Regola di S. Benedetto

Capitolo XXXIII - Il "vizio" della proprietà: "Nel monastero questo vizio dev'essere assolutamente stroncato fin dalle radici, «Tutto sia comune a tutti», come dice la Scrittura, e «nessuno dica o consideri propria qualsiasi cosa»".


Tratto dal libro "Les pauvres que Dieu aime" (I poveri che Dio ama) di A. Gelin P.S.S. -

Les Éditions du Cerf (Traduzione libera)

La povertà

 

(Conclusione)

Il soggetto che abbiamo affrontato in queste pagine, da un punto di vista biblico è di una grande complessità: gli aspetti sono molteplici, le "piste" non sempre facili da individuare, il vocabolario talvolta ambiguo. Poiché l'uomo biblico è anche l'uomo reale, al quale Dio "insegna a camminare (Os 11, 1), si può dire che ciascuno di noi si riconosce in questi figli di Abramo di cui Dio conosce i limiti, le tentazioni ed i peccati e ne guida gli slanci, le conversioni e gli eroismi: i loro problemi sono anche i nostri problemi, così come le loro esperienze sono anche le nostre. Ecco spiegato il perché della reazione del nostro cuore nell'affrontare questo soggetto: è la prova che questo è uno dei punti essenziali della Rivelazione divina.

Ricordiamoli - Tutta la Bibbia, da Amos a San Giacomo e dal Deuteronomio a Gesù, considera la povertà - il significato della parola va ben oltre quello della semplice privazione di soldi - come uno stato violento di fronte al quale non ci si può sentire con la coscienza a posto. I metodi preconizzati per attenuarla sono specifici di ogni epoca: la Bibbia non pretende che la ripetizione e l'imitazione pedestre di questi metodi bastino fino alla fine dei tempi. Ma questo punto di vista realista non rappresenta l'unico pensiero. Nonostante compaia una corrente di pensiero,  a nostro parere abbastanza localizzata, che arriva ad identificare i poveri coi peccatori, viene messo in evidenza come i poveri fossero più facilmente religiosi rispetto ai ricchi, poiché meno tentati di credersi autosufficienti e quindi di chiudersi a Dio. Ciò vale in particolare per questa classe di "piccoli" che la Bibbia ama e che situa tra l'opulenza e l'indigenza; fin dall'Antico Testamento si delinea un tema che sarà caro a Proudhon. In ogni caso la critica della ricchezza, partendo da un punto di vista religioso, non cesserà mai, dai Profeti a Gesù. E proprio Lui che, avendo scelto la povertà come mezzo di Redenzione, l'ha consacrata come un valore. D'ora in poi, tutti i poveri, con un atteggiamento personale da miseri, sono un richiamo e come un sacramento del grande Povero annunciato dal secondo Isaia.

A partire da Sofonia si è verificata una trasposizione spirituale del termine "povero", che è servito a descrivere l'uomo che si pone davanti a Dio in un atteggiamento religioso di "cliente". Noi ci siamo quindi sforzati di descrivere concretamente questa linea mistica di Israele, che si esprime in modo anonimo nel Salterio, ma che è seguita anche da grandi nomi quali Geremia, l'autore del libro di Giobbe e soprattutto Maria, l'umile Vergine che, alle soglie della Nuova Alleanza, riassume in sé tutta la profondità spirituale dell'antica. La povertà così intesa è un aspetto della fede di abbandono, fiduciosa e piena di gioia. E' anche vicina all'umiltà e si riassume in un atteggiamento di attesa religiosa. La Beatitudine dei poveri in S. Matteo, riguarda questa disposizione fondamentale. La sua enunciazione prosegue poi con la critica al fariseismo, così centrale nel Vangelo, e con la parabola dei bambini, che può essere considerata come l'antitesi di questa critica.

Esistono dei rapporti concreti tra queste due "povertà", quella effettiva e quella "spirituale". Storicamente è nell'ambiente della prima che si è sviluppata la seconda. E' un dato di fatto che per fare espandere la povertà "di spirito", gli Esseni si sono assoggettati ad una specie di voto di povertà. Ed il Cristo ha fatto proprio questo doppio insegnamento della tradizione. Nessuno di questi insegnamenti biblici è stato perso, né deve esserlo.

Senza pretendere di estrarre dalla Bibbia un trattato di economia, nè un manuale di sociologia, come talvolta se ne è tratta una linea politica, non si ha il diritto di dimenticare le incidenze sociali dei principi religiosi che vi si trovano. Gesù non ha preteso di organizzare la terra, tuttavia si è indirizzato a uomini in carne ed ossa e noi sappiamo da che parte pendessero le sue preferenze. La povertà evangelica, praticata da Lui, è restata nella chiesa come un segno particolarmente evidente di comunione al suo spirito. Il santo che più gli è assomigliato è forse il Poverello d'Assisi. La povertà di S. Francesco è contemporaneamente liberazione, gioia, fraternità ed unione a Gesù. La tradizione di povertà evangelica si trasmette sempre nell'istituzione monastica. Oggi ha ritrovato nuove tonalità con Padre de Foucauld, Padre Chevrier e nelle famiglie apostoliche che conservano l'eredità di questi uomini di Dio.

La povertà evangelica, nella sua ultima essenza è una "rinuncia radicale" (Régamey), un'umiltà totale e, di conseguenza, un'immensa fiducia nei confronti di Dio. E' la disposizione essenziale che la Bibbia, nelle sue migliori pagine, ha rivelato in modo oscuro, quella che conferisce grandezza alla linea mistica di Israele, che fu vissuta da Maria ed infine valorizzata da Gesù, l'anaw (il povero in ebraico) che beatifica i "poveri di spirito". Da quel momento il tema si trasmette come il segreto stesso della santità. Nel sontuoso inno "Veni Creator", la Chiesa ci ha fatto cantare:"Vieni, padre dei poveri". Ed i teorici della vita spirituale, insieme a Bérulle, ribadirono:"Noi dobbiamo avere una vera disposizione di povero quando preghiamo". Senza dubbio è il messaggio essenziale di cui fu portatrice per la nostra epoca avida di fonti la giovane santa di Lisieux. Ed alla fine del nostro itinerario trascriviamo con gioia alcune delle sue annotazioni:"La santità non consiste in tale o tal'altra pratica, bensì consiste in una disposizione del cuore che ci rende umili e piccoli nelle braccia di Dio, consci della nostra debolezza e fiduciosi fino all'impudenza nella sua bontà di Padre.... Quello che piace (al Buon Dio) nella mia anima, è il vedermi amare la mia piccolezza e povertà, è la cieca speranza che ho nella sua misericordia...  Non temere; più sarai povero e più sarai amato da Gesù."


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21 giugno 2014                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net