STORIA DELLA SPIRITUALITA' MONASTICA
Estratto e tradotto da "Histoire de la spiritualité monastique"
di Frère Luc Brésard, ocso, monaco
di Cîteaux
Abbaye de Scourmont
Nel caso
di dubbi sulla traduzione:
l
I. Il fenomeno monastico
1. Al di fuori del cristianesimo
2. Definizione ed elementi costitutivi
3. Conclusione: per noi cristiani
Una parola "ingannevole"
1. L'Antico Testamento
2. Monaci ebrei
3. Il "di più" evangelico
4. I martiri
5. Origene
Testi
I. IL FENOMENO MONASTICO
Il nostro scopo è ripercorrere la storia della spiritualità monastica.
Torniamo un po' su questo termine.
1. Al di fuori del cristianesimo
Per prima cosa: il monachesimo è un fenomeno tipicamente cristiano? A questa
domanda deve essere data una risposta: No.
Molto prima del cristianesimo ci furono dei monaci. Mille cinquecento anni
prima della venuta di Gesù, c'erano dei monaci in India. La maggior parte
delle religioni non cristiane ha sperimentato forme di vita monastica.
Il più antico monachesimo, quello che è stato vissuto nell'induismo,
non era unificato. C'erano molti anacoreti: gli eremiti vivevano nelle
foreste, gli asceti andavano di qua e di là, mendicando il cibo. Nel loro
eremitaggio, i primi a volte potevano essere in compagnia della loro moglie,
ma mantenevano la castità. I secondi avevano interrotto tutti i legami con
la società e vivevano mendicando. Eppure ci furono alcuni monasteri: i
monaci vestiti con un abito speciale, praticavano la povertà ed il distacco,
mendicando anche il loro cibo. Essi stavano sotto la direzione di un guru e
facevano dei voti: di non danneggiare alcun essere vivente, di essere
sinceri, di controllarsi, di essere generosi.
Nel buddismo, il monachesimo rappresenta un culmine. Il buddismo è
una religione essenzialmente monastica che, al suo massimo grado, può essere
vissuta solo da monaci. Infatti, il Buddha concepiva la salvezza come una
liberazione dalla sofferenza e dalle passioni: dobbiamo eliminare ogni
desiderio per unirci all'Assoluto. Solo dei monaci possono farlo. Ci saranno
allora dei monaci che cercano l'Assoluto attraverso la meditazione e dei non
monaci che acquisiscono meriti nel garantire il sostentamento dei monaci.
Questi monaci hanno degli statuti abbastanza vari. Non ci sono voti e spesso
il monachesimo è temporaneo.
In Europa, le antiche religioni mediterranee conoscono le
sacerdotesse vergini: la Pizia di Delfi, le vestali romane, destinate alla
castità almeno temporanea, ma questa è intesa in un modo più fisico che
morale. Tra i filosofi greci si sono anche visti dei generi di vita
che ricordano quelli dei monaci. Così, nella prima metà del VI secolo a. C.,
Pitagora fondò una specie di comunità in cui si entrava attraverso diversi
gradi di iniziazione. Ma in generale non davano spazio all'ascetismo
sessuale.
Ancora più tardi, e dopo l'era cristiana, l'Islam, che non ha mai
riconosciuto ufficialmente una forma di vita monastica, ha tuttavia
conosciuto fin dai primi tempi degli asceti che vivevano in solitudine,
praticando la continenza alla presenza di Dio. Successivamente si formarono
delle fraternità con un insegnamento ed un metodo per elevare l'anima a Dio.
E perfino nell'allora sconosciuto
Nuovo Mondo, nelle religioni preistoriche dell'America, il padre Lafitau, un
missionario del XVII secolo (citato da dom Jean Leclerq), mostrò che
c'erano anche comunità di vergini consacrate (Cfr. Lafiteau,
Moeurs des sauvages américains).
I famosi templi del Perù, sotto il regno dei re Inca, avevano le loro
comunità di vestali le cui leggi erano più severe di quelle delle vestali
romane. I templi del Messico avevano monache dello stesso tipo:
"Mangiavano insieme e dormivano in grandi sale, si svegliavano di notte e
partecipavano al coro come le nostre suore al Mattutino. Esse avevano il
compito di spazzare il tempio e di sostenerlo, vivendo con tutti i tipi di
pratiche di una grande mortificazione; per questo motivo non avevano altro
nome che "figlie della penitenza".
Anche gli Irochesi
avevano "certamente le loro vestali che chiamavano "Ieouinnon" e che erano
vergini di condizione. Vi erano anche persone vergini tra gli uomini. E'
possibile che in tempi antichi alcuni abbiano vissuto in comunità, come gli
Esseni ... Ma credo tuttavia che sia più probabile che si ritirassero in
solitudine, ad una certa distanza dal loro villaggio, dove vivevano
separatamente come degli eremiti, avendo un solo servitore per tutti e che
portava loro le cose necessarie "
2. Definizione ed elementi costitutivi
Possiamo quindi vedere da tutti questi esempi che prima del monachesimo
cristiano c'era in tutte le religioni un fenomeno universale vicino a quello
che noi chiamiamo monachesimo. Queste forme di vita speciali, non tutte
uguali, contenevano degli elementi costitutivi della vita.
Cerchiamo di discernere quali sono questi elementi costitutivi di
questo genere di vita che abbiamo definito col termine generale "monastico",
di cui abbiamo visto esempi al di fuori del cristianesimo. Ne possiamo
dedurre che questi elementi devono essere indubbiamente inclusi anche nella
nostra vita monastica cristiana.
-
Ciò che colpisce innanzitutto è che queste varie forme di vita
monastica "paracristiana" tendono a costituirsi appartate, a separarsi
dal mondo, ad isolarsi dal resto del genere umano. Questo isolamento
è spesso concretizzato da un segno esteriore, un muro, un recinto riservato,
con l'accesso di determinati edifici riservato ai soli asceti. Tuttavia
spesso c'è più enfasi sulla clausura interiore.
Sulla persona stessa questa separazione dal mondo sarà contrassegnata da un
abito distintivo, de un modo speciale di trattare i propri capelli. Essa
sarà sanzionata da diversi riti di aggregazione o di iniziazione.
-
Esistono anche delle pratiche ascetiche come il
celibato, almeno temporaneo, la povertà concepita come distacco. Queste
pratiche hanno lo scopo di promuovere la vigilanza interiore.
Non si insiste troppo sull'obbedienza che è considerata come la conseguenza
di una disponibilità generale sviluppata dalla meditazione. D'altro canto,
si metterà l'accento sulla docilità assoluta nei confronti di un maestro
spirituale.
-
Infine, il terzo elemento costitutivo: un'aspirazione mistica,
vale a dire un profondo senso dell'Assoluto ed il desiderio di entrare in
comunione con questa realtà assoluta. Si può dire che questo è il fondamento
più profondo della vita monastica, poiché si trova alla fonte di un acuto
senso dell'insufficienza radicale di questo mondo che cambia. È
fondamentalmente il movente degli altri due elementi: la separazione dal
mondo e le pratiche ascetiche.
