I Regolamenti di orsiesi

(estratto da "Pacomio e i suoi discepoli" - a cura di Lisa Cremaschi della Comunità di Bose - Edizioni QIQAJON) 

(nel testo copto manca la prima parte e quelle parti segnate tra parentesi quadre)

Link all'Introduzione ai Regolamenti


I ‑ (Ammonimenti sulla preghiera e la meditazione delle Scritture) N.D.T.

l. [ ... ] ma ancora: I loro occhi cadranno ai loro piedi e la loro lingua seccherà nella loro bocca (Zc 14,12).

2. Perciò, fratelli miei, dobbiamo sapere con certezza che (queste) non sono parole né formule (cf. Sal 18,4), ma che tutto accadrà. Abbiamo dunque grande timore per non essere assolutamente di scandalo  nel luogo dove due o tre sono riuniti nel nome di Gesù. Egli infatti è con loro e in mezzo a loro, come ha detto (cf. Mt 18,20). Abbiamo già udito nell’evangelo i severi castighi inflitti dal Signore a quello, ad esempio, che fu invitato nella sala delle nozze (cf. Mt 22,1‑13); benché fosse entrato anche lui e si fosse seduto con gli altri, dopo che lo si trovò senza la veste nuziale, il re non esitò a fargli legare piedi e mani e a gettarlo fuori nelle tenebre. Là vi sarà il pianto e lo stridore di denti (Mt 22,13). Stiamo dunque attenti allo stridore di denti meritevole di compassione per scoprire di che genere sia, soprattutto perché dura a lungo e il dolore della tenebra vi resta in eterno.

3. Consideriamo anche le cinque vergini stolte che non avevano l’olio; portarono anch’esse le loro lampade, avanzarono insieme alle sagge e attesero lo sposo fino alla mezzanotte (cf. Mt 25,1‑2), ma fu loro chiusa la porta e udirono il padrone dire: Non vi conosco; di dove siete? (Lc 13,25). Oh, quale gemito profondo, quale continua afflizione! Dopo che erano rimaste fino alla metà della notte con le vergini loro compagne, le loro sorelle furono accolte nella sala delle nozze, esse invece ne furono scacciate.

4. Mettiamo in noi il timore delle parole di Dio, risvegliamoci dal sonno della perdizione e della morte eterna . Non ci accada di essere sorpresi nei desideri della carne e nei piaceri di questo mondo e il Padre di Gesù non ci poti dalla vite (cf. Gv 15,6). Badiamo di non apparire saggi soltanto a noi stessi (cf. Rm 11,25), di non trasgredire uno dei comandamenti più piccoli, di non ricevere il nome della piccolezza (cf. Mt 5,19). Rimaniamo tutti nella vera vite, perché non veniamo gettati via come un tralcio e, disseccati, siamo gettati nel fuoco e bruciati. Se infatti si pota un tralcio dalla vite dove andrà a finire? E difatti la Vite è padrona in questo secolo soltanto o non invece per i secoli eterni? Gesù Cristo è il Signore […].

5. […] tutti saranno. Ciascuno infatti deve comparire davanti al tribunale di Cristo, e ciascuno riceverà ciò che viene dal suo corpo per ciò che ha fatto, sia in bene che in male (2Cor 5,10). Adempiamo così ciò che è gradito a Dio in tutte le nostre opere sfuggendo alle insidie, ai grandi castighi eterni e ai tormenti terribili ed ereditiamo ciò che occhio non vide, ed orecchio non udì, né giunse fino al cuore umano, queste cose Dio ha preparato per quelli che lo amano (1Cor 2,9; Is 64,3; Ger 3,16).

6. Perciò custodiamo noi stessi in ogni cosa e osserviamo scrupolosamente le regole della preghiera nel timore di Dio, come è degno di lui, sia nella sinassi, sia durante le sei preghiere , sia nelle case, in ogni luogo, sia nei campi, sia nella koinonia . Ovunque, anche quando camminiamo per via, rivolgiamo preghiere a Dio con tutto il nostro cuo­re. Badiamo alla preghiera, tenendo le braccia stese in for­ma di croce, proferendo la preghiera scritta nell’evangelo (cf. Mt 6,13), e con gli occhi del nostro cuore e del nostro corpo rivolti verso il Signore, secondo quanto sta scritto: A te ho rivolto i miei occhi, Signore, a te che dimori nel cielo, come gli occhi dei servi attenti alle mani dei loro padroni (Sal 122,1‑2).

7. Segnamoci all’inizio delle nostre preghiere con il segno del battesimo, facciamo sulla nostra fronte il segno della croce come nel giorno in cui fummo battezzati e come sta scritto in Ezechiele (cf. Ez 9,4). Non fermiamo prima la nostra mano, alla bocca o alla barba, ma portiamola sulla fronte, dicendo nel nostro cuore: «Ci siamo segnati con il sigillo». Questo non equivale al sigillo del battesimo, ma il giorno in cui siamo stati battezzati, sulla fronte di ciascuno di noi fu impresso il segno della croce.

