Ildegarda di Bingen
Spiegazione della Regola di san Benedetto
(Tradotto da “Patrologia Latina”,
vol. 197, col. 1053-1066A,
J. P. Migne 1855)
La comunità del cenobio unniense
[1]
ad Ildegarda.
Richiesta dell’interpretazione della Regola di san Benedetto.
1a.
Ad Ildegarda, tempio dello Spirito Santo e venerata sposa di Cristo amata da
Dio, ed alle sorelle della molto ammirata maestra (del monastero) di San
Ruperto a Bingen
[2]:
l’intera comunità
[3]
del convento unniense, con umiltà e con perseveranza nelle buone opere,
[prega] che sia glorificata con eterna gloria.
2a.
Come se fossimo cosparsi dell’inestimabile fiore del narciso del paradiso,
noi siamo fin d’ora così felici nelle rivelazioni del tuo pensiero, che
siamo costretti a dire con l'Apostolo Paolo: “Siano rese grazie a Dio, il
quale sempre ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo e diffonde ovunque
per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza!”(2 Cor 2,14). Mentre
contempliamo l'intera struttura dell'intero corpo della Chiesa in cui "tutte
queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno
come vuole" (1 Cor 12,11), ci rallegriamo che la sua abbondanza
trabocchi nella vostra straordinaria santità. Perché in questo periodo
successivo agli apostoli vi contempliamo come uno specchio dell'amore divino
ed in un momento di bisogno fuggiamo verso di voi come foste un rifugio
sicuro di una città inespugnabile e vi invitiamo ad aiutarci con il vostro
consiglio e le vostre preghiere.
3a.
Sebbene siamo diversi da voi sotto tutti gli aspetti, il nostro ordine
[4]
è onorato e benedetto grazie a voi. Ci è stato detto delle vostre opere
scritte, di come in breve tempo avete elargito ricchezze desiderabili ai
figli della splendente Chiesa. Perché ora non vi manca questo dono,
prostrati ai piedi della vostra santità, tutti noi insieme chiediamo al
vostro santo e benevolo amore di lasciarci un vostro memoriale della Regola
del nostro Beato Padre Benedetto che ci è molto necessario.
4a
Siamo, infatti, chiamati bugiardi, spergiuri, trasgressori della suddetta
Regola e persone che disprezzano i decreti sinodali. E ciò avviene
soprattutto se, a suo piacimento, uno qualsiasi dei nostri superiori arriva
a disprezzare sia gli ordinamenti canonici che quelli della Regola e poi,
ritenendosi legge per se stessi, avvalendosi della testimonianza della
Regola stessa chiamano santo e giusto ciò che vogliono, e ciò che
non vogliono lo ritengono illecito (RB 1,9).
Quindi, accade che siamo trasportati qua e là da qualsiasi vento di
dottrina (Ef 4, 14) e le arroganze degli uomini pesano su di noi. Anche
il Beato Padre Agostino rabbrividiva per tali arbitrarie prescrizioni e ne
parlava così: “Queste opprimono la nostra comunità religiosa
[5]
come una cappa di schiavitù, mentre la misericordia di Dio la volle esente
da altri vincoli che non fossero i pochissimi e ben determinati sacramenti
che si celebrano nella Chiesa. In caso contrario sarebbe assai più
tollerabile la condizione dei Giudei, i quali, sebbene non abbiano
conosciuto il tempo della libertà, sono tuttavia soggetti solo alle
imposizioni della Legge e non ai preconcetti umani!
(Agostino, Risposta ai quesiti di Gennaro, Lettera 55,19.
Fonte: sito www.augustinus.it)
5a.
Voi ci esibirete un'opera più preziosa delle ricchezze di Creso e di tutti i
tesori del mondo, se soddisferete in questo modo la nostra richiesta,
indispensabile a tutti i monasteri. Anche se doveste esporci l'intera Sacra
Scrittura, non potreste presentarci qualcosa di così utile e così caro
(quanto un commento della Regola). Per il resto, pregate per noi, affinché
la nostra comunità riunita attraverso lo Spirito Santo non possa mai essere
disturbata da alcun illusorio ed ostile inganno. Ma Colui il quale ha
iniziato in voi quest’opera buona, (Fil 1,6), possa degnarsi di
preservarla in noi mediante l’opera della sua buona volontà. Che il vostro
amore materno sia efficace.
La Regola di San Benedetto spiegata da Santa Ildegarda
1.
Ed io, una povera e piccola donna, non istruita da umano insegnamento, ho
guardato verso la vera luce ed alla memoria del beato Benedetto come da voi
richiesto, in modo che quanto c’è di difficile ed oscuro per gli uomini
nell'insegnamento della Regola mi si manifestasse attraverso la grazia di
Dio. Ed ho sentito una voce dalla vera luce che mi diceva: Lo Spirito Santo
ha operato doni più brillanti ed ispirazioni mistiche a San Benedetto, al
punto che la sua mente brillava dell'amore di Dio e con le sue virtù
brillava come l'alba. Ed in nessuna delle sue azioni compì ciò che gli
suggeriva l’astuto diavolo. Era stato così pieno della grazia dello Spirito
Santo che in nessuna sua attività gli mancava il potere dello Spirito Santo
anche solo per un secondo od un battito di ciglia
[6].
2. [Discrezione]
[7]
Inoltre, fu una fontana sigillata (Ct 4,12) che diffuse la sua
dottrina nella discrezione di Dio. Perché egli fissò l’acuto perno della sua
dottrina né troppo in alto né troppo in basso, ma nel mezzo della ruota
[8],
in modo che ognuno, forte o debole che fosse, vi potesse attingere in modo
conveniente in base alle sue capacità . Questa ruota che gira (cfr. Ez 1,15;
10,9; Dn 7,9) è la potenza di Dio, mediante la quale Dio operò negli antichi
santi fin dal tempo di Mosè che diede la legge al popolo di Dio; con lo
stesso potere Dio era all'opera anche in altri uomini santi ed il perno del
loro operare era fissato ad una tale altezza che la gente comune non era in
grado di afferrarlo.
3. [Timor di Dio, pietà, carità e purezza]
Il beato Benedetto attinse la sua dottrina con molta umiltà nel timore di
Dio, insegnò i comandamenti di Dio con benevolenza, costruì con amore il
muro della santità della Regola ed in purezza si rese estraneo a tutti gli
sfarzi e delizie di questo mondo. Poiché scrisse la sua dottrina nel timor
di Dio e nella pietà, nella carità e nella castità, nulla deve essere
aggiunto o sottratto alla stessa dottrina. A questa non manca nulla perché è
stata ideata e perfezionata nello Spirito Santo.
4. [Maestro paterno]
Poiché era figlio della colomba (cfr. Mt 3, 16-17) diceva: "Ascolta,
figlio , i precetti " (RB Prol. 1) del padre tuo. Anche per
questa ragione era pieno della santità delle virtù sopra menzionate, proprio
come "Mosé era un uomo assai umile, più di qualunque altro sulla faccia
della terra " (Nm 12,3)
[9].
