Regola di S. Benedetto

Prologo: Quando poi il Signore cerca il suo operaio tra la folla, insiste dicendo: "Chi è l'uomo che vuole la vita e arde dal desiderio di vedere giorni felici?". Se a queste parole tu risponderai: "Io!", Dio replicherà: "Se vuoi avere la vita, quella vera ed eterna, guarda la tua lingua dal male e le tue labbra dalla menzogna. Allontanati dall'iniquità, opera il bene, cerca la pace e seguila". Se agirete così rivolgerò i miei occhi verso di voi e le mie orecchie ascolteranno le vostre preghiere, anzi, prima ancora che mi invochiate vi dirò: "Ecco sono qui!".

Capitolo VII - L'umiltà: ... l'uomo deve prendere coscienza che Dio lo osserva a ogni istante dal cielo e che, dovunque egli si trovi, le sue azioni non sfuggono mai allo sguardo divino e sono di continuo riferite dagli angeli. E' ciò che ci insegna il profeta, quando mostra Dio talmente presente ai nostri pensieri da affermare: "Dio scruta le reni e i cuori" come pure: "Dio conosce i pensieri degli uomini".

Capitolo XXXVI - I fratelli infermi: L'assistenza agli infermi deve avere la precedenza e la superiorità su tutto, in modo che essi siano serviti veramente come Cristo in persona, il quale ha detto di sé: Sono stato malato e mi avete visitato e quello che avete fatto a uno di questi piccoli, lo avete fatto a me.

Capitolo LIII - L'accoglienza degli ospiti: Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: Sono stato ospite e mi avete accolto... Nel saluto medesimo si dimostri già una profonda umiltà verso gli ospiti in arrivo o in partenza, adorando in loro, con il capo chino o il corpo prostrato a terra, lo stesso Cristo, che così viene accolto nella comunità.


VIVERE ALLA PRESENZA DI DIO

Estratto e tradotto dal libro “Benedict of Nursia: His Message for Today (Benedetto da Norcia: il suo messaggio per l’uomo d’oggi)”,

di Anselm Grün O.S.B. - Liturgical Press, 2006

 

Nella lettura di libri spirituali troviamo continuamente lamentele sull'assenza di Dio. Dio è diventato distante da noi; non abbiamo più il senso della presenza di Dio nelle nostre vite. Si parla di "secolarizzazione" del mondo, non potendo più fare esperienza di Dio. E si suggeriscono due percorsi: o l'impegno mondano totale, il lavoro nel mondo - o più concretamente, l'azione per il bene degli altri, la solidarietà più umana come vero dovere dei cristiani - oppure si suggerisce di ritirarsi nella propria interiorità: la meditazione come via verso la quiete, il silenzio, una separazione dal rumore del mondo. Spesso queste due vie sono in contrasto l'uno con l'altro. Coloro che sono attivi nel mondo non trovano tempo per meditare e molti che sono entusiasti della meditazione trovano troppo banale l'impegno concreto a favore di un mondo migliore. Un tentativo di unire i due poli lo troviamo nel programma del “Concilio dei giovani” convocato da Roger Schutz, priore di Taizé, nel 1974: "Lotta e Contemplazione". Si tratta di lasciare che la nostra azione fluisca dalla preghiera e dalla meditazione, così che anche nelle nostre azioni siamo interamente presenti a noi stessi e interamente presenti a Dio, come dice Gregorio di Benedetto.