8. E quando viene dato il segnale per la preghiera, alziamoci prontamente e quando si dà il segnale per inginocchiarsi, prostriamoci prontamente per adorare il Signore, essendoci segnati prima di inginocchiarci. E quando siamo prostrati con la faccia a terra, piangiamo nel nostro cuore i nostri peccati, come sta scritto: Venite, adoriamo e piangiamo davanti al Signore che ci ha creato (Sal 94,6). Nessuno di noi, quando è in ginocchio, alzi la testa, perché questa è una grave mancanza di timore e di sapienza.

9. Quando ci rialziamo, poi, segnamoci e, dopo aver proferito la preghiera dell’evangelo, invochiamolo dicendo: «Signore, deponi il tuo timore nei nostri cuori perché lavoriamo per la vita eterna e ti temiamo». E ciascuno gridi in cuor suo con gemito interiore: Purificami, Signore, da ciò che è nascosto, custodisci il tuo servo dagli stranieri. Se non mi domineranno sarò santo e puro da un grande peccato (Sal 18,13‑14), e: O Dio, crea in me un cuore puro, si rinnovi nel mio intimo uno spirito di rettitudine (Sal 50,12).

10. Quando viene dato il segnale di sedersi, segnamoci ancora la fronte con il segno della croce, sediamoci e applichiamo i nostri cuori e le nostre orecchie alle sante parole recitate conformemente a quanto ci è stato ordinato nelle sante Scritture: Figlio mio, abbi timore delle mie parole e, dopo averle accolte, fa’ penitenza (Pr 30,1), e ancora: Figlio mio, fa’ attenzione alla mia sapienza e piega il tuo orecchio alle mie parole (Pr 5,1).

11. Nessuno, poi, durante la sinassi, guardi gli altri in volto senza che ve ne sia necessità. Chi guarda il suo vicino in volto, senza che ve ne sia necessità, solitamente lo fa sorridere o ridere, e in questo non v’è guadagno, oppure lo irrita. Perciò guardiamoci da ogni cosa dannosa per la nostra anima: Innalziamo i nostri cuori al di sopra delle nostre mani, davanti al nostro Signore che è nel cielo (Lam 3,41) pregando con tutto il nostro cuore e adempiendo la parola: Immola dinanzi a Dio un sacrificio di benedizione. Offri le tue preghiere all’Altissimo, invocami nel giorno della tua tribolazione e ti salverò e tu mi glorificherai (Sal 49,14‑15). Nessuno dunque dica: «Non ho accesso sicuro dinanzi a Dio per gridare a lui perché sono negligente».

12. Consideriamo la grande misericordia di Dio nelle sante Scritture. Il figlio che aveva sperperato le sue sostanze nella dissolutezza ritornò da suo padre con tutto il cuore e con umiltà e gli disse: Non sono degno di essere ancora chiamato tuo figlio (Lc 15,19). Vedete come lo trattò la misericordia di Dio! E il pubblicano che si battè il petto e non osò levare i suoi occhi al cielo e ritornò a casa sua giustificato dal Signore (cf. Lc 18,13‑14)! E Davide con quello che gli accadde riguardo a Bersabea e a Uria che aveva fatto uccidere (cf. 2Sam 11‑12)! E il grande apostolo Pietro, dopo che ebbe rinnegato tre volte il Signore (cf. Mt 26,69‑75)! Grazie al perdono del Signore e alla sua misericordia, essi gioiscono eternamente della gioia del regno dei cieli nelle altezze della gloria divina. Perciò anche noi confidiamo nella sovrabbondante misericordia di Dio e gridiamo a lui con tutto il cuore in ogni momento.

13. Quando si scioglie la sinassi, meditiamo (le Scritture) finché non siamo arrivati nelle nostre case. Nessuno parli al suo vicino mentre si esce dalla sinassi, anche nel caso di problemi concernenti la comunità. Aspettiamo finché non siamo giunti nelle nostre case, in obbedienza ai precetti di vita.

14. Riguardo al mistero della nostra salvezza poi: come veniamo chiamati, prepariamoci con grande timore supplicando il Signore con tutto il nostro cuore e con tutti i nostri pensieri perché ci renda degni di questo grande dono e rinnovi in noi ciò che è gradito a Dio. Abbandoniamoci completamente, corpo, anima, spirito (cf. 1Ts 5,23) alla sua volontà confidando nella parola del Salvatore: La mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimorerà in me e io in lui (Gv 6,56‑67). Riceviamo il mistero con rendimento di grazie e ritorniamo nelle nostre case con gioia e letizia e, in tutta la nostra condotta, non siamo di scandalo per tutti quelli che ci vedono, sia chierici che altri, affinché costoro rendano gloria a Dio vedendo tutta la sapienza e la devozione di cui siamo veramente rivestiti. Meditiamo (le Scritture) anche andando e ritornando dalla sinassi.

15. Chiacchierare con qualcuno, poi, non solo con quelli di fuori, ma anche con i nostri fratelli, oppure gridare quando dobbiamo dire qualcosa consideriamolo un abominio. Questo è il comportamento dell’ozioso e di chi non custodisce il fervore della propria anima. Accogliamo invece la parola di Dio come cibo di vita, come sta scritto: L’uomo non vivrà soltanto di pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio vivrà l’uomo (Dt 8,3; Mt 4,4).