[A. Alla ricerca di Dio nella vita monastica]
5. [Le specie di monaci]
Come dice lo stesso Padre amorevole, alcuni monaci deviano nelle loro
pratiche di vita; a coloro che meditano su ciò è chiaro come costoro
riceveranno la ricompensa secondo i loro meriti. Perché nell’epoca
antecedente il beato Padre Benedetto, i monaci non erano rafforzati da una
regola certa e vagavano qua e là, incerti ed instabili in vari modi,
mancando di un certo insegnamento e di un posto fisso. Per questo motivo
egli descrive i vizi della loro mancanza di stabilità morale al fine di
ammonire i monaci fedeli (alla Regola) affinché evitino quello stile di
vita.
6. [Il silenzio (RB 6)]
[10]
Ma a coloro che sono veramente seguaci del suo insegnamento, a causa
dell'importanza del silenzio bisogna concedere raramente il permesso di
parlare (RB 6,3). Tale autorizzazione è concessa quando si devono
trattare argomenti che richiedono pareri (diversi) o per affari o per gravi
necessità; (viene concesso) il permesso di parlare insieme, non in privato,
moderatamente e brevemente secondo i bisogni. Quindi, quando viene dato un
segno, tutti tacciano in silenzio come è consuetudine. Benedetto non aveva
prestabilito questo permesso per una certa ora ed in un determinato giorno,
ma aveva la facoltà di concederlo nella misura in cui era necessario. Per
questo dava il permesso di parlare solo nel caso di un giusto bisogno o per
una seria utilità. Tuttavia, poiché è quasi disumano che una persona stia
sempre in silenzio e non parli mai, lo stesso Padre lasciò la questione,
come fece per molte altre cose, sotto l’autorità ed a discrezione
dell'abate, al fine di offrire ai discepoli un momento adatto per parlare
insieme di cose buone e necessarie, in modo che non siano infastiditi da un
eccessivo silenzio. Dopo tale permesso di parlare insieme, potevano essere
ammoniti ed obbligati alla pratica del silenzio tanto più opportunamente e
severamente.
7. [La preghiera: l'organizzazione dell'ufficio divino (RB 8–20)]
Dice: “Durante la stagione invernale, cioè dal principio di novembre sino
a Pasqua, secondo un calcolo ragionevole, la sveglia sia verso le due del
mattino, in modo che il sonno si prolunghi un po' oltre la mezzanotte e
tutti si possano alzare a digestione compiuta” (RB 8,1). Questo perché
colui che veglia per una terza parte delle ore notturne in inverno, o che
dorme per una terza parte delle ore notturne e diurne in inverno, non si
indebolisca nel suo cervello o nel resto del corpo né a causa delle veglie
né a causa del sonno. Colui che veglia o che dorme oltre il limite, si
indebolisce nello spirito e nel corpo. Così i fratelli che dormono si
alzeranno per le vigilie a digestione completata perché, dopo tutte queste
ore di inattività, il cibo e le bevande assunte sono state assimilate.
Quindi è opportuno che un uomo si alzi, poiché queste veglie conferiscono
salute ad un uomo quando si scuote dal sonno ozioso e si purifica. Se una
persona dorme smodatamente, cadrà facilmente vittima delle febbri e, a causa
del calore interno, sentirà lo stimolo della sua carne. Ma, per proteggersi
da queste cose e servire fedelmente Dio, si adempia di buon animo
l'esortazione dell’amorevole Padre
[11].
8.
Così prosegue: "Il tempo che rimane dopo l'Ufficio vigilare venga
impiegato dai monaci, che ne hanno bisogno, nello studio del salterio o
delle lezioni" (RB 8,3). Dice questo per avvertirli di non tornare
ancora a dormire o ad oziare; invece, questo intervallo invernale sia
organizzato con cura per l'utilità dell'anima come lo permette la stagione,
fino a quando all'albeggiare del giorno, si iniziano le Lodi mattutine.
Stabilì questo intervallo dopo le vigilie notturne, cioè dopo che i salmi
notturni sono terminati, per la meditazione o la lettura orante. Poi
immediatamente dice dell'intervallo in estate: “Da Pasqua, invece, sino
al suddetto inizio di novembre, l'orario venga disposto in modo tale che,
dopo un brevissimo intervallo nel quale i fratelli possono uscire per le
necessità della natura, l'Ufficio vigiliare sia seguito immediatamente dalle
Lodi, che devono essere recitate al primo albeggiare” (RB 8, 4).
In questo passaggio si deve notare che sia in estate che in inverno, cioè
sia che si recitino tre letture o solo una, i fratelli non tornavano a
riposare nei loro letti né dopo i notturni né dopo il Mattutino. Piuttosto,
in entrambi i casi le vigilie notturne erano organizzate dopo la mezzanotte
in modo che vedessero l’alba del giorno mentre stavano cantando le Lodi.
Grazie a questa disposizione adeguata e moderata non si affaticavano. Al
contrario si rallegravano perché, per ripetere ciò che è stato detto prima,
quando un uomo veglia dopo aver riposato ed essersi risvegliato oltre la
mezzanotte, le sue forze non vengono indebolite da tali veglie.
9.
Quindi dice: "Terminati i Salmi e detto il versetto, l'abate dia la
benedizione " (RB 9,5). Ciò non indica che la Preghiera del Signore sia
venuta prima; lo stesso vale quando scrive riguardo al primo notturno della
domenica: “Dopo aver cantato sei salmi come abbiamo stabilito sopra ed
essersi seduti tutti ordinatamente ai propri posti, si leggano sul
lezionario quattro lezioni secondo quanto abbiamo già detto” (RB 11,2).
Né la Preghiera del Signore è menzionata in relazione al secondo e terzo
notturno, perché dopo che il terzo notturno è terminato, dice: "Detto
quindi il versetto, con la benedizione dell'abate si leggano altre quattro
lezioni" (RB 11: 7). Lì non fa menzione della Preghiera del Signore in
modo che non ci sia un'interruzione.
10.
Ma quando i sei salmi del secondo notturno di un giorno ordinario sono
finiti, dice: “dopo questi salmi una lezione tratta dalle lettere di S.
Paolo, da recitarsi a memoria” (RB 9,10). E dopo di ciò, "invece di
tre lezioni, se ne reciti a memoria una sola dell'antico Testamento" (RB
10,2). E di nuovo; “Quindi segua una breve lezione dell'Apostolo recitata
a memoria” (RB 13,11). Ciò dimostra che mentre i fratelli si dedicano
alle letture ed alla meditazione, si impegnano a ricordare a memoria i
passaggi necessari nella Sacra Scrittura. Quindi quando arriva il momento
giusto e ne hanno bisogno, possono recitare queste lezioni a memoria nel
mezzo del coro senza alcun materiale scritto, cioè reciteranno senza un
libro, poiché queste lezioni sono brevi. A causa della loro brevità, non
sarà un ostacolo se non avessero a portata di mano nessun libro da leggere o
se non ci fosse abbastanza luce per leggere. Ma tace su questi problemi
nelle ore diurne dell'Opera di Dio, perché alla luce del giorno lascia a
loro giudizio se recitare i capitoli, cioè le lezioni sopra menzionate, sia
a memoria che leggendoli da un codice. Poiché ci saranno meno impedimenti
per merito della luce del giorno
[12].