Quanto detto sopra ci permette di
formulare una definizione molto ampia del monachesimo: un genere di
vita concepito per un fine spirituale, che trascende gli obiettivi della
vita terrena ed il cui conseguimento è considerato come l'unico necessario.
3. Conclusione: per noi cristiani
Durante il nostro percorso nel monachesimo cristiano troveremo questi tre
elementi costitutivi della vita monastica, ma in una prospettiva che non ha
equivalenti: all'origine della vita monastica cristiana c'è la chiamata a
seguire Cristo (la "sequela Christi"). Vivendo questo assoluto dell'amore di
Cristo, noi scopriamo pratiche che si riuniscono alle esperienze degli altri
monachesimi. Il fatto è che le prerogative per vivere un assoluto sono
sempre le stesse, ma la fonte è diversa, essa risiede nelle esigenze
evangeliche. I monaci e le monache cristiane saranno amanti della persona di
Cristo, in cui un Dio d'amore è venuto tra gli uomini. Per loro è il mistero
del battesimo il fondamento degli elementi costitutivi riconosciuti in tutti
i monachesimi:
-
La separazione dal mondo esprimerà il desiderio di appartenergli, di
"fare famiglia" con lui.
-
Il loro ascetismo sarà la comunione con la sua Kenosis (= abbassamento. Cfr.
Fil 2, 5-8) e la sua Passione.
-
La loro aspirazione mistica troverà compimento nell'unione con una persona
umana-divina che li introdurrà nel cuore della Trinità.
Sottolineare questa unicità della
fonte profonda della vita monastica cristiana consente un dialogo più
autentico con gli altri monachesimi. Ciò rende anche possibile discernere in
loro, in tutta verità, una presenza nascosta dello Spirito.
UNA PAROLA "INGANNEVOLE"
Abbiamo
caratterizzato più sopra il terzo elemento costitutivo del monachesimo in
senso lato come una "aspirazione mistica". Ma questa parola "mistica" è una
parola ingannevole, spesso fraintesa ed usata a casaccio. Qual è il suo
significato "per noi cristiani"?
Nel cristianesimo, non si tratta di una ricerca di esperienze straordinarie.
La parola va intesa prima di tutto nel senso in cui l'ha usata san Paolo:
ciò che si riferisce al "mistero di Cristo", ciò che riguarda la salvezza -
conosciuta dalla fede - oltre la ragione. In questo senso il misticismo è
alla base del cristianesimo: il battesimo ci introduce nel mistero di
Cristo, nella vita mistica. Unione reale con Dio mediante l'inserimento in
Cristo, Uomo-Dio, è una realtà soprannaturale che rimane misteriosa e
nascosta. Parliamo di
"aspirazione mistica" per esprimere il desiderio del cristiano di comunicare
con questa realtà nascosta.
Questa comunione si attua in questo mondo nella fede attraverso i sacramenti
e col desiderio di una vita santa, un desiderio di fare "ciò che piace a
Dio" (espressione paolina che troveremo in Basilio), e attraverso la ricerca
della preghiera continua che, come vedremo, è caratteristica di tutti questi
primi monaci.
Questo è il primo significato di "vita mistica", un significato
fondamentale: comunione con il mistero di Cristo e quindi con il suo Spirito
che agisce nell'anima attraverso i suoi doni. Più sarà intensa questa
comunione con Cristo, più i doni agiranno. Gregorio di Nissa ci spiegherà
ciò con la nozione di sinergia.
A volte può accadere che, sotto
l'influenza del dono della saggezza, il battezzato senta improvvisamente la
presenza di Cristo nella sua anima, un misterioso contatto, una specie di
tocco spirituale del divino, senza intermediari: la presenza di Dio si
impone all'anima. Così in questo testo di San Basilio: "Se mai una specie di
luce che cade sul tuo cuore ti ha dato improvvisamente la nozione di Dio,
inondando la tua anima in modo da farle amare Dio e disprezzare il mondo e
tutte le cose corporee, questa immagine oscura e transitoria può farti
capire lo stato dei giusti che godono in Dio di una felicità serena e senza
fine Questa gioia a volte ti viene consegnata dalla Provvidenza di Dio, ma
raramente, così che questo piccolo assaggio ti riconduca al ricordo dei beni
di cui tu sei privo "(Omelia sul
Salmo 32). Questo testo evidenzia l'imprevisto, la subitaneità di queste
grazie ed anche la loro rarità. Il vocabolario degli autori spirituali che
le hanno sperimentate presenta numerose espressioni per sottolineare questi
due qualificativi.
È un secondo significato della parola che connota una grazia completamente
gratuita di Dio, grazia che non è una prova di santità, perché può essere
data per convertire o per incoraggiare, grazia che non è indispensabile per
arrivare ad un'alta santità, ma che tuttavia si può desiderare come un
prezioso aiuto nel nostro cammino verso Dio. Lo stesso san Basilio lo
sottolinea: "Una volta che l'anima è posseduta dal desiderio del suo
Creatore ed ha sperimentato nel suo cuore la gioia della sua bellezza, essa
non cambierebbe per nulla al mondo questa gioia estrema e queste delizie con
la molteplicità delle passioni carnali; al contrario, ciò che causa agli
altri un rammarico aumenta la loro gioia (Omelia
sull'azione delle grazie, 2).
Santa Teresa del Bambino Gesù, che è
stata descritta come "la più grande mistica dei tempi moderni", è un buon
esempio per farci comprendere i due significati di questa parola. Essa
talvolta ha conosciuto questi stati "mistici" nel secondo significato del
termine: ne cita uno che durò una settimana (ciò che non è comune!). Ma gli
ultimi anni della sua vita si sono svolti nella notte della più profonda
fede, e tuttavia quale "aspirazione mistica" fu la sua durante questo
periodo! Che desiderio di unirsi a Gesù, al punto di desiderare la
sofferenza e di trovare in essa la sua gioia perché Gesù ha sofferto.
Alla fine della sua vita questa aspirazione mistica si riassumeva nel
volere nulla se non ciò che Gesù voleva per lei: "Tu mi colmi di gioia per
tutto ciò che fai", così diceva.
Questi sono i vertici ai quali noi
siamo tutti invitati. Si tratta di un'autentica unione mistica cristiana.
II. STORIA E PREISTORIA
C'è la storia dal momento in cui si hanno degli scritti. Prima, è la
preistoria.
Quando inizia la storia del monachesimo?
Il primo scritto sui monaci cristiani il cui autore è noto è la "Vita di
Antonio", di sant'Atanasio. La storia del monachesimo inizia con Antonio
(250-350 - all'incirca).
L'impatto di questo primo scritto è stato molto grande. Ma non dobbiamo
credere che sia la "Vita di Antonio" all'origine della vita monastica.
Questo libro appare nel 357. Ora, un papiro mostra già intorno al 305 un
importante gruppo di monaci raggruppati attorno ad Antonio, nel Basso
Egitto. Nell'Alto Egitto, Pacomio fondò il suo monastero intorno al 320 e
morì nel 346, lasciando 6-8mila monaci e monache, quindi prima della
pubblicazione della "Vita di Antonio". Allo stesso modo, molto prima,
c'erano monaci in Siria e persino in Gallia, su un'isola vicino a Lione.
