio aliqua sororum delectari fuerit
deprehensa, et post primam, secundam vel tertiam correctionem
emendare noluerit, disciplinae regulari subjacebit. |
Capitolo XVII. Nel monastero nessuna
monaca deve rivendicare qualcosa come proprio.
Nel
monastero non si deve avere nulla di proprio, ma piuttosto
disprezzare tutto per il nome del Signore. Che cosa potrebbe,
infatti, rivendicare come suo, tra i beni di questo mondo, l'anima
fedele per la quale il mondo è crocifisso ed essa per il mondo"
(cfr. Gal 6,14? Dato che essa è morta per il mondo una volta per
tutte, perché dovrebbe ricominciare a vivere per il mondo con
l'avidità dei beni temporali o con qualche tormentato desiderio, lei
che, avendo disprezzato il mondo, aveva iniziato a vivere per Dio
(cfr. Rm 6,10)? È quindi necessario, in ogni monaca, sradicare
questa vizio alla radice, in modo che non rivendichi o dica suo
alcun oggetto, né vestiti, né calzature o qualsiasi altra cosa, se
non ciò che le è stato comandato di custodire per ordine della
badessa, come se essa fosse custode del bene altrui e non padrona di
un bene che le appartenesse. E di tutto ciò che le è stato affidato
dalla badessa per i suoi bisogni materiali, che si tratti di vestiti
o di qualsiasi altra cosa, ella non si permetterà di dare o prestare
qualcosa a nessuna, a meno che la badessa non lo ordini. Che cosa
potrebbe, infatti, dare ad un'altra sorella dei beni di questo mondo
dato che, a causa di Cristo, essa ha abbandonato tutte le sue
volontà in potere della badessa? Di conseguenza tutto ciò che è nel
monastero sia comune a tutti, come leggiamo negli Atti degli
Apostoli: "Fra loro tutto era comune" (Atti 4,32). Tuttavia,
considerando queste cose come un bene comune, nessuna si permetterà
di dare o ricevere nulla senza l'ordine della badessa, per paura
che, cadendo nella trappola pericolosa della cupidigia o della
temerarietà, ella condivida il destino di Giuda il traditore,
l'unico tra gli Apostoli che si dice avesse la borsa, dove teneva i
fondi provenienti da scambi o da vendite (cfr. Gv 12,61; 13,29). Se
una sorella viene sorpresa a compiacersi in questo vizio e se dopo
una prima, una seconda e una terza correzione, rifiuta di fare
ammenda, sarà sottoposta alla disciplina regolare. |
CAPUT XVIII. De
culparum excommunicatione.
Si qua vero soror
instigante diabolo contumax, vel superba, seu inobediens, vel
murmurans apparuerit; vel etiam in quocunque casu lapsa, seniorum
praecepta vel sanctae regulae normam violare tentaverit; haec,
secundum praeceptum Domini, secreto a senioribus semel vel bis
corripiatur (Matth. XVIII). Si emendare noluerit, tunc simul
ab omni congregatione objurgetur. Et si sic emendare noluerit, tunc
prout culpae magnitudo poposcerit, secundum regulam judicetur: id
est, aut excommunicationi subjaceat, si ejus antea intellectus
viguit: aut si obstinata et durae mentis tenacitas culpae et
improbitatis perseveret, tunc corporali disciplinae subjacebit. |
Capitolo XVIII. La scomunica per le
colpe.
Se una sorella, su istigazione del
diavolo, è apparsa ostinata, arrogante o disobbedienti o
mormoratrice o se, caduta in qualche colpa, cerca di violare i
precetti delle anziane o la norma della santa regola, secondo il
precetto di Signore sarà ripresa in segreto dalle anziane una o due
volte. Se non fa ammenda, sia biasimata da tutta la comunità. E se
in seguito non vuole emendarsi, allora, secondo ciò che richiede
l'importanza della sua colpa, sarà giudicata secondo la regola, cioè
sarà sottoposta alla scomunica, se ne ha già una comprensione
sufficiente. Ma se persevera nell'ostinazione di un cuore indurito e
persiste nel suo peccato e nella sua malignità, allora sarà soggetta
a punizioni corporali. |
CAPUT XIX. Qualis
debeat esse excommunicatio.
Excommunicationis
mensura qualis esse debeat, justum scientibus librare judicium
culpae modus ostendit. Levioribus enim culpis levior est adhibenda
correctio; gravioribus vero ferventior est adhibenda damnatio.