11.
Comanda che il Vangelo venga letto dopo i notturni nei giorni di domenica ed
in altre solennità. Vuole che si capisca che in ogni momento, sia di notte
che di giorno, il messaggio di Dio deve essere ascoltato e praticato ed in
questo modo si deve servire Dio. Inoltre, quando si ascolta il Vangelo, i
monaci ricordino quel detto del Vangelo: "Ecco, noi abbiamo lasciato
tutto e ti abbiamo seguito" (Mt 19,27). E intendeva anche dire che se
qualcuno, a causa della scarsità di sacerdoti o dell'impedimento di una
certa occupazione, non potesse avere la messa quel giorno o non potesse
essere presente, sarebbe stato sufficiente leggere ed ascoltare il Vangelo.
12.
Quando il Vangelo è stato letto, dice: "recitata la preghiera di
benedizione", cioè mediante la consueta preghiera "si incomincino le
Lodi" (RB 11,10). Questo testo non indica che deve essere mantenuto un
intervallo per la meditazione delle preghiere o delle letture; né proibisce
ai fratelli di tornare ai loro letti per riposare in quei giorni una volta
terminato il Mattutino (cioè le Lodi). Piuttosto, lascia tacitamente al loro
giudizio di tornare ai loro letti se il tempo lo consente, perché si sono
alzati presto e si sono affaticati per la lunghezza del servizio divino
della notte. Egli proibisce apertamente le cose che non devono accadere e
spiega chiaramente quali cose esorta a fare. Le cose su cui tace le lascia
invece al giudizio ed alla discrezione dell'abate e dei fratelli
[13].
13.
Quindi, alla fine dell’Ufficio Notturno (le Vigilie), delle Lodi e delle ore
diurne del servizio divino, chiarisce che dopo il Kyrie eleison si deve dire
la Preghiera del Signore. Dice infatti: “Nelle altre Ore, invece, si dica
ad alta voce solo l'ultima parte del Pater, a cui tutti rispondano: 'Ma
liberaci dal male'" (Mt 6,13; RB 13,14). Non indica che in quel momento
debba essere recitata una Colletta, perché dopo aver menzionato "Ma
liberaci dal male", dice: e "così si metta fine all'Ufficio vigilare"
(RB 9,11). Ed ancora: "con ciò si finisce " (RB 12,4; 13,11). E
ancora: "con cui si conclude " (RB 17,10). Non è indicata alcuna
colletta, al fine di togliere un fastidio a coloro che pregano e perché non
si dice in modo negligente la preghiera del Signore
che andrebbe detta prima.
Infatti, non si trova nessuna preghiera più preziosa della Preghiera del
Signore attraverso la quale si termina il servizio divino. Quindi, alla fine
della compieta aggiunge: "il Kyrie eleison e la benedizione con cui si
conclude" (RB 17,10). Si riferisce alla benedizione che è in uso dal suo
tempo fino al nostro
[14].
14.
Dice: “Ricordiamoci sempre di quello che dice il Profeta: 'Servite
il Signore con timore (Sal 2,11); ed ancora: 'Cantate inni con
arte' “ (Sal 47(46),8), (RB 19,3-4). Con ciò voleva che si capisse che
aveva accorciato il servizio divino in modo che potesse essere compiuto con
zelo, con gioia e senza stanchezza. Ma se, nonostante sia stato abbreviato,
ad un certo punto la sezione da recitare diventa lunga, allora dovrà essere
sostenuta dal respiro di tutti i cantanti; dove invece è veramente breve, si
proceda senza il sostegno di tale respiro. Non si pronuncino per niente
davanti a Dio parole vuote nell'ufficio divino. Quando si sta davanti ad un
re - lo dice il beato Benedetto (Cfr. RB 20,1) – è opportuno che ci si
rivolga a lui in modo onorevole. Successivamente aggiunge anche: "
La preghiera che si fa in comune sia brevissima",
(RB 20,5) raccomandando di recitare la preghiera prima di ogni ora canonica.
Poiché in seguito ordina: "
Questo bacio di pace non dev'essere offerto all’ospite prima della preghiera
" (RB 53,5). A maggior ragione quando occorre salutare Dio onnipotente
bisogna premettere una breve preghiera, affinché quando in seguito
prenderanno parte alla salmodia non siano meno attenti alla salmodia perché
saranno affaticati dalla lunga preghiera che ha preceduto.
15. [Ciò che serve per dormire (RB 22)]
"
Ciascun monaco ... riceva l'arredamento per il letto conforme alle
consuetudini monastiche e secondo quanto disporrà l'abate
" (RB 22,1-2). Ciò viene chiarito quando parla dell'abbigliamento dei
fratelli: "
Per la fornitura dei letti poi bastino un pagliericcio, una coperta di
grossa tela, un coltrone e un cuscino di paglia o di crine
" (RB 55,15). "Dormano vestiti" (RB 22,5), cioè con un solo e
semplice indumento di lana che viene indossato vicino alla pelle, in modo
che non si sdraino nudi. Non indossano due strati di vestiti, perché non
potrebbero sopportarli. Dormono “con ai fianchi semplici cinture o corde”
(RB 22: 5) in modo che gli abiti che indossano non cadano e che non appaiano
nudi.
16. [Le punizioni (RB 23–30)]
Dice anche: "
Se qualche fratello si dimostrerà ribelle o disobbediente o superbo
" (RB 23,1). Subito dopo aggiunge: "
sia scomunicato, purché sia in grado di valutare la portata di una tale
punizione
" (RB 23,4). Questa non è la scomunica ecclesiastica pronunciata dal
sacerdote, ma quella che con semplici parole separa lo scomunicato dalla
comunità dei fratelli, sia nel refettorio, sia nel coro dell'ufficio divino,
sia nel dormitorio, sia in luoghi simili. Per coloro che la comprendono
questa pena porta maggiore vergogna e confusione della punizione corporale.
Poiché la punizione corporale deve essere inflitta a coloro che non hanno
tale comprensione, egli aggiunge: "Se invece il fratello difetta di una
sufficiente sensibilità, sia sottoposto al castigo corporale " (RB
23,5). In altre parole, sia punito con le verghe o con altri castighi
fisici, perché costui non si corregge a parole, ma a malapena con i forti
dolori della carne.
[B. Compiti della comunità ed assistenza ai fratelli con bisogni speciali]
17. [Il cellerario (RB 31)]
Parla in questo modo del cellerario del monastero: "Distribuisca ai
fratelli la porzione di vitto prestabilita senza alterigia o ritardi",
(RB 31,16) cioè senza che nessuna misura predeterminata venga esplicitamente
stabilita. Nella parola "typo", tradotta con “alterigia”, si dovrebbe
capire "ty", cioè "a te" e "po", cioè potere
[15].