Quindi il monachesimo non nasce come un contagio, ma piuttosto come
un'eruzione spontanea, o come una fonte che sorge in diversi luoghi da una
falda acquifera sotterranea.
Questa improvvisa ascesa del monachesimo in diversi punti geograficamente
distanti: Egitto, Palestina, Siria, Asia Minore, Gallia, suppone quindi una
falda acquifera sotterranea, una preparazione segreta dello Spirito Santo.
C'è come una preistoria del monachesimo: la preistoria nei cuori, vale a
dire la preistoria della spiritualità monastica di cui noi cercheremo di
tracciare alcune caratteristiche, e preistoria nei fatti, perché abbiamo
ancora alcune pietre miliari che testimoniano di questa preparazione da
parte dello Spirito.
Sembra che tra le cause certamente multiple che possono essere la fonte più
o meno diretta di questa simultanea e improvvisa apparizione del monachesimo
nel terzo secolo possano essere indicate in ordine cronologico: un vago
disegno nell'Antico Testamento, dei movimenti ascetici ebraici più precisi
al tempo di Gesù, le esigenze radicali dell'insegnamento evangelico che
presto ebbero come conseguenza la verginità consacrata, poi il martirio ed
infine Origene.
III. ALLA FONTE DEL MONASTERO CRISTIANO
1. L'Antico Testamento
Sebbene San Girolamo parli dei "monaci dell'Antico Testamento" (Ep. 125:
7), noi non vi vediamo un monachesimo propriamente detto. Senza dubbio
perché il popolo nel suo complesso era considerato consacrato. D'altra
parte, l'aspettativa del Messia richiedeva la procreazione nella speranza di
metterlo al mondo. Ciò che esclude la verginità consacrata: vediamo la
figlia di Iefte "piangere per la sua verginità" (Gdc 11, 38) .
Tuttavia troviamo alcune immagini, alcuni schizzi di vita consacrata: i
leviti di cui Dio è l'unica eredità; il nazireato (nome che significa
"consacrato"), a vita o temporaneo, era sottoscritto da alcuni divieti. Così
Sansone era un nazireo, ma le sue avventure con Dalila dimostrano abbastanza
che, per sua disgrazia, il matrimonio non era tra le cose proibite!
La Bibbia menziona anche l'esistenza di gruppi di asceti attorno ad Eliseo,
chiamati secondo le traduzioni: "Fratelli profeti" o "figli dei profeti"
(1 Re 20, 35, 2 Re 3 s.). Anche qui vediamo che alcuni erano sposati
(2 Re 4, 1).
I profeti Amos, Osea, Geremia, annunciano l'anacoresi dei monaci
idealizzando la vita nel deserto dove Dio stringe un'alleanza con il suo
popolo. Isaia invita a "preparare nel deserto una via per il Signore" (Is
40, 3). Alla fine degli scritti dell'Antico Testamento, si intuisce la
fertilità della donna sterile e quindi della vergine (Sal. 112; Sap 3,
13-14; Is 54 1; 56, 3-5) .
Sulla soglia del Nuovo Testamento appare Giovanni che annuncia Gesù ed anche
i monaci. Non è sposato,
vive nel deserto, digiuna, prega, medita la Legge e soprattutto mostra la
sua umiltà: "Bisogna che egli cresca ed io diminuisca". Ed infine Maria che
ha l'intenzione di mantenere la verginità e nella quale la posterità ha
visto sempre il modello delle vergini consacrate, umili nel suo esempio, che
si lasciano penetrare e fecondare dalla Parola di Dio.
Inoltre, la storia profana ci insegna l'esistenza di forme di vita molto
vicine al monachesimo.
2. I monaci ebrei
Ai tempi di Gesù gli storici menzionano l'esistenza di asceti ebrei ritirati
dal mondo.
a) Gli Esseni.
Lo storico Flavio Giuseppe ed il filosofo Filone di Alessandria parlano
entrambi dell'esistenza di gruppi religiosi ebraici che chiamano Esseniani,
o Esseni. Questo movimento era probabilmente abbastanza ampio, con diversi
rami tra cui il gruppo di Qumran. Filone fa derivare questa parola "Esseni"
dal greco: hosioi = "santità", ma è più probabile che provenga
dall'aramaico hassaya = "pio". È un movimento conservatore che vuole
separarsi dall'Israele corrotto per cercare Dio nella santità; infatti, la
loro Regola dice: "Si separeranno dal mezzo della casa degli uomini
empi per andare nel deserto ed aprire la via di Dio". Ecco due testi che li
descrivono (Testi
1-2).
b) I Terapeuti.
Nel suo libro "Sulla vita contemplativa", Filone descrive altri
asceti che vivevano in Egitto, ad est di Alessandria, nelle vicinanze del
lago Mareotide, o Mareotis, vicino al Mare. E' il solo a farne menzione ed
andava talvolta da loro, così dice, per ritirarsi lontano dai rumori del
mondo. Li chiama "Terapeuti", partendo da una parola greca che significa
"servire" e "curare". È quest'ultimo significato che Filone preferisce: sono
coloro che curano (le loro passioni) (Testo
3).
Egli li descrive attraverso ciò egli che è: un rabbino pio e letterato,
appassionato di esegesi allegorica e di filosofia platonica (Testo
4)
.
Entrambi i gruppi conducono una vita ascetica e comunitaria. Si trovano solo
esempi isolati di celibato religioso: così tra le Terapeutridi c'erano delle
vergini [vita contemp. 68], con l'idea di una generazione spirituale.
3. Il "di più" evangelico
È certo che le esigenze del Sermone della Montagna, l'esempio della
verginità di Gesù e di Maria, i consigli di Paolo ai Corinzi riguardo al
celibato e l'amore folle del Signore, che è morto per dei peccatori, hanno
molto presto suscitato in uomini e donne il desiderio di rispondere
all'amore con l'amore e di consacrare la propria vita a Dio attraverso la
verginità.
Ci sono tracce ovunque. Innanzitutto negli Scritti degli Apostoli: gli Atti
ci parlano, per esempio, delle figlie di Filippo, vergini e profetesse
(At 21, 9) . Più tardi la lettera di Clemente di Roma, circa nel 90,
mostra l'esistenza di vergini e di continenti. Erma, nel 150, menziona le
vergini di Roma, Ignazio parla del gruppo delle vergini di Smirne che sembra
importante. Allo stesso modo Policarpo e Giustino.
La parola "monaco" appare per la prima volta, alla fine del secondo secolo,
nel vangelo apocrifo secondo Tommaso che celebra la beatitudine dei
monachos.
Nella stessa epoca, tra il 150 ed il 200, sappiamo che c'erano in Siria ed a
Corinto persone che conducevano una vita povera ed ascetica, mantenendo la
castità. Senza dubbio erano ancora individui isolati, che probabilmente
vivevano nella loro famiglia o in città, e non possiamo parlare di
monachesimo. Ma molto presto apparirà, mescolato con questo buon grano, la
zizzania dell'orgoglio che si traduce in un deprezzamento del mondo. La
padronanza di sé, in greco egkrateia = astinenza, continenza,
diventerà un movimento: l''"encratismo" che indurisce l'astinenza e la
continenza; si proibisce il matrimonio, il cibo che proviene da animali ed
il vino.
