REGOLA DI SAN BENEDETTO DI ANIANE

O SOMMARIO DEL CAPITOLARE (818/819?)

 


Traduzione elaborata in base ai “Decreti Originali del Sinodo di Aquisgrana” riportati nel libro “Benedetto d’Aniane. Vita e riforma monastica”, a cura di G. Andenna e C. Bonetti, Edizioni Paoline 1993, con qualche variazione ed aggiunta del redattore del sito.


Link al testo latino


 

Il 10 luglio dell’anno 817 dall’incarnazione del Signore nostro Gesù Cristo, quarto dell’impero del gloriosissimo principe Ludovico, riunitisi gli abati insieme a moltissimi loro monaci nella parte del palazzo di Aquisgrana che è detta Laterano, si stabilì di comune accordo e all’unanimità che i seguenti capitoli fossero osservati senza violazione alcuna da coloro che vivono sotto la Regola.

 

1. Gli abati non appena rientrati nei loro monasteri leggano integralmente la Regola, commentandola in ogni parola e comprendendola con l’aiuto di Dio, e si prodighino per metterla in pratica in modo efficace con i loro monaci.

2. Tutti i monaci che sono in grado di farlo imparino a memoria la Regola.

3. Celebrino l’Ufficio divino conformemente ai dettami della Regola di san Benedetto.

4. In cucina, nel mulino e nelle altre attività manuali lavorino con le proprie mani e al momento opportuno lavino i propri vestiti.

5. In nessun momento dopo le veglie i monaci ritornino nei loro letti per dormire, se non quando si siano alzati prima dell’ora stabilita.

6. Non si radano in Quaresima se non il sabato santo; in tutti gli altri periodi liturgici si radano una volta ogni quindici giorni.

6. Non si radano in Quaresima se non il sabato santo; in tutti gli altri periodi liturgici si radano una volta ogni quindici giorni e nell’ottava di Pasqua

7. Non osservino un tempo stabilito per i salassi (o flebotomia), ma siano concessi a ciascuno secondo ciò che il bisogno richiede, e in questo caso gli si offra una ricca dieta con cibi e con bevande particolari.

8. Se la fatica del lavoro lo rende necessario, i monaci possono bere anche dopo cena, così come anche in Quaresima, quando si celebra l’Ufficio funebre e prima che si reciti la lettura di Compieta.

9. Quando qualcuno dei confratelli viene rimproverato da un suo superiore dica per primo: «Mea culpa», poi, prostrandosi ai suoi piedi con il manto, se lo possiede, chieda perdono e, quando lo vuole il superiore, si alzi e offra umilmente una spiegazione su ciò di cui viene interrogato.

10. I monaci non vadano per strada da soli, cioè senza un altro confratello.

11. I monaci non abbiano padrini e madrine e non bacino nessuna donna.

12. Non siano flagellati nudi per qualche colpa davanti agli sguardi dei confratelli.

13. Se la necessità impone che essi siano occupati nel raccogliere messi, tralascino il tempo stabilito per la lettura e la pausa di mezzogiorno e, lavorando, non si lamentino.

14. Quando i monaci digiunano il mercoledì e il venerdì prima e dopo Nona, se ci fosse la necessità, in base alla decisione del superiore, esercitino lavori non gravosi.

15. In Quaresima, dopo aver preso i libri della biblioteca secondo la disposizione del superiore, se questi non lo ritiene utile i monaci non ne prendano altri.

16. Si diano loro abiti non spregevoli né lussuosi ma di qualità media.

17. In Quaresima, come negli altri periodi, si lavino i piedi reciprocamente e cantino le antifone che si confanno a questo compito. Nel rito del giovedì santo (in Caena Domini) l’abate, se ne è in grado, lavi e baci i piedi dei confratelli, e infine porga loro di sua mano una bevanda.

18. Il mandato (Ndr. cioè la consuetudine di lavare i piedi, sia nei confronti dei confratelli sia nei confronti dei pellegrini) avvenga dopo cena.