16. Siamo ricchi di testi (delle Scritture) imparati a memoria. Chi non impara molto non ne sappia meno di dieci, oltre a una parte del salterio, e chi recita (le Scritture) durante la notte reciti dieci o cinque salmi e una parte (di testi) a memoria.

17. Quando uno si alza di notte per recitare (le Scritture), se chi è con lui nella cella resta coricato e non si alza a recitare nella notte, chi si è svegliato, poiché veglia su di sé e a cura della sua anima e di incontrare Dio e per questo il sonno non ha potere su di lui, uscirà fuori dalla porta della cella e batterà sulla stuoia affinché quello che dorme si alzi a recitare (le Scritture) e dica i suoi salmi e la sua parte di testi a memoria prima che si dia il segnale per la sinassi. Ma se quello ancora non si alza, lo chiamerà per nome restando fuori, dietro la stuoia, fino a che non si sia alzato. Nel caso poi che si sia svegliato ma si rifiuti di alzarsi a recitare (le Scritture), se non è in pericolo a motivo di una malattia mortale, ma pur essendo in buona salute davanti a Dio è pigro, la maledizione proferita dalle Scritture contro il pigro sarà la sua eredità (cf. Pr 6,9‑11; Sir 22,1‑2).

18. E ancora, riguardo a chi è pigro nelle sue occupa­zioni visibili, se non lavora con tutte le sue forze per guada­gnare con fatica il suo pane, il suo vestiario e tutto ciò che è necessario al suo corpo, perché, sia quando è in buona salu­te, sia nel caso che si ammali o quando è vecchio, possa tro­vare qualcuno che semini per lui in ogni tempo, gli si trovi ancora un po’ di pane e sia condotto in portineria. Se inve­ce continua a vivere della fatica dei fratelli e a vestirsi con quello che essi hanno ammassato con il loro coraggio e la lo­ro generosità filiale, anche se è un bambino e innocente, ma dimostra amore per la pigrizia, nel secolo futuro sarà si­mile al figlio di un grande e nobile principe di questo mon­do che, mentre suo padre e tutti i suoi fratelli gioiscono nella gloria e nel godimento della ricchezza e degli onori propri al loro rango di conti o governatori, giace nella ver­gogna della mendicità; sulle sue spalle è l’ignominia e la vergogna della veste da mendicante che lo ricopre e l’avvol­ge. Tutti guardano verso il suo fratello che è seduto sul tro­no del governatore, ma lui lo vedono in quello stesso luogo ridotto a mendico. In questo stesso modo i santi e gli angeli guarderanno chi è pigro nell’altro secolo. Anche se è un giusto ed è nella dimora della felicità eterna e nella gioia del regno dei cieli, vi starà come un mendico.

19. Perciò stiamo attenti a non essere pigri in nulla. E innanzitutto produciamo per Dio dei frutti tra i frutti dello Spirito santo (cf. Gal 5,22) e poi di quei frutti necessari per i bisogni del corpo. Ora, i frutti dello Spirito santo che l’uomo imparerà a conoscere, li acquisterà mediante la conversione e gemendo sulle negligenze commesse, disponendo in sé il timore di Dio e credendo che ogni parola scritta nelle sante Scritture si realizzerà. Egli non getta via dietro di sé queste parole come un ingiusto tiranno di questo mondo oppure un dissoluto o un ladro che scacciano il timore della morte per agire secondo i loro capricci che li condurranno alla rovina; e poi li rapirà la morte. È impossibile sfuggire agli artigli della morte quando se ne è rigettato il timore, poiché vi è una parola uscita dalla bocca di Dio: Il giorno in cui mangerete di quest’albero certamente morirete (Gen 2,17). Simili sono tutte le altre parole che Dio ha proferito trami­te il suo santo e tutte si realizzeranno e nessuno vi potrà sfuggire. Per questo, miei cari, mettiamo in noi il timore di Dio, fuggiamo le opere della maledizione e rivestiamoci di quelle della benedizione (cf. Rm 13,12) affinché possiamo trovarci al sicuro nell’altro secolo e in tutti i secoli dei se­coli. Amen.

20. E ancora, quando siamo seduti durante la sinassi, sediamoci con compostezza; le nostre vesti strette attorno a noi, ci coprano le gambe. E non guardiamo troppo all’intorno durante la sinassi, non guardiamo i monaci di fuori o qualche altro. E non calpestiamo i giunchi bagnati che giacciono davanti ai fratelli quando andiamo a sederci ai nostri posti.

21. E tutto ciò che è utile alla pietà e di cui non abbiamo parlato ora, ce lo insegneremo a vicenda. E saremo di edificazione gli uni agli altri (cf. 1Ts 5,11) nella dottrina del nostro divino Salvatore, il Cristo Gesù nostro Signore, al quale è la gloria e la potenza per l’eternità. Amen.