Nella prima metà del terzo secolo, vediamo in Siria un primo monachesimo
organizzato, i "Figli del Patto". Questi cristiani vivevano insieme al
servizio della Chiesa e del culto, conducendo una vita povera. Questo è il
primo cenobitismo conosciuto che esisteva quasi un secolo prima delle
iniziali tracce del cenobitismo egiziano.
Ancora un po' più tardi appare in questi ambienti la tendenza "messaliana",
da una parola siriana che significa "pregare". Coloro che sono influenzati
dal movimento spirituale affermano che nessuna altra attività umana può
essere esercitata oltre alla preghiera. Tra coloro che adottano questo
atteggiamento, alcuni rimarranno nella linea della Chiesa, altri se ne
andranno. Nel 4° secolo, Basilio cercherà di condurre costoro e gli
"encratisti" su una linea più retta.
Ed infine, circa nel 300, Antonio è il primo monaco di cui conosciamo la
storia tramite uno scritto. È allora che inizia la storia propriamente detta
del monachesimo cristiano.
4. I martiri
Una terza causa spiega questa improvvisa esplosione del monachesimo
all'inizio del terzo secolo: il martirio. Molto presto, infatti, abbiamo
visto nel monachesimo un legame con il martirio: sia una preparazione al
martirio che una continuazione del martirio.
1) Una preparazione al martirio per coloro che vivevano allora in
tempi di persecuzione, come Antonio. Si dice che quando scoppiò la
persecuzione di Diocleziano e che i Cristiani furono condotti ad
Alessandria, Antonio, lasciato il suo monastero, li accompagnava dicendo:
"Andiamo anche noi, contempliamo coloro che combattono e combattiamo con
loro se siamo chiamati".
2) Una continuazione del martirio: quando le persecuzioni cessarono,
i cristiani furono in grado di portare alla luce una vita di celibato
consacrato e di partire in gran numero verso il deserto per abitarvi. Erano
consapevoli di vivere lo stesso mistero dei martiri, ovvero la totale
assimilazione al Cristo morto e risorto. Questo mistero del martirio,
centrale per la vita della Chiesa, non poteva scomparire. Ciò è sottolineato
da una vita greca di Pacomio: (Testo
5).
Altri tre scritti vanno in questa
direzione. Innanzitutto un apoftegma attribuito ad Atanasio, contemporaneo
di Antonio, colui che ha scritto la sua vita (Testo
6).
Poi altri due testi, uno sulle monache, l'altro sui monaci (Testi
7-8).
Abbiamo fin qui già alcune spiegazioni. Per vedere più chiaramente,
studieremo un testo di uno dei martiri più famosi, Ignazio di Antiochia:
la sua lettera ai Romani, un testo in cui ci mostra ciò che era dentro di
sé, dove si vede ciò che era un martire. Possiamo vedere come questa lettera
ci sfida nel cuore della nostra vita monastica e, riferendoci ad essa, ci
chiederemo se non ci siano nella Regola di San Benedetto dei punti che
riguardano la spiritualità del martirio.
Ignazio era dunque vescovo di Antiochia, in Siria. Preso durante una
persecuzione, viene portato a Roma via terra e via mare, per essere esposto
alle bestie nel Circo in occasione di una festa pagana. Giunto in Asia
Minore, soggiorna per un po' in due città: Smirne e Troade. Le delegazioni
delle chiese vicine vengono a visitarlo. In questa occasione egli scrive
varie lettere, inclusa una per i Romani, dove annuncia il suo arrivo e
chiede loro di non fare nulla per liberarlo e per sottrarlo al suo calvario.
Questa lettera è uno scritto spontaneo, dove appare il cuore del martire;
niente di letterario o di convenzionale. A parte un'introduzione ed una
conclusione, non c'è un piano: Ignazio scrive man mano che gli vengono le
idee; è una lingua parlata.
Questa lettera potete leggerla nell'Allegato
1). Leggetela ponendo delle domande a Ignazio; è il modo
migliore per leggere i Padri: come grandi amici, noi li interroghiamo. A
partire da questa lettera, ci porremo diverse domande. Innanzitutto:
-
Chi è Ignazio, qual è la sua personalità?
Poi interrogheremo lui stesso:
-
Come si immagina il martirio?
-
Che cos'è la morte del martire per lui?
-
Chi è un martire per lui?
-
Chi è Gesù per lui?
Nel fare questo lavoro, avrete notato, tra le altre cose, due temi che
avranno una grande importanza nel futuro sviluppo della spiritualità
monastica: il tema del combattimento spirituale e quello dell'imitazione di
Cristo che ritroveremo in altri testi della letteratura dei martiri. Eccone
uno che illustra bene il primo tema: quello del combattimento spirituale; il
martire, come più tardi il monaco, è consapevole di combattere contro il
demonio (Testo
9).
L'altro tema, quello dell'imitazione di Cristo, si trova, tra l'altro, nella
storia dei martiri di Lione (Testo
10).
Questa presenza di Cristo, questa volta interiorizzata, la presenza del
Cristo che soffre e nel suo martirio, può anche essere letta in un famoso
testo della Passione delle sante Perpetua e Felicità (Testo
11).
Più avanti vedremo la stessa idea nella vita di Antonio: Cristo era lì nella
lotta di Antonio contro il diavolo. È bello ricordarcene nelle tentazioni:
Cristo è lì vicino a noi, anche se ci crediamo soli, e ci aiuta a trionfare
su di esse.
5. Origene
(Alessandria 185 ca. – Tiro 254 ca.)
Origene è un uomo che, come Ignazio, fu un grande amante di Cristo e che
desiderava dare la propria vita per Lui. Fu uno dei più grandi geni del
cristianesimo, paragonabile ad Agostino ed a Tommaso d'Aquino. Le sue opere,
che furono numerose, hanno avuto un'influenza molto grande sul monachesimo
che in quel periodo stava germogliando. Non lo studieremo qui, ma segnaliamo
solo alcuni punti attraverso i quali operò su questo movimento degli spiriti
- e dello Spirito - che generò il monachesimo.
C'è continuità tra la spiritualità
del martirio e la spiritualità di Origene. La sua vita scorre attraverso
periodi alternati di persecuzione e di tranquillità. Suo padre morì martire
durante la persecuzione di Settimio Severo (nel 202 ca.), e sua madre
dovette nascondere i suoi vestiti in modo che non andasse a denunciarsi come
cristiano. Scrisse un'Esortazione
al martirio durante la persecuzione di Massimino il Trace (nel
236 ca.), e lui stesso fu arrestato e torturato durante quello di Decio (nel
251 ca.); morì tre anni dopo, come conseguenza di questo patimento. Non
sorprende quindi che si trovi nella sua opera il tema del combattimento
spirituale.