Proinde abbatissae studio est pensandum, ut si aliqua soror in
levioribus inveniatur obnoxia culpis, usque ad indictam sibi horam
mensa privetur, De gravioribus vero seu dierum vel hebdomadarum vel
mensium definitio in longius protracta correctione finiatur: ea
tamen regula, ut si amplius quam septem dierum spatium
excommunicationis percurrerit, quandiu poenitentiae sub statuto
tempore ordo retentus fuerit, sicut a mensa loco suo privetur,
ita et in ecclesia segregetur; ut in loco in quo ante fuit, nec
psalmum cantet, nec ullum ordinem teneat, usque dum satisfactione
humili cum cordis contritione ab abbatissa vel a senioribus veniam
mereatur. Excommunicata vero soror, quae culpis gravioribus
existentibus aut cellula recluditur, aut a consortio congregationis
separatur, a nullo penitus colloquia aut visitationis munus fruatur,
nisi tantummodo cui praeceptum ab abbatissa fuerit. Si qua
transgressa hanc regulam fuerit, regulari poenitentiae subjacebit. |
Capitolo XIX. Come debba essere la
scomunica.
La gravità della colpa chiarisce quale
debba essere la misura della scomunica a coloro che sanno ponderare
con un giusto giudizio. Infatti, alle colpe lievi è necessario
applicare una leggera correzione ed alle più gravi una punizione più
intensa. Questo è il motivo per cui la valutazione spetta alla
badessa. Se una sorella è colpevole di reati minori, sarà privata
del posto a tavola fino all'ora stabilita. Ma per le colpe più
gravi, si determinerà una durata di giorni, settimane o mesi per una
correzione prolungata. Tuttavia, si applichi questa regola: se la
scomunica si estende per più di sette giorni, fino a quando lo stato
di penitenza rimane in vigore, la sorella non sarà priva solo del
suo posto a tavola, ma anche tenuta in disparte nella chiesa. Vale a
dire che non canterà salmi nel posto che prima era il suo, né
manterrà il suo turno finché, con un'umile soddisfazione fatta con
la contrizione del cuore, essa si meriti il perdono della badessa e
delle anziane. Per quanto riguarda la sorella scomunicata che, per
colpe più gravi, è rinchiusa in una cella o esclusa dalla vita della
comunità, essa non avrà alcun diritto di avere colloqui o visite, se
non di colei alla quale la badessa lo avrà ingiunto. Se qualcuna
trasgredisce questa regola, sarà soggetta a regolare penitenza. |
CAPUT XX. De his
quae per sedulam correptionis curam saepius correctae emendare
noluerunt.
Soror si saepius correpta emendare
noluerit, excommunicatione pro modo culpae corrigatur. Si nec sic
aliquid proficiat increpantis correctio, tunc verberum vindictae
subjacebit. Quod si sic emendare noluerit, sed magis in tumorem
superbiae elata, opera vel actus, de quibus corrigitur, defenderit,
tunc abbatissae scientiae regimine corrigatur: quia scriptum est: Qui
abjicit disciplinam, infelix est (Sap. III). Moderante ergo
scientia saniei medendi cura adhibeatur. Si lethale vulnus per
fomenta castigationum, et pietatis ac lenitatis unguenta sospitati
non redditur, saltem incisionibus amputetur. Et si sic sanies
desecta tumorem non amiserit, tum excommunicationis sententiam, vel
disciplinae corporalis poenam incurrat. Et si nec excommunicationis
metu, nec flagelli poena frangitur, augeatur adhuc pietatis fomes;
ita ut ab omni congregatione pro ea communis Dominus orationum
officio deprecetur: ut quae laqueo diaboli irretita tenetur, Domini
misericordia ac pietate curetur. Quod si nec sic corrigi voluerit,
intra septa monasterii sub poenitentiae tenore ab omnibus, praeter
custodibus, segregata, tandiu castigetur diversis correctionibus,
usque dum ejus humilitas omnibus vera credulitate patefiat: quoniam
et invitis saepe salus praestatur. Nam ideo separanda est a
congregatione, ut suo vitio non maculet innocentes. Tenera vero
aetas, quae excommunicata vim nescit, non excommunicatione, sed
flagello corrigenda est. |
Capitolo XX. A proposito delle sorelle
che, pur essendo state spesso corrette con solleciti rimproveri, non
vogliono emendarsi.
