Basilius Caesareae
Admonitio ad filium spiritualem
SANCTI BASILII CAESAREAE CAPPADOCIAE EPISCOPI
ADMONITIO AD FILIUM SPIRITUALEM. |
Pseudo-Basilio Ammonizione ad un figlio
spirituale
San Basilio Vescovo di Cesarea in Cappadocia Ammonizione ad un figlio spirituale |
[0683D] |
Libera traduzione |
PROOEMIUM.
CAPUT PRIMUM. De militia
spirituali.
Si ergo cupis, fili, militare
Deo, illi soli militabis. [0685B] Sicut enim qui militant regi terreno omnibus
jussis ejus obediunt, sic et qui militant regi coelesti, debent coelestia
custodire praecepta. Miles terrenus quocunque loco mittitur, paratus ac promptus
est, neque se uxoris vel liberorum gratia excusare audebit; multo magis miles
Christi sine aliquo impedimento regis sui debet imperio obedire. Miles terrenus
contra hostem visibilem pergit ad bellum; tecum vero hostis invisibilis quotidie
praeliando non desinit. Illi contra carnem et sanguinem est dimicatio; tibi vero
adversus spiritalia vitia in coelestibus eluctatio. Ille contra carnalem hostem
carnalibus armis utitur; tu vero contra spiritalem hostem spiritalibus armis
indiges. Ille in praelio galeam ferream gestat; sed tua galea Christus sit, qui
est caput [0685C] tuum. Ille lorica, ne vulneretur, indutus est; sed pro lorica
sis fide Christi circumdatus. Ille contra adversarium suum mittit lanceam et
sagittas; tu contra adversarium divina eloquia jaculare, et percutiens eum
verbis propheticis dicito: Dominus mihi adjutor est, et ego deridebo inimicos
meos (Psal. CXVII). Ille donec pugna geritur, arma a semetipso non projicit, ne
ab adversario vulneretur; ita et tu nunquam debes esse securus, quia tuus hostis
hoste illius est astutior. Illius quidem hostis ad tempus dimicat; tuus vero
hostis, quandiu in stadio vitae hujus consistis, tecum pugnare non cessat.
Illius arma laboriosa et gravia sunt ad portandum; tua vero arma volentibus
portare suavia ac levia sunt. Ille cum superaverit adversarium, ad domum
conjugis [0685D] ac liberorum revertetur; tu vero, hoste prostrato, in illud
coeleste regnum cum omnibus sanctis intrabis. Ille pro labore terreno terrenum
accipit donarium; tu vero pro spiritali labore coeleste recipies praemium.
Coeleste
enim donum exspectet monachus, qui terrenos actus a semetipso projicit, ne
implicet se negotiis saecularibus militans Deo. Difficile namque est servire
duobus dominis; nec potest quisquam serviens mammonae spiritalia arma portare,
sed jugum Christi suave ac leve a semetipso repellit ac projicit: et quidquid
grave et onerosum est animae suae, hoc ei videtur suave ac leve. Istiusmodi vir
a propriis armis vulneratur, et cum diligit periculum, incidit ad mortem. Tu
autem considera [0686A] cui regi te ad militandum probasti; et quanto superius
est rege terreno imperium coeleste, tanto praecellentior est gradus excellentiae
tuae terreno milite. Turrim excelsam construere cogitas, praepara ergo tibi
sumptus ad structuram, ut coeptum aedificium ad perfectum deducas; ne quando
praetereuntibus venias in risum, et gratulentur de te inimici tui. Haec turris
non ex lapidibus construitur, sed ex virtutibus animae: nec auri, nec argenti
indiget sumptibus, sed conversatione fideli: nam terrenae opes plurimum ad
aedificandum impediunt.
CAPUT
II. De virtute animae.
Unus profectus sit tibi, fili, si domino uni servire [0686B] desideras, nec alicui in vita tua placere coneris nisi illi soli; nec occupes in diversis rebus animum tuum; sed abscinde a te carnalem amorem, ne a te Dei timorem excludat. Omne vitium expelle ab anima tua, ut virtutes animae conquirere possis. Audi igitur quae sit virtus animae, et quam maximum ei conferat lucrum. Virtus animae est diligere Dominum, et odisse quae non diligit Deus. Virtus animae est et patientiam sectari, et ab impatientia declinare. Virtus animae est castitatem tam corporis quam animae custodire. Virtus animae est vanam gloriam contemnere, et omnia caduca calcare. Virtus animae est humilitati studere, et tumorem superbiae abominari. Virtus est animae veritatem amplecti, et omne mendacium fugere. Virtus est animae iram [0686C] cohibere, et furorem reprimere. Virtus est animae pacem diligere, et invidiam exsecrari. Virtus animae est ab omni stultitia declinare, et sapientiam divinam amplecti. Virtus animae est omnem voluptatem carnis subjicere menti. Virtus animae est avaritiam spernere, et voluntariam assumere paupertatem.
Has igitur virtutes facile poteris obtinere,
si saecularium rerum curas neglexeris, et caducis ac terrenis rebus coelestia
praeposueris: et si voluntas tua in laudibus Dei fuerit occupata, et judicia
ejus die ac nocte impensius meditatus eris; eris autem Tanquam lignum quod
plantatum est secus decursus aquarum (Psal. I, 3), et omnes fructus spiritales
orientur ex te, et ex servo amicus vocaberis Dei.
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Prologo Ascolta, figlio, l'ammonizione di tuo padre e
inclina il tuo orecchio alle mie parole, rivolgimi volentieri il tuo
udito e ascolta tutte le cose dette con un cuore fiducioso. Desidero
insegnarti che cosa sia la milizia spirituale ed in che modo tu debba
combattere per il tuo re. Tendi all’ascolto più intensamente la tua
mente e la tua anima non sia appesantita dal sonno. Stimola invece la
tua anima alla vigilanza ed ad impegnarsi nella comprensione delle mie
parole. Queste parole non provengono da me, ma derivano da origini
divine. Infatti non ti sto istruendo in una nuova dottrina, ma in quella
che ho imparato dai miei padri. Se, dunque, infonderai queste cose nel
tuo cuore, dirigerai i tuoi passi sulla via della pace, nessun male ti
potrà colpire e tutte le avversità dello spirito si allontaneranno da
te. Capitolo 1 La milizia spirituale Pertanto, figlio, se desideri combattere per il
Signore, combatti solo per lui. Così come chi lotta per un re terreno
obbedisce a tutti i suoi ordini, altrettanto coloro che lottano per il
Re celeste devono custodire i suoi celesti precetti.
Un soldato terreno, in qualunque
luogo sia inviato, è preparato e pronto, e non oserà scusare se stesso
per amore di una moglie o dei figli, quanto più un soldato di Cristo
deve obbedire al comando del suo re senza alcun impedimento. Un soldato
terreno va in guerra contro un nemico visibile; invece un nemico
invisibile non cessa ogni giorno di combattere contro di te. Quelli
combattono contro carne e sangue; tu invece devi lottare contro i vizi
spirituali nell’armata celeste. Quelli usano armi mondane contro un
nemico mondano; tu invece hai bisogno di armi spirituali contro un
nemico spirituale. Quello durante la battaglia tiene in testa un elmo di
ferro, ma il tuo elmo è Cristo che è la tua testa. Quello si è cinto di
una corazza, così che non può essere ferito, ma tu cingiti dalla corazza
della fede in Cristo. Quello getta lancia e frecce contro il suo
avversario, tu getta contro l’avversario le parole divine, colpendolo
con le parole dei profeti e dicendo: " Il Signore è il mio aiuto, ed io
guarderò dall’alto i miei nemici". (Salmo 118 (117),7) Quello, finché conduce la lotta, non butta via
le armi per timore che possa essere ferito da un avversario, così anche
tu non dovresti rimanere disarmato perché il tuo nemico è più furbo del
suo. Il suo nemico combatte per un certo tempo; invece il tuo nemico,
finché stai in piedi nel corso di questa vita, non cessa di combattere
contro di te. Le sue armi sono faticose e pesanti da portare; invece le
tue armi sono leggere e piacevoli da trasportare, per chi desidera
portarle. Egli, quando ha sconfitto il suo avversario, torna a casa
dalla moglie e dai figli. Tu invece, sconfitto il nemico, entrerai nel
Regno dei cieli con tutti i santi. Quello accetta una ricompensa mondana
per un lavoro mondano; tu, invece, ricevi una ricompensa spirituale per
un impegno spirituale. Il monaco, soldato di Dio, si aspetta una
ricompensa celeste, rigettando da sé le azioni terrene e non
implicandosi negli affari secolari. Per questo è difficile servire due
padroni, né c'è qualcuno che possa portare armi spirituali servendo
mammona. Costui, infatti, rifiuta e getta lontano da se il giogo di
Cristo che è soave e leggero (Mt 11,30) e tutto ciò che è pesante ed
oneroso per la sua anima gli sembra soave e leggero. Un uomo così è
ferito dalle sue proprie armi e, perché ama il pericolo, finisce nella
morte. Considera per quale re hai scelto di combattere.
Quanto è superiore il potere celeste al re terrestre, tanto è più
eccellente la posizione del tuo esercito rispetto all'esercito
terrestre. Se tu pensi di costruire una torre alta prepara le spese per
la struttura in modo che, dopo aver iniziato la costruzione, tu possa
condurla alla perfezione, per timore che quelli che passano ti deridano
e che i nemici gioiscano di te (Lc 14,28–30). Questa torre non è
costruita di pietre, ma dalla virtù dell'anima, né la spesa richiede oro
o argento, ma un atteggiamento di fede. Infatti le ricchezze terrene
impediscono molto la sua costruzione. Capitolo 2 Le virtù dell'anima Cerca solo di riuscire in questo, figlio: se
desideri servire l'unico Signore, non devi cercare di piacere a nessuno
nella tua vita, se non a lui solo.
Non occupare la tua mente in cose diverse. Allontana da te
l'amore carnale, affinché questo non ti allontani dal timore di Dio.
Espelli tutti i vizi dalla tua anima, così che tu possa conquistare le
virtù dell’anima. Ascolta quindi quali sono le virtù dell’anima e quale
grande beneficio le conferiscono. È una virtù dell'anima amare Dio ed odiare ciò
che Dio non ama. È una virtù dell'anima perseguire la pazienza ed
evitare l’impazienza. È una virtù dell'anima mantenere la purezza del
corpo, così come quella dell'anima. È una virtù dell'anima disprezzare la vanagloria
e considerare spregevoli tutti i beni mondani. È una virtù dell'anima perseguire l’umiltà e
detestare l'arroganza dell’orgoglio. È una virtù dell'anima abbracciare la verità e
fuggire tutte le menzogne. È una virtù dell'anima frenare l’ira e reprimere
il furore. È una virtù dell'anima amare la pace ed aborrire
l’invidia. È una virtù dell'anima allontanarsi da ogni
stoltezza ed abbracciare la Sapienza divina. È una virtù dell'anima sottomettere ogni
desiderio carnale all'anima. È una virtù dell'anima disprezzare l’avarizia ed
abbracciare volentieri la povertà. Pertanto sarai in grado di ottenere facilmente queste virtù se avrai trascurato le preoccupazioni terrene e se avrai preferito le cose celesti alle cose terrene e transitorie e se la tua volontà si occuperà delle lodi di Dio e se tu avrai meditato intensamente le sue sentenze giorno e notte. Sarai come un albero piantato lungo corsi d’acqua (Sal 1,3); nasceranno da te tutti i benefici spirituali, e, da servo, sarai chiamato amico di Dio. |
[0686D]
CAPUT III. De dilectione Dei.
