LE CONFERENZE SPIRITUALI
di GIOVANNI CASSIANO
XIII,5 – Giovanni Cassiano e il monachesimo lerinense: la resistenza ad Agostino
Estratto da "Il nodo cristiano" di Gaetano Lettieri
- Edizioni Carocci Roma 2009
Altra rilevante figura, protagonista di un’accorta quanto netta resistenza ad
Agostino è quella del monaco Giovanni Cassiano, mediatore di Origene, di Evagrio
Pontico e di Giovanni Crisostomo, vero e proprio cuneo della cultura e della
spiritualità orientali in Occidente (sin dal 404 è a Roma, dal 415 in Provenza,
ove fonda due monasteri), quindi naturalmente avverso all’innovativa prospettiva
di una deresponsabilizzante grazia indebita e predestinata, difficilmente
concordabile con un’austera dottrina ascetica basata sullo sforzo eroico della
libertà – culminante nella «santità agonistica» (Pricoco) della
militia Christi
(cf.
Conlationes
XXIV,26, in riferimento a
Mt
11,12; V,16; VII,5 e 23; VIII,18;
De
institutis coenobiorum
I,1,1; II,3,2; V,19,1; 21,1) –, naturalmente più vicina alle prospettive
pelagiane. La XIII delle
Conlationes Patrum
è integralmente dedicata alla questione della grazia e
del libero arbitrio: la sua fondamentale intenzione antiagostiniana è comunque
temperata dall’esigenza di smarcarsi dal pelagianesimo, già condannato dalla
sede romana, quindi da Cassiano stesso aspramente attaccato nel
De incarnatione Domini contra Nestorium
(scritto in seguito alle pressioni di Leone Magno), ove
infondatamente si fa dipendere la recente eresia cristologica proprio
dall’eresia pelagiana (cf. I,3; V,1-6). Quella di Cassiano è, in effetti, una
teologia della giustificazione “semipelagiana”, che non nega in alcun modo il
ruolo decisivo e il merito della libertà, ma li subordina alla chiamata
necessaria, comunque estrinseca e resistibile della grazia, in linea non
soltanto con la dominante linea pseudoagostiniana occidentale, ma con la
concorde tradizione orientale da Origene a Crisostomo. Di grande interesse la
peculiare interpretazione dei giudizi imperscrutabili di
Rom
11,33-34 offerta in
Conl
XIII,17, in realtà perfettamente in linea con l’approdo
di Prospero e i
Capitula
pseudocelestini: «Considerando tale multiforme
liberalità dell’economia divina – per cui egli, il maestro delle genti per
antonomasia, fu preso da sgomento – tentano di annientarla coloro che ritengono
di poter misurare con la ragione umana la profondità di quell’inestimabile
abisso! Chi, appunto, si stima in grado di comprendere o spiegare pienamente
come Dio, nella sua economia, opera la salvezza degli uomini, destituisce di
verità la sentenza dell’Apostolo e con sacrilega audacia dice scrutabili i
giudizi di Dio ed esplorabili le sue vie». Questa vera e propria censura – che
si vuole paolinamente fondata! – del tema della predestinazione è comunque
finalizzata ad esaltare l’universale amore di Dio per tutte le sue creature (cf.
XIII,7; XIV,19), paragonato (si pensi alla fortuna erasmiana del tema) a quello
di una nutrice amorevole che si occupa della crescita del bambino (cf. XIII,14)
o, sulla scorta di
Isaia
49,15, di una madre per tutti i suoi figli (cf.
XIII,17). Il sinergismo di Cassiano è quindi sistematico: «Queste due realtà, la
grazia e il libero arbitrio, sembrano reciprocamente avverse, ma concordano tra
di loro…
Rimane nell’uomo sempre il libero arbitrio, che può amare o trascurare la grazia
di Dio» (XIII,11-12; cf. 18; I,17; III,11-12; 15; 22; XXIII,12). Il peccato di
Adamo, pertanto, non ha in alcun modo contraddetto il «
naturae bonum»
(cf. XIII,9), né sradicato dall’immagine di Dio la sua capacità naturale di
desiderare il bene, la verità, Dio stesso (cf. XIII,12). Persino le grandi virtù
pagane della pazienza, della fortezza e soprattutto della castità smentiscono
che la libertà dell’uomo sia naturalmente incapace di bene (cf. XIII,4); tanto
più il cristiano – per di più prevenuto, sostenuto, stimolato dalla grazia (cf.
XIII,8-13; 17-18; III,15-16; 19; V,15), che lo compensa anche oltre i suoi
meriti (cf. XIII,16) – testimonia della capacità del libero arbitrio di invocare
l’aiuto di Dio nella preghiera, inizio e culmine delle virtù (cf.
Inst Coen
XII,14,2; II,12,2-3;
Conl
IX,2; 4; 36), quindi di progredire spiritualmente con il
proprio «amor, desiderium, studium,
conatus, cogitatio… intentio» (X,7; cf. I,7-8; XIII,13), «desiderium et labor»
(cf. XIII,13; I,3 e 17; V,1-6; IX,7; XXII,7), fino ad attingere la suprema virtù
monastica, che è quella dell’ubbidienza all’azione della grazia (cf. II,3;
IV,23), che mai lo forza, ma sempre propone al libero arbitrio «occasiones salutis»
(III,19; cf. 22; XVII,225; XX,8; XXI,5). Dunque, piantare la virtù e sradicare i
vizi rappresentano la «duplex
nobis laboris intentio» (XIV,3), l’inalienabile attività
del libero arbitrio, mentre la carità, «centro immobile intorno a cui fare
ruotare tutte le proprie opere» (XXIV,6), è essa stessa una virtù e niente
affatto l’azione interiore dello Spirito Santo.
Ritorno all'indice delle "CONFERENZE SPIRITUALI"
Ritorno alla pagina iniziale su "Giovanni Cassiano"
| Ora, lege et labora | San Benedetto | Santa Regola | Attualità di San Benedetto |
| Storia del Monachesimo | A Diogneto | Imitazione di Cristo | Sacra Bibbia |
11 febbraio 2017 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net