Quindi, il cellerario non deve dire a sé stesso: "Tu hai il potere di dare e
di rifiutare come lo desideri", così che possa dare cibo abbondante e
migliore, oppure meno cibo e di peggiore qualità a suo piacimento. Così come
fanno in un certo modo i secolari nelle corti dei potenti quando dispensano
i viveri. Inoltre, il cellerario non deve arrogarsi la facoltà di non
fornire una porzione maggiore al fratello più bisognoso, dal momento che
dovrà dare di più a chi ha bisogno rispetto a chi non manca di nulla. Né
ritarderà a fornire le cose che devono essere date (RB 31,18).
18. [Servizio di cucina (RB 35)]
Quindi segue: "Al sabato il monaco che termina il suo turno settimanale,
faccia le pulizie" (RB 35,7), pulendo lo sporco con le scope e
spolverando qualora fosse necessario. Ed ancora, riferendosi al precetto
(del Signore): "
Tanto il monaco che finisce il servizio, quanto quello che lo comincia,
lavino i piedi a tutti"
(RB 35,9). Di nuovo: "Un'ora prima del pranzo, (ciascuno dei monaci di
turno in cucina) riceva, (oltre la quantità di cibo stabilita per tutti), un
po' di pane e di vino" (RB 35,12 = 38,10). Questo significa in
particolare pane intinto nella bevanda, delle dimensioni di un boccone, in
modo che possa essere mescolato con la bevanda. Successivamente dice: "Chi
esce (dal servizio settimanale) riceva una benedizione" (RB 35,17), cioè
una preghiera. Immediatamente segue: "Riceva una benedizione ed entri nel
suo ufficio", riferendosi ad una preghiera adatta al momento (RB
35,18).
19. [Gli infermi, i giovani e gli anziani (RB 36–37)]
Quindi dice: "I malati più deboli avranno anche il permesso di mangiare
carne per potersi rimettere in forze" (RB 36,9). Intende dire sia carne
di quadrupedi che di volatili; non escludendo nessuna carne che gli uomini
normalmente mangiano. "però, appena ristabiliti, si astengano tutti dalla
carne come al solito" (RB 36,9). Qui si riferisce ai quadrupedi, perché
coloro che sono sani di solito non mangiano questa carne ed il suo sugo,
mentre quelli che sono malati lo fanno. I sani mangiano la carne dei
volatili perché sono puliti e non inducono desiderio lussurioso in coloro
che li mangiano. Quindi aggiunge: "si conceda loro un anticipo sulle ore
fissate per i pasti" (RB 37,3). Qui si riferisce al mangiare prima delle
ore stabilite dalla Regola. Gli anziani ed i bambini consumino il pasto
prima degli altri, più spesso degli altri e ricevano cibi più delicati.
20. [La lettura a tavola (RB 38)]
Di nuovo dice: “dopo aver ricevuta così la benedizione, il fratello potrà
iniziare il proprio turno di lettore settimanale”, (RB 38, 4) ovvero con
una preghiera di benedizione. Ed immediatamente aggiunge: "E nessuno si
permetta di fare delle domande sulla lettura o su qualsiasi altro argomento,
per non offrire occasione di parlare, a meno che il superiore non ritenga
opportuno dire poche parole di edificazione" (RB 38,8-9). A quel tempo,
chi presiedeva a mensa dava salutari ammonimenti ai presenti a proposito
della lettura, prima che si separassero. Poiché allora (i fratelli) erano
pochi; più tardi, quando il loro numero crebbe, evitarono di fare ciò per
timore che con l’occasione prorompessero in parole oziose. Come abbiamo
detto sopra "Prima di iniziare la lettura, il monaco di turno prenda un
po' di vino aromatico, per rispetto alla santa Comunione" (RB 38,10). Al
tempo del beato Benedetto colui che doveva leggere alla mensa, perché
pronunciava sante parole, era come se servisse Dio sull’altare e riceveva la
comunione alla domenica. Ma subito dopo pranzava in modo che, a causa del
digiuno, non si sentisse svenire quando leggeva. In questo modo il Padre
(Benedetto) desiderava far comprendere che, dopo aver ricevuto l’Eucaristia,
ogni credente deve comportarsi in tutto più attentamente e diligentemente
del solito.
21. [La misura del cibo (RB 39)]
Aggiunge poi: "A tutti i fratelli devono bastare due pietanze cotte"
(RB 39,3). Con pietanze cotte si riferisce a quegli alimenti che vengono
posti sul fuoco e spostati avanti e indietro con un mestolo in modo che non
si brucino. Quindi dice: "se ci sarà la possibilità di procurarsi della
frutta o dei legumi freschi, si aggiunga una terza pietanza" (RB 39, 3).
Indica fave, piselli ed altre verdure di quel tipo che vengono raccolti
freschi dal campo, proprio come la frutta viene colta dagli alberi; ordina
che vengano messi davanti ai fratelli come terzo cibo, non cotti, ma con la
buccia tolta. Pesce e formaggio ed uova sono inclusi anche in questo terzo
piatto e sono una piacevolezza. Il padre amorevole non li menziona
esplicitamente perché sapeva che i monaci non si sarebbero astenuti da essi.
Quindi non li proibì né li menzionò esplicitamente. Successivamente scrive:
"
Tutti infine si astengano assolutamente dalla carne di quadrupedi, ad
eccezione dei malati molto deboli”
(RB 39,11). Non fa menzione dei volatili perché non proibiva ai sani di
mangiarli. Poiché ai suoi tempi il modo di vivere monastico era nella sua
fase iniziale ed era ancora piuttosto insolito, lo stesso Padre evitava di
vietare loro di mangiare carne completamente. Per questo motivo permetteva
loro di utilizzare i volatili come cibo.
[C. Discipline della vita comune (RB 43–52)]
22. [Correzioni disciplinari (RB 43–46)]
Quindi, (a proposito del fratello che ha commesso una qualche
disobbidienza), dice: "Perché
sia visto da lui (l'abate) e da tutti, e vi rimanga fino a quando, al
termine del l'Ufficio divino, avrà riparato dinanzi a tutta la comunità con
una penitenza",
(RB 43,5-6) prostrandosi e chiedendo perdono. Ed ancora: "Anche
in questo caso il colpevole dovrà riparare la sua mancanza"
(RB 43,12), cioè prostrandosi a terra. Quindi aggiunge: "Quando
desidererà quello che ha rifiutato in precedenza od altro, non ottenga
assolutamente nulla fino a che non dimostri di essersi debitamente corretto"
(RB 43,19). A causa della mancanza di rispetto (verso la Regola) che ha
mostrato, sarà negato al fratello impudente anche ciò che gli è necessario,
fino a quando non dimostrerà il suo emendamento con umile penitenza. E
ancora: "Si
getti ai piedi di tutti i fratelli per chiedere le loro preghiere"
(RB 44: 4) a Dio che egli ha offeso per i suoi gravi difetti. E subito dopo:
"Ripetano
la penitenza fin tanto che l’abate li benedica"
(RB 44,10) rivolgendosi a loro davanti a tutti e stimolandoli all’umiltà. E
poi: "Se non si umilia davanti a tutti con una penitenza", cioè
cercando il perdono con il suo corpo disteso a terra, "sia sottoposto ad
una punizione più severa”, (RB 45,1) e cioè sia punito con le verghe
davanti a tutti. E quando dice: “Ma se il movente segreto del peccato
fosse nascosto nell'intimo della coscienza”, vuole dire che se un
fratello ha segretamente deviato in qualche occasione o ha segretamente
commesso qualche peccato, "lo manifesti solo all'abate o a qualche
monaco anziano", (RB 46,5) confessando il legame del peccato ed
ottenendo così il perdono.