19. Gli abati osservino con zelo la stessa misura fissata per i loro monaci nel cibarsi, nel bere, nel dormire, nel vestire e nel lavorare, quando non sono impegnati in altri compiti.

20. Non visitino le ville (Ndr. Chiamate anche celle. Ovvero le proprietà ecclesiastiche, separate dal monastero) con frequenza e se non sono costretti dalla necessità, e nemmeno affidino l’incarico di custodirle ai loro monaci. Quando vi è necessità di recarsi in queste proprietà, compiuto l’incarico, ritornino subito ai loro monasteri.

21. L’abate, o qualche confratello, non sosti con gli ospiti presso la porta del monastero, ma dia ristoro e mostri loro tutta l’umana accoglienza offrendo da mangiare e da bere nel refettorio.

L’abate, tuttavia, si accontenti della stessa quantità di cibo e di bevanda che assumono gli altri confratelli.

L’abate, stando con vescovi, abati, canonici e nobili si nutra di ciò che loro stessi mangiano. (variante: a motivo della carità).

Ma se per la presenza dell’ospite, volesse aggiungere qualche cosa per sé e per i monaci alla solita razione, abbia il potere di farlo.

22. I servitori si ristorino non alla mensa monastica, ma nei luoghi loro destinati, dopo il pasto dei confratelli, e recitino la stessa lettura che è stata recitata prima dai monaci.

23. Al lettore non venga dato nulla più di quello che ordina la Regola.

24. L’Alleluia si interrompa durante il tempo di Settuagesima (cioè a partire dalla terza domenica prima della Quaresima).

25. Dentro e fuori il monastero, dopo l’abate sia il preposito ad esercitare l’autorità maggiore sugli altri monaci sottoposti all’abate stesso.

26. Nessuno sia costituito preposito per i monaci se non è egli stesso monaco.

27. Degli anziani del monastero (incaricati della sorveglianza), alcuni escano con i confratelli cui è stato assegnato un incarico, gli altri rimangano nel monastero per la sorveglianza (dei monaci).

28. Non si conceda con facilità l’ingresso in monastero ad un novizio; stia nella foresteria al servizio degli ospiti per il periodo di prova e, se possiede qualcosa, la lasci ai suoi parenti. Concluso l’anno della sua prova, si comporti poi in base a quanto prescrive la Regola. Non gli venga praticata la tonsura, e nemmeno cambi gli abiti che indossava precedentemente prima di aver promesso obbedienza.

29. Se, dopo Sesta, mentre i confratelli dormono, qualcuno volesse leggere in chiesa o nel proprio letto, legga pure.

30. In Quaresima i confratelli lavorino fino all’ora Nona e, dopo la celebrazione della Messa, si riposino per un congruo periodo di tempo.

31. Siano incarcerati coloro che hanno tentato di fuggire o che si sono percossi con pugni o con bastoni o coloro ai quali sono già state applicate tutte le correzioni previste dalla Regola. Nel carcere in inverno si possa accendere il fuoco, e l’atrio sia sistemato in modo tale che essi possano eseguire ciò che è stato loro imposto di fare.

32. Se qualcuno, negligente, emette un suono volgare o sporca nel refettorio,

subito chieda perdono al superiore.

subito chieda perdono al superiore e col consenso del superiore si alzi, stia in silenzio e chieda perdono quando avranno finito dopo l’orazione. Soggiaccia al giudizio in base al tipo di colpa.

sia umiliato stando seduto al suo posto e dopo un certo tempo chieda il perdono del priore; se invece commette la mancanza stando in piedi chieda perdono al priore davanti a tutti.

33. Nessun plebeo o chierico secolare sia accolto ad abitare nel monastero se non vuole divenire monaco.

34. A nessuno sia lecito proferire un giuramento o un’affermazione se non come erano soliti esprimersi i santi Padri.

35. Sia lecito agli abati avere celle (all’interno di proprietà monastiche lontane) nelle quali abitino monaci o canonici; e l’abate non permetta che vi abitino meno di sei monaci.