Ex tota igitur virtute tua dilige Dominum, ut in omnibus actibus tuis placeas illi. Si enim qui conjugium contraxerit, festinat placere uxori suae, multo magis monachus omnibus modis debet placere Christo. Qui diligit Dominum, ejus praecepta custodit (I Joan. II). Deus enim non se vult verbis tantummodo diligi, sed ex corde puro et operibus justis. Qui enim dicit: diligo Deum, et mandata ejus non custodit, mendax est (Ibid.). Hujusmodi enim vir fallit semetipsum, et a semetipso seducitur. Deus enim non verborum sed cordis inspector, et diligit eos qui in simplicitate cordis serviunt ei. Si terrenos parentes cum tali affectu diligimus, qui in tam parvo [0687A] tempore pro nobis sustinuerunt laborem, nonne magis nobis coelestis amandus est? Nam et circa nos, quod fuit eorum obsequium, Christi est beneficium, qui omnium dispensator optimus est. Nam antequam nasceremur in hoc saeculo, parentes nobis sua providentia antea praeparavit, quorum obsequio nutriemur. Sed et matris ubera tunc lacte replentur, quando infans fuerit natus. Ergo magis omnibus diligamus Deum, qui nos et propinquos nostros propriis manibus finxit; et cuncta bona quae erga nos geruntur quotidie ejus beneficiis ascribamus. Nam et parentes nostros quasi propria viscera diligamus, si accedere nos ad servitium Christi non prohibent: si autem prohibent, nec sepultura illis a nobis debetur. Christus diligendus est super [0687B] parentes, quia non tribuunt nobis parentes ea quae Christus tribuit. Et quis beneficia ejus congruenter enarret? Vel quantum nobis tribuit, et quotidie praebendo non desinit? Videns enim Deus innumeris peccatis nos obnoxios, non despexit, sed liberavit; nec cum alienati ab eo in diversis erroribus vagaremur, in praecipitium mortis non duxit, sed ad vitam perpetuam revocavit. Et cum ingrati beneficiorum ejus fugeramus ab eo, ut Pater clementissimus exquisivit nos: et cum in sede sublimi sederet, nostri gratia descendit ad terras, et in tanta humilitate venit, ut servilem formam assumeret; et qui in pugillo suo continet orbem terrarum, pannis in praesepio involutus est: et qui coelum palma metitur, non habuit ubi caput reclinaret. Cum esset [0687C] dives, pauper est factus, ut nos ditaremur in illo; et qui in nubibus venturus est ad judicandos vivos et mortuos, judicium hominis pertulit; et cum sitientibus sit fons aeternalis, cum sitisset postulavit aquam a Samaritana muliere: et qui in carne propria nostram esuriem saturavit, esurivit cum tentaretur in eremo; et cui ministratur cum Patre ab angelis, hominibus ministrare dignatur: et manus ejus per quas virtutes plurimas operatus est, pro nobis confixae sunt clavis; et ori ejus per quod salutarem doctrinam annuntiavit hominibus, pro cibo fel dederunt: et qui nullum laesit vel nocuit, caesus et opprobria pertulit; et cujus nutu omnes mortui resuscitati sunt, voluntate sua mortem crucis sustinuit. Et ideo haec omnia passus, ut nobis vitam [0687D] aeternam donaret. Et cum nobis immensa beneficia praestet, nihil exigit a nobis, nisi ut templa nostra impolluta ei servemus, ut semper in nobis habitet, et nos permaneamus in illo. Non postulat a nobis aurum, aut argentum, vel quidquid hujusmodi; nam et si fuerint nobis ista, dispertiri egentibus praecipit: nos ipsos quaerit, nos desiderat, in nobis requiescere cupit.
CAPUT IV. De dilectione proximi.
Accedamus ergo ad eum, et
copulemur in affectu ejus, et ut nos ipsos amemus et proximos. Qui diligit,
inquit, proximum, filius Dei vocatur. Qui autem e contrario odit, filius diaboli
nuncupatur. Qui diligit [0688A] fratrem suum, in tranquillitate est cor ejus;
fratrem vero odiens tempestate maxima circumdatus est. Vir benignus etiamsi
patitur injuriam, pro nihilo ducit; iniquus etiam proximi actus contumeliam
arbitratur. Qui charitate plenus est, serenissimo vultu procedit: vir autem odio
plenus ambulat iracundus. Tu autem, fili, benignitati stude in vita tua, et
proximum tuum habeto tanquam unum ex membris tuis. Omnem hominem judica fratrem
tuum. Memento quod unus artifex ac verus est qui condidit nos.
Non moveas cuiquam scandalum in vita; et non
quod tibi utile est, sed illi, facito. Quod tibi accidere non vis, nec ei cupias
evenire. Si eum videris in bonis actibus conversantem, congratulare ei, et
illius gaudium tuum ducito; et si aliquid patiatur [0688B] adversum, compatere
ei, et illius tristitiam tuam deputa: omnem malitiam expelle ab anima tua, et
odiorum flammae non comburent cor tuum. Contra impotentem aut subjectum tibi
noli iracundia commoveri; sed tanquam tuum membrum proprium eum habeto in
omnibus. Ne diligas fratrem tuum simulato corde, nec eum labiis osculans ex alia
parte insidias facias ei. Dolosus enim vir pacifica verba profert ex ore, et in
abdito mentis supplantare proximum suum meditatur. In his ergo operibus ad
iracundiam provocatur Deus.
Puritas enim
quae placet in conspectu Domini, respuit omne quidquid simulato corde efficitur.
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Capitolo 3 L'amore di Dio Di tutte le virtù, ama Dio in modo che tu gli
sia gradito in tutte le tue azioni. Infatti, se un uomo unito in
matrimonio si affretta a compiacere sua moglie, molto di più un monaco
deve compiacere Cristo in tutti i modi. Chi ama Dio osserva i suoi
comandamenti (1 Gv 2,3). Dio, infatti, non desidera essere amato
soltanto con parole, ma con un cuore puro e con opere di giustizia.
Poiché chi dice: "Io amo Dio", ma non ascolta i suoi comandamenti, è un
bugiardo (1 Gv 2,4). Questo genere di uomo inganna se stesso e conduce
se stesso fuori strada. Dio infatti è un osservatore del cuore, non
delle parole ed ama coloro che lo servono con semplicità di cuore. Se
amiamo i nostri genitori terreni con tale affetto, che per un breve
periodo hanno sopportato sofferenze per noi, il nostro Padre celeste non
deve forse essere amato da noi molto di più? Anche il fatto che ci hanno
amato è stata una benedizione di Cristo, che è il miglior dispensatore
di tutte le cose. Ancor prima di nascere in questo mondo, Lui, dalla sua
provvidenza, ci ha preparato dei genitori dal cui amore saremmo stati
nutriti. Ma, non appena il bambino nasce, il seno della
madre si riempie di latte per volontà di Dio. Quindi, amiamo Dio più di
ogni cosa, lui che ha modellato noi ed i nostri genitori con le proprie
mani ed al cui favore attribuiamo tutti i beni che ci vengono concessi
quotidianamente. Amiamo dunque i nostri genitori come fossero nostri
figli, se essi non ci impediscono di entrare al servizio di Cristo; se
invece cercano di impedirlo, da parte nostra non dobbiamo neanche dare
loro sepoltura. Cristo deve essere amato sopra i genitori, perché i
genitori non ci concedono ciò che Cristo ci dona. E chi può raccontare
correttamente i suoi favori? e quanto ci ha donato e non cessa di
concederci i suoi favori ogni giorno? Infatti, vedendoci,
sopraffatti dai numerosi peccati, Dio non ci ha abbandonato, ma ha
perdonato le nostre trasgressioni. Né, allontanandoci da lui, quando
abbiamo vagato in diversi errori Dio non ci condotto nel precipizio
della morte, ma ci ha richiamati alla vita eterna. E quando, ingrati per
i suoi favori, ci siamo allontanati da lui, egli ci ha cercati come
Padre clementissimo e, pur stando seduto sul trono celeste, per amor
nostro scese sulla terra e venne in tale umiltà da assumere la forma
umana. Colui che tiene il mondo nel suo pugno è stato avvolto in fasce
in una mangiatoia e colui che misura il cielo con il palmo della mano
non aveva nessun luogo dove posare il capo. Anche se era ricco, è
diventato povero perché noi diventassimo ricchi grazie a lui. E chi
arriverà tra le nuvole a giudicare i vivi ed i morti ha subito il
giudizio degli uomini. Lui che è la fontana della vita eterna per tutti
coloro che hanno sete, quando ebbe sete ha dovuto chiedere l’acqua ad
una donna samaritana. Lui, che ha soddisfatto la nostra fame con la
propria carne, soffrì la fame quando fu tentato nel deserto. Lui, che
insieme al Padre è servito dagli angeli in cielo, si è degnato di
servire gli uomini sulla terra. La mano, attraverso la quale sono stati
eseguiti tanti atti virtuosi, era inchiodata sulla croce per la nostra
redenzione. Alla sua bocca, con la quale egli annunciò la sua dottrina
della salvezza, offrirono fiele al posto di cibo. Lui che non ha nociuto
né fatto del male ad alcuno, è stato picchiato ed ha subito oltraggi. E
colui al cui comando risorgono tutti i morti, ha sofferto la morte di
croce di sua volontà. Quindi sopportò tutte queste cose affinché egli ci
potesse concedere la vita eterna. Anche se egli ci ha donato immensi
benefici, non ci ha richiesto nulla, se non che custodissimo il nostro
tempio senza macchia per lui, in modo che egli possa sempre dimorare in
noi e noi possiamo rimanere in lui. Cristo non esige oro o argento da
noi, né nulla di simile. Se avessimo di queste cose, egli ci imporrebbe
di distribuirle ai bisognosi. Egli cerca proprio noi, ci desidera, vuole
riposare in noi. Capitolo 4 L'amore per il prossimo Allora avviciniamoci a lui e uniamoci alla sua tenerezza, per amare noi stessi ed il nostro prossimo. E, ripeto, chi ama il suo prossimo è chiamato figlio di Dio. Ma chi al contrario odia il suo prossimo è chiamato figlio del diavolo. Chi ama suo fratello ha un cuore pacifico; chi invece odia suo fratello è circondato da una grande tempesta. L’uomo buono, anche se subisce un torto, lo ritiene di nessun conto, ma l’uomo malvagio considera un’offesa qualunque comportamento del suo prossimo. Chi è pieno di amore procede con un volto molto sereno, mentre un uomo pieno di odio cammina con animo collerico. Anche tu, figlio, persegui la bontà nella tua vita e considera il tuo prossimo come fosse un tuo membro. Ogni uomo ritienilo come tuo fratello. Ricorda che un unico e veritiero creatore ci ha creati. Non recare scandalo a nessuno nella tua vita; e non fare ciò che è utile a te, ma ciò che avvantaggia il tuo prossimo. Ciò che non vuoi accada a te, non desiderare che accada al tuo prossimo. Se lo vedi impegnato in buone azioni, congratulati con lui ed esprimi la tua gioia per lui. Se egli soffrisse di qualche avversità, condividi la sua sofferenza e considera tua la sua tristezza. Espelli ogni malizia dalla tua anima e non lasciare che le fiamme dell'odio brucino il tuo cuore. Non scatenare l'ira contro i deboli e coloro che ti sono sottoposti, ma sempre considerali membri della tua famiglia. Non amare tuo fratello con cuore bugiardo e non tramare insidie contro di lui mentre lo baci con le labbra. Un uomo disonesto proferisce pacate parole dalla sua bocca, mentre segretamente nella mente pianifica di ingannare il suo prossimo. Pertanto con queste azioni Dio è provocato all'ira. Infatti per la purezza del cuore siamo posti alla presenza di Dio ed egli rigetta tutto ciò che è prodotto da un cuore falso. |
CAPUT V. De studio pacis. [0688C]
Tu autem omnem simulationem longe
fac a te, et ne cupias supplantare proximum tuum, neque mordere aut laniare
membrum tuum. Quod et si quandoque ut homo iratus fueris, ultra solis terminum
non producas iracundiam tuam; sed et reconciliare ad pacem, et deprime omnem
furorem ab anima tua. Qui enim amplectitur pacem in mentis suae hospitio,
mansionem praeparat Christo; quia Christus pax est, et in pace requiescere
cupit; vir autem invidus omnibus modis exsecratur. Vir pacificus in
tranquillitate est semper cor ejus; invidus autem similis navi cum jactatur a
fluctibus maris. Homo pacificus securam possidet mentem: invidus autem in
perturbatione est semper; qui autem sectatur pacem, tutus est semper undique ac
munitus. [0688D] Nam invidus ut lupus rapax insanit inaniter. Pacificus est ut
vinea honesta abundans fructu copioso; invidi autem opus indigentia ac miseria
detinetur: et quantum pacificus gaudens in Domino delectatur, tantum invidus
tabescens ad nihilum redigitur. Ex abundantia laetitiae pacificus homo
dignoscitur; ex vultu marcido et furore pleno invidus demonstratur. Pacificus
homo consortium angelorum merebitur: invidus homo particeps daemoniorum
efficietur: et sicut pax secreta mentis illuminat, ita invidia occulta cordis
obcaecat. Pax enim effugat et perturbat omnem discordiam, invidia autem
iracundiam cumulat. A splendore autem pacis effugatur omnis caligo; et ubi
obsederit invidia, ibi obscuritas et exteriores [0689A] tenebrae. Sectare ergo,
fili, desiderabile nomen pacis, ut fructus pacis possis acquirere; et exsecrare
invidiam, ne malorum fructibus replearis. Rationabile namque animal creavit te
Deus, ut possis discernere inter bonum et malum, ut quae sint optima eligas, et
inutilia respuas, omnia examines, quae sint bona teneas, ab omni specie mala
abstineas.