Benedetto ha saputo indicarci una via per una sintesi riuscita di azione e contemplazione, di lavoro motivato dal cristianesimo e dall'attenzione spirituale, di misticismo e politica, perché non ha riconosciuto alcuna separazione tra interiorità ed impegno esterno, tra relazione con Dio e stare nel mondo. Per Benedetto, tutta la nostra vita si svolge alla presenza di Dio. Perciò abbiamo a che fare con Dio ovunque, anche nelle cose del tutto mondane, anche negli affari banali della vita quotidiana. Così esige dal cellerario, amministratore ed economo della comunità: «Considererà tutti gli utensili ed i beni del monastero come vasi sacri dell'altare». (RB 31,10) Utilizzare utensili, gestire proprietà, maneggiare denaro: tutto questo, per Benedetto, non è qualcosa di profano; ha a che fare con Dio. Nel suo ordine al cellerario, Benedetto allude ad una profezia di Zaccaria, il quale dice che «in quel tempo» tutti i recipienti di Gerusalemme saranno sacri al Signore (Zc 14, 20-21). Quindi il gestore deve considerare la proprietà del monastero come proprietà di Dio, come qualcosa che indica il compimento finale nel regno di Dio. Nella gestione delle cose di questo mondo il monaco incontra il Dio della promessa che si sta già attuando ed è ora presente. Non c'è bisogno di separarsi prima dal mondo per stare con Dio; anzi, nel mondo si è anche in Dio e, quando si maneggiano le cose, si è anche presenti al Creatore di tutte le cose.

Benedetto mostra nel capitolo quarto della sua Regola che cosa significhi la vita alla presenza di Dio: «essere convinti che Dio ci guarda dovunque » (RB 4,49). E nel settimo capitolo descrive più dettagliatamente cosa significa essere visti ed esaminati da Dio ovunque. Il monaco deve essere consapevole che:

 

Dio lo osserva a ogni istante dal cielo e che, dovunque egli si trovi, le sue azioni non sfuggono mai allo sguardo divino e sono di continuo riferite dagli angeli. È ciò che ci insegna il profeta, quando mostra Dio talmente presente ai nostri pensieri da affermare: "Dio scruta la mente ed il cuore" (Sal 7,10). (RB 7,13-14)

 

Vivere alla presenza di Dio significa, quindi, prima di tutto lasciare che Dio guardi costantemente nelle stanze più recondite del mio cuore, esporre davanti a Dio tutti i miei pensieri e sentimenti affinché Dio mi chieda quanto sono attaccato a me stesso e quanto sono pronto ad arrendermi a Dio. Vivere alla presenza di Dio è un processo continuo di purificazione. Tutti i sentimenti ed i pensieri che sorgono in me durante la mia vita quotidiana, nel lavoro o nella preghiera, sono esposti alla luce di Dio che tutto pervade affinché Dio possa risplendere attraverso di loro. In questo modo la vita davanti a Dio porta ad una conoscenza di sé sempre più profonda. Alla luce di Dio nulla ci rimane nascosto, né le esperienze non elaborate, né i sentimenti confusi, né i desideri o i bisogni, né i pensieri e gli stati d'animo. Vivendo alla presenza di Dio, incontriamo noi stessi ad ogni angolo. Dio, a sua volta, ci mette di fronte alla nostra stessa realtà affinché possiamo riconoscerla e lasciarla purificare da Dio.

Tuttavia, per Benedetto la vita alla presenza di Dio ha anche un altro aspetto. Dio è presente a noi come colui che ci parla. L'iniziativa viene da Dio. Questo è chiaro nel Prologo della Regola quando Benedetto scrive:

 

... aprendo gli occhi a quella luce divina ascoltiamo con trepidazione ciò che ci ripete ogni giorno la voce ammonitrice di Dio: "Se oggi udrete la sua voce, non indurite il vostro cuore!" (Sal 95[94],8) e ancora: "Chi ha orecchie per intendere, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese!" (Ap 2,7). E che dice? "Venite, figli, ascoltatemi, vi insegnerò il timore di Dio (Sal 34[33],12). Correte, finché avete la luce della vita, perché non vi colgano le tenebre della morte" (Gv 12,35).

Quando poi il Signore cerca il suo operaio tra la folla, insiste dicendo: "Chi è l'uomo che vuole la vita e arde dal desiderio di vedere giorni felici?"(Sal 34[33], 13). Se a queste parole tu risponderai: "Io!", Dio replicherà: "Se vuoi avere la vita, quella vera ed eterna, guarda la tua lingua dal male e le tue labbra dalla menzogna. Allontanati dall'iniquità, opera il bene, cerca la pace e seguila" (Sal 34[33], 14-15). Se agirete così rivolgerò i miei occhi verso di voi e le mie orecchie ascolteranno le vostre preghiere, anzi, prima ancora che mi invochiate vi dirò: "Ecco sono qui!" (Is 58,9). (RB Prologo 9-18).