Se una sorella, spesso rimproverata, si
rifiuta di fare ammenda, sarà punita con la scomunica in base al suo
grado di colpa. Se anche allora la correzione di colei che la
riprende non ha alcun effetto, sarò sottoposta alla punizione delle
verghe. Se poi si rifiuta di fare ammenda e, al contrario, gonfiata
dal fermento dell'orgoglio, difende la condotta e gli atti per cui è
punita, allora la badessa, secondo la sua esperta gestione,
infliggerà una punizione, perché sta scritto: "È infelice chi
rifiuta la disciplina" (Sap 3,11). Guidata dalla sua esperienza, (la
badessa) applicherà la sua cura per guarire l'ascesso. Se questa
ferita mortale non guarisce né con il rimedio della punizione, né
con l'unguento della bontà e della dolcezza, sarà necessario
reciderla con un'incisione. E se anche allora l'apertura
dell'ascesso non ha eliminato il tumore, la sorella incorrerà nella
sentenza della scomunica o nella punizione con un castigo corporale.
E se non si sottomette, né con la paura della scomunica, né con la
punizione della flagellazione, si aumenti ulteriormente il fuoco
della carità, Allora tutta la comunità riunita implorerà per lei il
Signore di tutti attraverso la preghiera, affinché la sorella
imprigionata nelle reti del diavolo sia assistita dalla misericordia
e dalla bontà del Signore. Se anche così non vuole correggersi,
rimanga separata da tutte, eccetto dalle sue guardiane, nel recinto
del monastero, nella condizione di penitente e sia castigata con
varie punizioni fino a che non darà a tutte delle indubbie prove
della sua umiltà. Perché spesso la salvezza è accordata anche a
coloro che l'hanno rifiutata. Deve essere separata dalla comunità in
modo che non contamini le innocenti con il suo vizio. Una sorella di
tenera età, che non conosce la gravità della scomunica, non dovrà
essere corretta mediante la scomunica, ma con il flagello. |
CAPUT XXI. De
receptione sororis.
Sin ullo tempore,
quod absit a Christiana religione, soror a septis monasterii
discesserit, et foras fugiens postea recordata pristinae religionis,
et aeterni judicii perculsa timore reversa fuerit; prius omnem
monasterio emendationem polliceatur: postea si probabilis ejus
poenitentia agnoscatur, tunc demum intra septa monasterii
recipiatur. Et si bis aut tertio hoc fecerit, simili pietate
foveatur; sic tamen ut in extremo loco inter poenitentes recepta
tandiu examinetur, usque dum probabilis ejus vita inveniatur. Si
vero post tertiam receptionem fugae culpa maculata fuerit, sciat
omnem reversionis aditum esse in postmodum denegandum. |
Capitolo XXI. L'accettazione delle
sorelle (fuggite dal monastero).
Se mai - ciò che non è consentito nello
stato religioso cristiano - una sorella lascia il recinto del
monastero per fuggire all'esterno, ma poi, ricordando il suo
precedente stato religioso e colta dal timore di un giudizio eterno
ritorna, dovrà prima promettere al monastero un emendamento totale;
in seguito, se il suo pentimento è riconosciuto accettabile, solo
allora sia ricevuta entro le mura del monastero. E se ripeterà ciò
due o tre volte, sarà circondata dalla stessa bontà; tuttavia,
accolta nell'ultima fila tra le penitenti, verrà messa alla prova
per qualche tempo fino a quando la sua condotta sarà trovata
accettabile. Ma se, dopo essere stata così ricevuta per la terza
volta, si macchia della colpa della fuga, sappia che d'ora in poi le
sarà impedita ogni via di ritorno.
|
CAPUT XXII. Qualiter
invicem se humilient, vel ordines servent: vel in minutis actibus
qualiter sint servanda praecepta.
Quanto se affectu,
vel charitatis ministerio in monasterio animae positae debeant
diligere, sanctorum Patrum instituta sanxerunt: sed in quibus sit
actibus vel officiis demonstrandum, a nobis pro parte indicandum
est.
Habet denique
latissimum virtutum copia ambitum, quo circumsepta facile hostem
sibi superet adversantem. Sunt etenim nonnulla, quae in actu
videntur exigua, et tamen vel custodita vel neglecta, aut
tepescente, aut fervente animi motu demonstrantur: ut est humiliatio
capitis, vel sermonum affabilis salutatio; quae aut rigidae mentis
vel concordiae, aut si certe piae purissimum patefacient affectum.