23. [Le pratiche penitenziali (RB 49)]
Aggiunge: "Ma anche ciò che ciascuno vuole offrire personalmente a Dio
dev'essere prima sottoposto umilmente all'abate e poi compiuto con la sua
benedizione e approvazione" (RB 49,8). Nessuno dei fratelli deve
astenersi completamente dai comuni cibi e bevande previsti dalla Regola e
regolarmente preparati nella comunità dei suoi fratelli, a meno che non
abbia il permesso del suo abate. Né, quando i fratelli sono radunati per le
preghiere ed i lavori comuni, qualcuno deve allontanarsene per sua stessa
decisione, a meno che ciò gli sia stato permesso dal suo Padre spirituale.
Tuttavia, ognuno può sottrarre lecitamente al suo corpo qualche comune cibo
e bevanda previsti dalla Regola e regolarmente preparati nella comunità dei
suoi fratelli. Però deve farlo in modo che non sorga clamore, seguendo così,
secondo la Regola e con umiltà, la consuetudine comune del monastero in
tutte le questioni senza lamentarsi.
24. [Divieto di mangiare fuori dal monastero (RB 51)]
Scrive in seguito: "Non
si permetta di mangiare fuori, anche se viene pregato con insistenza da
qualsiasi persona, a meno che l'abate non gliene abbia dato il permesso.
Se contravverrà a questa prescrizione, sarà scomunicato" (RB 51,1-3)
con la medesima scomunica con la quale un fratello insolente e disubbidiente
è separato dalla comunione e dalla compagnia dei suoi fratelli fino a quando
non abbia dato una (giusta) soddisfazione, come è stato detto sopra.
25. [La riverenza (RB 52)]
E dice: “Alla fine dell'Ufficio divino escano tutti in perfetto silenzio
e con grande rispetto per Dio”(RB 52,2). Mentre escono si inchinino
riverentemente e, con riverenza, si dedichino ai loro altri impegni al
servizio di Dio e non si abbandonino a frivolezze o smoderatezze.
[D. Ospitalità]
26. [L’ospitalità (RB 53)]
Quindi dice: "Quindi, appena viene annunciato l'arrivo di un ospite, il
superiore e i monaci gli vadano incontro, manifestandogli in tutti i modi il
loro amore; per prima cosa preghino insieme" (RB 53: 3). Tutti sono
condotti in chiesa per offrire adorazione. Pertanto, i fratelli preghino Dio
affinché non violino le loro norme con gli ospiti; gli ospiti diventeranno
migliori osservando il loro stile di vita. Ed ancora: "Adorando
in loro, con il capo chino o il corpo prostrato a terra, lo stesso Cristo,
che così viene accolto (nella comunità)"
(RB 53,7). È come se Cristo fosse presente quando gli ospiti arrivano ed (i
fratelli) li ricevono, o quando gli ospiti se ne vanno ed (i fratelli) li
benedicono mentre vanno, oppure si inchinano davanti agli ospiti per
riverenza a Cristo o chiedono perdono davanti a loro (cfr. RB 53,6).
Aggiunge immediatamente: "E poi gli si usino tutte le attenzioni che può
ispirare un fraterno e rispettoso senso di umanità" (RB 53,9). Ciò
include conversazioni affabili ed amichevoli ed ogni esigenza corporale. Ed
inoltre: “L'abate versi personalmente l'acqua sulle mani degli ospiti”
come un dovere di umiltà e “L'abate e tutta la comunità lavino i piedi a
ciascuno degli ospiti” (RB 53,12–13). Tale impegno è richiesto a coloro
che ne sono stati incaricati dall'abate. Infatti, quando gli ospiti ricevuti
dal beato padre Benedetto stavano per mangiare, egli dava loro l'acqua per
lavarsi le mani; e quando si alzavano da tavola, egli lavava loro i piedi.
Lo faceva grazie all'esempio offerto nell'ultima cena ai discepoli dal
Figlio di Dio - ad eccezione delle donne di cui non toccava i piedi – ed
altresì manifestava loro il disprezzo del mondo sia nel suo comportamento
che nel suo santo stile di vita. A quel tempo, infatti, i monaci non
sentivano ancora il tumulto degli estranei che si affollavano presso di
loro. Invece, quelli che venivano da loro non cercavano altro che Cristo e
lo trovavano lì nelle opere sante.
[E. Abbigliamento (RB 55)]
27. [Abbigliamento esteriore]
Quindi procede: "Bisogna dare ai monaci degli abiti adatti alle
condizioni e al clima della località in cui abitano" (RB 55,1). Qui
mostra che ai fratelli viene dato l'abbigliamento in base a ciò che possono
sopportare e perché non abbiano motivo per mormorare. Laddove la regione è
così fredda che la necessità costringe gli uomini a non rinunciare all'uso
di abiti caldi, essi evitano tutto ciò che non è necessario ed utilizzano
come abiti dei mantelli in pelo di agnello e delle tuniche in stoffa di lana
di agnello; queste vesti incontrano l'approvazione del giudice celeste.
Quindi segue immediatamente: "Comunque riteniamo che nei climi temperati
bastino per ciascun monaco una tonaca ed una cocolla" (RB 55,4). La
cocolla (o cuculla) deve essere ampia ed estendersi fino al tallone; deve
avere le maniche corte in modo che le mani si estendano leggermente oltre di
esse. Deve avere due aperture che scendono sotto l'ascella su ciascun lato.
Il cappuccio sia attaccato sopra. È un segno proprio del monaco quando lo ha
in testa, per significare che non guarda né a sinistra né a destra verso il
mondo. (Sotto la cocolla) deve esserci una tunica di lana un po' meno ampia
della cocolla stessa, ma più larga nelle gambe e protesa verso i piedi. Le
maniche non devono essere troppo larghe o troppo strette e devono
raggiungere le mani. Deve esserci un'apertura che scenda su ciascun lato
sotto l'ascella. La tunica non abbia il cappuccio.