 

Dio ci parla prima che glielo abbiamo chiesto. Ci parla con le parole della Scrittura. Benedetto pone le parole della Scrittura sulla bocca di Dio in modo tale che siano rivolte a noi personalmente. Questa non è una parola astratta di Dio, ma una parola con cui Dio mi parla ora, concretamente, nella mia situazione attuale. La distanza nel tempo tra il parlare di Dio nella Bibbia e noi stessi non esiste per Benedetto. Le parole della Scrittura sono parole dette a noi dal Dio che è presente a noi oggi. Si tratta di vivere con e della parola di Dio. Con questa parola Dio intende illuminare per noi gli eventi concreti ed i problemi della giornata e farci sperimentare la presenza divina ripetutamente nel corso della nostra vita quotidiana.

Quando, ad esempio, ci troviamo in un incontro in cui i sentimenti e l’aggressività dei partecipanti intralciano una importante conversazione e noi ricordiamo le parole che Benedetto cita nel Prologo: «Eccomi» (Is 58,9 ), l'io stesso di Dio sarà presente nel mezzo di questa conversazione irrimediabilmente sconvolta. Dio porta un'altra dimensione nell'atmosfera avvelenata dell'incontro, cambiando la situazione nel farci credere, attraverso l'esperienza della presenza divina, in una soluzione, nonostante la caparbietà e la meschinità dei partecipanti. La presenza di Dio relativizza lo stato presente delle cose e ci permette di vedere la situazione da un punto di vista più alto.

La presenza di Dio non è qualcosa che è sempre la stessa; non è come uno spazio impersonale che ci circonda. Invece è come una persona fidata che si rivolge a noi in modi sempre nuovi. Certo, per Benedetto, Dio è anche lo Spirito che abita dentro di noi ed è sempre presente per noi. Ma noi non ci dissolviamo in Dio. Non siamo scomparsi in Dio. Invece, Dio ci si avvicina sempre come un partner, come qualcuno che ci sfida. A seconda della situazione e della parola con cui Dio ci si rivolge, Dio ci incontra sempre in un modo nuovo e spesso sorprendente. Quando sediamo in silenzio, soli nella nostra stanza, troviamo Dio nelle parole "Eccomi" diversamente da quando ricordiamo quelle parole nel mezzo di una lite con un'altra persona. Ma non sperimentiamo mai Dio come una vaga atmosfera del divino; incontriamo Dio sempre come persona che ci confronta e ci sfida. Dio vuole cambiarci attraverso la parola; Dio vuole liberarci dai nostri atteggiamenti sbagliati e, nella parola divina, riempirci dello Spirito divino.

Nel capitolo settimo sull'"umiltà" Benedetto mostra che il processo di purificazione interiore del monaco viene messo in moto dalla parola di Dio. Descrive il percorso spirituale del monaco in termini di dodici gradini di umiltà. Ogni tappa di questo percorso è guidata da un detto della Scrittura. Il monaco deve mettere in pratica ciascuno degli atteggiamenti richiesti da questo cammino graduale verso Dio, ripetendo un passaggio della Parola di Dio. Così, nel secondo gradino, deve tenere a mente le parole: "Io sono venuto... non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato" (Gv 6,38). Al sesto gradino deve dire a tutto ciò che gli viene assegnato:

 

... io ero insensato e non capivo,

stavo davanti a te come una bestia.

Ma io sono sempre con te... … (Sal 73[72]:22-23).

 

La parola di Dio non mi dice semplicemente cosa devo fare; mi trasforma, lavorando in me ciò che dice. Quando Benedetto fa dire al monaco di fronte a ciò che è duro e sfavorevole: «No, in tutte queste cose siamo più che vincitori per mezzo di colui che ci ha amato» (Rm 8,37; RB 7,39), queste parole lo aiutano per far fronte alla smisurata circostanza, non per esserne schiacciati o amareggiati, ma per superarla, confidando nel Signore e nella sua presenza. Per Benedetto la vita spirituale è essenzialmente vita alla presenza di Dio, vivere della Parola di Dio. Coloro che costantemente si lasciano interpellare dalla Parola di Dio, si trasformeranno sempre di più in ciò che la Parola esprime; saranno liberati dalla loro ristrettezza e dal loro amor proprio e saranno ricolmati dallo Spirito di Dio. L'ascesi del monaco consiste nel lasciarsi trasformare dal Dio presente e dalla Parola di Dio e così crescere sempre più profondamente nell'amore di Cristo.