Servandum ergo est famulis vel famulabus Christi, ut semper intra
mentis statum ea nutriant quae a vera humilitate et charitate non
discedant: in quibus summa constat virtutum. Nam sicut nunquam sine
vera humilitate vera manet charitas, ita nunquam absque vera
charitate vera manet humilitas. Arripiamus ergo instruere
fundamentum, ut ad culmen perveniamus virtutum. Sic prius humilitas
monstranda tam actu quam affectu, ut post charitatis copia
aedificetur. Et quando sibi mutuatim in via vel in quocunque loco
occurrerint, cum omni humilitate ab invicem flectentes benedictionem
rogent. Et si ex eis una senior fuerit, prius junior benedictionem
postulet; tunc demum senior prosequatur. In cursu vero positae,
prout ab abbatissa fuerint ordinatae, vel ad psalmum canendum, vel
lectiones recitandas, vel etiam ad communicandum euntes, suum
ordinem custodiant: ne constitutum sibi locum transilientes in
ambitionis vel arrogantiae vitio demergantur. Abbatissae vero
studendum est, ut per ordinem sicut conversae in monasterio fuerint,
ita in suo ordine constituantur: praeter si uberius conversatio
religionis meruerit, ut inantea promoveatur; vel si gravis culpa
exegerit, ut retro regradetur. Si vero aliqua ex sororibus
cognoscatur seniorem affectare locum, cum verecunda castigatione
repellatur: quia non debiti honoris locum praesumpsit, nec
religionis commercio, sed ambitionis honorem indebitum conata est
arripere. In consessu sororum, si alia supervenerit, quae juniores
sunt ordine, assurgant, et seniori locum praebeant. Juniores vero
seniori nullatenus superbiendo contradicant; sed cum omni humilitate
vel interrogatae, vel correptae respondeant. Si labentem in
quodlibet delictum junior seniorem aspexerit, non exprobrando, sed
magis dolendo ad confitendum abbatissae vel praepositae dirigat:
similiter senior juniori faciat. Ad confessionem veniens, prius
prostrata supra humum, suam culpam esse dicat: sic postquam surgere
jubetur, suam confessionem manifestet. Quando ad aliquod opus fieri
commeatus rogatur, venia prius petatur, et sic de opere quod
faciendum est commeatus rogetur. Quando ad abbatissam venitur, cum
omni humilitate veniam petendo accedatur; similiter quando
egreditur, cum veniae petitione benedictio quaeratur. Nulla
monacharum per semetipsam de propria necessitate abbatissae
suggerat, sed omnes per praepositam quidquid necessitatum fuerit
abbatissae studeant intimare. Si sacerdos vel quilibet religiosus
venerit, ut ei per abbatissae commeatum sit occurrendum, a longe
astantes, cum humilitate flectentes genu sub silenti voce
benedictionem rogent. Et si ordinatum fuerit ab abbatissa, ut cum
his aliqua sororum loquatur, cum omni humilitate et modestia ac
sobrietate loquendum, est: ut in omnibus his virtus humilitatis ac
sobrietatis inveniatur. |
Capitolo XXII. Come le sorelle siano
reciprocamente umili e osservino il loro posto. Come debbano
osservare i precetti anche nelle azioni insignificanti.
Con quale affetto e quale prestazione di
carità devono amarsi le anime che vivono nel monastero, le
istituzioni dei santi Padri l'hanno insegnato: ma con quali atti e
quali servizi questo deve manifestarsi, spetta a noi specificarlo.
Inoltre, il gran numero delle virtù forma un cerchio molto ampio e
l'anima che se ne circonda conquista facilmente la vittoria sul
nemico. Ci sono, infatti, molti dettagli che appaiono in effetti
molto piccoli e che, tuttavia, mostrano, a seconda che li si osservi
o li si trascuri, la tiepidezza o il fervore del cuore; così, il
fatto di inclinare la testa o di salutarsi con parole affabili
rivela se le disposizioni sono quelle di un cuore duro o di un cuore
abitato dallo spirito di concordia o da un'autentica bontà. I servi
e le serve di Cristo devono quindi fare attenzione a mantenere nei
loro cuori ciò che non separa dalla vera umiltà e carità, nelle
quali consiste la totalità delle virtù. Poiché senza vera umiltà non
c'è vera carità, né senza vera carità c'è vera umiltà. Cerchiamo
quindi di gettare le fondamenta per raggiungere la vetta delle
virtù. Innanzitutto bisogna manifestare l'umiltà negli atti e nei
sentimenti, affinché su di essa si edifichi una grande carità.