CAPUT VI. De patientia.
Fili, patientiam arripe, quia
maxima est virtus animae, ut velociter ad sublimitatem perfectionis possis
ascendere. Retributionem patientiae tuae ne quaeras ab homine, ut in futuro
possis accipere ab aeterno Domino aeternam retributionem. Patientia [0689B]
grandis est medela animae, impatientia autem est pernicies cordis. Per
patientiam enim exspectatur futurorum bonorum spes; et quod non videtur, quasi
quod videtur amplectitur.
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Capitolo 5 La ricerca della pace Inoltre allontana da te ogni falsità e non
desiderare di far cadere il tuo prossimo, né di ferire o dilaniare un
tuo membro. E quando ti
sarai arrabbiato, come succede agli uomini, non rimanere adirato fino al
tramonto del sole, ma procurati la pace e allontana ogni furore dalla
tua anima. Chi infatti abbraccia la pace nella dimora del suo cuore,
prepara un dimora a Cristo, perché Cristo è pace e desidera riposare in
pace. Un uomo invidioso è maledetto in molti modi. Un uomo tranquillo è
sempre in uno stato di tranquillità; un uomo invidioso è come una nave
quando è sconvolta dalle onde del mare. Un uomo di pace possiede una
mente senza preoccupazioni: invece un uomo invidioso è sempre confuso.
Chi segue la pace è al sicuro e protetto ovunque.
Un uomo invidioso si infuria inutilmente come un lupo
insaziabile. Un uomo di pace è come una bella vite carica di abbondanti
frutti: invece l’uomo invidioso è soggetto al peso dell’indigenza e
della miseria. Tanto quanto l'uomo di pace è lieto ed esulta nel
Signore, così l'uomo invidioso si logora e si riduce a nulla. Mentre un
uomo tranquillo è riconosciuto dalla sua abbondanza di gioia, un uomo
invidioso lo si riconosce dal suo aspetto sciupato e dal volto piena di
rabbia. Un uomo di pace merita la compagnia degli angeli, mentre l'uomo
invidioso è degno solo di essere il compagno di demoni: e come la pace
illumina i segreti del cuore, così l'invidia acceca le interiorità del
cuore. La pace infatti mette in fuga e ostacola ogni discordia, mentre
l’invidia raccoglie ira. Dallo splendore della pace vengono dissipate
tutte le tenebre e dove si è insediata l’invidia ci sono oscurità e
tenebre esteriori. Pertanto, o figlio, segui il desiderabile nome di
pace affinché tu possa acquisire i frutti della pace ed evita l’invidia,
per non essere riempito di frutti malvagi. Dio ti ha creato come un
animale dotato di ragione per poter distinguere tra bene e male, così
che tu possa scegliere il meglio ed evitare ciò che è inutile e per
poter esaminare tutto, mantenendo ciò che è buono ed evitando ogni
genere di male. Capitolo 6 La pazienza Figlio, apprendi la pazienza che è la più grande virtù dell'anima, in modo che tu possa salire velocemente al culmine della perfezione. Non cercare la ricompensa della pazienza dagli uomini, affinché tu possa in futuro ricevere la ricompensa eterna dal Signore eterno. La pazienza è il grande rimedio per l'anima; invece l’impazienza provoca la distruzione del cuore. Con la pazienza, infatti, si aspetta la speranza dei beni futuri e si abbraccia ciò che non si vede, quasi come lo si vedesse. |
CAPUT VII. De continentia et
castitate.
Castum
te in omnibus serva, fili, ut videas Dominum in gloria consistentem.
Ab omni
pollutione mundum sit cor tuum, et ne des inimico aditum eundi ad te. Ab aspectu
nefando averte oculos tuos, et ne delecteris pulchrarum vultibus feminarum, ne
per talem oblectationem ultima exsolvas supplicia. Memento cui dedicasti membra
tua, et ne commisceas illa meretricibus. Reflecte amorem ab amore mulieris,
neque ab amore Domini te amor excludat. [0689C] Noli minima contemnere, ne
paulatim diffluas in malo. Non te simules simpliciter accedere ad virginum
domus, nec velis cum eis uti longis et otiosissimis fabulis, ne per plurimas
sermocinationes utrorumque mens polluatur. Noli, fili, graviter ferre sermones
meos, nec stultum arbitreris eloquium meum, sed crede mihi et gratanter accipe
verba mea. Si ad feminarum domus importune accesserit clericus vel monachus, et
virgo patiatur hujusmodi introire ad se, statim immutant pristinam dignitatem,
et quod Domino polliciti sunt sua voluntate amittunt. Nec enim poterunt
hujusmodi mansionem in se Domino praeparare, sed desolabuntur ut lignum aridum:
nunquid virginitatem Dominus extorquet invite? Hoc enim munus voluntarie Christo
offertur [0689D] in propria voluntate. Nec enim licitum est profanari aliquid
quod Domino promissum. Non peccabis, homo, si non voveris votum: si enim
vovisti, jam ne facias moram reddere illud quod Dominus quasi suum requirit
illud a te; nec pollutione vult misceri membra tua, quae sibi jam dedicata sunt.
Vide ergo ne te seducat corporis pulchritudo, et decorem animae tuae amittas. Ne
improbo oculo tuo intuearis speciem mulieris, ne intret mors per fenestras tuas.
Ne aperias aures tuas ad perficienda verba eorum, nec concupisces nequitiam in
anima tua. Mulieris carnem non velis tangere, ne per tactum ejus inflammetur cor
tuum, et spiritu tuo labaris in perditionem. Sicut enim fenum proximans igni
[0690A] comburitur, ita qui tangit mulieris carnem non evadit sine damno animae
suae; et licet corpore castus evaserit, mente tamen et corde corruptus abscedit.
CAPUT VIII. De saeculi amore
fugiendo.
Dic mihi, quaeso, fili, quis sit
profectus animae, amare carnis pulchritudinem? Nonne sicut fenum cum a fervore
aestatis percussum fuerit, arescit, et paulatim pristinum decorem amittit?
Similis est etiam species humanae naturae: succedente sibi senectute omnis decor
pristinus deperit, et quos in amorem sui antea concitabat, postmodum odio eorum
afficietur. Nam cum intervenerit mors, tunc penitus omnis pulchritudo delebitur;
et tunc cognosces, [0690B] quia vanitas, quod ante inaniter diligebas. Cum
videris totum corpus in tumorem et fetorem esse conversum; nonne intuens maximo
horrore concuteris? Nonne claudis nares tuas, non sustinens fetorem durissimum?
Ubi est postmodum omnis illa oblectatio? Require si est aliquod pristini decoris
vestigium. Ubi est suavitas luxuriae et conviviorum opulentia? Ubi sunt
blandimentorum verba, quae corda simplicia molliebant? Ubi sunt sermones dulces,
qui amaritudinem amantibus infundebant? Ubi est immoderatus risus et otiosus?
Ubi est effrenata et inutilis omnis laetitia? Velut fluxus aquae transiens
nusquam comparuerunt. Hic est finis carnis pulchritudinis quam amabas: hic
oblectationis terminus corporis. Reflecte igitur animum tuum ab his [0690C]
obscenis amoribus, et omnem amorem converte ad splendidissimam pulchritudinem
Christi, ut radii fulgoris ejus illustrent cor tuum, et omnis obscuritas
caliginis expelletur a te. Haec pulchritudo diligenda est, fili, quae laetitiam
spiritalem amantibus consuevit infundere. Hic decor omnibus modis amplectendus
est, unde nobis serenitas tranquillitatis acquiritur. Devitemus perniciosas
pulchritudines, ne omnium malorum genera in nos irrogentur. Multi enim
admirantes mulierum species, a veritatis via naufragaverunt. Plerique ornamentis
earum oblectati, perniciem animarum suarum perpessi sunt, et a perfectionis
fastigio in profundum inferni demersi sunt.
Caveto ergo, fili, species per quas plurimos
cernis periisse. Quaeso ne bibas poculum, unde [0690D] multos perspicis
interiisse: ne percipias cibum quem edi in aliorum perniciem videris. Ne incedas
iterum, quo naufragium perpessi sunt plurimi. Devita laqueos, per quos captos
caeteros senseris. Postula tibi a Domino cor prudens et pervigilem sensum, ut
non ignores fraudes et astutias inimici et in retia ejus non incidat pes tuus.
Sapiens non corporis decorem desiderat, sed animae; insipiens homo speciem in
carnalibus ornamentis amplectitur. Sapiens vir comptam mulierem respuit, stultus
vero concupiscens eam miserabiliter supplantabitur.
Vir prudens ab
imprudente femina avertit oculos suos, luxuriosus autem vir intuens eam solvetur
ut cera a facie ignis. Tu autem cave omnibus modis [0691A] species perniciosas
ac falsas pulchritudines, quia deturpatur anima si earum decorem attendas.
Christus non in corporis decore, sed in animae delectatur. Illa ergo dilige,
fili, in quibus delectatur Christus.
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Capitolo 7 La continenza e la castità Figlio, mantieniti puro in tutte le cose, così
che tu possa vedere Dio stabilito nella gloria. Il tuo cuore sia puro da
ogni macchia, affinché non sia consentito al nemico di entrare. Volgi i
tuoi occhi da visioni abominevoli e non essere attratto dai volti di
belle donne, per timore che attraverso tale attrazione tu paghi con la
punizione eterna. Ricorda a chi hai dedicato le tue membra e non
congiungerle alle prostitute. Allontana quindi il tuo amore dall’amore
di una donna, per timore che il suo amore ti escluda dall'amore di Dio.