Inoltre, all'inizio della sua vita, Origene era responsabile di una scuola
di formazione alla vita cristiana, una sorta di "Scuola della fede"
ante litteram, in cui gli
studenti venivano ad istruirsi presso di lui. Essi vivevano insieme,
mangiavano insieme, pregavano insieme. Alla fine del suo soggiorno, al
termine di cinque anni di scolarità, secondo l'usanza delle scuole del
tempo, lo studente faceva un piccolo discorso di circostanza. È giunto fino
a noi quello di uno dei suoi allievi, Gregorio, che significa "sveglio", che
in seguito divenne un vescovo e la cui santità fu accompagnata da così tanti
miracoli da essere chiamato il Taumaturgo, cioè "l'operatore dei
miracoli". Ci mostra nel suo Discorso di ringraziamento a Origene
cosa rappresentasse questo maestro per i suoi allievi: un notevole
formatore, un precursore dei Padri-Maestri dei novizi. Leggiamo un
piccolo passaggio di questa lettera alla ricerca di ciò che riguarda la
nostra vita monastica, dove Origene influenzò questa vita monastica che si
formava allora "ai piedi di una roccia" (Testo
12).
Origene formatore e candidato al
martirio, pone il combattimento spirituale al centro del suo
ascetismo e della sua morale, tema che diventerà centrale anche nel nascente
monachesimo. Questo è un tema centrale, perché non c'è vita cristiana senza
lotta, perché l'uomo è al crocevia di due percorsi, come sottolinea il primo
dei Salmi. Questo tema delle due vie, spesso ripetuto in seguito, presuppone
una scelta, spesso difficile, che implica una lotta.
C'è tutta una dottrina del combattimento spirituale nelle opere di Origene e
questo tema passerà tra gli asceti dell'Oriente e nella spiritualità in
generale. Ecco in modo rapido e molto schematico le idee principali che
possono emergere attraverso gli scritti di Origene sul combattimento
spirituale:
1. Il combattimento spirituale è
un dato di fatto: dobbiamo noi tutti fare una scelta tra la via del bene
e quella del male, e questa scelta richiede una lotta in cui è coinvolta la
nostra libertà. La via del bene è quella di Dio, la via del male è quella
del demonio, il diavolo che Origene chiama col nome di coloro che, nella
Bibbia, si oppongono agli Israeliti: Amalech o Faraone (Testo
13).
Ci saranno quindi due tipi di combattenti: (Testo
14).
2. Il combattimento spirituale ha per sede il cuore. Come risultato
troviamo nelle opere di Origene tutti questi temi che saranno ripresi dai
Padri del Deserto: la lotta contro i cattivi pensieri, la custodia del
cuore, la necessità di vigilare, del discernimento degli spiriti,
dell'apertura ad un Padre spirituale.
3. L' apertura ad un anziano è davvero un aiuto potente per il
soldato di Cristo. Ma ci sono anche altri aiuti: Dio stesso ed i suoi
angeli. E lui stesso ha delle armi per difendersi: innanzitutto la
preghiera: "Un solo santo in preghiera è molto più forte di un innumerevole
esercito di peccatori", assicura Origene. La preghiera ed anche le virtù, in
particolare la fede e l'umiltà. La fede: Origene cita spesso la parola di
Paolo: "
Afferrate sempre lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutte le
frecce infuocate del Maligno " (Ef 6, 16); l'umiltà: dopo una caduta,
non bisogna rimanere a terra, ma occorre rialzarsi (Testo
15).
4. Questo combattimento ci è
molto utile: in primo luogo perché a volte ne usciremo sconfitti e
scopriremo così la nostra debolezza; è quindi una fonte di umiltà. In
seguito rafforza la nostra virtù e ci fa meritare una ricompensa.
Inoltre sarà utile per gli altri, noi saremo in grado di combattere per
loro. Ecco un testo piuttosto notevole che mostra come Origene avesse il
senso del Corpo Mistico e dell'aiuto reciproco nascosto che noi possiamo
dare agli altri che non hanno avuto altrettante grazie come noi (Testo
16).
La dottrina di Origene sulla verginità ha anch'essa profondamente
influenzato il monachesimo primitivo. Eccola, anche molto schematicamente:
1. Il modello è Gesù che è la Castità, così come è di tutte le virtù.
Anche Maria ne è il modello. Origene è il primo teologo ad insegnare la
verginità di Maria dopo il parto. Maria è la prima ad essere stata vergine
tra le donne, come Gesù tra gli uomini.
2. Le radici della verginità sono il matrimonio di Cristo e della
Chiesa; il matrimonio cristiano ne è un simbolo che si realizza nella carne;
le nozze della Parola e dell'anima si realizzano spiritualmente per il
cristiano che cerca Dio. Ma questa unione dell'anima con la Parola si opera
con più forza nella verginità: questa è infatti superiore al matrimonio,
perché non è solo figura delle nozze della Chiesa con Cristo, ma le
manifesta e le attualizza. La verginità della Chiesa si realizza attraverso
la castità totale di alcuni dei suoi membri.
3. La verginità nella sua essenza è uno scambio di doni tra Dio e
l'uomo. Tra Dio e colui o colei che è vergine, c'è un dono reciproco:
Dono di Dio all'uomo:
È una grazia che viene da Dio e Dio mantiene la verginità nell'anima;
dobbiamo quindi pregare per conservarla (Testo
17):
Questa grazia viene da Dio Trinità: il Padre la conserva, il Figlio la
opera, sopprimendo le passioni con la spada rappresentata da lui stesso e,
come carisma, essa costituisce una partecipazione allo Spirito Santo.
Dono dell'uomo a Dio:
è un sacrificio offerto dall'anima a Dio nel santuario del corpo. È il dono
più perfetto dopo il martirio. La fonte è la carità: è per amore che si
rimane vergini. Un amore che mette Dio al di sopra di tutto e vuole
rendergli amore per amore. Dandogli tutto il nostro corpo, noi imitiamo Dio
che ci ha dato tutto.
4. Condizioni: questo dono si
manifesta con la mortificazione, la custodia del corpo, la custodia dei
sensi. La preghiera e la mortificazione sono necessari per la verginità:
questi sono gli elementi del sacrificio che, nel santuario del corpo,
l'anima, sacerdote dello Spirito Santo, offre a Dio.
Ma la verginità ha valore solo in combinazione con altre virtù, in
particolare la fede e l'umiltà.
La castità del corpo, infatti, ha per fine quella dell'anima: la castità del
cuore, che è ancora più importante; è necessario proteggere il proprio cuore
dalle immaginazioni impure poiché il peccato del pensiero consegna già
l'anima all'amante adultero, Satana. Viceversa, nel caso dello vergine
violata, la contaminazione del corpo non conta se il cuore rimane vergine.
5. Effetto: un'idea originale
di Origene è che la verginità ci rende come bambini piccoli a cui appartiene
il Regno dei cieli. Essa è quindi vicina alla virtù
dell'infanzia
spirituale (Testo
18).
In questo senso, essa prolunga la vita paradisiaca in cui Adamo ed Eva,
prima di conoscere il matrimonio, erano i figli appena creati da Dio che
conversavano con lui.
Alla fine dei tempi, la verginità profetizza lo stato escatologico
della Risurrezione, perché ciò che in questo mondo ostacola la perfezione
delle nozze dell'anima con il Verbo è la carne ed il peccato.
Nel nostro stato attuale, essa rende liberi per il servizio del
Signore. Seguendo Paolo, Origene oppone la servitù del matrimonio con la
libertà della vergine. Se la verginità è ispirata dall'amore spirituale di
Dio ricercato sopra ogni altra cosa, allora essa libera l'essere umano che
può dedicarsi completamente al servizio divino.