Quando (le sorelle) si incontrano nel loro andirivieni o in
qualsiasi luogo, si inchinino in tutta umiltà e si chiedano l'un
l'altra la benedizione. Se una di loro è più anziana, la più giovane
chiederà per prima la benedizione, poi l'anziana farà lo stesso.
All'ufficio manterranno il loro posto, come ha stabilito la badessa,
sia per cantare un salmo, o per recitare le letture, o alla
comunione, per non cadere nel vizio dell'ambizione o dell'arroganza
andando oltre il luogo loro assegnato. La badessa, però, deve
garantire che il loro posto corrisponda all'ordine di entrata in
monastero, a meno che una vita più religiosa faccia meritare a
qualcuna di essere promossa ad un rango superiore o se, a causa di
una grave colpa, sia costretta a retrocedere dal suo posto. Ma se
una sorella cerca di prendere il posto di una più anziana, venga
respinta con un'umiliante penitenza, per aver cercato l'onore di un
posto che non le era dovuto e per aver agito in uno spirito non di
religione ma di ambizione, nel tentativo di impadronirsi di questo
onore che non le era dovuto. Quando le sorelle sono riunite insieme,
se arriva un'altra sorella le più giovani di grado si alzino e
lascino il posto a una più anziana. Le più giovani non dovranno mai
contraddire orgogliosamente una più anziana, ma risponderanno con
perfetta umiltà a chi le interroga o le rimprovera. Se una giovane
vede un'anziana cadere in una qualche mancanza non le farà un
rimprovero, ma se ne rattristerà e la manderà dalla badessa o dalla
priora a confessarsi: un'anziana farà lo stesso per una giovane. Chi
viene alla confessione si prostrerà per terra, dichiarandosi
colpevole: quando avrà ricevuto l'ordine di alzarsi, farà la sua
confessione. Quando si chiede il permesso di fare un lavoro prima si
chieda perdono, poi si chieda il permesso di eseguire il lavoro in
questione. Quando si viene dalla badessa, ci si avvicini umilmente
chiedendo il permesso; allo stesso modo, chiedendo il permesso di
andarsene, le sarà chiesto di dare la benedizione. Nessuna monaca
parlerà lei stessa alla badessa di ciò di cui ha bisogno, ma tutte
faranno attenzione a far sapere alla badessa attraverso la priora
ciò che è loro necessario. Se arriva un prete o un religioso e, con
l'autorizzazione della badessa, si deve andare ad incontrarlo, (le
sorelle), stando a distanza e piegando umilmente il ginocchio,
chiedano a bassa voce la benedizione. E se una sorella riceve
l'ordine della badessa di conversare con loro, essa parlerà con
tutta l'umiltà, la modestia e la sobrietà possibili: si manifesti in
tutto la virtù dell'umiltà e della sobrietà. |
CAPUT XXIII. De
non defendenda proxima vel consanguinea in monasterio.
Defendere proximam
vel consanguineam in monasterio nullo modo permitti censemus. Quid
enim aliam defendat, quae jam sibi non vivit, sed Christo quem
imitata manet crucifixa? quae propriam animam, ut uberius saluti
jungeret, prius perdidit? Quae ergo proprias perdidit voluntates, ut
Christi in se voluntatem impleret, cur aliarum delicta defendet,
quae propria crucifixit? Et si in veritate crucifixit, et non mundo
jam, sed Christo vivit, cur in mundo facinoribus labentes pro
qualibet familiaritate defendat?
Sit ergo ei aequus amor tam in
consanguinea, quam in caetera sorore, quae ei sanguinis affinitate
non jungitur. Maneat ergo in omnibus amor corde clausus, nec
quanquam sub disciplinae moderamine positam tueri studeat: ne vitium
defendendi in alias dimittat. Sit ergo in arbitrio corrigentis, ut
quas corrigit sub amoris studio, non propriam implendo voluntatem,
sed vitia corrigendo, inferat disciplinam. |
Capitolo XXIII. Nessuna (sorella) difenda
un'altra sorella o una parente nel monastero.