36. Non si abbia una scuola nel monastero se non per coloro che sono oblati.

37. Nelle solennità principali si completi l’Ufficio divino e ci si ristori due volte, cioè a Natale, nell’ottava del Natale, all’Epifania, a Pasqua ed anche nella ricorrenza dell’Ascensione del Signore, a Pentecoste e durante le festività dei santi, cioè di santo Stefano, del beato Giovanni evangelista e per la festività dei Santi Innocenti, nella festa della Purificazione (Ndr. La Candelora, il 2 febbraio) e dell’Assunzione di santa Maria; così come nelle feste dei beati Apostoli, nella ricorrenza di san Giovanni Battista, di san Lorenzo, di san Martino o nell’anniversario della morte di qualsiasi altro santo il cui ricordo sia celebrato in modo speciale in qualsiasi diocesi.

38. Durante la Parasceve (cioè il Venerdì Santo) non si assuma altro che pane e acqua.

39. Dopo Compieta il sacerdote impartisca la benedizione.

40. Sia data ai poveri la decima parte di tutto quanto è stato offerto in elemosina sia alla chiesa che ai confratelli.

41. L’uso dei bagni sia affidato alla decisione del priore.

42. I monaci si radano nell’ottava di Pasqua.

43. Tralasciate le ripartizioni del Salterio, si cantino salmi speciali per i benefattori e i defunti.

44. Nella settimana di Pentecoste non ci si inginocchi e non si digiuni se non sono stati prestabiliti i giorni per il digiuno.

45. Non si conducano nel refettorio i laici per mangiare e bere.

46. Tutte le volte che la necessità lo impone siano concessi abiti, calzature e tutto ciò che serve ai confratelli.

47. Dopo la professione, ai monaci si copra il capo con la cocolla per tre giorni.

48. Il padre e la madre dei fanciulli facciano offerte all’altare nel momento dell’oblazione ed esprimano in sua vece davanti a testimoni laici la richiesta di essere ammesso nella comunità monastica. Egli stesso la confermerà quando sarà in grado di capire.

49. I monaci che sono stati preposti a qualche ufficio siano denominati «nonni».

50. Il più anziano dei decani sia preposto a tutti gli altri decani e abbia un luogo proprio con l’abate o con il preposito.

51. Il preposito, i decani, il cellerario, il portinaio non siano rimossi dal loro incarico se non per un motivo utile e necessario.

 

51. Il preposito, i decani, il cellerario, il portinaio se sono stati utili nei loro incarichi, vi rimangano finché piacerà all’abate ed alla congregazione.

52. I fanciulli oblati non si nutrano di carne se non in caso di malattia.

53. Una libbra di pane pesi trenta solidi del peso di dodici denari ciascuno. (Ndr. Una libbra (circa 400 gr.) equivaleva al peso di circa 30 monete di un solido, che a sua volta equivaleva a 12 monete di denari)

54. La misura della cocolla sia di due cubiti.

55. Si allestisca un dormitorio vicino all’oratorio, dove possano dormire i monaci forestieri.

56. I canonici non conducano in viaggio con sé abati e monaci se non per il sinodo generale.

57. Sia suonata la campana soltanto due volte nell’Ora Terza, Sesta e Nona.

58. I monaci non possiedano mantelli senza cuciture tranne che quelli di pelliccia.

59. L’abate, il preposito e il decano, anche se non sono preti, impartiscano la benedizione ai lettori.

60. Si scelgano confratelli istruiti per colloquiare con gli ospiti.

61. Quando avviene un furto di cui non si conosce il responsabile, la preghiera e l’interdizione dall’assunzione del sangue e del corpo di Cristo non avvengano finché il colpevole abbia confessato.

62. Se un fratello testimonia contro un altro confratello per una colpa, si creda al confratello che vive in modo più perfetto la Regola.

63. Non si cantino per i defunti né il Salmo Invitatorio (Ndr. Sal 95(94)), né il Gloria.

64. La benedizione sia richiesta dal lettore stando in piedi.

65. I preti distribuiscano nel refettorio le eulogie ai confratelli.

66. Si legga il Martirologio durante il capitolo di Prima e si recitino i versetti, poi si leggano la Regola o qualche omelia. Infine si dica il Tu autem Domine.