II ‑ Ammonimenti ai fratelli incaricati della  cucina

22. Ciascuno di noi dunque si dedichi con cura e sollecitudine, nel timore di Dio, al compito che gli è stato assegnato. Gli incaricati della cucina avranno cura di ogni oggetto riguardante il loro servizio così che nulla vada perduto e badino di non dimenticare dei pani a bagno nell’acqua così che si guastino oppure, per pigrizia, di preparare la salamoia per due giorni. Preparatene invece quanta ne basta giorno per giorno in modo che non avanzi da mangiare più di una ciotola di salamoia. Non mettano a bagno una quantità di datteri tale da poter preparare del succo di datteri per due o tre giorni, inacidendo la dolcezza dei datteri. E non facciano bollire più lupini di quanti ne servono per i bisogni di una settimana e stiano attenti a lavare i lupini una o due volte al giorno; e inoltre, se è possibile, vi lasceranno scorrere sopra l’acqua continuamente perché, quando i fratelli li mangiano, non vi sia odore di acqua stagnante. E ancora, non lascino andare a male una gran quantità di verdure, non rompano per negligenza nessuna stoviglia, neppure una piccola ciotola. Insomma, dobbiamo vigilare su ogni cosa con fede, perché le cose della koinonia non sono carnali come le cose del mondo.

23. Anche i fratelli che preparano (il cibo) abbiano cura del portinaio con dolcezza e parole sapienti; qualsiasi cosa gli diano, gliela diano volentieri. E tutto quello che cucineranno per i fratelli sarà preparato con grande cura nel timore di Dio. Quello che dovranno cuocere, lo cuoceranno al punto giusto, sia sul fuoco che sulla stufa. Staranno attenti a non bruciare troppa legna, ma soltanto tre ceppi per volta, secondo la regola. Non mettano troppa legna sul fuoco: al massimo due bracciate sul fuoco. Anche chi accende il fuoco, in qualunque posto, lo farà in questo modo. Così pure per i ceppi di legna gettati nella stufa, non ne lasceranno bruciare nessuno quando le fiamme si stanno estinguendo, ma aggiungeranno della legna minuta sopra i ceppi a motivo del fumo. Raduneranno i tizzoni nel fuoco perché siano tutti ammassati insieme e li copriranno con sterco o con qualche altra cosa perché quello che vien messo sulla stufa, si tratti di frumento o di lenticchie, cuocia lentamente. Una fiamma troppo viva all’inizio impedisce che si cuociano bene. E poi, quando si apre la stufa al di sotto, si trovano tutte le braci per quando servono e si può cuocere come si conviene ciò che richiede cottura. Se avvampa una fiammata la si rimuova con decisione e con cura. Si dispongano le pentole l’una accanto all’altra, perché anche le braci sotto di esse siano ben vive.

24. E così pure quelli che curano i malati si comporteranno alla stessa maniera quando dovranno cucinare per le necessità del malato e provvederanno a lui con grande compassione.

25. Chiunque è designato per un incarico del genere, compreso quello che distribuisce l’acqua ai fratelli si laverà le mani prima di attingere l’acqua. Inoltre laverà con cura le anfore, secondo la regola, due volte alla settimana nei due giorni di digiuno; la vasca, poi, la laverà una volta alla settimana. Scuoterà le anfore e le vuoterà ogni giorno prima di attingere l’acqua.

26. I fratelli addetti alla cucina non devono permettere inoltre che nessuna marmitta o qualche altro utensile si rovini per loro negligenza, perché l’hanno dimenticato sul fuoco senza acqua o hanno trascurato di rimescolare, compreso […]

27. […] voi pagate il prezzo che vi sarà richiesto. Lo dico in verità perché, se vi comportate in questo modo con fede e senza fare eccezione di persona, Dio ci aprirà il suo tesoro di beni, cioè il cielo, e così si compirà per noi quella parola che è scritta: La ricchezza del mare si riverserà su di voi e così pure quella delle nazioni e dei popoli (Is 60,5), e: Quelli che non hanno speranza negli uomini saranno saziati di gioia (Is 29,19).

28. Non dovete poi né vendere né comprare né fare cosa alcuna, grande o piccola, senza il (consenso del) preposito alla comunità e […]

29. E ogni spesa, piccola o grande, sia registrata nell’ufficio dell’economato in modo chiaro e leggibile perché il nome di Dio sia glorificato in ogni opera che intraprendiamo (cf. Col 3,17) e tutto sia fatto con cura perché, chiunque ci guardi, ne siamo contenti. Ciascuno di noi nell’eseguire il suo compito, grande o piccolo, dica […] dal fratello che prepara (il cibo), il preposito della comunità come pure l’ebdomadario, quello che sta con le bestie e i maiali e chi lavora nei campi o a qualsiasi altro incarico conformemente alla nostra vocazione.

30. Nessuno permetta che qualcosa si rovini a causa della sua negligenza, sapendo che è frutto della fatica di altri o della sua. Spetta forse a lui usarne a suo piacimento o darlo in elemosina a suo favore per la salvezza della sua anima? Nulla infatti sfugge a Dio (cf. Eb 4,13), nemmeno due oboli di una vedova (cf. Lc 21,2), né un bicchiere di acqua fresca (cf. Mt 10,42). E un uomo tanto grande quale era Abramo ha detto: Né un filo, né un legaccio di sandalo (Gen 14,23). E il Signore mentre parlava a Mosé in mezzo al fuoco e gli ordinava quello che intendeva stabilire come legge per i figli di Israele (cf. Es 34,28) ‑ e questi potevano udire la voce che usciva dal fuoco ‑ diede loro ordini su ogni cosa (cf. Es 20,18‑19), pure sul caso di un animale sbranato da una belva (cf. Es 22,12.30) o sventrato da un toro (cf. Es 21,35‑36).