Non trascurare le minime cose, per non cadere a poco a poco nel male.
Non fingere di andare nelle case delle vergini in modo ingenuo e non
trascorrere del tempo con loro in chiacchere lunghe e futili, per timore
che attraverso questo gran parlare le vostre menti vengano contaminate.
Figlio, non considerare pesanti le mie parole e non considerare
insensato il mio discorso, ma credimi e accogli di buon grado le mie
parole. Se un prete o un monaco entrano in modo inopportuno nella casa
delle donne ed in questo modo acconsentono che una vergine si avvicini a
loro, costoro perdono subito la loro primitiva reputazione e, di propria
volontà, ciò che hanno promesso a Dio. Né certamente potranno in questo
modo preparare una dimora per il Signore dentro di sé, ma saranno
abbandonati come un legno secco. Forse che il Signore estorce la
verginità contro la volontà? Questo dono è infatti offerto a Cristo
volontariamente di propria volontà. Non è consentito profanare nulla di
ciò che è stato promesso a Dio. Non peccherai, o uomo, se non hai
promesso un voto. Se, tuttavia, hai promesso un voto, non esitare a
compierlo, perché il Signore lo richiederà a te come cosa sua; lui non
vuole che le tue membra, che già sono offerte a lui, siano profanate.
Vedi dunque che un bel corpo non ti seduca e che tu perda la bellezza
della tua anima. Non fissare la figura di una donna con un occhio
impudico, per timore che la morte entri attraverso queste occasioni che
tu le offri. Non ascoltare le loro parole, affinché tu non desideri
intensamente malvagità nella tua anima. Non desiderare di toccare la
carne di una donna, per timore che toccandola si infiammi il tuo cuore e
con il tuo spirito affondi nella perdizione. Come il fieno che è posto
vicino al fuoco brucia, così colui che tocca la carne di una donna non
può sfuggire dalla dannazione della propria anima; ed anche se riesce a
sfuggire puro di corpo, tuttavia se ne va corrotto nella mente e nel
cuore. Capitolo 8 Fuggire l'amore di questo mondo Dimmi figlio, ti prego, quale profitto può ricevere l'anima dall’amore della bellezza mondana? Non è forse come il fieno che, colpito dal calore dell'estate, si secca e, poco a poco, perde la sua primitiva eleganza? L'aspetto della natura umana è simile. Con l'avvento della vecchiaia, ogni primitiva bellezza è distrutta e ciò che hai amato prima, ora lo trovi odioso. Infatti, quando la morte arriva, allora sarà totalmente distrutta tutta la bellezza e tu riconoscerai che ciò che prima hai amato invano era solo un'illusione. Quando vedrai tutto il corpo trasformato in gonfiore e fetore, non sarai colpito da un grande orrore? Forse che non chiuderai il tuo naso, non essendo in grado di sopportare quell'odore fortissimo? Dopo sarà poi tutta quella gioia? Vedi se c'è ancora qualcosa della bellezza originale. Dove è la dolcezza del lusso e l’opulenza dei banchetti? Dove sono le parole lusinghiere che addolcivano i cuori ingenui? Dove sono le dolci parole che infondevano amarezza agli amanti? Dove sono le risate smodate e futili? Dov'è la gioia sfrenata ed inutile? Sono scomparse come un flusso di acqua corrente. Questa è la fine del bel corpo che tu amavi: questa è la fine dei piaceri corporei. Allontana dunque l'anima da questi osceni amori e volgi tutto l’amore alla più splendida bellezza di Cristo, in modo che i raggi del suo splendore possano illuminare il tuo cuore e tutte le tenebre possono essere allontanate da te. Questa bellezza deve essere amata, figlio, poiché solitamente infonde gioia spirituale alle anime. Questa bellezza deve essere abbracciata in tutti i modi, poiché da lì acquisiamo serenità e tranquillità. Evitiamo le bellezze distruttive, affinché non ci infliggano ogni tipo di male. Molti, infatti, ammirando l'aspetto delle donne hanno fatto naufragio dal cammino della rettitudine. Molti, affascinanti dai loro ornamenti, hanno subito la distruzione della loro anima e, dall'altezza della perfezione, sono stati gettati nelle profondità dell'inferno. Figlio, fai attenzione alle cose che, come capisci, hanno fatto perire molti uomini. Ti imploro di non bere la bevanda che, come hai visto, ha fatto morire molti: non prendere il cibo che ha causato la rovina di altri. Non mettere piede sulla strada dove molti altri hanno naufragato. Evita le insidie nelle quali sono caduti gli altri, come hai visto. Chiedi al Signore un cuore prudente ed una mente vigile affinché tu riconosca gli inganni e l’astuzia del nemico ed il piede non finisca nella sua rete. Un uomo saggio non desidera la bellezza del corpo, ma dell'anima; un uomo sciocco si affeziona agli ornamenti del corpo. Un uomo saggio rifiuta una donna elegante, invece un uomo sciocco, desiderandola, è gettato a terra in modo miserabile. Un uomo prudente distoglie il suo sguardo da una donna imprudente, mentre un uomo lussurioso, nel guardarla, si scioglie come la cera vicino al fuoco. Tu, invece, stai attento alle attrazioni malvagie ed alla falsa bellezza in tutti i modi, poiché l'anima sarà disonorata se presterà attenzione alla loro avvenenza. Cristo non si rallegra della bellezza del corpo, ma della bellezza dell'anima. Perciò, figlio, ama quelle bellezze in cui si rallegra Cristo. |
CAPUT IX. De avaritia fugienda.
Et ne pecuniarum cupiditati te
subjicias, ab omn avaritia declina cor tuum, ut non condemneris sicut adulter et
idolorum cultor. Noli amare mammona, ne
offendas eum cui membra tua et mentem pariter dedicasti.
Ne petas ea
quae te avocant et separant a Domino. Noli diligere opes terrenas, ne amittas
coelestes. Multi cupientes aliena, et suis privati sunt. Alienatae sunt a nobis
saeculi hujus facultates, [0691B] nostra autem possessio regnum coelorum est.
Noli appetere aliena, ne a tuis fias extraneus. Quotidianum victum sufficere
tibi contentus esto: quidquid superfluum est projice abs te tanquam propositi
tui impedimentum. Ne cupias fieri locuples, ne in tentationes incidas, et in
laqueos diaboli. Caveto avaritiam, quia
radix omnium malorum ab Apostolo nominata est. Pecuniarum cupidus jam animam
suam venalem habet: si enim invenerit tempus, pro nihilo perpetrabit homicidium;
et sicut qui effundit aquam super terram, ita est ei effundere sanguinem proximi
sui. Plerique per avaritiae ardorem in mortis periculum inciderunt. Propter
avaritiam Achan cum suis omnibus lapidatus est (I Reg. XV).
Propter
avaritiam Saul alienus a Domino effectus est, et ad [0691C] extremum de culmine
regali expulsus est, et ab inimicis suis peremptus.
Et Achab propter avaritiam invasit vineam Naboth
(III Reg. XXI); et hujus rei gratia in praelio vulneratus defunctus est. Dominus
noster et Salvator a corde pharisaeorum volebat pecuniarum amorem excludere: sed
quia illi erant cupidissimi, salutaria ejus monita deridebant. Nam et illum
divitem cum Dominus vocans ad regna coelorum facultates suas vendere
praecepisset, aviditas intrare non permisit (Matth. XV). Et Judae pectus
avaritiae ardore exarsit, ut Dominum largitorem sibi cunctorum bonorum in manus
traderet impiorum (Matth. XXVI). Avarus enim vir inferno similis est.
Infernus igitur
quantoscunque devoraverit, nunquam dicit satis est; sic etsi omnes thesauri
[0691D] terrae confluxerint in avarum, non satiabitur. Alienum te facito, fili,
ab hoc vitio, et voluntariam paupertatem libenter assume. Noli esse desidiosus
et piger; sed labora manibus tuis, ut habeas unde tribuas indigenti. Secundum
possibilitatem tuam mediocriter porrige: tantum enim expetitur a te quantum tibi
fuerit creditum. Nemo enim exigit a te quod ipse minime possides. Eleemosyna cum
iniquitate acquisita abominatio est coram Christo, sed acceptum est illi quod
fuerit fideliter acquisitum. Fili, non habet hanc artem misericordiae bonum.
Sunt enim nonnulli qui, diripientes aliena, praestare se eleemosynam simulant;
et cum alios premant, aliis misereri se fingunt: sed Deus non delectatur [0692A]
in operibus eorum, et simulationem cordis eorum exsecratur ac respuit. Tu autem,
fili, licet exiguum de tuis laboribus porrigas, hoc gratum est et acceptum coram
Domino. Non te velis jactare cum porrigis eleemosynam indigenti; et illo cui
feneras ne te arbitreris esse meliorem; sed in omnibus operibus tuis humilia te
coram Domino, quia non erit gratum Deo quidquid efficitur cum superbia; quod
autem fit humiliter, acceptum est ei.
Fili, prae omnibus humilitati
stude, quod est omni virtute sublimius, ut ad perfectionis fastigium possis
conscendere: cum justae institutiones non aliter nisi per humilitatem
impleantur, et multorum [0692B] temporum labores per superbiam in nihilum
deputentur. Vir humilis Deo est similis, et in templo pectoris sui gestat eum.
Superbus autem cum sit Deo odibilis, diabolo similis est. Humilis vero licet in
habitu videatur vilissimus, gloriosus est in virtutibus. Superbus autem homo,
etsi decorus videatur aspectu et clarus, sed tamen inutilem eum manifestant
opera ipsius, et per os, incessus et motus dignoscitur ejus superbia, et ex
verbis ejus publicabitur levitas ipsius. Cupit semper laudari ab hominibus, et
virtutibus, quibus alienus est, se praedicare gestit. Non se patitur cuiquam
esse subjectum, sed semper primatum cupit, et ad majorem gradum se conatur
immergere; et quod ex meritis obtinere non potest, ambiendo festinat invadere;
[0692C] ambulans semper tumens ut uter vacuus et inanis. Et sicut navis absque
gubernatore cum jactatur a fluctibus, ita et is levis circumfertur instabilis
inter omnes actus suos. Humilis e contrario respuit omnem honorem terrenum, et
ultimum se esse judicat omnibus hominibus.
Nam etsi
mediocris appareat in vultu, eminens apud Dominum intuetur. Cum consummaverit
omnia mandata Domini, nihil se fecisse testatur, et omnes virtutes animae suae
celare festinat: sed divulgat Dominus omnia opera ipsius, et profert in medium,
et mirificat gesta ipsius, et exaltabit et clarum faciet eum, et in tempore
precum suarum quod postulat impetrabit.
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Capitolo 9 La fuga dall’avarizia Distogli il tuo cuore da ogni avarizia per non
diventare schiavo dell’amore del denaro, affinché tu non sia condannato
come un adultero ed un adoratore di idoli. Non amare le ricchezze per
non offendere colui a cui sono ugualmente dedicati il tuo corpo e la
mente. Non desiderare le cose che ti allontanano e ti separano da Dio.
Non amare le ricchezze terrene, per non perdere le ricchezze del cielo.
Molti, desiderosi dei beni altrui, sono stati privati dei propri beni.