28. [Biancheria intima]
Quindi aggiunge: "L'abate però stia attento alla misura degli abiti, in
modo che non siano troppo corti" (RB 55,8) come lo sono quelli di alcuni
laici. Piuttosto, gli abiti dei monaci raggiungano la caviglia, perché non
indossano i femorali nei loro monasteri. Quindi, aggiunge: “I monaci che
sono mandati in viaggio ricevano dal guardaroba i femorali che restituiranno
poi lavati al ritorno” (RB 55,13). Da questo si può capire che i monaci
che vivevano sotto l'insegnamento di questo Padre non usavano i femorali
tranne quando lasciavano i loro alloggi. La maggior parte delle persone non
usava i femorali in quel tempo e quindi, a causa delle usanze della gente e
come segno di semplicità e di umiltà infantili, lo stesso Padre non
permetteva di indossare i femorali ai suoi discepoli mentre erano nei loro
monasteri. Ma li accordò a coloro che uscivano a cavallo od a piedi come
esempio di castità e per amore del pudore virile e del rispetto umano. Ma
ora ai nostri tempi, poiché le usanze degli uomini lo manifestano, non
dispiace a Dio se i monaci, per evitare l’oltraggio di un sacrilegio (verso
Dio) che potrebbero sperimentare rimanendo con la carne nuda (sotto gli
abiti), indossano i femorali per non essere nudi e toccare carne con carne e
quindi ricordare i peccati carnali.
29. [Forniture da letto ed altro]
Continua: "Per la fornitura dei letti poi bastino un pagliericcio, una
coperta leggera " (RB 55,15). Quest'ultima è fatta di stoffa grossolana
o di canapa ed ha la forma di un sacco, riempito con una specie di paglia e
posizionato sulla stuoia utilizzata dai monaci come letto. [Nella stessa
frase] dice che dovrebbero avere una "coperta pesante" di lana, che
si stende sul letto durante il giorno per decoro e con la quale possono
coprirsi di notte quando lo desiderano.
Dice subito dopo: "L'abate distribuisca tutto il necessario" (RB
55,18). Ed aggiunge una fascia (zona) che si teneva stretta sulla
tunica in modo che non si aprisse davanti perché dormivano senza femorali;
ed una cintura (brachiale) che veniva indossata vicino alla pelle da
cui pendevano i mutandoni (caligae) legati ad essa
[16];
un fazzoletto (mappula), ovvero un panno fatto di stoffa di lino con
cui si asciugavano il sudore mentre lavoravano.
[F. L'accoglienza dei fratelli (RB 58–62)]
30. [I fanciulli (RB 59)]
Più tardi dice: "Ed avvolgano nella tovaglia dell'altare (la carta della
petizione), insieme con l'oblazione della Messa e la mano del bimbo" (RB
59,2). Ciò significa che la petizione dei genitori di un fanciullo era stesa
come prova scritta di conferma che lo offrivano a Dio, proprio come quella
di colui che ha promesso stabilità, conversione ed obbedienza davanti a
Dio ed ai suoi santi (RB 58,17-18) nella sua consacrazione, come
descritto in precedenza.
31. [I sacerdoti (RB 60)]
Quindi scrive: "Se qualche sacerdote chiede di essere ammesso nel
monastero, non bisogna affrettarsi troppo ad accogliere la sua richiesta"
(RB 60,1). Come sacerdote è inteso un uomo che presiede una prepositura od
un arcipresbiterato od una parrocchia e che per questi privilegi potrebbe, a
fatica, costringersi ad una sottomissione. Non c'è poi dubbio riguardo ad
un vescovo, perché sarebbe inappropriato che un governatore delle anime del
popolo, e capo degli abati, dovesse essere soggetto ad un abate. Se un
vescovo desiderasse convertirsi, dovrebbe farlo vivendo da solo in
penitenza, senza sottomettersi ad alcuna autorità di magistero. Poi
continua: "E se per caso nella comunità si dovesse trattare
dell'assegnazione delle cariche o di qualche altro affare" (RB 60,7) -
riferendosi alle responsabilità ed alle questioni interne di insegnamento od
a questioni commerciali esterne che devono essere gestite previa
consultazione (dei fratelli) - "occupi il posto che gli spetta
corrispondentemente al suo ingresso in monastero" (RB 60,7): "il
posto che gli spetta", ovvero l’intenzione di questo stile di vita di
umiltà e soggezione che gli procura un buon ed alto grado (Cfr. 1 Tm 3,13).
Tenga davanti agli occhi del suo cuore quale posto ha raggiunto quando ha
ricevuto l'abito monastico nel monastero, abito che dimostra il disprezzo
per il mondo, "non quello che gli è stato concesso in considerazione
della sua dignità sacerdotale" (RB 60,8). Ciò significa che non deve
prestare attenzione al precedente posto di dottore, vale a dire quando era
dottore e maestro tra il popolo ed il clero. Non si pensi o si giudichi più
prudente o istruito o più pronto ed avveduto nel parlare rispetto ai suoi
fratelli che sono stati allevati nel chiostro, né che, poiché abitava nel
mondo ed aveva vissuto con i secolari, superi tutti i fratelli. Invece, a
causa della sua volontaria conversione con la quale si è liberamente
sottomesso alla disciplina della Regola e per riverenza verso il suo
sacerdozio, darà un buon esempio agli altri e si mostrerà obbediente e
soggetto in tutte le questioni.
32. [I monaci pellegrini (RB 61)]
E lo stesso padre allora dice: "E se in seguito vorrà fissare la sua
stabilità nel monastero, non si opponga un rifiuto a questa sua richiesta".
E poi: “non solo sia accolto e incorporato nella comunità nel caso che ne
faccia domanda, ma sia addirittura invitato a rimanere, perché gli altri
possano trarre profitto dal suo esempio e perché dappertutto si serve il
medesimo Signore e si milita sotto lo stesso Re” (RB 61,5; 8–10). Questo
Padre prima scrisse che "Al momento dell'ammissione il novizio faccia
nell'oratorio, davanti a tutta la comunità, solenne promessa di stabilità"
(RB 58,17); e poi aggiunse: "Di tale promessa stenda un documento sotto
forma di domanda, rivolta ai Santi, le cui reliquie sono conservate nella
chiesa" (RB 58,19); e poi disse questo: "non si opponga un rifiuto a
questa sua richiesta" e "ma sia addirittura invitato a rimanere"
e, ancora, "perché dappertutto si serve il medesimo Signore" (RB
61,8–9) . Volle che (queste indicazioni) fossero comprese come segue. A
causa della sua instabilità, un monaco lascia segretamente o apertamente il
suo monastero in cui ha promesso stabilità e dove ha fatto la sua petizione
come è scritto sopra. Arriva in una lontana regione e vede un monastero del
suo stesso tipo di vita religiosa. Mosso dal pentimento vuole rimanere lì in
stabilità. Chiede di poter essere ricevuto dopo un periodo di prova. In tal
caso, se ne è degno, anche se a causa dei suoi lunghi viaggi non ha e non
può avere lettere di raccomandazione, sarà meglio che venga ricevuto
piuttosto che negargli di poter entrare. Se non fosse ricevuto, potrebbe
essere scoraggiato dalla debolezza, dall'infermità, dalla vecchiaia o da
qualche altro ostacolo, o dalla lunghezza del viaggio di ritorno al
monastero che ha lasciato, e nella disperazione potrebbe tornare al secolo.
