Pelagio
(c. 360 - c. 422)
e il pelagianesimo
Estratto
da "Dizionario di storia della Chiesa" di
Guy Bedouelle
1997
Edizioni Studio
Domenicano
Il pelagianesimo è un movimento ascetico con presupposti teologici
sulla grazia e sul libero arbitrio del l'uomo che ha ricevuto il suo
nome da Pelagio, un monaco di origine britannica che aveva insegnato
a Roma tra la fine del IV secolo e l’inizio del V. Pelagio non era
l'unico rappresentante di questa dottrina, poiché i suoi seguaci
furono a volte chiamati “celestiani” da Celestio, un avvocato
anch’esso originario dell’Inghilterra; altri ancora, come Rufino il
Siriano e più tardi Giuliano di Eclano e Fatidio, saranno accusati
di errori teologici simili a quelli di Pelagio.
S. Agostino, S, Girolamo, Orosio, più conosciuto come storico, hanno
condannato le teorie dei pelagiani che accordavano, nella dottrina
della salvezza, un eccessivo valore alla natura umana, la quale
sarebbe in grado di muovere i primi e decisivi passi verso la
salvezza al di fuori della grazia divina. I pelagiani da una parte
volevano reagire al lassismo e al basso livello di moralità
dell’epoca, ma volevano anche liberare il cristianesimo dal sospetto
di manicheismo, che poteva derivare dall’assegnare un ruolo troppo
importante al peccato originale.
Tra gli scritti di Pelagio che ci sono stati conservati ricordiamo
un
Commento alle Lettere di
S. Paolo e una
Lettera a Demetriade, una nobile romana che si
era fatta suora. In effetti la dottrina pelagiana aveva incontrato
un buon successo presso la società romana di quel periodo. Pelagio e
Celestio avevano dovuto poi lasciare Roma, minacciata dall’invasione
dei Goti, e si erano rifugiati nell’Africa del Nord. Proprio in quel
momento S. Agostino comincia la sua aspra lotta contro la dottrina
pelagiana, anche se i rapporti tra il vescovo di Ippona e Pelagio
erano sempre stati abbastanza cordiali.
Il pelagianesimo viene condannato nel 416 dai sinodi svoltisi a
Cartagine e a Milevi, ai quali fa seguito la scomunica pronunciata
da Papa Innocenzo I. Dal momento però che il suo successore Zosimo
sembrava più esitante nella condanna del pelagianesimo, i vescovi
africani, riuniti a Cartagine il 1° maggio 418 sotto la guida di S.
Agostino, riaffermano solennemente la condanna della dottrina di
Pelagio. I nove canoni promulgati dal sinodo rifiutano la negazione
del peccato originale e del valore del battesimo per la remissione
dei peccati; infatti il battesimo dei bambini, praticato dalla
Chiesa, perderebbe in questo modo ogni valore. S. Agostino arriva ad
affermare che i Pelagiani annullavano la Croce di Cristo: «Se
qualcuno può essere giustificato senza la croce, per merito della
legge naturale e per la libera scelta della sua volontà... allora
Cristo è morto per niente»
(De natura et gratia,
VII e VIII).
Dopo la condanna del 418 e dopo un intervento imperiale, di Pelagio
si perdono le tracce; invece Celestio si reca a Costantinopoli, dove
compare vicino a Nestorio, anche lui condannato per le sue teorie
cristologiche. Il posto dei due capi del pelagianesimo viene ben
presto occupato dal giovane vescovo di Eclano, in Puglia, Giuliano,
che amareggia grandemente gli ultimi anni di vita di S. Agostino, il
quale da parte sua intensifica la sua opera antipelagiana e
inasprisce ulteriormente la sua posizione critica. Giuliano si
opponeva tra l’altro al concetto della trasmissione del peccato
originale, e rimproverava inoltre ad Agostino di non essersi del
tutto liberato dalle idee manichee; egli sviluppa da parte sua una
concezione decisamente ottimista delle facoltà umane.
Mentre il pelagianesimo veniva definitivamente condannato, in quanto
si opponeva troppo manifestamente alla dottrina della Chiesa sulla
salvezza, sopravviveva invece il “semi-pelagianesimo”. Questa teoria
non esprimeva una piena adesione alle tesi pelagiane condannate, ma
manifestava un chiaro rifiuto delle posizioni più radicali di S.
Agostino, il quale affermava ad es. la predestinazione. E’ questa la
posizione di Cassiano , di Vincenzo di Lerino e di Fausto di Riez (†
490), i quali mettevano in grande evidenza la necessità della
cooperazione del libero arbitrio per l'accettazione della grazia,
che tuttavia rimaneva sempre al primo posto.
Questa lunga serie di
contrasti evidenzia in modo chiaro che lo scontro tra Pelagio e
Agostino prospettava uno dei grandi problemi della teologia
occidentale, che si ripresenterà anche al tempo della Riforma
protestante, per esempio nella controversia fra Lutero ed Erasmo, o
nel giansenismo.
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5 marzo 2017
a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net