Le ricchezze di questo mondo ci sono estranee, noi invece possediamo il
Regno dei cieli. Non cercare i beni degli altri, perché tu non diventi
un estraneo ai tuoi. Sii contento di avere un sufficiente vitto
quotidiano: allontana da te tutto ciò che è in eccesso, come fosse un
ostacolo al tuo scopo di vita. Non desiderare di diventare ricco, per
non cadere in tentazione e nelle insidie del diavolo. Guardati
dall'avarizia, perché l'avidità è stata chiamata dall'Apostolo la radice
di ogni male (1 Tm 6,10). Un uomo avido di denaro ha già un'anima
venale: se infatti egli trova il tempo, per un nonnulla commette un
omicidio; e come chi versa acqua sul terreno, così lui versa il sangue
del suo prossimo. Molti colpiti dalla passione dell'avarizia sono caduti
in pericolo di morte. A causa dell'avarizia, Acan fu lapidato con tutti
i membri della sua famiglia (Gs 7,24-25). A causa dell'avarizia, Saul fu
allontanato dal Signore, fu infine espulso dalle dimore reali e ucciso
dai suoi nemici (1 Sam 15,10-11). Acab, a causa dell'avarizia, usurpò la
vigna di Nabot (1 Re 21,1-16) e per questo atto peccaminoso, egli fu
ferito in battaglia e morì. Il nostro Signore e Salvatore ha voluto
espellere l'amore del denaro dal cuore dei Farisei: ma perché erano
troppo avidi, hanno deriso i suoi salutari avvertimenti. Infatti
l’avarizia non permise di entrare nel regno dei cieli al ricco, anche se
il Signore lo chiamò ordinandogli di vendere le sue ricchezze, (Mt
19,21–24). E la mente di Giuda bruciò per la passione dell'avarizia,
così che consegnò il Signore, che gli aveva concesso tutti i beni, nelle
mani dei malvagi (Mt 26,14). Un uomo avaro è simile all’inferno.
L’inferno, insomma, per quanti ne possa divorare, non dice mai di essere
soddisfatto: e così, anche se tutti i tesori della terra confluissero
all’avaro, egli non sarà soddisfatto. Figlio, aliena te stesso da questo
vizio e accogli con piacere una volontaria povertà. Non essere inattivo
e pigro, ma lavora con le tue mani in modo che tu abbia da dare ai
bisognosi. Dai con moderazione secondo la tua capacità: infatti tanto ti
è stato affidato, quanto ti verrà chiesto. Nessuno si aspetta da te
quello che non possiedi assolutamente. È un abominio davanti a Cristo
l’acquisire elemosina ingiustamente, ma l’elemosina acquisita con fede è
gradita a lui. Figlio, il bene della misericordia non ammette questi
inganni. Ci sono alcuni che, derubando altri, fingono di fare
l’elemosina e, quando opprimono gli altri, fanno finta di sentirsi
dispiaciuti per loro: ma Dio non si compiace delle loro opere e maledice
e aborrisce il loro cuore insincero. Invece tu, figlio, puoi dare un po'
dei tuoi lavori e questo sarà gradito e accetto al Signore. Non vantarti
quando fai l'elemosina ai bisognosi e non considerarti migliore di colui
a cui hai donato; ma in tutte le tue opere, umilia te stesso davanti a
Dio perché ciò che è fatto con orgoglio non sarà gradito a Dio; invece
ciò che è fatto con umiltà gli è gradito. Capitolo 10 La ricerca dell’umiltà Figlio, persegui l'umiltà prima di tutto che è la più elevata di tutte le virtù, in modo che tu possa salire alla vetta della perfezione: dal momento che i giusti insegnamenti non possono essere adempiuti se non attraverso l'umiltà e le fatiche a lungo compiute sono considerate di nessun conto a causa dell'orgoglio. Un uomo umile è simile a Dio e lo porta nel tempio del suo animo. L'uomo orgoglioso, invece, poiché è odioso a Dio è simile al diavolo. L'uomo umile, anche se sembra più vile in apparenza, è glorioso nelle sue virtù. L'uomo orgoglioso, anche se sembra dignitoso ed elegante nell'aspetto, pur tuttavia, dalle sue opere, mostra di essere inutile; si riconosce la sua superbia dalla bocca e dai suoi movimenti e la sua superficialità è resa manifesta dalle sue parole. Egli desidera sempre essere lodato dagli uomini e desidera essere lodato per le sue virtù, che gli sono estranee. Egli non sopporta di essere subordinato a chiunque, ma desidera sempre essere primo e tenta di affermarsi in una posizione più alta. Ma perché non può ottenerla dai suoi propri meriti, egli si affretta ad ottenerla con inganni, camminando sempre gonfio d’orgoglio, come un otre vuoto e inutile. E come una nave senza un timoniere è sconvolta dalle onde, così egli, volubile ed incostante, è portato in giro in tutte le sue azioni. Al contrario, un uomo umile rifiuta tutti gli onori terreni e si considera l’ultimo di tutti gli uomini. Sebbene egli appare insignificante nell'aspetto, è considerato eminente presso il Signore. Quando ha svolto tutti i comandi di Dio egli dichiara di non aver compiuto niente e si affretta a nascondere tutte le virtù della sua anima. Ma il Signore rende note tutte le sue opere, rivela e glorifica le sue imprese. Dio lo esalterà, lo evidenzierà e, quando egli pregherà, Dio provvederà a ciò che egli chiede. |
CAPUT
XI. De oratione. [0692D]
Et tu, fili, cum accesseris ad
precandum Dominum, prosterne te humiliter in conspectu ejus. Ne postules
quidquam, quasi ex gratia meritorum tuorum: et si est tibi etiam conscientia
boni operis aliqua, cela illam, ut te silente multipliciter restituatur a Deo;
et peccata tua cito produc in medium, ut deleat Dominus illa, cum confessus
fueris ea. Nec te velis justificare cum ad orandum accesseris, ne sicut
Pharisaeus ab illo exeas condemnatus. Memento publicani, vel qualiter pro se
oraverit (Luc. XVIII), et aemulare eum, ut veniam peccatorum tuorum invenias.
Non clamore vocis orabis eum qui occultorum est cognitor, sed clamor cordis tui
pulset aures ejus. Ne longitudinem
verborum protrahas [0693A] ante eum, quia non in multiloquio, sed ex mente
purissima placabitur Dominus.
In tempore
orationis omnem malitiam cordis projice abs te, et remitte si quid habes
adversus proximum tuum. Est denique quoddam genus serpentis, quod cum vadit ad
bibendum aquam, antequam accedat ad fontem evomit venenum: imitare ergo hujus
serpentis astutiam, et omne venenum amarissimum projice ab anima tua. Remitte
conservo tuo centum denarios (Matth. XVIII), ut tibi dimittatur debitum decem
millium talentorum; et qualem cupis erga te esse Dominum, talis esto ipse erga
conservum tuum. Quodcunque opus inchoaveris, primo invoca Dominum, et ne desinas
gratias agere cum perfeceris illud.
CAPUT XII. [0693B] De vigiliis.
Quaere Dominum et invenies eum,
nec dimittas cum tenueris, ut copuletur mens tua in amorem ejus. Hoc stude in
vita tua, ut orationem puram offeras Deo. Cogitationes non conturbent cor tuum,
nec in diversis locis vel rebus rapiatur mens tua.
Memento enim te, fili, sub Domini conspectibus
stare, qui occulta cordis prospicit, et abdita mentium novit. Vigilanter ergo
assiste in conspectu Domini in tempore orationis vel psalmorum.
Non te opprimat
somnus animae, et ne dissonans sit sensus et lingua, sed consonantia sint, et
utrorumque proferant verba. Sicut impossibile est servire duobus dominis, ita
nec duplex oratio poterit ascendere ad [0693C] Dominum. Ne tibi ullum tempus,
fili, otiosum vel vacuum transeat; tam in diebus quam in noctibus vigilare te
convenit, ut imminentem tentationem facilius effugere possis. Si enim
cogitationes sordidae conturbaverint cor tuum, et si te coarctaverint quod est
illicitum perpetrare, per orationes ac vigilias depellantur ab anima tua.
Oratio munimentum grave est animae. Per
orationes purissimas omnia nobis quae sunt utilia tribuuntur a Domino, et cuncta
quae noxia sunt procul dubio effugantur. In tempore psalmodiae sapienter psalle,
fili, et spiritales cantus vigilanter cane coram Domino, ut virtutem psalmorum
facilius possis advertere. Omnis namque duritia cordis eorum dulcedine
mollietur; tunc dulces habebis fauces, gaudensque cantabis: [0693D] Quam dulcia
faucibus meis eloquia tua, Domine, super mel et favum ori meo (Psal. CXVIII)!
Sed non poteris sentire hanc dulcedinem, nisi cum summa vigilantia ac sapientia
cantaveris.
Fauces enim,
inquit, escam gustabunt, sensus autem verba discernit. Sicut enim ex carnalibus
escis alitur caro, ita et divinis eloquiis interior homo pascitur ac nutritur.
Sed in his omnibus vigiliis sanctis indiges, fili. Hae sunt namque vigiliae
inutiles, per quas laeditur et deperit anima, cum vigilaverit quis circa
cogitationes turpissimas, vel ad gerendum contrarium aliquid, vel ad
perpetrandum facinus. Sed tu talibus insiste vigiliis, ut possis effici sanctus.
In omnibus actibus et moribus tuis convenit te vigilare, [0694A] ne quando
oppressus somno placere hominibus gestias. Praeterquam Domino soli ne studeas
placere alteri. In omne opus quod cogitas facere cogita Dominum primum; et si
secundum Dominum est quod cogitas diligenter examina; et si est rectum coram
Deo, perfice illud, si vero adversum fuerit repertum, amputa illud ab anima tua.
Quotidie actus tuos discute curiosius; et si te peccatis obnoxium senseris, ad
poenitentiam cito confuge. Nolo ut protrahas peccatum tuum de die in diem; sed
si quid cogitaveris male, in Deo poenitentiam age, et velociter de corde tuo
seca illud. Ne velis dicere: Non est grande hoc facinus quod cogitavi
tantummodo, quia in conspectu Domini manifesta et aperta sunt omnia. Ne ut
spinas ac tribulos in te crescere sinas cogitationes [0694B] malas, neque
tanquam minima negligas ea: Qui enim spernit minima, paulatim defluet.
Noli spernere morsum serpentis, ne venenum ejus
conspergatur in cor tuum. Abscinde virgulta spinarum de agro cordis tui, ne
defigant in te altas radices. Scito quod cor tuum ager est Domini, excole eum
coelestibus disciplinis, et non sinas in agro Domini zizania seminari. Si igitur
taliter vigilaveris, facile poteris ascendere ad perfectionem. |
Capitolo 11 La preghiera Inoltre, figlio, quando ti avvicini al Signore
per pregare, prostrati umilmente al suo cospetto per timore che tu
richieda qualcosa come se fosse in grazia dei tuoi meriti. E se hai
consapevolezza di qualche buona opera, nascondila, in modo che, con il
tuo silenzio, Dio te la restituisca moltiplicata. Rivela subito i tuoi
peccati, così che Dio possa distruggerli non appena li hai confessati.
Non volerti giustificare quando ti avvicini alla preghiera, affinché tu
non esca condannato come il fariseo. Ricordati del pubblicano ed in che
modo pregasse per sé (Lc 18,9-14), imitalo affinché tu possa ricevere un
perdono per i tuoi peccati. Non pregare Dio ad alta voce, lui che
conosce tutte le cose nascoste, ma lascia che il grido del tuo cuore
colpisca le sue orecchie. Non moltiplicare le parole davanti a lui,
perché il Signore non si rende propizio con le tante parole, ma con il
cuore puro. Nel tempo dell’orazione scaccia ogni malizia dal tuo cuore
e, se hai qualcosa contro il tuo prossimo, dimenticala. C'è un certo
tipo di serpente che quando va a bere acqua, prima di avvicinarsi alla
fonte, vomita tutto il suo veleno: perciò imita l'astuzia di questo
serpente e scaccia dalla tua anima tutto il più ripugnante veleno.