Infine, la verginità porta frutti nell'anima: essa è feconda; come ha
fatto in Maria, genera Gesù nell'anima
(Testo 19).
Questo è un tema che riprenderanno i Padri di Cîteaux, in particolare
Guerrico d’Igny (ca. 1070 - 1157), amico e discepolo di san Bernardo.
BIBLIOGRAFIA
Sigle delle bibliografie:
* Facile lettura
* * Abbastanza facile
* * * Più difficile
Fenomeno monastico
* * Dictionnaire de
spiritualité, art.
Monachisme. T. 10 Col.
1524-1556
* V. Desprez,
Lettre de Ligugé 1983, 2, 4 - N°
218-20, p. 7 ss.
* * * J.Gribomont, ds "St. Basile
Evangile et Eglise", chap. 1 : Le monachisme. au sein de l'Eglise.
Bellef. 1984
** Dom J. Leclercq, "Le phénomène
monastique et sa réalisation chrétienne à travers les âges", conferenza
tenuta presso la 12a Assemblea Generale a Quebec dell'Unione
Canadese delle Religiose Contemplative nel 1980.
Esseni
* * Cahier Evangile 61.
* V. Desprez,
Lettre de Ligugé 1982, 2 - N°
212, p. 8 ss.
Terapeuti
* * Philon : De la Vie Contemplative.
Cerf 1964
* * * A. Guillaumont, ds "Aux
Origines du Monach. chrét.", Chap. 2 : Philon et les orig. du monach.
Bellef. 1980
Il di più evangelico
* Matteo: cap. 7: Sermone sulla montagna.
* Paolo: 1 Cor. 7.
Martiri
* Ignace
: Col. "Témoins du Christ",
NE 10 (et ailleurs).
* Polycarpe
: Col. "Témoins du Christ",
NE 11 (et ailleurs).
* Martyrs de Lyon : A.
Hamman, L'Empire et la Croix.
Col. Ichtus NE 2, Paris 1957
Origene
* * H. Crouzel, dans "Théol. de la
Vie monast.", Chap. 1 : Origène Précurseur du monachisme.
Aubier 1961
Testo 1
Giuseppe Flavio -
Guerre giudaiche II, 122, 123.
Non curano la ricchezza ed è mirabile il modo come attuano la comunità dei
beni, giacché è impossibile trovare presso di loro uno che possegga più
degli altri; la regola è che chi entra metta il suo patrimonio a
disposizione della comunità, sì che in mezzo a loro non si vede né lo
squallore della miseria, né il fasto della ricchezza, ed essendo gli averi
di ciascuno uniti insieme, tutti hanno un unico patrimonio come tanti
fratelli... Gli amministratori dei beni comuni vengono scelti mediante
elezione, e così pure da tutti vengono designati gli incaricati dei vari
uffici.
Estratto da "Giuseppe Flavio, Guerra
Giudaica" a cura di Giovanni Vitucci, Fondazione Lorenzo Valla - Arnoldo
Mondadori editore, 1974
Testo
2
Filone – Ogni uomo onesto è libero 83-86.
Imparano la pietà, la santità, la giustizia, le virtù domestiche e civiche,
la conoscenza di ciò che è veramente bene o male o indifferente, la scelta
di ciò che si deve fare e ciò che si deve evitare. In questo si servono di
queste tre norme basilari: l'amore di Dio, l'amore della virtù, l'amore
degli uomini.
Il loro amore verso Dio è dimostrato da una quantità di prove: dalla purezza
costante e durevole per tutta resistenza, dall'astensione dai giuramenti,
dal rifiuto della menzogna, dal pensiero che la divinità è la causa di ogni
bene, ma non del male. Il loro amore verso la virtù è dimostrato dal
disprezzo delle ricchezze, dal disprezzo della gloria, dai disprezzo dei
piaceri, dalla continenza, dalla frugalità, dalla semplicità, dalla gioia,
dalla modestia, dall’obbedienza alla regola, dall'equilibrio del carattere e
da tutte le virtù di questo genere. Il loro amore verso gli uomini è
dimostrato dalla benevolenza, dall’uguaglianza, dalla vita comunitaria: è
questa superiore a ogni elogio, e non è fuori posto parlarne qui brevemente.
Prima di tutto non v'è alcuna casa che sia di proprietà di una persona: ogni
casa è di tutti. Giacché oltre al fatto che abitano insieme in
confraternite, la loro casa è aperta a tutti i visitatori, da qualsiasi
parte giungano, che condividono le loro convinzioni.
In secondo luogo, hanno un'unica cassa per tutti e le spese sono comuni: in
comune sono i vestiti, in comune è preso il vitto, avendo essi adottato
l'uso dei pasti in comune.
Una maggiore realizzazione dello stesso tetto, dello stesso genere di vita e
della stessa mensa invano la si cercherebbe altrove. Giacché tutto ciò che
ricevono come salario giornaliero del lavoro non lo conservano in proprio,
ma lo depongono nel fondo comune, affinché sia impiegato a beneficio di
tutti quanti desiderano servirsene.
Estratto da "I
manoscritti del Mar Morto", a cura di Luigi Moraldi - Ed. Utet 2013
Testo 3
Filone - Dalla vita
contemplativa 2.
2. Lo statuto di questi filosofi appare subito chiaro dagli stessi nomi:
sono chiamati infatti Terapeuti e Terapeute cioè curatori o curatrici, con
un appellativo vero e proprio perché professano una medicina più valida di
quella conosciuta per tulle le città. Questa
medica (cura) solo i corpi,
quella libera anche le anime
afflitte da malattie gravi e resistenti alle cure, su cui si esercitarono i
piaceri, concupiscenze, dolori, timori, avidità, ignoranza, ingiustizie ed
altre perturbazioni e la schiera innumerevole di altre passioni e di vizi.
Ed inoltre anche hanno appreso dalla natura e dalle sacre leggi a venerare
l'essere, che è più buono del
bene, più semplice dell'uno, più primordiale dell'unità.
Estratto da "I Terapeuti. De Vita
Contemplativa" - Angelo Filipponi 2015
Testo
4
Filone - Dalla vita contemplativa, 11-13.
A questa stirpe invece di Terapeuti sempre si conceda di vedere quanto
appreso precedentemente nella contemplazione della divinità, e trascenda il
sole sensibile, e mai possa lasciare il suo statuto, che tende alla perfetta
felicità.
Coloro che si consacrano a questo tipo di vita non lo fanno perché spinti
dalla consuetudine o perché pregati, ma perché pervasi da amore celeste,
quasi mossi ed eccitati come baccanti, da un furore divino fino a quando non
giungono a vedere ciò che desiderano ardentemente.
Essi poi per la brama di una vita immortale, pensando di aver già finito la
vita terrena, lasciano i personali beni ai loro figli e ai parenti, avendo
ereditato già anticipatamente, volontariamente, e se non hanno parenti,
cedono inoltre anche ai soci e agli amici: sarebbe stato necessario infatti
che chi ha ottenuto subito la visione della luminosa ricchezza spirituale
lasci alle menti accecate, la cieca ricchezza.