L'idea di vivere alla presenza di Dio conforma le istruzioni di Benedetto sulla preghiera. Poiché Dio è colui che ci parla, dobbiamo prima aprirci alla parola di Dio, lasciandoci indirizzare da essa. Questo accade quando si legge la parola di Dio. Oggi corriamo il rischio di evitare questa posizione di essere interpellati; pensiamo di dover produrre noi stessi costantemente preghiere e non ci accorgiamo di quanto siano diventate prolisse le nostre preghiere. Oppure ci ritiriamo nel silenzio, fuggendo dalla parola nel silenzio, pensando che il piacere del silenzio sia la stessa cosa dell'incontro con Dio.

Prima viene la parola di Dio che si rivolge a me, mi tocca, mi interpella, mi ferisce e mi giudica, ma anche mi guarisce e mi libera. Sia la preghiera che il silenzio possono essere solo una risposta alla parola di Dio e non possono precederla. Così Benedetto richiede che la preghiera debba essere frequente, ma breve. In essa il monaco deve rispondere alla parola di Dio ed esprimere la propria disponibilità a seguire con i fatti le richieste di Dio. Così nella Regola di Benedetto non troviamo alcun insegnamento sulla preghiera mistica, ma un'istruzione molto sobria per aprire sempre di nuovo a Dio la propria vita quotidiana in ogni situazione. Ciò che è cruciale non è il nostro fare, ma il vivere davanti a Dio, alla presenza di Dio, ascoltando la Parola di Dio che ci interpella e ci indica la strada. Nella preghiera il monaco risponde che ha ascoltato la parola di Dio ed ora è pronto a seguirlo.

Ma vivere alla presenza di Dio non significa pensare costantemente a Dio. Questo ci dividerebbe internamente e sarebbe troppo per noi. Si tratta piuttosto di aprirsi ad una realtà, di rendersi disponibili al Dio che ci circonda. Così praticare la presenza di Dio non consiste nell'allenamento alla concentrazione, ma al contrario nel rilassarsi, nel lasciarsi distendere nella realtà di Dio, in cui ci muoviamo e siamo. Pertanto questa pratica deve essere eseguita non tanto nella testa quanto nel corpo.

I nostri cuori devono riposare nel Dio che è presente; il nostro comportamento, la nostra postura, il nostro modo di parlare, di stare in piedi e di camminare, il nostro raccoglimento interiore in tutto ciò che facciamo devono testimoniare l'esperienza del Dio che è presente. Benedetto non esita a scrivere anche su come parlare ed a dare indicazioni concrete per la postura del corpo:

L'undicesimo grado dell'umiltà è quello nel quale il monaco, quando parla, si esprime pacatamente e seriamente, con umiltà e gravità, e pronuncia poche parole assennate, senza alzare la voce, come sta scritto: "Il saggio si riconosce per la sobrietà nel parlare". (RB 7,60-61)

 

L'esperienza della presenza di Dio tocca anche la voce e l'atteggiamento del corpo:

 

Il dodicesimo grado, infine, è quello del monaco, la cui umiltà non è puramente interiore, ma traspare di fronte a chiunque lo osservi da tutto il suo atteggiamento esteriore, in quanto durante l'Ufficio divino, in coro, nel monastero, nell'orto, per via, nei campi, dovunque, sia che sieda, cammini o stia in piedi, tiene costantemente il capo chino e gli occhi bassi. (RB 7,62-63)

 