31. Avete appreso dunque che saremo veramente interrogati riguardo ad ogni opera (cf. 2Cor 5,10). Non siamo negligenti in nulla perché tutte le opere dell’economato sono precetti che vengono da Dio e noi sappiamo che ci sarà fatta misericordia grazie alla sollecitudine mostrata per le necessità dei fratelli […]

32. […] con una durezza di cuore e una brutalità di questa sorta: «Siamo capaci di regolare un affare» oppure: «Ha deciso grazie alla nostra avvedutezza e al nostro coraggio». Che insensati! Se siamo abili e avveduti nel provvedere a un affare esterno al nostro cuore, provvediamo allora al nostro cuore e al nostro corpo per presentarci davanti al tribunale di Dio senza macchia alcuna nel corpo, nell’anima e nello spirito (cf. 1Ts 5,23). Intendo parlare di quelli che ne sono contaminati.

33. Biasimiamo noi stessi, anziani e novizi, per custodirci fermamente da tale insolenza e brutalità ciascuno nel suo compito, cioè dal pensiero […] rendiamo invece gloria a Dio che tutto prevede (cf. Sap 6,7) e tutto governa mediante i suoi angeli venerabili e mediante gli uomini.

III ‑ Come bisogna comportarsi durante la mietitura

34. Il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Dio dell’Apa ci benedica tutti. Vogliamo ricordarvi in che modo ci si deve comportare durante la mietitura e la trebbiatura perché, conformemente alla legge della koinonia, non si verifichi negligenza alcuna.

35.‑ Il preposito della comunità designerà chi dovrà camminare alla testa dei fratelli incaricati della mietitura e costui avrà la responsabilità di inviare i fratelli al lavoro e anche di congedarli a tempo dovuto, come pure del luogo in cui vuole che si faccia la mietitura e di ogni altra cosa riguardante i lavori dentro la comunità o nei campi con l’approvazione del preposito della comunità e del preposito della casa dei contadini. Quando assegnerà un lavoro a quelli che sono con lui, nessuno gli disobbedisca; eseguiamo invece con gioia e senza mormorare il lavoro che ci verrà assegnato perché ci sia una ricompensa per noi presso Dio. Nessuno susciti contestazioni durante il lavoro, nessuno si disperda in chiacchiere, ma ciascuno esegua il suo lavoro nel timore di Dio, senza vantarsi e senza contestare affinché la benedizione di Dio scenda su di noi ed Egli benedica tutte le opere delle nostre mani.

36. E nessuno volti la schiena al suo vicino lasciandolo indietro quando miete; invece, se è possibile, avanzino di pari passo con il fratello nel mietere. Custodiamo il nostro cuore dalla vanità secondo la carne, perché è Dio che dà la forza. E guardiamoci dal disprezzare il nostro prossimo per non essere come il fariseo che disprezzò il pubblicano (cf. Lc 18, 11) […]

37. […] che abbiamo ereditato la legge della koinonia sulla terra, possiamo ereditare insieme a loro la gioia del regno dei cieli. Perciò, anche se lavoriamo a cose corruttibili per sostentare il corpo, secondo il bisogno, vediamo di non rendere estranea alla vita eterna la nostra anima che vale ben più del cibo, con il pretesto di una corruttibile necessità.

38. E le norme relative alla preghiera, quelle della sinassi e quelle delle sei preghiere, osserviamole alle ore fissate, secondo la regola.

IV ‑ Regola  per la panetteria

39. In che modo ci si deve comportare nel locale in cui si impasta il pane. Quando giunge il momento di fare i nostri piccoli pani, lavoriamo tutti, sia anziani che novizi, per fare il pane con timore di Dio e con grande discernimento recitando la parola di Dio con gravità e senza orgoglio, vanto o parzialità.

40. Non soltanto chi sta alle assi (del pane), ma anche chiunque di noi lavora nel locale dell’impasto, adempiremo in obbedienza il lavoro assegnato a ciascuno senza chiacchierare né gridare. E assolutamente nessuno osi ridere affinché non ci tocchi il rimprovero delle Scritture: Fanno il loro pane ridendo (Qo 10,19). Se qualcuno poi ha bisogno di parlare al suo vicino, lo deve fare con calma, senza gridare.