Condona al tuo compagno di servitù i cento denari, perché ti possa
essere condonato il debito di diecimila talenti; e, così come desideri
che Dio faccia con te, allo stesso modo comportati con il tuo compagno.
Qualunque lavoro tu abbia iniziato a fare, in primo luogo invoca il
Signore e, quando hai finito, non dimenticare di rendere grazie. Capitolo 12 Le veglie Cerca Dio e lo troverai: non lasciarlo quando l’avrai trovato in modo che il tuo cuore sia riempito con il suo amore. Persegui questo obiettivo nella tua vita, affinché tu possa offrire a Dio una preghiera pura. Pensieri superflui non sconvolgano il tuo cuore, perché il tuo spirito non sia conquistato da luoghi od occupazioni diverse. Dunque, o figlio, ricordati che stai alla presenza del Signore che vede i segreti del cuore e conosce i luoghi nascosti della mente. Sii vigile al cospetto di Dio durante il tempo della preghiera e della salmodia. Non lasciare che il sonno opprima la tua anima; la disposizione d'animo e la voce non siano discordanti, bensì in armonia tra di loro. Le tue parole riflettano entrambi. Come non è possibile servire due padroni, (Mt 6,24) così non è possibile che una preghiera divisa possa ascendere al Signore. Figlio, non trascorrere del tempo in ozio o inattivo; tanto di giorno che di notte ti conviene stare all'erta affinché tu possa facilmente fuggire la tentazione che ti minaccia. Infatti, se pensieri volgari turbano il tuo cuore e ti costringono a fare ciò che è vietato, saranno scacciati dalla tua anima con le preghiere e le veglie. La preghiera è la grande protezione dell'anima. Attraverso le preghiere più pure, tutte quelle cose che ci sono più utili ci sono concesse da Dio e, senza dubbio, tutte le cose nocive sono scacciate lontano da noi. Durante la salmodia, figlio, salmeggia con sapienza e canta attentamente i cantici spirituali davanti al Signore, affinché tu possa notare più facilmente la virtù dei Salmi. Infatti, ogni durezza di cuore sarà ammorbidita dalla loro dolcezza. Allora avrai una voce dolce e con gioia canterai: Quanto sono dolci al mio palato le tue parole, più del miele del favo per la mia bocca (Sal 119 (118),103). Ma non sarai in grado di sentire questa dolcezza, a meno che tu non canti con la massima vigilanza e saggezza. Infatti la bocca gusta il cibo, mentre il pensiero riconosce le parole. Come si dice che la carne è nutrita dal cibo carnale, così l'uomo interiore è alimentato e nutrito dalla parole divine. Ma avrai bisogno di tutte queste sante veglie, figlio. In verità ci sono veglie inutili, che feriscono e fanno deperire l'anima, se si veglia con pensieri scandalosi, sia pensando di fare del male a qualcuno che preparando delle azioni malvage. Ma tu evita tali veglie, così che tu possa aspirare ad essere santo. Ti conviene vigilare in tutti i tuoi atti e comportamenti, per timore che, sopraffatto dal sonno, tu non desideri ardentemente piacere agli uomini. Non devi tentare di piacere a nessuno, tranne al solo Dio. In tutte le opere che tu pensi di fare, considera in primo luogo Dio, esamina diligentemente se quello che pensi è secondo Dio e se è giusto davanti a Dio il realizzarla. Se invece scoprirai che è contro di lui, strappala dalla tua anima. Esamina i tuoi atti ogni giorno in modo accurato e, se ti senti carico di peccati, ricorri immediatamente alla penitenza. Non voglio che tu trascini il tuo peccato di giorno in giorno ma, se hai pensato qualcosa di male, ricorri alla penitenza di Dio e strappalo velocemente dal tuo cuore. Non pretendere di dire: non è un grande peccato ciò che ho solo pensando perché, di fronte al Signore, tutto è manifesto e chiaro. Non consentire che i cattivi pensieri crescano in te come spine e triboli e non trascurarli come se fossero insignificanti: chi disprezza le piccole cose cadrà a poco a poco (Sir 19,1). Non sottovalutare il morso del serpente, per timore che il suo veleno cosparga il tuo cuore. Taglia i rovi di spine dal campo del tuo cuore, per timore che si sviluppino in te radici profonde. Sappi che il tuo cuore è il campo del Signore, coltivalo con le discipline spirituali e non consentire alle zizzanie di attecchire nel campo del Signore. In conclusione, se sarai stato vigile su queste cose, potrai raggiungere facilmente la perfezione. |
CAPUT XIII. De jejunio.
Ad vigilandum autem multum
jejunium proderit. Sicut enim miles plurimo onere praegravatus praepeditur, ita
monachus ad vigilias cum escarum largitate [0694C] torpescit. Non enim possumus
vigilare cum fuerit dapibus venter noster onustus; sed oppressi somno
vigiliarium fructus amittimus, et maximum detrimentum animae nostrae acquirimus.
Vigiliis ergo copula jejunium; ut cunctis animae virtutibus florere possis, et
caro tua subjecta sit animae tuae, et ancilla tua famuletur dominae suae.
Ne praebeas
vires corpori tuo; ne bellum adversus spiritum exerceat; sed semper subjecta sit
caro spiritui, et obtemperet jussis spiritus. Noli incrassare ancillam, ne
contemptui habeat dominam suam, sed ut in omnibus ejus obsequiis mancipetur.
Sicut enim equis sunt frena imposita, ita jejuniorum frena imponamus corpori
nostro. Nam quemadmodum auriga, si
equorum frena laxaverit, rapidissimo cursu cum eo in praecipitia deferuntur,
[0694D] ita et anima, si corpori suo non imposuerit frenum, uterque ad inferni
praecipitia devolvitur. Esto peritissimus auriga corpori tuo, ut per tramitem
rectum possis pergere. Escae enim plurimae non solum animam, sed et corpus
nostrum plurimum laedunt. Saepe enim per ciborum aviditatem stomachi franguntur
vires; nec non abundantiam sanguinis et cholerarum aegritudines plurimas per
escarum largitatem perpetimur. Sicut enim ista sunt animae et corpori contraria,
ita etiam medelae sunt utriusque temperata jejunia. Quantum vero possumus mundi
delicias et ciborum opulentiam fugiamus, ne quando cruciati in flamma guttam
aquae quaeramus, nec re frigerium consequamur.
[0695A]
CAPUT XIV. De crapula fugienda.
Fugiamus ebrietatem, ne in retia
luxuriae incurramus. Vinum enim nobis Dominus ad laetitiam cordis, non ad
ebrietatem creavit; non quantum gula exigit, sed quantum naturae imbecillitas
postulat. Et Apostolus Timotheo modico praecipit uti vino; et hoc propter
dolorem stomachi, et propter ejus frequentissimas infirmitates (I Tim. V). Ne
igitur nos quod ad medelam corporis nostri tributum est, ad perniciem deputemus.
Plurimi namque maximam per vinum debilitatem contraxerunt, nec potuerunt
consequi pristinam firmitatem, qui primum gulae non temperaverunt ardorem.
Plerique per vinum homicidium perpetraverunt, nec ipsam mortem recusaverunt.
[0695B] Alii per vinum a daemonibus capti sunt, nec est aliud ebrietas quam
manifestissimus daemon. Ebriosus putat se
boni aliquid agere cum per praecipitia devolutus fuerit.
Per vinolentiam
armatur os ad maledicta et convicia proximorum, et immutatur mens, et lingua
balbutit. Quaeso quid minus habetur quam daemonium ebrietas? Hujusmodi enim vir
cum se putat bibere, bibitur. Sicut enim piscis, cum avidis faucibus properat ut
glutiat escam, et repente hamum inter fauces reperit hostem: vel sicut aves cum
per escam capiuntur in retibus; ita ebriosus intra se vinum suscipit inimicum,
quod intra eum morans impellit ad omne opus foedissimum; et homo rationabilis ut
irrationabile animal capitur.
Tu
autem in omnibus exhibe te sobrium, ut te sobrietas [0695C] in omnibus castum
exhibeat.
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Capitolo 13 Il digiuno Durante le veglie il digiuno è di grande
giovamento. Come, infatti, un soldato gravato da un grande peso è
ostacolato, così il monaco si intorpidisce durante le veglie a causa del
troppo cibo. Poiché non possiamo vegliare col nostro ventre pieno di
cibo: infatti, sopraffatti dal sonno, noi perdiamo tutti i vantaggi
delle veglie ed otteniamo un grande danno per la nostra anima. Unisci,
dunque, il digiuno con le veglie affinché tu possa essere colmo di tutte
le virtù dell’anima e la tua carne sia sottomessa alla tua anima,
proprio come una serva è soggetta alla sua padrona. Non dare forza al
tuo corpo, in modo che non faccia la guerra contro il tuo spirito, ma
sottoponi sempre la carne allo spirito e ubbidisca ai suoi ordini. Non
ingrassare la serva, per timore che disprezzi la sua padrona e fa’ che
in tutte le sue azioni sia sottomessa a lei. Come, infatti, imponiamo le
briglie ai cavalli, così mettiamo la briglia del digiuno al nostro
corpo. Poiché, come un auriga, se allenta le briglie ai cavalli, verrà
trascinato con loro in un precipizio con una velocissima andatura, così
anche l'anima, se non ha posto una briglia al suo corpo, farà
precipitare ambedue nell’abisso dell'inferno. Pertanto, sii un auriga
abilissimo per il tuo corpo, in modo che tu possa avanzare sulla retta
via. Il cibo eccessivo non solo danneggia l'anima, ma danneggia
soprattutto il nostro corpo. Spesso, infatti, lo stomaco è indebolito
dal desiderio per il cibo; così pure noi sopportiamo un'abbondanza di
sangue e molte sofferenze della bile a causa del cibo eccessivo. Come è
vero che il cibo eccessivo è dannoso per il corpo e l’anima, così i
digiuni moderati forniscono un rimedio ad entrambi. Per quanto ci è
possibile fuggiamo i piaceri del mondo e l'opulenza dei cibi, per timore
che, tormentati nelle fiamme dell'inferno, noi chiederemo una goccia
d'acqua e non otterremo alcun sollievo (Lc 16,24). Capitolo 14 L'ubriachezza è da bandire Sfuggiamo l'ubriachezza, per non incorrere nel peccato della lussuria. Dio, infatti, ha creato il vino non per inebriarci, ma per la gioia del cuore; non bere quanto esige la gola, ma quanto richiede la debolezza della natura. Anche l'Apostolo [Paolo] ha esortato Timoteo ad utilizzare il vino con moderazione; e ciò per il mal di stomaco e per i suoi frequenti disturbi (1 Tm 5,23). Non ascriviamo, dunque, a nostro danno ciò che ci è stato accordato per guarire il nostro corpo. Molti, infatti, contrassero gravi malattie a causa del vino, né poterono mantenere la loro originale salute perché prima non furono in grado di temperare la fiamma della loro gola. Molti commisero un omicidio a causa del vino e non respinsero nemmeno la loro morte. Altri sono stati catturati dai demoni tramite il vino, poiché l’ubriachezza non è altro che un chiarissimo demone. L'ubriaco pensa di fare qualcosa di buono, mentre è gettato a capofitto nel precipizio. Attraverso l’ubriachezza la bocca si arma di maledizioni ed insulti contro il prossimo, la mente è rovinata e la lingua balbetta. Ti chiedo, dobbiamo considerare l'ubriachezza qualcosa meno rispetto ai demoni? Un uomo di questo genere, quando pensa di bere, viene bevuto. Considera un pesce che si affretta con avide fauci a mangiare il cibo e si trova improvvisamente in bocca un amo; oppure un uccello quando è catturato in una rete con l’esca del cibo. Come il pesce e l'uccello, un uomo che è ubriaco accoglie dentro di sé, attraverso il vino, un nemico che, dimorando dentro di lui, lo incita a commettere gli atti più detestabili. L’uomo razionale viene espugnato come un animale irrazionale. Tu presentati sobrio in tutte le cose, così che la sobrietà ti presenti virtuoso in tutto quello che fai. |
CAPUT XV. De vitanda superbia.