Vivere alla presenza di Dio, secondo Benedetto, plasma tutti gli ambiti della vita umana: la preghiera, il lavoro, l'interazione con la creazione e le relazioni con le altre persone. "Condivisione" (In tedesco: Mitmenschlichkeit), quel grande slogan del nostro tempo, non è per Benedetto una contraddizione nei confronti di un devoto amore di Dio. La dimensione sociale è sempre già religiosa, perché nel fratello come nella sorella incontriamo Cristo stesso. La fede in Dio si concretizza per Benedetto nel credere nel buon animo del prossimo. Perciò la fede si esprime in un nuovo modo di stare gli uni con gli altri. Questo, per Benedetto, è il fondamento della vera umanità. Non è un ideale edificante, ma una realtà che ci confronta continuamente nelle situazioni quotidiane. Così Benedetto dice nel capitolo terzo sulla consultazione della comunità che l'abate deve chiamare tutti i fratelli al consiglio perché «spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore». (RB 3,3) Per Benedetto, quindi, è chiaro che il Signore ci parla attraverso le persone, che può parlarci attraverso chiunque, anche un giovane che può avere meno esperienza e conoscenza.

Benedetto non ha messo per iscritto dei pensieri edificanti sull'incontro con Cristo nel fratello; lo dà semplicemente per scontato. È per lui una realtà ovvia che plasma tutte le sue concrete prescrizioni. Così scrive:

 

L'assistenza agli infermi deve avere la precedenza e la superiorità su tutto, in modo che essi siano serviti veramente come Cristo in persona, il quale ha detto di sé: Sono stato malato e mi avete visitato (Mt 25,36), e, quello che avete fatto a uno di questi piccoli, lo avete fatto a me (Mt 25,40). (RB 36,1-3)

 

Il fatto che le indicazioni della Regola, per gran parte molto concrete, siano ripetutamente interrotte da tali riflessioni mostra che Benedetto vive interamente di fede alla presenza di Cristo nel fratello e nella sorella. È una fede che non riguarda solo le situazioni inconsuete, ma va vissuta nella vita quotidiana, una fede che segna i nostri rapporti ordinari gli uni con gli altri. Questo è ancora più chiaro quando Benedetto parla dell'accoglienza degli ospiti:

 

Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: Sono stato ospite e mi avete accolto (Mt 25,35). (RB 53,1)

 

Bisogna, infatti, chinare il capo davanti a loro o gettarsi a terra: «adorando in loro, ... lo stesso Cristo, che così viene accolto nella comunità». (RB 53,7) Quando Benedetto scrive che gli ospiti non devono mai mancare dal monastero, poiché è un ordinario fatto quotidiano che arrivino degli ospiti, è chiaro come la fede nella presenza di Cristo nel fratello e nella sorella formi tutta la vita del monaco. È vero che oggi possiamo anche essere ispirati da questo concetto ad alcune azioni edificanti, ma nella maggior parte dei casi ci si ferma al concetto edificanti. Per Benedetto, invece, la presenza di Cristo nel fratello e nella sorella è una realtà, così come il fatto che il lavoro in cucina, dove si preparano e si servono i pasti agli ospiti, è troppo per un solo fratello. Benedetto descrive l'atteggiamento verso l'ospite, nel quale Cristo ci incontra, con la stessa sobrietà con cui descrive il lavoro nella cucina degli ospiti.

Così Benedetto può aiutarci a vivere seriamente la nostra fede nella presenza di Cristo nel fratello e nella sorella, ad avvicinarci l'un l'altro con questa fede e ad affrontare i problemi interpersonali, le tensioni, le antipatie e le aggressioni che sono al di fuori di quella fede nella realtà di Cristo nell'altro. Sentiamo, infatti, che barriere semplicemente insormontabili si sono costruite dentro di noi. E con una buona dose di ragione e logica troviamo sempre ragioni adeguate per non vedere le cose in modo così semplice, per fare distinzioni e così via. Benedetto parla della sua fede alla presenza di Dio come se fosse la cosa più naturale del mondo. E forse questo può aiutarci ad osare, al di là delle nostre precise riflessioni, al di là delle nostre scuse, di fare un passo verso la realtà ed affrontare seriamente la presenza di Cristo nel nostro fratello e sorella, così che sia essa a plasmare i nostri atteggiamenti, il nostro comportamento, le nostre parole e le nostre opinioni.


Testo della Regola     Temi della Regola


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24 giugno 2022                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net