Quindi, rimanendo nel secolo, perirebbe nell'anima e nel corpo.
Tuttavia, sarebbe molto meglio per lui se potesse in qualche modo tornare al
suo monastero che ha lasciato senza il permesso del suo padre spirituale e
chiedere di esservi riammesso, piuttosto che rimanere con ostinazione
nell'altro monastero. Questo è particolarmente vero se sa che la disciplina
della vita monastica è osservata nel monastero da cui se ne è andato. Il
Padre lo afferma in ciò che segue: "Si guardi però sempre dall'ammettere
stabilmente nella sua comunità un monaco proveniente da un monastero
conosciuto, senza il consenso e le lettere commendatizie del suo abate"
(RB 61,13). Egli non desidera che i monaci obbligati dalla loro stabilità e
dalla petizione (scritta) si spostino a loro piacimento da un posto
all'altro senza permesso. Piuttosto devono mantenere il loro voto con ferma
tenacia.
[G. Relazioni tra i membri della comunità (RB 62–73)]
33. [I sacerdoti (RB 62)]
E poi prosegue così: “Né col pretesto del sacerdozio trascuri
l'obbedienza alla Regola o la disciplina, ma anzi progredisca sempre più
nelle vie di Dio. Conservi sempre il posto che gli spetta in corrispondenza
del suo ingresso in monastero, tranne che per il ministero dell'altare”
(RB 62,4). Ciò significa che un monaco sacerdote che è stato ordinato nel
suo monastero non deve diventare orgoglioso a causa del suo sacerdozio ma,
con amorevole devozione, tenga davanti agli occhi del suo cuore quel luogo
di umiltà e soggezione per il quale, seguendo l'esempio di Cristo (Cfr. 1
Cor 2,1), ha ricevuto l'abito monastico ed ha abbracciato il disprezzo del
mondo. Da quel momento egli si è sottomesso al servizio di Dio e dell'uomo.
Soprattutto, pensi umilmente di essere diventato servitore e ministro di Dio
quando si è affidato al servizio dell'altare. In questo modo si mostrerà più
umile e più obbediente in tutte le cose. Egli ricorderà che ha umilmente e
devotamente ricevuto l'abito del monaco per il quale, senza pretese, si
riterrà degno ed obbediente in tutto. Ma deve anche ricordare che a causa
del modo in cui si sottomise a Dio nei doveri dell'altare (Cfr. 1 Cor 4,1),
si dovrà considerare sinceramente umile, mite ed all'ultimo posto (Cfr. Mt
11,29).
34. [Rispetto per gli anziani (RB 63)]
Ed aggiunge: “Dovunque i fratelli si incontrano, il più giovane chieda la
benedizione al più anziano” (RB 63,15), vale a dire che tramite il
saluto egli mostrerà di essere soggetto al suo (fratello) anziano in tutta
umiltà.
35. [Preghiera per i fratelli assenti (RB 67)]
Quindi dice: "Nell'orazione conclusiva dell'Ufficio divino si ricordino
sempre tutti gli assenti" (RB 67,2). Quest'ultima preghiera
dell'Ufficio divino è la preghiera del Signore perché, come è stato detto
sopra, l'Ufficio divino si conclude con questa preghiera, come lo si
verifica anche qui, vale a dire “il Kyrie e il Pater, a cui segue il
congedo” (RB 17,8). Quando i discepoli di questo Padre dicevano nella
stessa preghiera "Ma liberaci dal male", aggiungevano riguardo agli assenti:
"ed i tuoi servi e nostri fratelli assenti" (Cfr. RB 67,2),
commemorandoli in tal modo. In quel tempo non avevano ancora (a
disposizione) tutte le orazioni della Colletta e così spesso finivano il
servizio divino con il Padre Nostro.
36. [I fanciulli (RB 70)]
Quindi dice: "I ragazzi, però, rimangano fino a quindici anni sotto la
disciplina e l'oculata vigilanza di tutti" (RB 70,4). E dice ciò perché
come un ragazzo di età inferiore ai quindici anni è delicato nel corpo, così
è delicato nello spirito. In quel periodo della vita è ancora rispettoso e
può essere indirizzato a ciò che è buono, non osando ostinatamente resistere
a coloro che lo correggono. Ma quando raggiunge i quindici anni è già nella
fioritura della giovinezza. Come un albero in fiore rafforzato dal midollo e
dai fluidi in esso contenuti, così le forze del suo spirito si innalzano in
modo che egli disdegna di accettare e sopportare le correzioni infantili
come faceva prima.
37. [Direttamente verso l’obiettivo (RB 72)]
Alla fine il beato Padre conferma così tutto ciò che ha prima esposto: “il
regno dei cieli sarà aperto a coloro che fanno queste cose” (Termine del
cap. 73 in alcuni manoscritti. Cfr. RB 72,11). Tutte le cose che sono
descritte in questa Regola non sono troppo restrittive, ma guardano a destra
ed a sinistra, in modo che esse conducono colui che le rispetta direttamente
in paradiso
[17].
38. [Conclusione]
Perciò io, una povera piccola creatura, ho ascoltato queste parole della
(divina) Saggezza che mi ha insegnato le cose oscure nella Regola del
beato Padre Benedetto in modo da poterle proporre in modo chiaro. Perciò
le ascoltino i mansueti, i miti ed i timorati, le comprendano con cuore
pio e le accolgano con umile devozione.
La divisione in paragrafi e le note che seguono sono tratte per la maggior parte da "Explanation of
the Rule of Benedict, by Hildegard of Bingen", Translated, with
introduction and notes, by Hugh Feiss, osb, Peregrina Publishing Co. 1990.
[1]
Questo convento unniense può essere identificato sia con quello di
Hüningen in Alsazia, sia con quello di Hunsrück in Ravengiersburg. I
richiedenti sembrano essere monaci o monache che seguono la Regola
di sant’Agostino: infatti nel capitolo 4 si trova “B.
Pater Augustinus ....religionem nostram”.
[2]
Ruperto di Bingen (VIII secolo), visse da eremita nei pressi di
Bingen. L'unico documento esistente sulla vita e le opere di san
Ruperto è la Vita Sancti Ruperti compilata da Santa Ildegarda
di Bingen, la quale fondò il Monastero di San Ruperto, secondo una
leggenda devozionale, in seguito ad una visione che le suggerì il
posto dove era morto san Ruperto come luogo ideale per edificare il
monastero. (Fonte Wikipedia)
[3]
È tutta la comunità che scrive. Al paragrafo 4a si lamentano
dell’arbitrarietà dei loro superiori. Ciò suggerisce che si tratti
di una comunità di canonici, soggetta ad un vescovo diocesano che
non è membro della comunità.