Estratto da "I
Terapeuti. De Vita Contemplativa" - Angelo Filipponi 2015
Testo
5
Vita di Pacomio, 1.
Poiché
avevano visto i combattimenti e la pazienza dei martiri, gli anziani tra i
greci diventati monaci iniziarono a rinnovare la loro vita.
Testo
6
Apoftegma attribuito ad Atanasio.
Si dice
spesso tra voi: dov'è la persecuzione per diventare un martire? Sii martire
con la coscienza, muori al peccato, mortifica le membra terrene e tu sarai
martire d'intenzione.
Testo
7
Metodio di Olimpo (250 – 311), Simposio, 7.
Le
vergini non hanno forse testimoniato, non soffrendo per un breve periodo di
dolori fisici, ma sostenendo fino alla fine, senza vacillare, per tutta la
loro vita, la vera lotta olimpica che è la lotta per la castità?
Testo
8
Cassiano, conferenza 18, 7.
La
pazienza e l'austerità, con le quali i cenobiti perdurano devotamente nella
primitiva professione da essi abbracciata al punto che essi non persistono
nella propria volontà, li rendono ogni giorno crocifissi al mondo e pari ai
martiri.
Estratto da "Conferenze ai monaci"
a cura di Lorenzo Dattrino, Città Nuova Editrice 2000
Testo
9
Passione di Perpetua e Felicita.
Nel
giorno precedente a quello del combattimento ebbi la seguente visione. Era
giunto il diacono Pomponio alla porta del carcere e bussava forte: andai a
lui e gli aprii: era vestito di candida veste e calzava piccoli zoccoli. E
mi disse: "Perpetua, aspettiamo te, vieni".
Mi
tenne per mano e cominciammo a camminare per luoghi aspri e tortuosi.
Finalmente giungemmo con fatica e anelanti all'anfiteatro; egli mi fece
entrare nell'arena e mi disse: "Non aver paura, io sono qui vicino a te e ti
aiuto". E scomparve.
Vidi
allora una grande folla, attonita: e, sapendomi condannata alle fiere, mi
meravigliavo che queste non mi fossero aizzate contro. Venne verso di me un
certo Egiziano, terribile a vedersi, con i suoi aiutanti, per combattere
contro di me. Intorno a me vengono giovani di bell'aspetto, aiutanti e
partigiani miei.
«Venni
spogliata e diventai maschio: e quei miei favoreggiatori cominciarono a
spalmarmi d'olio come si fa per la lotta: invece vidi quell'Egiziano
ravvoltolarsi nella polvere. E comparve un uomo di straordinaria altezza,
tale che superava persino il fastigio dell'anfiteatro, in tunica sciolta,
con una striscia di porpora tra le due spalle in mezzo al petto; aveva degli
zoccoli svariati fatti d'oro e d'argento, e teneva in mano una verga a guisa
di un capo gladiatore e un ramo verde che recava pomi d'oro. Chiese
silenzio, e disse: "Questo Egiziano se vincerà costei la ucciderà con la
spada; se costei vincerà lui riceverà questo ramo". E se ne andò.
Ci
accostammo l'un l'altro, e cominciammo a scambiarci colpi: l'Egiziano
tentava di afferrarmi i piedi, io lo colpivo in faccia con i calcagni. E mi
sentii sollevata in aria, e cominciai a percuoterlo come se io non toccassi
terra. Ma, quando vidi che la cosa andava per le lunghe, congiunsi le mani
intrecciando tra loro le dita, gli afferrai il capo, ed egli cadde bocconi
ed io gli calcai il capo. Il popolo cominciò a gridare ed i miei aiutanti a
cantare. E mi avvicinai al capo gladiatore e ricevetti il ramo. Egli mi
baciò e mi disse: "Figlia, la pace sia con te". Ed io presi a camminare
trionfante verso la porta Sanarivaria.
Mi
risvegliai. E capii che non dovevo combattere con le fiere, ma contro il
demonio; ma sapevo che mia sarebbe stata la vittoria.
Estratto da "Tertulliano, «Apologia
del cristianesimo»", Milano, Rizzoli, 1956,
Testo
10
Passione dei martiri di Lione.
Blandirla, appesa a un palo, era esposta come preda alle fiere aizzate
contro di lei; con le braccia stese in croce e il volto atteggiato a
un’espressione di fervida preghiera, al solo vederla infondeva coraggio ai
lottatori. Infatti, quando gli altri martiri la guardavano durante la prova,
anche con gli occhi del corpo scorgevano nella loro sorella colui che era
stato crocifisso per loro, per convincere quelli che credono in lui che ogni
persona la quale patisce per la fede di Cristo merita di partecipare alla
vita eterna.
Nessuna
delle belve la toccò e quindi, tolta dal palo, fu ricondotta in carcere,
riservata a un’altra prova, affinché, vincitrice in molte gare, infliggesse
all’insidioso serpente la pena inesorabile e incitasse al martirio i
fratelli, ella che, piccola, debole, fisicamente spregevole, si era
rivestita del valore di glorioso e invincibile soldato di Cristo, vincitore
del nemico attraverso i tormenti, cinta dalla corona immortale meritata
nelle prove.
Estratto da "Atti dei martiri" a
cura di Giuliana Caldarelli – Paoline Editoriale Libri 1996
Testo
11
Passione di Perpetua e Felicita.
Quanto
a Felicita poi, così essa sperimentò la grazia del Signore. Era già
nell'ottavo mese di gravidanza (era stata arrestata quando già era incinta),
e all'avvicinarsi del giorno dello spettacolo si rattristava grandemente al
pensiero che per le sue condizioni, non essendo lecito eseguire sentenza su
una donna gravida, sarebbe stata rimandata ad altra occasione e avrebbe
dovuto allora versare il proprio sangue santo e innocente in mezzo a dei
criminali.... Uniti in un unico gemito, tre giorni prima dello spettacolo,
tutti (i compagni di martirio) innalzarono preci al Signore. E, subito dopo
la preghiera, Felicita fu sorpresa dai dolori.
E
poiché per le difficoltà naturali dell'ottavo mese soffriva durante il parto
e si lamentava, uno degli assistenti dei guardiani le disse: "Se ora ti
lamenti così, che cosa farai quando sarai esposta alle fiere che disprezzavi
quando non hai voluto sacrificare?" Essa rispose: "Ora, chi soffre quello
che soffro sono io; allora invece sarà un Altro che soffrirà in me per me,
poiché anch'io soffrirò per lui".
E così
partorì una bambina che una sua sorella allevò come figlia propria.
Estratto
da "Tertulliano, «Apologia del
cristianesimo»", Milano, Rizzoli, 1956,
ORIGENE
Testo
12
Gregorio il Taumaturgo – Discorso di ringraziamento a Origene 7;
11.