41. E nessuno, anziano o novizio, mangi prima che venga dato il segnale per mangiare. Se un novizio ha voglia di mangiare, non mangi assolutamente nel locale del forno o in mezzo ai fratelli che non stanno mangiando, ma gli si dia dei pane e se ne vada a mangiare da solo da qualche parte. E dopo che ci siamo alzati da tavola all’ora del pasto di mezzogiorno, non mangeremo più pane finché non sia terminata la sinassi (di mezzogiorno). Congedata la sinassi, chi ha l’incarico dei pani dolci ne metterà un numero sufficiente in un cesto che deporrà in un luogo appartato con un po’ di sale puro non mescolato con nessun altro, neppure con il sale del portico. Lo metterà accanto al cesto di pane cosicché chi vuole mangiarne vi si rechi e ne mangi. Chi ne mangia poi non dovrà assolutamente scegliersi il pane, ma prenderemo quello che ci capiterà sotto mano e lo mangeremo accanto alla cesta oppure a tavola quando i pani vengono ammorbiditi. Chi provvede ai pani, dunque, con perfetta carità, scelga pani ben cotti e buoni da mettere nella cesta o a tavola. E similmente per sé prenderà da mangiare un solo pane.

42. E per tutto il tempo in cui si impasta, nessuno, anziano o novizio, compreso chi è malato, desideri prepararsi del pane diverso da quello che mangiano i fratelli e così pure per le focacce, nessuno ne mangi da solo, ma il prepo­sito della comunità provveda a questa cosa; oppure chi ser­ve i malati lo avverta che sono state preparate delle focacce per tutti i malati ed essi ne mangeranno in uguale misura. E quando vi sono delle focacce, l’incaricato dei pani le terrà da parte e le consegnerà all’infermeria e, se è possibile preparare in breve tempo dei piccoli pani per dar loro una ra­zione a parte, prepariamone con cura quanti ne bastano per riempire circa cinque ceste. L’incaricato dei pani li terrà da parte e li consegnerà all’infermeria. Prepariamoli su ordine del preposito della comunità: è lui che decide che cosa of­frire al malato a sua consolazione. Solo quella cosa chiama­ta coole è una golosità. In realtà il pane ben cotto e bianco è più saporito che il pane dolce, perché questo appesanti­sce maggiormente il cuore.

43. E chi provvede a tritare e macinare si applichi al lavoro che sta facendo nel timore di Dio, senza concedersi alcun riposo, sapendo che nessuna opera buona che l’uomo avrà fatto per Dio andrà perduta, anzi ci sarà di aiuto nel giorno del grande giudizio.

44. Riguardo alla preparazione della pasta, la sera, nel luogo in cui si impasta, secondo il regolamento stabilito per chi impasta nelle madie. Chi sovrintende al luogo dove si impasta, al momento di impastare, chiama quelli che ha designato con l’accordo del capo‑panettiere. Stabilisce quelli che dovranno impastare e quelli che dovranno provvedere l’acqua, distribuisce le madie con imparzialità senza dimenticarne da qualche parte alcune adatte per fare la pasta. Designerà quelli che impasteranno nelle madie secondo l’ordine delle case. Nessuno si scelga la sua madia. Tutti noi nel luogo dove si impasta reciteremo (le Scritture) senza gridare, con calma.

45. Chi è incaricato della farina la misuri. Ciascuno deponga il suo cesto di farina accanto alla madia in cui dovrà impastare fino a che il capo‑panettiere batta con la mano su una madia o dica: «impastate!». Nessuno poi impasti, né tolga la pasta dalle madie, a meno che non lo dica il capo-panettiere. Non impasteremo senza recitare (le Scritture); possiamo recitarle e possiamo fare una pausa. Se lo desideriamo, recitiamole con il cuore. Se ci occorre dell’acqua, batteremo sulla madia senza parlare. Quelli che provvedono all’acqua la porteranno subito e anch’essi non tralasceranno di recitare (le Scritture) e staranno attenti a non versare acqua sui piedi di quelli che impastano.

46. Quelli che impastano, poi, verseranno la farina nella madia con delicatezza perché non voli via e il bordo della cesta non si bagni nell’acqua. E avranno cura di impastare rapidamente la farina e di non lasciarne sul fondo della madia, né lasceranno della pasta incollata ai lati della madia. Non vi versino tanta acqua perché la pasta non diventi troppo molle. Se alzano la testa dalla madia e fanno una breve pausa, recitino (le Scritture) in piedi; poi impastino di nuovo finché il capo‑panettiere non passa a distribuire il lievito.

47. E poi, quando hanno finito di impastare, ciascuno lavi con cura la propria madia e versi l’acqua là dove si deve rovesciarla perché chi ha cura dei maiali la porti via. Poi preghino, e staremo attenti inoltre a pregare dal principio, secondo la regola; e ritornino nella loro casa meditando tutti (le Scritture) senza che nessuno abbia parlato nel locale dell’impasto, ma tutti abbiano osservato il precetto con rendimento di grazie.