[4]
La prima frase di questo paragrafo è enigmatica. “Ordine” potrebbe
riferirsi ad uno stile di vita diretto da una Regola (per esempio
Cluniacensi, Ordine di san Vittore) o persino ad una comunità. Al
paragrafo 4a citano “il nostro beato padre Agostino”, volendo
significare probabilmente di essere seguaci di sant’Agostino, il cui
Ordine era onorato da Ildegarda. Hanno però anche un grande rispetto
per Benedetto e quindi possono anche riferirsi a lui come loro
padre.
[5]
Ndt. Il testo latino ha “religionem nostram” ed altre
traduzioni hanno “la nostra religione” anziché “la nostra
comunità relgiosa”. Probabilmente la traduzione letterale più
esatta sarebbe la prima, ma nel contesto della lettera è forse
preferibile la seconda versione.
[6]
Dopo aver detto di non essere umanamente istruita e di essere
guidata dallo Spirito Santo, Ildegarda menziona tre volte la grazia
ed il potere dello Spirito Santo in questo breve paragrafo. Nel
testo della lettera non sono citate altre autorità cristiane al di
fuori della Sacra Scrittura e della Regola di san Benedetto.
[7]
La Regola di Benedetto insiste sulla discrezione dell’abate e
l’interpretazione della Regola fatta da Ildegarda insiste sulla
discrezione anziché sull’osservanza inflessibile ed austera delle
prescrizioni della Regola. Inoltre troviamo un’affinità tra la
discrezione di Benedetto e la convinzione di Ildegarda che la salute
fisica e spirituale si basano sull’armonia.
[8]
Il cerchio o la ruota è un simbolo ricorrente nelle opere di
Ildegarda, che spesso così rappresenta il dinamismo creativo della
natura divina.
Qui la metafora sembra essere quella di un barile di vino o di birra
che giace su un fianco, il cui rubinetto è stato collocato ad
un'altezza conveniente. L'idea di bere (di attingere) saggezza o
grazia si presenta in Prov 8,35 “hauriet delicias a
Domino”,
12,2 “hauriet gratiam a
Domino”,
18,22 “hausit
gratiam a Domino”,
Is. 12,3 “haurietis
aquas in gaudio de fontibus salutis”,
dove nella traduzione latina della Bibbia, la Vulgata, viene usato
lo stesso verbo haurio, che appunto significa attingere, bere
e simili. Inoltre, è anche un tema di Gv 4 “la Samaritana al pozzo
di Giacobbe”. La metafora prosegue nella prima riga del paragrafo 3
“Il beato Benedetto attinse la sua dottrina …”.
[9]
Ancora una volta, Benedetto è dotato di tutte le virtù dei giusti.
La dottrina di Benedetto fu perfezionata nello Spirito Santo, quindi
non deve essere modificata. Le parole iniziali della Regola di
Benedetto fanno eco al tono didattico della tradizione della
saggezza e, quindi, identificano l'autore come un maestro guidato
divinamente
[10]
Superato il contenuto dottrinale del prologo, Ildegarda ora non
commenta importanti capitoli: (2) sull'abate; (3) la consultazione
della comunità; (4) gli strumenti di buone opere; e (5)
l’obbedienza. Tratta a lungo il silenzio come una questione pratica:
evidentemente era un problema nei chiostri dei suoi giorni. La sua
posizione è che Benedetto permette di parlare quando è necessario ma
non stabilisce una determinata ora del giorno per parlare. Questa è
una questione che lascia al giudizio dell'abate.
[11]
Nella sua lunga discussione sulla disposizione dell'ufficio divino,
una delle preoccupazioni di Ildegarda è decidere se ciò che la RB
dice di un'ora si applica anche ad altre ore: di solito dice che non
lo è.
Proprio come Cristo era un guaritore, anche Benedetto aveva il
tocco di un medico; la sua discrezione lo manteneva fisso e stabile
in un sano punto di equilibrio in questioni come il silenzio ed il
parlare. La sua regola riguardo il dormire ed il rimanere svegli
mostra lo stesso sano equilibrio.
[12]
Questo paragrafo tratta di quali brevi letture durante l'Ufficio
Divino devono essere memorizzate e recitate a memoria. Come i
moderni commentatori della RB, Ildegarda interpreta le disposizioni
di Benedetto per la lettura e la meditazione (48.13,23; 58.5) come
la memorizzazione dei testi. Come al solito Ildegarda vede una
giustificazione pratica che sostiene questa legislazione.
[13]
Ildegarda discute qui una frase della RB, cap. 11 che si occupa
delle Vigilie (l’Ufficio Notturno) nei giorni di domenica. Offrendo
l'improbabile interpretazione che la domenica ci possa essere un
intervallo tra Vigilie e Lodi, conclude che i membri della comunità
potrebbero tornare a letto durante questo periodo. Basa questa
lettura su ciò che, per lei, è un principio chiave per la sua
interpretazione della Regola: il fatto che Benedetto sia abbastanza
chiaro su quelle cose che desidera si facciano e proibisca
apertamente ciò che non desidera che accadano. Quelle cose che non
menziona le lascia a discrezione dell'abate e dei membri della
comunità.
[14]
Qui e nel paragrafo 35, Ildegarda sostiene che Benedetto non termina
le ore dell'Ufficio con le preghiere di Colletta (le preghiere
conclusive), ma che tutte le ore, ad eccezione di Compieta, si
concludono con la Preghiera del Signore.
[15]
La parola latina “thpho”, spesso scritta erroneamente “typo”
significa orgoglio, arroganza, alterigia, ecc.. L’etimologia
indicata da Ildegarda non è vera, poiché deriva dal greco
τυφός,
che significa fumo, parola usata frequentemente dagli scrittori
cristiani greci.
[16]
Nell'Ordine di Cluny le caligae erano certa specie di mutandoni
di lana, diversi dalle scarpe da giorno e da quelle da notte, come
altresì diverse dai pedules, i quali, senza dubbio, erano
scarpini. ... Si vede dallo stesso luogo che le caligae erano
legate con una cintura, il che quadra perfettamente colla
descrizione delle caligae che usavano i Monaci di Farfa. …
Brachiale
(o bracile), una cintura. Questo termine deriva da bracha
ovvero bracca, che significa una certa specie di mutande o di
calzoni. Gli scrittori delle Regole Monastiche il termine brachiale lo
utilizzano per la cintura con cui i Monaci si cingevano le reni e
sostenevano i mutandoni o calzoni.
Nota
estratta da: "Commentario letterale, istorico, e morale sopra la
Regola di S.Benedetto ... del Padre D.Agostino Calmet abate di
Senona", Vol. II. Arezzo, 1751.
[17]
In questo paragrafo Ildegarda ritorna a parlare della discrezione di
Benedetto. Nel paragrafo 2 ha detto che Benedetto non mirava né
troppo in alto né troppo in basso, qui dice che non guarda né a
destra né a sinistra.
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6 giugno 2020 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net