2.3 Shenute
La regola pacomiana, nata dall’esperienza, venne,
secondo l’esperienza, sempre più perfezionata. Sulle orme di Pacomio, uno
dei grandi riformatori della vita cenobitica fu Shenute “Figlio
di Dio”, in arabo Shenuda. Vissuto
a cavallo tra il IV e il V secolo, fu archimandrita del celebre Dayr
Anba Shenuda o Dayr
al-Abyad (Monastero Bianco) di
Atripe, presso Sohag, a sud di Akhmim. Nessuna fonte greca, né storica né
letteraria, menziona Shenute: questo rimane uno dei grandi misteri della
tradizione cristiana greca in Egitto.
Shenute nacque intorno al 348 nel villaggio di
Shenalolet, moderno Shandanil, sulla riva occidentale del Nilo, nella
regione di Akhmim, e da ragazzino aiutò i genitori pascolando le pecore.
Verso il 371 abbracciò la vita monastica, entrando nel monastero di cui era
superiore lo zio materno Pjol. Dopo la morte dello zio, nel 388 gli
succedette nella direzione del monastero e ben presto introdusse una regola
per i monaci molto più dura e rigorosa di quella di Pacomio, secondo i cui
precetti si era fino ad allora retta la vita della comunità. Come già per i
monaci pacomiani, anche quanti volevano entrare nel suo monastero dovevano
rinunciare a tutti i loro beni materiali e fare voto di condurre una vita
pura. La vita di comunità, la cui pietra miliare era l’obbedienza, venne
regolata fin nei minimi dettagli da regole precise; per i trasgressori erano
previste punizioni severissime, anche corporali. Shenute fu inflessibile con
sé stesso e con gli altri: si narra che avesse mandato al supplizio un
assassino che, mosso dal rimorso per un vecchio crimine, era venuto a
cercare un aiuto spirituale; scrisse anche una lettera alle monache di un
convento nel quale fissava, per le varie infrazioni alle regole del
monastero, l’esatto numero di colpi di bastone da infliggere alle sorelle.
Si racconta anche che un monaco, percosso da Shenute stesso per una
trasgressione alle regole, fosse morto per la durezza dei colpi ricevuti. La
severità della regola fu tale da provocare talvolta dei fremiti di
indisciplina e di ribellione; tuttavia, nonostante questa durezza di vita,
il fascino della persona di Shenute - al quale non fu insensibile neppure il
patriarca Cirillo, che, a quanto pare, lo volle con sé al Concilio di Efeso
del 431 - fu tale che, secondo la versione araba della Vita
di Shenute, il Monastero Bianco, che
quando Shenute divenne abate contava circa trenta monaci e si estendeva su
una superficie di neppure cinque acri, giunse, vivente ancora il grande
abate, a occupare un’area di circa tredicimila acri e a ospitare ben
duemiladuecento monaci e milleottocento monache.
La sua influenza, nonché il suo potere e il suo
prestigio, furono grandi anche presso la popolazione della regione
circostante, che vedeva in lui un leader nazionale,
un avvocato dei poveri contro le prepotenze dei ricchi padroni terrieri,
greci e copti. Numerosissimi erano i visitatori che venivano a sentire i
suoi sermoni o a chiedergli consigli o benedizioni; tra questi non pochi
erano i monaci di Scete o di altri monasteri pacomiani, ma anche vescovi,
funzionari statali e comandanti militari. In una delle tante incursioni dei
predoni Blemmi che in quel periodo devastarono la Tebaide, ben ventimila
persone trovarono rifugio tra le mura del Monastero Bianco.
La durezza dell’archimandrita non si diresse solo contro i monasteri, ma,
come narra il suo successore e biografo Besa, anche contro i pagani, ancora
numerosi soprattutto tra le classi più agiate: nei suoi scritti, molteplici
sono gli insulti contro le superstizioni pagane e spesso egli tradusse in
azione questi suoi violenti sentimenti, conducendo di persona attacchi
contro i templi pagani e i loro frequentatori, distruggendo e bruciando.
Come molti altri monaci, tra i quali Paolo di Tebe e Antonio, anche Shenute
ebbe una vita lunghissima, più che centenaria: secondo la tradizione copta,
morì infatti nel 466, alla veneranda età di centodiciotto anni.
Shenute non fu solo un grande riformatore monastico, ma anche il fondatore
nonché maggiore autore originale della letteratura teologica copta; a lui va
il merito di aver portato il copto, utilizzato fino allora quasi
esclusivamente per traduzioni, al rango di lingua letteraria pienamente
autonoma. Shenute fece inoltre del suo Monastero Bianco un centro di
produzione e di raccolta culturale: è qui, infatti, che venne compiuta la
standardizzazione del testo copto-sahidico della Bibbia, che si diede un
notevole impulso alla traduzione di quelle opere dei Padri greci ritenute
adatte a essere introdotte nella cultura copta e che si formò una grande
biblioteca di opere copte.
Quando, dopo Calcedonia, l’organizzazione ufficiale dei pacomiani scelse la parte calcedoniana, si originò una scissione all’interno dell’organizzazione stessa; molti monaci (come Abramo di Farshut, Apollo, Manasse e Mosè), rimasti fedeli alla tradizione di Dioscoro, lasciarono i monasteri pacomiani e si fecero fondatori di nuove comunità, le quali non si richiamarono più in maniera diretta ed esplicita alla regola di Pacomio, ma, seppur non tutte, a quella di Shenute.
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6 dicembre 2019
a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net