Noi
eravamo in condizione analoga (come piante che non danno frutti), quando
egli ci prese come allievi. Pertanto, ci andava torno torno con la sua
perizia di agricoltore; considerava non soltanto ciò che tutti potevano
vedere ed era alla superficie, ma scavava, tentava le parti più riposte,
interrogava, poneva quesiti, ascoltava le nostre risposte. Poiché comprese
che era in noi qualcosa di buono, di proficuo, di positivo, vangava,
rivangava, annaffiava, smoveva ogni cosa, metteva in atto tutta la sua
abilità e solerzia, e ci lavorava. Il nostro animo esagitato, eccessivamente
rigoglioso, in preda del disordine e dell'avventatezza, produceva, effondeva
spine, triboli, ogni specie di erbe e piante selvagge: tutto egli recideva,
toglieva via, con il confutarci, con l’opporci i suoi divieti...
Non
appena ci ebbe predisposti, messi in grado di intendere le parole della
verità, allora, appunto, spandeva semi a piene mani, come su una terra ben
lavorata, resa soffice, adatta a far fruttificare i germi in essa immessi...
Non
affermo che egli è il modello del sapiente, anche se ho la certezza che lo è
effettivamente... Diciamo, dunque, che non era il modello perfetto, ma che
assai voleva ad esso accostarsi, adoperandosi con cura estrema, con zelo, e
se è lecito dirlo, al di là delle umane possibilità. Era anche suo intento
di renderci simili a lui, di non essere, cioè, padroni ed esperti della
dottrina relativa agli impulsi psichici, ma degli impulsi medesimi, nella
pratica...Ci piegò, devo ammetterlo, con la forza a praticare la giustizia
mediante l’attività che è propria dello spirito e a dedicarci ad essa. Ci
distoglieva dalle vane, molteplici occupazioni della vita, dal frastuono
della pubblica piazza, e ci ammoniva ad indagare il nostro io, a prenderci
cura degli affari di effettiva pertinenza dell’anima...
Quale
compito, infatti, potrebbe essere proprio dell'anima, quale cosi degno
quanto l'avere cura di se stessa? E che altro ciò significa se non che essa
non deve prestare attenzione alle cose che sono al di fuori di lei,
interessarsi degli affari altrui, che non deve, insomma, fare torto a se
stessa, ma badare al proprio io, ad esso applicarsi ed agire rettamente?
Quest'uomo, dunque, cosi ci educava, piegandoci, ripeto, anche con la forza
a praticare la giustizia.
Estratto da: "Gregorio il Taumaturgo
- Discorso a Origene: una pagina di pedagogia cristiana", a cura di
Eugenio Marotta - Città Nuova, 1983.
Testo
13
Omelia 19 sui Numeri, 4
Amalec, nemico di Israele, afferra o fa deviare il popolo. E lui per primo
che, a Refidim, attacca gli Ebrei usciti dall’Egitto, quando Mosè dice a
Gesù: Scegliti degli uomini ed esci a combattere contro Amalec domani; ecco
che io sto sulla cima del colle, e la verga di Dio sarà nella mia mano. E
Gesù fece come gli aveva detto Mosè, e combattè contro Amalec; e Mosè,
Aronne e Ur salirono sulla cima del colle. E avvenne: quando Mosè alzava le
mani, vinceva Israele; e quando lasciava cadere le mani, vinceva Amalec...
Da questo intendi ancor più chiaramente chi deve intendersi per Amalec, che
Dio combatte con mano segreta, cioè invisibile, di generazione in
generazione.
Estratto da "Origene, Omelie sui
numeri" a cura di Maria Ignazia Danieli, Città Nuova 2001
Testo
14
Omelia 2 sul Salmo 36, 8
Ci sono
due soldati armati; uno è il soldato di Dio, l'altro il soldato del diavolo.
Il soldato di Dio è protetto dall'"armatura di giustizia" e, al contrario,
il soldato del diavolo è protetto dall'armatura dell'ingiustizia. Ed il
soldato di Dio splende sotto l''"elmo della salvezza", al contrario il
peccatore, soldato del diavolo, indossa l'elmo della perdizione. Ed i piedi
del soldato di Cristo sono pronti a "correre ed annunciare la Buona
Novella", al contrario i piedi del peccatore corrono "con agilità per
spargere sangue", e le sue calzature, cioè ciò a cui si sta preparando, sono
allacciate per il male. Il soldato di Dio ha "lo scudo della fede", il
soldato del diavolo ha anche lo scudo dell'incredulità.
Testo
15
Omelia 4 su Salmo 36, 2.
È come
in un combattimento: quando due uomini si affrontano succede che uno cada
per primo ma, una volta caduto, si alza e vince. Allo stesso modo nel nostro
combattimento contro il "Principe di questo mondo", se per caso succede a
uno di noi di venire sconfitto e di cadere in qualche peccato, è possibile
che dopo questo peccato si penta, si alzi e aborrisca il male che ha
commesso. In seguito non solo sta in guardia, ma fa ulteriore riparazione a
Dio "ogni notte inondando di pianto il suo giaciglio" (Sal 6, 7), facendo
propria la fiducia di cui si avvale il profeta:" Forse chi cade non si
rialza e chi sbaglia strada non torna indietro?" (Ger 8, 4).
Ecco l'uomo che ha potuto cadere, ma che non ha potuto essere
annientato!
Testo
16
Omelia 25 su Numeri, 4
Nel
popolo di Dio, come dice l'Apostolo, ci sono uomini che sono i soldati di
Dio: cioè quelli che non si intromettono negli affari del mondo. Sono quelli
che "marciano alla guerra", combattono contro le nazioni nemiche e "contro
gli spiriti malvagi", per il resto del popolo e per i deboli, sia per età,
sia per il sesso, sia per la scelta che si sono proposti. Essi combattono
con preghiere, digiuni, pietà, dolcezza, castità. Tutte le virtù servono
loro come armi da guerra e quando sono tornati vittoriosi sul campo, anche i
non combattenti, quelli che non sono chiamati al combattimento o che non vi
possono partecipare, traggono beneficio dal loro lavoro.
Testo
17
Commento a Matteo 14, 25.
Dio
darà il dono eccellente, la purità perfetta nel celibato e nella castità, a
coloro che lo chiedono con tutta la loro anima nelle loro preghiere, con
fede e perseveranza.
Testo
18
Commento a Matteo, 13, 16.
Quando
un uomo già formato mortifica le sue concupiscenze carnali, facendo morire
per mezzo dello spirito le opere del corpo, portando ovunque la
mortificazione di Gesù nel loro corpo, fino a ritornare allo stato del
bambino che non ha assaporato le realtà dell'amore carnale, costui si è
convertito ed è diventato come un bambino. Più si avvicina a questo stato,
più lui è grande nel regno dei cieli, superiore a tutti gli asceti che non
hanno raggiunto un tale grado di temperanza.
Testo
19
Commento a Romani, 4, 6.
Se tu
sei mortificato puoi produrre frutti eccellenti, Isacco, la Gioia: è il
primo dei frutti dello Spirito. Il tuo seme, vale a dire le tue opere,
saliranno al cielo, diventeranno opere di luce, saranno paragonate alla
luminosità ed allo splendore delle stelle. Inoltre, se sei abbastanza puro
nell'intelligenza, abbastanza santo nel corpo, abbastanza immacolato nelle
tue azioni, tu puoi generare Cristo stesso. (Isacco, che in ebraico
significa "Gioia", è la figura biblica di Gesù. Ndt.)
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21 aprile
2018 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net