Sed caveto hoc, fili, ne per
ciborum abstinentiam mergaris in superbiam, et ne infleris adversus eos qui
jejunii tui mensuram non valent obtinere: ne quando videaris escis carnalibus
abstinere, et vitiis pectus tuum replere.
Grandis namque
est confusio animae quae cum sibi subjecerit carnem, ipsa sit subjecta vitiis.
Quid prodest ventrem ab escis resecare, et animam passionibus obruere! vel
carnis amorem vincere, et in corde livoris stimulos machinari! Verus enim
continens tam a corporis quam animae se passionibus abstinet, quia in utriusque
substantiis homo constare videtur. Nulla
est enim perfectio in [0695D] una parte esse sublimem, in alia esse prostratum;
in una parte fulgere, et in alia vitiorum caligine occupari.
Qui enim castus
cupit esse corpore, castus debet perseverare et spiritu, quia nihil proderit
castum esse corpore, et mente corruptum.
Civitas si fuerit in una parte munita, ex alia vero destructa, aditum ad se
hosti praebebit. Et navis si fuerit forti compage solidata, et unam in se
habuerit tabulam perforatam, repleta aquarum fluctibus mergetur in profundum.
Verus enim continens cuncta quae vana sunt spernit, nec ullam gloriam sectatur
humanam; furorem iracundiae reprimit, exsecrationem despicit, potius sustinet
detrimentum, quam dissolvat vinculum charitatis; non detrahit cito proximo, nec
[0696A] libenter audit detrahentem; cupit semper declinare a vitiis, et ad
virtutes animae semetipsum instigat.
CAPUT XVI. De lingua compensanda.
Talem
te exibe, fili, cum volueris exercere jejunium, et cum te abstinueris, abstine
et linguam tuam ab illicitis verbis. Omnem blasphemiam longe fac a te, nec
superflui sermones procedant de ore tuo, quia et pro otiosis verbis in die
judicii reddituri sumus Deo rationem. Nec
ad maledicendum quempiam assuescas linguam tuam, quae ad benedicendum et ad
laudandum Dominum creata est.
De quibus
ignoras rebus in conventu noli proferre sermonem; sed opportuna verba procedant
a te cum opportunum [0696B] tempus inveneris, ut te audientibus cunctis gratiam
praebeant. Ab omni vaniloquio tempera linguam tuam; ne quando qui audiunt
horrescentes obturent aures suas, et sit tibi confusio coram omnibus.
De quibus molestiam non pateris, noli contendere
acriter, nec insuescas consuetudini pessimae, quia mos qui longo usu fuerit
confirmatus, non parvo labore vitatur.
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Capitolo 15 Guardiamoci dall'orgoglio Ma, attenzione a questo, figlio, che l'astinenza
dal cibo non sfoci in orgoglio e che tu non ti inorgoglisca nei
confronti di quelli che non riescono a raggiungere la misura del tuo
digiuno: per timore che mentre tu sembri astenerti dai cibi carnali, il
tuo cuore si riempia di vizi. E’ infatti grande la confusione dell'anima
se, pur avendo il controllo del corpo, è lei stessa sotto il controllo
dei vizi. A cosa serve separare il ventre dal cibo e sopraffare l'anima
con le passioni! Oppure vincere l'amore della carne e tramare nel cuore
gli stimoli dell'invidia! Un uomo puro evita le passioni del corpo così
come quelle dell'anima, perché l’uomo risulta essere costituito da
entrambi le sostanze. Non c'è, infatti, nessuna perfezione spirituale se
una parte è sublime e l'altra è abbattuta; e neppure se un uomo
risplende in una parte e in un'altra parte è colto dal buio dei vizi.
Chi desidera avere un corpo virtuoso deve perseverare nella purezza
dello spirito, perché non serve a nulla essere puri nel corpo ed avere
lo spirito corrotto. Se una città è stata fortificata su un lato, ma
demolita su un altro, offre al nemico l'opportunità di entrare. E se una
nave è solida con strutture forti, ma ha una sola tavola forata, si
riempirà d’acqua e le onde l’affonderanno. Un uomo sobrio respinge tutte
le cose che sono vane e non persegue nessuna gloria mondana; egli
sopprime il furore dell’ira e detesta l’invidia, sopporta le sofferenze
piuttosto che sciogliere il vincolo dell'amore, non critica in fretta il
suo prossimo, né ascolta volentieri i calunniatori. Egli desidera sempre
evitare i vizi ed esorta se stesso a coltivare la virtù dell'anima. Capitolo 16 La moderazione del linguaggio Tu, figlio, mostrati in questo modo: quando desideri digiunare e quando ti astieni dal cibo, astieni anche la tua lingua da parole illecite. Allontana da te ogni bestemmia, per timore che parole superflue escano dalla tua bocca poiché, delle nostre oziose parole, dovremo rendere conto a Dio nel giorno del giudizio (Mt 12,36). Non prendere l'abitudine di usare la lingua, che è stata creata per benedire e lodare Dio, per calunniare chiunque. Non parlare con altri di cose che non conosci, ma escano da te parole opportune quando sarà il momento opportuno, affinché possano giovare a tutti coloro che sono in ascolto. Frena la tua lingua da ogni vana chiacchera, per timore che coloro che ti sentono, inorriditi, si turino le loro orecchie e tu sia mortificato davanti a tutti loro. Non discutere con asprezza riguardo a chi non ti ha inflitto molestia e non abituarti a cattive consuetudini, perché occorre una non piccola fatica per evitare un’abitudine consolidata da tempo. |
CAPUT XVII. De vano gaudio
fugiendo.
Noli dissolutis labiis risum
proferre: amentia namque est cum strepitu ridere, sed subridendo tantummodo
mentis laetitiam indica. Nec in modum parvuli jocari velis assidue, quia non
convenit ei qui ad perfectionem nititur jocari ut parvulus. Esto in [0696C]
malitia parvulus, et vir perfectus in sensu. In quibusdam te exhibe senem, et in
quibusdam te exhibe parvulum. Parvuli namque est ludere, perfecti vero viri
lugere; sed praesens luctus laetitiam generat sempiternam; jocus autem
remissiorem efficit animam, et negligentem erga Dei praecepta, nec delicta sua
potest ad memoriam revocare; sed obliviscens ea non se instigat ad poenitentiam,
et ita paulatim ab omnibus bonis privabitur.
Nullum enim
habebit accessum cordis compunctio, ubi fuerit immoderatus risus ac jocus. Ubi
vero fuerint lacrymae, ibi spiritalis ignis accenditur, qui secreta mentis
illuminat et vitia cuncta exurit. Tunc aviditate coelesti anima flagrans,
Christi amori copulatur: et in terris degens de coelestibus et supernis jugiter
meditatur, calcat [0696D] saeculi voluptates, et ad praemia se futura extendit,
nec ulla saeculari cura ab amore eam segregat Christi; sed ut figura quaedam
inter homines versari videtur, et tota ejus conversatio de coelestibus
intelligitur. Mors illi praesens tanquam vita ipsa est dulcis: cupit dissolvi,
et esse cum Christo (Phil. I), quem in carne vivens intra suum portaverat
templum. Vide ergo quantum lucrum afferant fletus et lacrymae, et quantam
perniciem praebeat risus ac jocus. Qui enim ridere hic delectatur, postmodum
flebit amare; qui autem hic legere voluerit, gaudebit in posterum (Matth. V).
Nam et Salvator noster beatos appellat lugentes; et qui nunc laetantur, flere
eos dicit in novissimo. Non te ergo delectet [0697A] puerilis jocus vel risus,
sed lectionum spiritualium cantus. Non te solvant in risum verba inania, sed
proferant ex te gaudii risum perfectorum virorum virtutes, ut ad eorum
spectaculum vitam tuam moresque componas. Perfectus enim ille dicitur, non qui
in aetate, sed qui in sensu perfectus est; non enim tibi obest puerilis aetas,
si fueris mente perfectus; nec senilis tibi proderit aetas, si fueris puer
sensibus. Nam et David cum puer esset, et perfectum cor haberet in Domino, in
regem electus est; et Saul cum senili aetate esset perfectus, quia in se
malitiam perfectam habuit, de culmine regali expulsus est. Vetustissimi jam
erant presbyteri qui Susannam violare conati sunt, quos Daniel adhuc parvulus
detecto eorum scelere condemnavit: et Dominus [0697B] noster ingressus
Hierosolymam a parvulis collaudatur. Nam et arbor, licet sit multorum annorum,
si fuerit infructuosa, abscinditur: si autem novella fuerit fertilis, colitur ut
magis proferat fructus.
CAPUT
XVIII. De malorum contubernio vitando.
Perfectorum vero virorum
consortio fruere, et contubernio abstinentium delectetur anima tua, et a
colloquiis eorum ne avertas aurem tuam: verba enim vitae sunt verba eorum, et
incolumitas animae iis qui ea libenter attendunt. Sicut enim sol oriens effugat
caliginem, ita sanctorum doctrina a sensibus tuis expellit tenebras. Talium
virorum, quaeso, ne devites consortia; ut eorum monitionibus mens tua [0697C]
erigatur ad coelum, et fluxam saeculi gloriam pro nihilo possis despicere, et
virtutes animae hauriant sensus tui. Devita viros quos erga mandata Dei vides
negligentes, qui mortui sunt virtutibus et videntur vivere passionibus, quia
laetantur in propriis voluntatibus et gaudio carent divino. Cum hujusmodi viris
nec sit tibi ulla commixtio, nec velis cum eis sermocinari assidue, nisi poteris
solummodo ab erroris itinere revocare eos: caeterum si non vales, devita ut
publicum hostem: saepe enim per unam ovem morbidam grex totus polluitur; et
modica pars fellis magnam dulcedinem in amaritudinem vertit, et fermentum
modicum totam massam corrumpit (I Cor. V). A tali enim fermento Dominus tibi
attendere praecipit (Matth.
XVI). Fermentum
hoc nequissimorum hominum [0697D] doctrina intelligitur: nam etsi in habitu quis
videatur esse clarus et nobilis, et dulcia verba tibi proferat eleganter,
simulatio cordis ejus ex subsequentibus actibus intelligitur: non enim ex
verbis, sed ex fructibus homo comprobatur. Denique quam plurimi callide vitia
sua celare festinant, et apud quosdam videntur esse mirabiles, sed floribus
amissis fructus qualis est ostenditur: cum vero diu intra sinum servaverunt
serpentem, attacti morsu ejus intumescunt, et palam fiunt omnibus, quia nihil
occultum est quod non revelabitur (Matth. X).
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Capitolo 17 La vuota gioia è da respingere Non ridere con labbra sregolate: è infatti una
follia ridere fragorosamente, rivela invece la gioia dello spirito solo
sorridendo. Non voler
scherzare come un bambino continuamente, perché non conviene scherzare
come un bambino a chi sta cercando di raggiungere la perfezione. Sii un
bambino quanto ad astuzia ed un uomo perfetto nel pensiero. In certe
cose mostrati come un vecchio ed in altre mostrati come un bambino.