67. Quando i confratelli digiunano, in estate dopo Sesta possono dormire.

68. Coloro che di domenica sono sottoposti a un castigo per una colpa, ottengano clemenza e non chiedano perdono.

69. Nell’anniversario di morte si celebri un ufficio per l’abate defunto.

70. La lettura sia spostata dopo l’ora Prima [1] e durante la collatio [2] se le circostanze lo permettono.

71. Durante la Messa (i fratelli) dicano il Sanctus stando in piedi ed il Pater noster stando in ginocchio.

72. Non sia accolto nessuno nel monastero come obbligo, se non coloro che vengono raccomandati per la buona volontà e per i loro meriti.

73. Ad ogni fratello siano dati cibo e bevanda secondo personali porzioni e di queste porzioni che gli sono state date non ne porga a nessuno.

73. Ad ogni fratello siano dati cibo e bevanda secondo personali porzioni e di queste porzioni gli sia permesso di porgerne ad altri una minima parte.

 

74. I fratelli abbiano un po' di grasso per condire i cibi, tranne il venerdì, negli otto giorni prima del Natale del Signore e nella settimana di Quinquagesima (la domenica precedente la prima domenica di Quaresima) fino a Pasqua.

74. I grassi vengano messi nelle pietanze, tranne che negli otto giorni prima del Natale del Signore, negli otto giorni prima di Quaresima (e fino a Pasqua) ed ogni venerdì.

75 I fratelli ricevano muffole di pelle di montone.

76. Tengano presso il proprio letto la quantità di sapone e di unguento assegnata dal priore e tutte le altre cose che sono loro necessarie.

77. (I monaci) si nutrano di volatili nel Natale del Signore ed a Pasqua soltanto per quattro giorni, se in qualche modo ne hanno a disposizione; se invece non ce ne fossero non vengano richiesti come fossero un obbligo. Se l’abate ed i monaci volessero astenersene, siano liberi di farlo.

 


[1] Testo latino: ad capitulum. Fin dall’VIII secolo i monaci, dopo l’ora di Prima, si radunavano per ascoltare la lettura di un “capitolo” (capitulum) della Regola di San Benedetto.  A poco a poco, lo stesso raduno fu chiamato “il capitolo”, e il luogo in cui si teneva: “la sala capitolare”. Nei monasteri c’erano due tipi di “capitoli”: 1) Il primo era per la Consultazione: l’Abate chiedeva il consiglio della comunità su qualche questione. 2) Il secondo era per la Formazione: l’Abate commentava il brano della Regola appena letto. (Fonte: "Ordo Fratrum Minorum - Capitulum Generale 2021", sito Web "ofmcapgen2021.org").

Si veda anche “Glossarium mediae et infimae latinitatis”, Du Cange, Niort: L. Favre, 1883,1887 che recita: “Notum enim mane post Primam recitatam, antequam Fratres exeant ad laborem”.

[2] Testo latino: ad collationem. In àmbito monastico, la collatio era una particolare riunione serale (tra vespro e compieta) durante la quale venivano letti e commentati brani di testi edificanti, massime le Collationes patrum (Conferenze dei padri) di Giovanni Cassiano, testo ritenuto da san Benedetto – e molti dopo di lui – fondamentale per la formazione spirituale dei monaci. Dal titolo di quest’opera, pare, presero il nome tanto la riunione quanto il pasto frugale che era concesso ai monaci nei giorni di digiuno subito dopo la collatio. (Fonte: Sito web “unaparolaalgiorno.it”)

 


Ritorno alla pagina su "san Benedetto d'Aniane"

Ritorno alla pagina iniziale "Regole monastiche e conventuali"


| Ora, lege et labora | San Benedetto | Santa Regola | Attualità di San Benedetto |

| Storia del Monachesimo | A Diogneto | Imitazione di Cristo | Sacra Bibbia |


22 marzo 2022                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net