Stabiliamo che non è permesso in alcun
modo nel monastero di difendere una sorella o una parente. Perché
dovrebbe difendere un'altra, colei che ormai non vive più per se
stessa (cfr. Gal 2,20) ma per Cristo, rimanendo crocifissa per
imitarlo (cfr. Rm 14,7-8; Gal 6,14)? colei che ha perso la propria
vita (cfr. Mc 8,35) per darle più abbondantemente la salvezza? E
colei che ha perso le proprie volontà per la volontà di Cristo da
adempiersi in lei, perché dovrebbe diventare l'avvocato dei peccati
degli altri, lei ha inchiodato i suoi alla croce (cfr. Gal 5,24)? E
se ha davvero inchiodato (i suoi peccati) alla croce e non vive più
per il mondo, ma per Cristo, perché dovrebbe difendere in nome di un
legame di familiarità quelle che ricadono nel mondo per le loro
colpe? Quindi lei abbia un amore uguale verso una parente e verso
un'altra sorella a cui non è congiunta con legami del sangue. Di
conseguenza in tutte l'amore rimanga racchiuso nel cuore e nessuna
cerchi di proteggere una sorella soggetta alla disciplina regolare,
in modo che questo vizio di difendersi non si comunichi alle altre.
Spetterà quindi a colei che è responsabile della correzione di
sottoporre alla disciplina quelle che corregge con lo zelo
dell'amore, non per soddisfare la propria volontà, ma per correggere
i vizi. |
CAPUT XXIV. De
nutriendis infantibus.
Infantes in
monasterio quanta cura et disciplina sint enutriendae, multis
didicimus documentis. Debent enim nutriri cum omni pietatis affectu,
et disciplinae ministerio: ne desidiae vel lasciviae vitio sub
tenera aetate maculatae, aut vix, aut nullatenus possint postea
corrigi. Sit ergo in eis tanta cura, ut nunquam sine seniore huc
atque illuc liceat deviare: sed semper ab ejus disciplina retentae,
et timoris Dei ac amoris doctrina imbutae, ad cultum instruantur
religionis. Habeant lectionis usum; ut sub puerili aetate discant,
quod ad perfectam deductis proficiat.
In refectorio per se mensam
habeant juxta seniorum mensam positam. Seniores tamen vel duae, vel
amplius, de quarum religione non dubitatur, cum eis sedeant, ut
semper timore anteposito, sub metu seniorum nutriantur. Quibus vero
horis reficiant, vel somnum capiant, abbatissae arbitrio pensandum
est: ut in omnibus virtutum custodia discretio reperiatur. |
Capitolo XXIV. La formazione delle
bambine (nel monastero).
Abbiamo appreso da molti esempi con quale
con cura e fermezza dobbiamo educare le bambine nel monastero.
Devono essere assistite con tutto l'affetto della bontà e l'impiego
della disciplina, affinché nella loro tenera età non siano
contaminate dal vizio dell'ozio o della leggerezza, da cui poi non
possano più esserne corrette se non molto difficilmente. Si abbia
così tanta cura verso di loro che non rimangano mai senza un'anziana
che impedisca loro di deviare da una parte o dall'altra della retta
via ma, sempre moderate dalla sua fermezza e formate
dall'insegnamento del timore e dell'amore di Dio, siano addestrate
all'osservanza della vita religiosa. Si esercitino alla lettura in
modo da poter imparare nella loro giovane età ciò che sarà loro
utile quando saranno adulte. Nel refettorio abbiano la loro propria
tavola, vicino alla tavola delle anziane. Tuttavia, due o più
anziane, il cui spirito religioso sia sicuro, stiano a tavola con
loro affinché, avendo sempre il timore davanti ai loro occhi, siano
educate temendo le anziane. Spetterà al giudizio della badessa
decidere a che ora prendano i loro pasti ed il loro sonno, così che
in tutte le cose sia osservata la discrezione, che è la tutela delle
virtù. |
[1]
Le preposite, ovvero le sorelle responsabili della disciplina, sono
indicate col termine latino al plurale "praepositae".
Lo stesso termine al singolare "praeposita"
indica la priora.
[2]
Secondo la Vita di san
Colombano nel monastero di Éboriac vi erano tre porte
d'ingresso.
[3]
Molto probabilmente vi erano due chiese all'interno del monastero.
[4]
Nella Patrologia Latina
del Migne si trova il termine "suppositio",
mentre in altri manoscritti si trova, più correttamente, "superpositio". Secondo A. de Vogüé, "Histoire littéraire du mouvement monastique dans l'antiquité: Première
partie: Le monachisme latin", Editions du Cerf, 2006, il termine
"superpositio", menzionato
ben 22 volte nella Regola Cenobiale di Colombano, sembra significare
una privazione della parola, o forse talvolta del nutrimento, per un
giorno. Al capitolo 6 della Regola Cenobiale si trova anche il
termine specifico "superpositio
silentii" per indicare la privazione della parola.
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26 aprile 2018
a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net