48. E questa è la regola riguardo al cibo nel locale in cui si fa la pasta. Non vi sia alcun cibo particolare per nessuno di quelli che lavorano nel locale in cui si fa la pasta, ma sia dato a tutti uno stesso cibo, a quelli che infornano e a quelli designati per qualsiasi altro lavoro secondo quanto è stato fissato fin dagli inizi dal padre della koinonia, l’Apa, al quale fu affidata da Dio questa grande vocazione. E anche se altri padri venuti dopo di lui hanno stabilito delle regole che concedono un cibo particolare ai panettieri, l’hanno fatto in conformità al modo di agire di Mosé, come abbiamo ascoltato nell’evangelo che dice: Per la durezza del vostro cuore Mosé vi ha concesso la possibilità di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così (Mt 19,8). Se a motivo di una lieve fatica uno si separa e si distingue dai fratelli riguardo al cibo più di quanto non facciano quelli che sono andati fuori per la mietitura o per qualche altro lavoro in cui si patisce il caldo, non si permetta ai fratelli cui è stato assegnato un altro lavoro in comunità di mangiare con loro, perché essi non sono andati fuori a patire il caldo e a sopportare la fatica. L’unità della koinonia, invece, consiste in una misura uguale per tutti secondo la maniera di agire dei santi; fu così che Davide andò da quelli che non erano partiti per la guerra, parlò loro con pace e diede loro una parte di bottino uguale a quella di quanti erano partiti in guerra con lui e non diede retta a quelli che erano malvagi e dicevano: «Non daremo loro niente» (cf. 1Sam 30,21-22). E il Signore nell’evangelo ci ammaestrava mediante la parabola; quando quelli che avevano sopportato il peso della giornata e del caldo mormoravano dicendo: Perché ci hai trattati come quelli che hanno lavorato un’ora soltanto?(Mt 20,11‑12) si sentirono rivolgere dei rimproveri: Forse il tuo occhio è malvagio perché io sono buono? (Mt 20,15).

49. Perciò così dobbiamo comportarci con chi è nel bisogno, novizio o anziano, designato per un qualsiasi incarico nella nostra comunità secondo la nostra vocazione. Se uno è prostrato per il caldo, i responsabili ne abbiano cura e questi li avverta, se realmente non è in grado di mangiare il suo pane a tavola con i fratelli. Se è certo in cuor suo, davanti a Dio, di non disprezzare i fratelli, né di volersi distinguere da loro in virtù di una tradizione o di una abitudine, né di voler soddisfare un suo piacere, come quando chiediamo vino o un cibo particolare, ma si tratta di un bisogno e di una assoluta necessità, in questo caso diciamolo con franchezza filiale e ci venga portato tutto ciò di cui abbiamo bisogno, stando alle nostre possibilità e a quanto Dio ci avrà provveduto al momento opportuno (cf. Sal 144,15). E se tutti i fratelli hanno bisogno di un po’ di birra o di qualche altro cibo conforme alla legge della koinonia, il preposito della comunità vi provvederà generosamente e con gioia.

50. E se Dio, poi, dà a quanti stanno davanti ai forni quella forza che ha dato ai santi nella fornace (Cf. Dn 3), questi allora non cerchino, per debolezza, di distinguersi dai fratelli in virtù di una tradizione. Tuttavia staremo attenti a non cercare ciò che è difficile a trovarsi o quello che non è stato preparato, anche se conforme alla regola. Troviamo piuttosto il coraggio di dire, come Paolo: Sono abituato a tutto questo, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà forza, il Cristo Gesù (Fil 4,12‑13).

51. E anche ogni altro compito che dobbiamo adempiere in conformità alla legge della santa koinonia eseguiamolo come un solo uomo, con quel discernimento proprio di una fede zelante, come sta scritto: Tutti i credenti formavano un cuore solo e un’anima sola (At 4,32), affinché Dio benedica il nostro pane e noi lo mangiamo con gioia e letizia nello Spirito santo e su di esso riposi la benedizione di Dio, vi rimanga e non si dissolva rapidamente e, inoltre, affinché il Signore benedica allo stesso modo ogni lavoro che intraprendiamo.

52. Ogni cosa che dobbiamo fare conformemente alla nostra vocazione, facciamola a gloria di Dio, sia per quanto riguarda il cibo che il lavoro dei campi, la sinassi, la conversazione con i secolari che incontreremo lungo il cammino e in portineria o da cui ci recheremo per qualche necessità comunitaria. Insomma tutto ciò che facciamo e tutto ciò che diciamo sia a gloria di Dio (Cf. 1Cor 10,31) sapendo che veritiera è quella parola che sta scritta: Chi mi glorificherà, io lo glorificherò (1Sam 2,30). Infatti, le parole della Scrittura, soffio di Dio (Cf. 2Tm 3,16), sono vere e grandemente degne di fede (Cf. 1Tm 1,15;4,9) sia riguardo ai premi che riguardo ai castighi.

53. In ogni occupazione e nel locale in cui si impasta, provvediamo a dire le preghiere, quelle della sinassi e le sei preghiere, all’ora stabilita secondo le regole della koinonia con grande devozione e lacrime, supplicando il buon Dio di conservarci la sua misericordia e la sua grazia, con la quale ci ha risvegliato per rinnovarci nel suo amore, di darci forza nella nostra debolezza, di non permettere che cadiamo ancora una volta nell’abisso della negligenza, di deporre nei nostri cuori il suo timore che brucia giorno e notte come fuoco ardente. Con simile timore, infatti, non soltanto sfuggiremo alla geenna di fuoco e al luogo dello stridore di denti (Cf. Mt 8,12) come pure alla vergogna piena di disonore nel luogo di gloria, ma erediteremo quelle cose che occhio non vide, e orecchio non udì, né salirono al cuore umano, quelle cose che Dio ha preparato per quelli che lo amano (1Cor 2,9; Cf. Is 64,3). E in questo secolo ci farà anche dono delle benedizioni di tutti i santi per tutto quello che intraprendiamo sia nel villaggio che nei campi e benedirà il nostro pane e la nostra acqua, come sta scritto: Se osservi i precetti del Signore tuo Dio, sarai benedetto nella città e nei campi (Dt 28,1‑3); e anche le altre benedizioni.