Giocare è caratteristico del bambino, dolersi è caratteristico di un
uomo perfetto, ma il dolore presente genera la gioia eterna. Invece il
gioco invita l'anima a rilassarsi ed a trascurare i precetti di Dio e
neanche può ricordarsi dei suoi errori; anzi, dimenticandoli, non si
stimola a fare penitenza e, poco a poco, è priva di tutti i beni. Dove
si ride e si scherza in modo smodato, non avrà nessun posto la
compunzione del cuore. Dove invece vi sono lacrime, lì è acceso il fuoco
spirituale che illumina i segreti della mente e distrugge tutti i vizi.
Allora l’anima, bramosa del desiderio celeste, entra con entusiasmo
nell'amore di Cristo e mentre vive sulla terra pensa alle cose celesti.
Essa disprezza i piaceri mondani e si concentra sui premi futuri, nessun
pensiero mondano la allontana dall’amore di Cristo; la si vede invece
comportarsi tra gli uomini come una specie di visione e tutta la sua
condotta la si comprende alla luce delle cose celesti. Quando le si
presenta la morte, essa le è dolce come la vita stessa; desidera
lasciare questa vita per essere con Cristo che, mentre viveva nella
carne, l’aveva portata nel suo tempio (Fil 1,23). Vedi dunque quanto
beneficio portano il pianto e le lacrime e quanto danno portano il riso
ed il gioco. Chi, infatti, si diletta a ridere in questo mondo piangerà
amaramente in seguito; chi invece in questo mondo ha voluto piangere, si
rallegrerà nel mondo a venire (Mt 5,4). Infatti il nostro Salvatore
chiama beati coloro che piangono e dice che coloro che si rallegrano ora
piangeranno nel giorno del giudizio. Non ti rallegri, dunque, il gioco o
il riso puerile, ma il canto delle letture spirituali. Non ti
abbandonare al riso con vuote parole, ma ti conducano ad un riso di
gioia le virtù degli uomini perfetti, affinché possano servire come
specchio per la tua vita ed il tuo modo di fare. E’ infatti chiamato
perfetto non chi è perfetto in età, ma chi è perfetto nella disposizione
d’animo. Un'età infantile non ti ostacola se sei stato perfetto nello
spirito, né un'età avanzata giova alla maturità se sei un bambino nella
disposizione d’animo. Quando Davide era un ragazzo e aveva un cuore
perfetto nel Signore, fu eletto re, mentre Saul, pur essendo perfetto in
età, fu privato del sommo della regalità perché era perfetto nella
malvagità. Gli anziani che hanno cercato di violare Susanna
erano già anziani, ma Daniele, ancora bambino, rilevò il loro crimine e
li condannò (Dn 13). E nostro Signore, mentre entrava a Gerusalemme, è stato
lodato dai bambini. Anche un albero, pur avendo molti anni, se è
infruttuoso viene tagliato: se, tuttavia, da giovane è fertile, è
coltivato in modo che possa produrre più frutti. Capitolo 18 Occorre evitare la compagnia dei malvagi Rallegrati della compagnia di uomini perfetti, si diletti la tua anima dell’amicizia di uomini sobri e non distogliere il tuo orecchio dalle loro conversazioni: le loro parole sono, infatti, parole di vita e saranno la salvezza dell’anima per coloro che li ascolteranno volentieri. Proprio come il sole nascente dissipa l'oscurità, così la dottrina di questi santi uomini espelle le tenebre dai tuoi pensieri. Ti prego, non evitare la compagnia di tali uomini affinché la mente si elevi al cielo grazie alle loro ammonizioni e tu possa disprezzare la gloria insignificante di questo mondo e le virtù dell'anima penetrino nel tuo pensiero. Evita quegli uomini che vedi trascurare i comandamenti di Dio, che sono morti alle virtù e sembrano vivere per le loro passioni, poiché gioiscono nei loro propositi e si privano della gioia divina. Non mescolarti con uomini di questo genere e non voler discorrere assiduamente con loro, a meno che non pensi che sia possibile richiamarli dalla strada dell'errore. Al contrario, se non sei in grado di farlo, evitali come un nemico pubblico. Poiché spesso l'intero gregge è contaminato da una pecora malata ed una piccola quantità di fiele converte una grande dolcezza in amarezza ed un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta (1 Cor 5,6). Il Signore ti ha ordinato di prestare attenzione a tale lievito (Mt 16,6). Questo lievito è inteso come la dottrina di uomini molto malvagi: infatti, anche se tali uomini possono sembrare distinti e nobili in apparenza e possono offrirti dolci parole in maniera elegante, la finzione dei loro cuori falsi si rivela dalle loro azioni successive: un uomo viene ritenuto retto non dalle sue parole, ma dalle sue azioni. Insomma, moltissimi si affrettano a nascondere astutamente i loro vizi ed ad alcuni sembrano persone straordinarie, ma si rivelano come un frutto in decomposizione. Poiché in realtà hanno portato un serpente nel loro seno per lungo tempo, colpiti dal suo morso, si gonfiano e diventano noti a tutti perché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato (Mt 10,26). |
CAPUT XIX. De ira cohibenda et
differenda poenitentia.
Si quis tibi intulerit mala, ne velis irasci ei aut [0698A] retribuere illi, etiamsi possis, sed dole potius pro eo, quia Dominus irascetur ei. Qui enim patienter pertulerit mala, in futurum coronabitur; qui vero intulerit mala, in die mala ut reus damnabitur. Ne pro carnalibus damnis frangatur animus tuus, nec vigorem patientiae tuae res emolliant caducae, sed time potius damnum, si a proposito tuo retardaveris. Et quando te peccatis obnoxium senseris, ad poenitentiam cito converti ne confundaris; qui enim hic poenituerit, in novissimo non poenitebit, clementer enim Dominus ad poenitentiam confugientes suscipit. Et ne misericordia Domini fretus peccatis peccata adjicias, neque velis dicere: Donec viget aetas mea, carnis concupiscentiam exercebo, et postremo in senectute malorum meorum poenitentiam geram: [0698B] pius namque est Dominus et multum misericors, nec ultra facinorum meorum memorabitur. Noli taliter, fili, cogitare, quia summa stultitia est haec mente apud Dominum concipere; cum et impium sit talem licentiam a Deo exspectare quempiam. Noli, inquam, sic cogitare, cum nescias qua die moriturus sis. Quis enim novit hominum diem exitus sui? non enim omnes in senectute privabuntur hac luce, sed in diversis aetatibus in hoc mundo migrabunt; et in quibus actibus vocabitur homo, in iisdem necesse est redere rationem. Nemo enim in inferno confitebitur Domino (Psal. VI), sed nec tu cuncteris ad poenitentiam converti.
CAPUT
XX. De morte cogitanda.
[0698C]
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Capitolo 19 Occorre reprimere l’ira e non rimandare la
penitenza Se qualcuno ha commesso azioni malvagie contro
di te, non essere arrabbiato con lui, né cerca di punirlo, anche se ti
fosse possibile, ma piuttosto soffri per lui perché il Signore si
arrabbierà con lui. Chi ha sopportato pazientemente le offese riceverà
una corona celeste in futuro; chi tuttavia ha inflitto del male sarà
condannato come reo nel giorno del giudizio (o “nel giorno della
sventura”, Sal 41 (40),2; “nel giorno cattivo”, Ef 6,13). La tua anima
non sia turbata da danni carnali, né cose transitorie svigoriscano il
vigore della tua pazienza, ma temi piuttosto il danno se ritardi a
compire quanto ti eri proposto. E quando ti senti carico di colpa dei peccati,
non devi turbarti a rivolgere la mente alla penitenza: chi, infatti, si
è pentito in questa vita non si pentirà nel giorno del giudizio,
poiché il Signore accoglie con clemenza chi ricorre alla penitenza. Non
aggiungere peccati ai peccati, confidando nella misericordia del Signore
e non voler dire: finché sono nel mio vigore giovanile, indulgerò nei
piaceri della carne ed in seguito, nella vecchiaia, mi pentirò delle mie
azioni malvage: il Signore, infatti, è pietoso e molto misericordioso e
non si ricorderà più dei miei peccati. Non pensare in tal modo, figlio,
perché è il colmo della stoltezza concepire questi pensieri nel cuore
alla presenza del Signore, dal momento che è cosa empia attendersi da
Dio una qualunque licenza di questo genere.
Ti ripeto, non voler pensare così, poiché non conosci il giorno
in cui morirai. Quale uomo, infatti, conosce il momento della sua fine?
Non tutti saranno privati di questa luce nella vecchiaia, ma lasceranno
questo mondo in differenti età: e nell’età in cui l’uomo sarà chiamato,
dovrà rendere conto delle sue azioni. Nessuno, infatti, all'inferno si
confesserà al Signore, ma tu non esitare a convertirti alla penitenza. Capitolo 20 Occorre pensare alla morte Davanti ai tuoi occhi sia sempre presente l'ultimo giorno. Quando ti alzi all'alba, non essere sicuro di arrivare alla sera; e quando andrai a letto per riposare, non contare sull'arrivo del mattino, così che sarai in grado di trattenerti più facilmente da tutti i vizi. Il tuo cuore mediti sempre sulle promesse celesti, così che queste possano indirizzarti sulla strada della virtù. Sii ora tale nelle opere buone, quale vuoi essere poi nel futuro. Tutti i beni terreni che hai, trasferiscili in dimore celesti in modo che, quando vi giungerai, potrai godere dei beni celesti. Preparati il necessario in buone opere per il viaggio così che, quando sarai chiamato, ti dirigerai volentieri e senza indugio verso il Signore. Poi, subito dopo che la tua anima sarà liberata dalla sua prigione di carne, un coro di angeli accorrerà verso di te, ti abbraccerà un intero esercito di santi e tutti insieme ti condurranno ad onorare il vero giudice. Poi ti circonderà la pace e la massima sicurezza e non temerai i dardi infuocati del diavolo. La ferocia dei barbari non ti riempirà di terrore, non avrai più paura dei tuoi nemici più feroci che desiderano uccidere le anime, né del corpo, né del ferro, né del fuoco, né del volto crudele del torturatore, né della fame, né della sete, né di qualsiasi malattia della carne. Non temerai l'invidia degli uomini, né le insidie dei malvagi, né le parole incantate delle prostitute, né la carne contrasterà il tuo spirito. Non temerai il pericolo del mare o qualsiasi tipo di disgrazia, ma tutte queste paure cesseranno. Quando la tua anima deporrà il suo fardello di carne, allora lo Spirito Santo, per il quale avevi prima preparato una dimora all'interno del tuo corpo, ti concederà una dimora celeste. E nella gioia e nella letizia attenderai il futuro giorno del giudizio, in cui tutte le anime riceveranno i premi per le loro opere. Ma quel giorno i peccatori e gli empi cercheranno invano penitenza, i fornicatori e gli adulteri gemeranno e non saranno in grado di trovare nessun riposo. I ladri e gli avari piangeranno amaramente, ma non riceveranno il perdono per la loro malvagità. Tutti coloro che hanno seguito la volontà della loro carne saranno grandemente afflitti. Coloro che erano schiavi di vizi e passioni saranno in un grande dolore e pianto per l'eternità. E, mentre tutti costoro saranno schiavi nelle fiamme dell'inferno per i loro crimini, ai giusti sarà data dal Signore l'eterna ricompensa: quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano (1 Cor 2,9). |
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1ottobre 2016 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net