54. Se poi purifichiamo l’interno della coppa e del piatto, l’esterno sarà puro, secondo la parola del Signore (Cf. Mt 23,26; Lc 11,39) e se il Cristo abita il nostro uomo interiore mediante la fede che è nei nostri cuori (Cf. Ef 3,17), se mettiamo radici e fondamenta nell’amore, allora udiremo Dio che è apparso dicendo: Io ti ho dato quanto non mi hai chiesto, gloria e ricchezza in abbondanza (1 Re 3,13). E se gli occhi dei nostri cuori ricevono luce, e se imitiamo la vita dei santi, la saldezza della loro fede in Dio (Cf. Eb 13,7) e il loro coraggio in ogni tribolazione, allora vedremo la prosperità di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Giobbe, di Giuseppe, di Davide e dell’Apa, il padre della koinonia; egli fu uno di quelli che Dio chiamò, benedisse, amò e fece prosperare generosamente.

V ‑ Regole per il lavoro dei campi

55. Quelli che usciranno a capo dei fratelli per andare al lavoro rispetteranno l’ora in cui si deve partire e in cui si deve congedarli. Se vi è necessità di eseguire o di terminare un lavoro e se si rimane a lavorare un po’ di più a mezzogiorno o alla sera, non scoraggiamoci e non mormoriamo; in ogni caso non trascuriamo assolutamente la sinassi, l’eucarestia  e il refettorio.

56. I contadini avranno grande cura, nel timore del Signore, di tutto quanto riguarda il lavoro dei campi. Se uno, infatti, sopporta una fatica più grande del suo vicino, gli accadrà come a quello che ricevette cinque talenti, a quello che ne ricevette due e a quello che ne ricevette uno (cf. Mt 25,15). Perciò occorre che siamo scrupolosi nelle piccole cose così che niente vada in rovina per negligenza.

57. Chi sovrintende all’irrigazione dei campi non lascerà scorrere l’acqua, né di giorno né di notte, su un terreno già irrigato e non permetterà che ne scorra via molta in un fosso o in un avvallamento. Non tralascerà di irrigare nessuna parte del campo che si vorrà bagnare, non dividerà l’acqua in due parti, perché dividendola in questo modo si bagneranno soltanto due campi mentre spesso si riuscirà a irrigarne tre, se fai scorrere l’acqua su una parte per volta e se non lasci a lungo l’acqua su di una sola parte. Si farà attenzione a non estirpare molti giunchi dai fossi quando si lavora nei campi, ma soltanto quelli che sono in fondo al fosso; quelli che crescono sui bordi li si curverà verso l’esterno e si getterà del fango per fermare l’acqua. Baderemo inoltre a non calpestare i fusti dei giunchi. Quando l’acqua si ferma, si starà attenti a ricoprire con frasche la parte irrigata. Ogni giorno si controllerà il canale principale fino alla pompa dell’acqua; forse vi è qualche punto in cui l’acqua scorre via, oppure in cui è necessario mettere una piccola fascina o del letame, oppure un posto che è troppo imbevuto di acqua e allora occorre rovesciarvi sopra un cesto di terra, oppure vi è qualche altro lavoro utile da fare.

58. Il preposito della casa di quelli che lavorano i campi ogni giorno dovrà ispezionare la parte irrigata e, per ogni posto difficile da irrigare, designerà un altro oltre a quello addetto all’irrigazione, perché l’acqua non sfugga al suo controllo e non vada sprecata, ma anche i punti più difficili siano irrigati. E parimenti per ogni lavoro dei campi […]

59. […] alla stessa maniera si avrà cura dei vitelli e delle giovenche. Per l’asino si preparerà un posto a parte nella staffa, perché le bestie non gli facciano del male. Lasciamolo libero quando abbiamo finito […]

60. […] e di non gettarne molto per terra ai piedi delle mucche e, quanto al foraggio, di non buttarne tanto in una sola volta, ma poco a poco […]

61. […] che vedranno il bestiame si congratuleranno con il pastore.

62. Se vi è qualche negligenza nel lavoro dei campi, questi ne sarà considerato responsabile […]

63. […] Dio e il padre della koinonia, apa Pacomio.

64. Quanto a noi abbiamo esposto queste cose con molta indulgenza e pazienza in vista del buon ordine e per sfuggire al rimprovero nel giorno in cui […]

 


Ritorno alla pagina su "Orsiesi"

Ritorno alla pagina iniziale "Regole monastiche e conventuali"


| Ora, lege et labora | San Benedetto | Santa Regola | Attualità di San Benedetto |

| Storia del Monachesimo | A Diogneto | Imitazione di Cristo | Sacra Bibbia |


28 aprile 2015                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net